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Autore: bittersweet Mel    31/03/2018    2 recensioni
The World è una grande città spezzata a metà, da una parte le ville e il lusso, dall'altra le palazzine malfamate e la povertà.
Roxas vive nella sua splendida casa, il giardino perfetto e una famiglia all'apparenza perfetta; Axel convive con due amici e fatica a pagare l'affitto, ma continua a coltivare il sogno di diventare un attore.
Il giorno in cui si incontreranno tutte le problematiche della grande città si fonderanno e inizieranno a farsi pian piano sempre più pressanti.
[ Axel/Roxas ]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Demyx, Roxas, Ventus
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Altro contesto
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XII


 
 
 
Roxas non tornava a casa da sei giorni. Ventus l’aveva aspettato tutte le notte appollaiato sopra al divano, le orecchie attente e il cellulare in mano, finché la stanchezza non prendeva ogni volta il sopravvento.
Erano stati sei giorni lunghissimi e disperati, dove ogni sua chiamata veniva ignorata e ogni messaggio non veniva nemmeno visualizzato.
Ventus aveva passato tutti i pomeriggi in casa, lo sguardo incollato alla finestra, nella speranza di vedere la testa bionda del gemello fare capolino dall’angolo della strada, ma non era mai successo.
Naminé era furiosa, sbatteva le porte ogni volta che usciva da una stanza e di tanto in tanto Ventus la sentiva urlare al cellulare, minacciando sua madre di rispedire Roxas a casa.
Tatty era stata irremovibile a tal proposito: Roxas sarebbe tornato quando se la sarebbe sentita e non avrebbe di certo fatto un torto a suo nipote.
Ventus avrebbe tanto voluto andare da lei e dirgli che stava facendo proprio quello, perché c’era anche lui, non solo Roxas.
Anche lui era suo nipote, anche lui aveva bisogno di ricevere il suo affetto, non esisteva solo Roxas.
Nonostante tutto, però, non era affatto arrabbiato con il gemello, semplicemente gli mancava.
Gli mancava come quando a sette anni Naminé aveva deciso che erano abbastanza grandi da dormire in stanze separate, decidendo di distruggere il letto a castello che li aveva ospitati per tutta la loro infanzia.
Ventus aveva pianto per un mese intero, nascosto sotto le coperte della sua nuova camera troppo grande per una persona. Aveva rimpianto il vecchio letto cigolante che li aveva ospitati per sette anni, quel bellissimo letto a castello dove Roxas inventava sempre nuove avventure per giocare. Una settimana erano prodighi cavalieri, l’altra degli alchimisti, l’altra ancora uomini coraggiosi pronti a scalare una montagna.
L’unica differenza col passato era che un tempo, durante la notte, quando la mamma dormiva, Ventus riusciva a sgattaiolare fuori dalla sua camera e intrufolarsi dentro quella di Roxas, mentre ora sapeva non esserci nessuno là dentro.
Il ragazzo sospirò amaramente e appoggiò la guancia sopra il tavolo della cucina, guardando con malinconia la grande finestra che dava sul giardino.
Osservò il sole ancora basso, pronto a sorgere nel cielo, e si chiese perché le cose andavano sempre male in quella famiglia.
“Quando è iniziato a rovinarsi tutto quanto?”
Ventus corrugò la fronte, assottigliando leggermente gli occhi azzurri nello sforzo di concentrarsi.
Probabilmente la spaccatura iniziale l’aveva creata Roxas, il giorno in cui aveva deciso di chiudersi in se stesso e vivere la sua vita chiuso in casa.
Pian piano le cose erano peggiorate e qui Ventus si prese una piccola fetta della colpa: Roxas lo ignorava? Bene, allora lui si sarebbe fatto un sacco di amici e si sarebbe divertito più di lui.
Aveva passato anni interi a stringere amicizia con chiunque, chiacchierando alla fermata dell’autobus, intavolando discorsi al bar e salutando tutti i suoi compagni di scuola.
Infine era arrivato il colpo definitivo, la causa della rottura finale, era stato quel ragazzo dai capelli rossi.
Ventus non conosceva nemmeno il suo nome, ma lo detestava con tutto se stesso.
Roxas era cambiato da quando l’aveva conosciuto e aveva iniziato a stare fuori di casa – Roxas! Roxas che faceva fatica perfino ad andare a scuola!- , a divertirsi come una persona normale, ma senza Ventus.
Il ragazzo aveva sempre creduto di essere lui la persona più importante per Roxas, quello con cui ridere e scherzare, con cui uscire e divertirsi.
Lui, Ventus, non quel ragazzo dai capelli rossi.
Il ragazzo sospirò, affranto, e scivolò lentamente in avanti, fino a stravaccarsi completamente sopra al tavolo della cucina.
La pancia si lamentò leggermente, a digiuno dalla sera precedente, ma Ventus ignorò ogni piccolo bruciore e gorgoglio, preferendo chiudere pian piano gli occhi e pensare ad una soluzione.
Doveva trovare Roxas e riportarlo a casa a tutti i costi. Poi, una volta che suo fratello sarebbe tornato al sicuro tra le mura domestiche, Ventus gli avrebbe fatto cambiare idea su quel ragazzo.
Insomma … Roxas non era gay, non aveva mai mostrato nessun interesse verso i ragazzi, eppure all’improvviso aveva deciso di mettersi insieme ad un uomo.
C’era qualcosa che non lo convinceva. Nella testa di Ventus Roxas aveva semplicemente bisogno di compagnia e all’improvviso aveva conosciuto qualcuno che poteva stargli accanto, ecco tutto.
Non era amore, non era infatuazione o nulla del genere.
“ Chissà se hanno già …”
I pensieri di Ventus si interruppero di colpo, senza nemmeno riuscire ad immaginarsi il continuo di quella frase.
No, Roxas era troppo piccolo, troppo inesperto, non poteva fare certe cose, non prima che fosse stato Ventus a farle per lo meno.
Il biondo scrollò la testa e strofinò la fronte sopra al marmo bianco, mentre un sospiro gli scivolava lentamente fuori dalle labbra.
Era inutile stare a casa a fare certi pensieri, doveva muoversi e agire; sicuramente anche Roxas l’avrebbe fatto per lui.
“ Vado a prenderlo”
Decise alla fine, fermamente convinto della sua riuscita.
Si alzò dalla sedia con una nuova forza di volontà e si passò la mano sopra al volto assonnato.
Gettò un ultimo sguardo alla cucina vuota e silenziosa, poi intascò il cellulare e uscì di casa.
 
 
Come aveva previsto Tatty l’aveva fatto entrare in casa senza troppi problemi.
L’aveva accolto con un gran sorriso e gli aveva poggiato le labbra prima sulla guancia destra, poi sulla sinistra com’era solita fare.
Ventus per qualche secondo era rimasto in silenzio a guardarsi intorno, in cerca di suo fratello, ma dopo essersi reso conto che lì dentro c’era solo sua nonna si era lasciato andare ad un sospiro stanco.

«  Nonna …» iniziò a parlare, lo sguardo basso come se si fosse appena beccato un rimprovero, «  nonna, dov’è Roxas? »
La donna stiracchiò leggermente le labbra e gli passò la mano destra sopra la nuca, accarezzando i capelli biondi e scompigliati.
«  E’ uscito più di due ore fa, tesoro », gli rispose con la solita voce zuccherosa e apprensiva.
Ventus sospirò ancora, mordendosi il labbro inferiore.
Sollevò lo sguardo per puntarlo sopra al volto della donna e rimase in silenzio ancora una volta, concentrandosi sopra l’espressione di Tatty per non perdersi nessuna sfumatura del suo volto.
Stava mentendo? Nascondeva Roxas da qualche parte?
Era un dato di fatto che Tatty preferisse di gran lunga passare il suo tempo con Roxas, piuttosto che con lui, ma pensava fosse oltremodo scorretto farglielo notare così palesemente.
Allora si accigliò.

«  Davvero nonna, dov’è? Deve tornare a casa, non può stare qui, deve tornare a casa con me »
«  Tesoro… »
«  No, ti prego nonna, per favore, io … », si bloccò, le labbra contratte e la voce che via via preferì azzittirsi piuttosto che ammettere che aveva più bisogno lui di suo fratello di quanto Roxas ne avesse di lui.
Poteva sembrare il contrario a prima vista, dove Ventus appariva un ragazzo solare ed energico, circondato da amici e sempre felice, ma non era affatto così.
Roxas stava bene nella sua solitudine, non sentiva la mancanza di nessuno e non soffriva nel ritrovarsi da solo nella sua camera, ma Ventus non era così.
Lui smaniava per le attenzioni, voleva vivere circondato dalle persone e quando rimaneva da solo a lungo, nella sua stanza, sentiva il corpo debole e stanco, senza energie.
Ecco perché aveva bisogno di Roxas, ecco perché lo rivoleva con lui.
Tatty socchiuse gli occhi e gli accarezzò ancora una volta la nuca, passando delicatamente le mani tra i capelli.

«  Ascoltami bene, Ventus Lys, perché non voglio ripetertelo ancora una volta: Roxas ti vuole bene, a te e a Naminé, ma ha bisogno di un po’ di tempo per sé. Non è sparito per sempre, tornerà a casa presto e tutto tornerà come prima.»
Ventus fece un passo indietro e si allontanò dalla mano della nonna, scuotendo la testa.
La gola si strinse in una morsa bollente e le pulsazioni del cuore iniziarono a farsi sempre più rumorose.
Bum bum bum, le sentiva nel petto, nella gola, perfino in testa.

«  Non è vero. Roxas preferisce passare il tempo con un tizio appena incontrato che con la sua famiglia, le cose non torneranno mai come prima. Ci ha tradito, ci ha lasciati da soli, e ora è giusto che torni con noi e sistemi tutto », dopo aver pronunciato quelle parole perfino Ventus si rese conto di quanto fossero sbagliate e ingiuste, ma oramai le aveva dette. Erano scivolate nell’aria e scomparse subito dopo, ma avevano ugualmente raggiunto le orecchie di Tatty.
Il volto della nonna si indurì leggermente, ma non perse ugualmente la delicatezza degli occhi.
Poteva pur sempre essere arrabbiata, ma non riusciva a controllare quell’irrefrenabile istinto materno che provava verso i suoi nipoti.

«  Axel è un bravo ragazzo e Roxas è felice di passare il tempo con lui. E’ giusto che sia felice », parlò Tatty, allungando nuovamente il braccio per poter accarezzare Ventus.
Il ragazzo, però, si allontanò ancora una volta e scosse la testa.
Axel.

«  E io? Io non posso essere felice? », le domandò, gli occhi che stupidamente si inumidivano, «  per te c’è sempre solo Roxas, Roxas, Roxas. Ci sono anche io e non è giusto, non è giusto, che lui se ne sia andato come se niente fosse, senza pensare a me nemmeno una volta. »
Il volto di Tatty si contrasse leggermente e le rughe sembrarono farsi ancora più scavate ed evidenti.
Si portò una mano sopra la bocca e scosse la testa, come se le parole di Ventus le avessero tolto il respiro.

«  Oh, tesoro, non sai quanto ti sbagli. Io vi amo entrambi come se foste figli miei. Dal primo momento in cui vi ho visto, due piccoli fagiolini appena nati, gli occhi ancora chiusi e le mani così piccole da sembrare quelle di una bambola … Ventus, ti prego, non pensare mai che io non ti voglia bene.»
Il biondo incassò il colpo e il petto si strinse dal senso di colpa.
Gli occhi azzurri scivolarono sopra al volto ferito della nonna e le gambe lo implorarono di correre via e andarsene da lì il prima possibile.
Tatty era sempre stata buona con loro, Ventus si ricordava di tutti i pomeriggi passati a casa sua, dove le tende erano blu e il profumo dei biscotti impregnava il copridivano.
Era stato ingiusto a dire quelle cose, ma non poteva impedire alla sua mente di pensarle.
Il ragazzo scosse la testa, allora, e tentò di salvare la situazione, di curare la ferita che aveva appena inferto a sua nonna.
Le afferrò la mano tra le proprie e l’accarezzò, prima di sollevare a fatica le labbra verso l’alto.

«  Mi dispiace, scusami, ma … mi manca davvero tanto Roxas. »
La donna socchiuse gli occhi e se lo tirò a sé, stringendo il corpo del nipote contro al petto, affondando la testa contro la sua spalla.
«  Siete così uguali, voi due », mormorò semplicemente, scuotendo appena la testa.
Ventus ridacchiò appena, anche se gli occhi continuavano a bruciare dal desiderio di piangere.

«  Nemmeno un po’, nonna. »
Lei scosse la testa e si allontanò di un passo, così da lasciar libero l’altro ragazzo; le labbra decorate dal lucidalabbra si sollevarono leggermente e la mano tornò sopra la nuca del biondo.
Ventus non la scacciò, ma non riuscì ugualmente ad incrociare il suo sguardo.

« Prova a parlare con Roxas, d’accordo? Non lo obbligare a tornare a casa, è testardo tanto quanto te. »
Ventus deglutì e scrollò le spalle; l’avrebbe costretto a tornare a casa con ogni mezzo possibile, era inutile chiedergli di fare il contrario.
L’avrebbe portato via dalla casa di Tatty e allontanato da Axel a tutti i costi.

«  Sai dov’è andato, allora? »
«  Al Jolie, un bar nel eastside.»
 
 
***



«  Ti ho chiamato più di un’ora fa, perché ci hai messo tanto? », sbottò Ventus, le labbra corrucciate e lo sguardo che pareva fulminare il viso stanco di Terra.
L’amico scrollò le spalle e chiuse la portiera dalla macchina, parcheggiata proprio davanti alla casa di Tatty.

«  Buongiorno anche a te, Ven, e tranquillo, non ringraziarmi per essere uscito prima dal lavoro ed essere venuto da te il prima possibile », lo punzecchiò il maggiore, avvicinandosi all’amico e dandogli una veloce pacca sopra la spalla.
Ventus lo ignorò totalmente e sospirò, ficcandosi l’ipod nella tasca dei jeans dopo aver arrotolato malamente le cuffie.
Appena uscito dalla casa di sua nonna, Ventus aveva chiamato di tutta fretta il suo migliore amico, chiedendogli di raggiungerlo il prima possibile.
Quando Terra gli aveva risposto con un: “ ma certo, nessun problema”, il biondo si era aspettato di vederlo apparire dietro l’angolo entro una decina di minuti, non dopo un’ora intera.

« Potevi scrivermi un messaggio, almeno. »
« Sei di cattivo umore, eh? », gli rispose solamente Terra, schioccando le labbra e sollevando la testa verso l’appartamento di Tatty, «  hai visto Roxas per caso? »
Lo sguardo di Ventus si fece ancora più cupo e le labbra si stirarono maggiormente verso il basso.
«  No, non era qui. »
Il moro esalò un: “ aaah” comprensivo e si passò la mano tra i lunghi capelli scuri che gli tenevano caldo sopra il retro del collo. In pieno agosto era una tortura vestirsi in giacca e cravatta e tenersi i capelli sciolti, ma non poteva di certo disubbidire al suo datore di lavoro, nonché padre, Xehanort; era un uomo con cui non si poteva di certo discutere, no signore!
«  Quindi mi hai chiamato perché….? », continuò a parlare poco dopo Terra, anche se in cuor suo già sapeva, e temeva, la risposta.
Non aveva voglia di passare il pomeriggio giocando a “ cerchiamo Roxas” nella topaia dove si era sicuramente rintanato, avrebbe di gran lunga preferito starsene al fresco in qualche bar insieme a Ventus.

«  Sai dov’è il Jolie, nell’east side?», gli domandò il biondo e Terra borbottò un: «  cazzo, lo sapevo» che non sfuggì alle orecchie del migliore amico.
Ventus si imbronciò maggiormente e il moro, quando lo vedeva con quell’espressione in volto, sapeva esattamente cosa sarebbe successo da lì a pochi minuti.
Prima di tutto Ventus lo guardava con occhi imploranti e arrabbiati, poi si lamentava appena, in seguito Terra cedeva e, alla fine di quel piccolo teatrino, il moro si ritrovava a fare esattamente quello che l’altro ragazzo voleva.
Succedeva lo stesso anche ad Aqua: nessuno dei due sapeva dire di no al biondo.
Allora sospirò, arrendendosi già in partenza, e si rigirò le chiavi della macchia tra le dita.

«  Forza, salta su, andiamo a prendere quel cazzone di tuo fratello », sbottò, mentre il sorriso di Ventus si apriva all’improvviso.
 
« Sei il migliore, il migliore del mondo, »gli disse, aggrappandosi contro di lui per un abbraccio fugace. Nemmeno tre secondi dopo Ventus si era già attaccato alla portiera della macchina, aspettando che l’altro l’aprisse.
Con uno sbuffò Terra schiacciò il telecomando e aprì le portiere, andando a sedersi nuovamente al posto di guida.
Girò la chiave nel quadro e la macchina partì per le strade di The World.

«  Sai, secondo me dovresti lasciarlo stare », iniziò a parlare Terra dopo qualche secondo, tamburellando le dita sopra al volante.
Ventus al suo fianco si mosse appena, leggermente a disagio, e guardò fuori dal finestrino.

« Continuate a dirmelo tutti, ma voi non sapete cos’è un bene per lui, io sì », sbottò, mordicchiandosi il labbro inferiore, « e stare lontano dalla sua famiglia non va bene. E non va bene nemmeno che frequenti gente strana  »
Terra sollevò un sopracciglio, distogliendo lo sguardo dalla strada solamente per gettare uno sguardo veloce all’altro ragazzo.
«  Intendi gay, per caso? »
Ventus storse il naso, «  sì, intendo quello. »
«  Bigotto »,mormorò poco dopo Terra, sbuffando leggermente dal naso.
«  Parli tu? Ci saranno quaranta gradi e sei in giacca e cravatta!», borbottò poco dopo Ventus, sollevando un sopracciglio e osservando il migliore amico al suo fianco, vestito di tutto punto, sempre pronto a mostrare alla gente i suoi bei vestiti firmati e le gocce di profumo costoso che si picchiettava sopra i polsi e dietro al collo.
Terra sollevò leggermente gli angoli della bocca e inserì la sesta.
La macchina tirò dritta, a tutta velocità, verso le strade sgombre del pomeriggio; di tanto in tanto qualche passante voltava lo sguardo alla vista dell’automobile che gli rombava affianco, ma non faceva nemmeno in tempo a vedere chi ci fosse alla guida.
I limiti di velocità, per Terra, non erano mai stati importanti.

«  Almeno io non sono omofobo», disse dopo qualche secondo di silenzio, mentre gli occhi azzurri scivolavano sopra al sedile del passeggero.
Ventus scosse la testa.

«  Nemmeno io, ma non voglio che mio fratello faccia certe cose con un uomo.»
Terra sbuffò, rallentando leggermente all’ingresso dell’eatside, superando qualche macchina parcheggiata malamente agli angoli della strada.
Il moro storse leggermente il naso.

«  Vedi, il vero  problema e unico problema è che quel tipo è un povero sfigato senza soldi. »
«  Scusa, chi era il bigotto tra noi due?», lo punzecchiò immediatamente Ventus, mentre le labbra di Terra si stiracchiavano nell’ennesimo sorriso.
Parcheggiò poco dopo, parcheggiando proprio davanti al vecchio bar dove si era ritrovato a discutere di affari non molti giorni prima.
Scese dalla macchina insieme a Ventus, ma al contrario del biondo non provò nemmeno a muovere un solo passo verso quella bettola.
Terra appoggiò la schiena contro la macchina e incrociò le braccia al petto, pronto ad aspettare pazientemente.
Il biondo si voltò verso di lui e sollevò un sopracciglio.

«  Non vieni? »
«  Col cazzo, non abbandono la mia piccola qui da sola », commentò, dando un leggero colpetto alla macchina, « non me la voglio far rubare così facilmente. »
Ventus scrollò le spalle e lo lasciò lì insieme alla sua “ piccola”, entrando dentro al Jolie a passo svelto.
L’aria fresca dei ventilatori gli fece correre i brividi sopra le braccia e l’odore dei dolci gli fece storcere il naso; quel posto era orrendo, non riusciva ad immaginarsi Roxas in un posto del genere, seduto sopra una di quelle squallide sedie a conversare insieme ad Axel.
Axel.
Quel nome aveva ancora un sapore amaro sopra le sue labbra.
Ventus prese a guardarsi in giro allora, sperando di riuscire a trovare Roxas il prima possibile, trascinarlo fuori da lì e riportarlo a casa com’era giusto che fosse.
Scrutò attentamente i pochi clienti e non trovò nessuna testa bionda.

«  Che mi venga un colpo, sei praticamente identico a Roxas! »
Una voce profonda lo fece sobbalzare e, nel sentire il nome del fratello, Ventus si voltò automaticamente verso l’uomo dietro al bancone.
Incrociò le braccia al petto e si avvicinò di qualche passo, mentre l’uomo sulla quarantina si sporgeva in avanti e continuava a squadrarlo.

«  E’ il mio gemello, è ovvio che ci assomigliamo. »
Quello eruttò in una risata, sbattendo lo strofinaccio sopra al bancone.
«  E non sono d’aspetto, da quel che sento. »
Ventus sospirò; non aveva tempo per conversare insieme a sconosciuti, aveva una missione da portare a termine.
Schioccò le labbra e si schiarì la voce, sollevando lo sguardo verso l’orologio appeso vicino alle mensole piene di alcolici.

«  Mi hanno detto che Roxas era qui, giusto? »
«  Esatto, esatto », commentò Xaldin, afferrando un bicchiere pulito e riempiendolo con la coca cola alla spina. Spinse il bicchiere verso Ventus, che rifiutò con un cenno del capo.
«  Sai dov’è andato?», il biondo proruppe con una nuova domanda, facendo un passo indietro, il più lontano possibile da quel bicchiere di coca cola, come se temesse di cedere alla tentazione.
Poteva essere gentile quanto voleva, quel tipo, ma Ventus sapeva bene che non ci si poteva fidare di quelli dell’estside. Sua madre glielo ripeteva sempre.
Xaldin scosse la testa e borbottò qualcosa di incomprensibile, riprendendosi il bicchiere tra le mani e dandoci una lunga sorsata.

«  E’ andato via insieme ad Anna dai capelli rossi, hai presente, no? »
Suo malgrado Ventus ce l’aveva ben presente.
Serrò appena le labbra e lo intimò a continuare: 
«  ok, e dove sono andati? »
Xaldin finì di svuotare il bicchiere e lo abbandonò dentro al lavandino, afferrando nuovamente il suo fidato straccio e tornando a ripulire il bancone.
«  Al Jimbo’s, la catena di fast-food,  capisci? Quello vicino all’autostrada, »l’uomo corrugò appena la fronte e tornò a guardare Ventus, «  è un po’ lontano da qui, sicuro di non volerti portare via almeno un gelato? Lo metto in conto a tuo fratello, tanto.»
Il biondo scosse la testa e si limitò a borbottare un: “ sono in macchina”, prima di abbandonare quel posto il prima possibile.
Raggiunse la porta in pochi secondi e, una volta fuori, si lasciò scappare un lungo sospiro.
Se ne rimase immobile per qualche istante, mentre un leggero senso di nausea gli fece contrarre le budella.
Era stato gentile, quell’uomo, e tutto perché era il gemello di Roxas; suo fratello aveva più amici di quello che pensava e la sola idea lo faceva sentire solamente peggio.
Si riscosse dai suoi pensieri e scosse la testa, tornando a camminare verso la macchina.

«  Allora?», gli chiese l’amico, una sigaretta tra le labbra e la mano sinistra che si schermava il volto dal sole.
«  Allora non è qui », sbottò semplicemente, seccato.
Terra sollevò le labbra – sotto sotto quella sottospecie di caccia a Roxas stava diventando interessante- e aprì la macchina.
Gettò il mozzicone a terra e tornò a sedersi; accese l’aria condizionata e si voltò verso Ventus, accendendo l’automobile e lasciando rombare un po’ il motore.

«  Qual è la prossima meta? »
Il biondo serrò appena le labbra e si voltò verso il moro.
«  Sei sicuro di volermi accompagnare ancora? », gli chiese, la voce che, stranamente, aveva perso quella sua solita vitalità.
Terra scrollò le spalle, arricciando leggermente le labbra.

«  Sei il mio migliore amico, Ven », cominciò, allungando il braccio solo per poter scompigliare i capelli dell’altro, «  ti aiuterei a fare qualsiasi cosa. Forza, non fare quella faccia!»
Il biondo non rispose per qualche secondo e Terra si ritrovò a sbuffare leggermente, con la mano ancora sopra la nuca dell’altro.
La lasciò scivolare sopra la spalla di Ventus e la strinse leggermente; non era bravo con le parole, non lo era mai stato, ma in certi momenti sapeva che dar voce ai propri pensieri era l’unico modo per migliorare la situazione.

«  Ascolta, perché non lo ripeterò ancora una volta. Sai bene  quanto io detesti Roxas, davvero, ma sono disposto a girare tutta la città per poterlo trovare, d’accordo? E dopo, quando andrai da lui, gli dirai che sia io, che te, che tua madre, tutti, ci siamo dati da fare per cercarlo.»
«  Ah, ti prego, a te piace Roxas», sbottò Ventus, accennando ad un piccolo sorriso, « quand’eravamo piccoli giravi sempre vicino a lui e ignoravi me.»
Terra ruotò gli occhi al cielo.
«  Ero piccolo e ignorante, d’accordo?», poi tornò a farsi più serio, le labbra dritte e leggermente inclinate verso il basso, «  andiamo a prendere tuo fratello, parlagli, ma ti do un consiglio: non obbligarlo a fare niente, sai bene come reagirebbe.»
Ventus avrebbe tanto voluto aggiungere un : “ ma”, un “però”, eppure non aprì bocca.
Sapeva perfettamente che Terra aveva ragione, così come ce l’aveva avuta sua nonna Tatty.
Se non altro voleva provare a convincerlo e, magari, chiedergli di fargli quell’unico e piccolo favore.
Ventus si umettò le labbra e alla fine si arrese sopra al sedile della macchina.

« Andiamo al Jimbo’s, vicino all’autostrada.»
La macchina di Terra partì con un rombo.
 
***
 


A questo “ famoso” Jimbo’s, Ventus non aveva affatto trovato Roxas.
Aveva incontrato Axel, però, e quella breve discussione era riuscita a lasciargli l’amaro in bocca più del previsto.
Quel ragazzo, Axel,  era intelligente, spigliato e sembrava addirittura simpatico, ma Ventus era riuscito a stento a trattenere ogni tipo di insulto che gli frullava per la mente.
Il biondo aveva visto il fulvo dietro al bancone, lì a chiacchierare con un altro ragazzo dai capelli rosa, e subito aveva provato un moto di rabbia premergli sullo stomaco.
Si era avvicinato con risolutezza al bancone, le mani strette a pugno e l’espressione più dura che potesse indossare, ma non era di certo a provocare alcun timore nello sguardo di Axel.
Al contrario il fulvo si era lasciato andare ad un gran sorriso un po’ imbarazzato e gli aveva confessato che si aspettava una sua visita da un momento all’altro.

«  Roxas non è qui, forse è all’Edoné, un piccolo teatro in cast street », gli aveva detto, ma Ventus si sarebbe mozzato la lingua piuttosto che ringraziarlo per quell’informazione.
Se n’era andato sconsolato, stanco, dando le spalle al fulvo e sperando vivamente di non doverlo mai più rivedere.
Il solo avergli parlato per più di qualche minuto era riuscito a dargli nausea, quindi: “ arrivederci e a mai più”, si era ritrovato a pensare non appena uscito da quello squallido fast-food.
Terra lo stava aspettando appoggiato con la schiena contro la sua automobile, una mano a schermarsi dal sole calante e un sorriso sghembo sopra le labbra.
Non aveva bisogno di chiedergli nulla, l’espressione di Ventus la diceva già lunga.
Ovviamente non aveva trovato Roxas, e ovviamente suo fratello era in giro chissà dove per l’east side.

«  Non ho più voglia di cercarlo, portami a casa », aveva dichiarato, la voce stanca e dalla tonalità sconsolata.
Era la verità, la dannatissima e sacrosanta verità: era stanco di andare in giro per una città che non conosceva a cercare suo fratello, che a quanto pareva non voleva affatto essere trovato da lui.
Roxas aveva nuovi interessi, nuovi amici, e probabilmente non aveva bisogno di suo fratello.
Quell’idea era riuscita a far calare Ventus in un silenzio tombale per tutto il viaggio di ritorno, tanto che nemmeno Terra era riuscito a spiaccicare parola a propria volta.
Era stata una giornata stressante, dolorosa, e alla fine l’unica cosa che riusciva a sollevare un po’ l’umore di Ventus era l’idea di tornare a casa, sdraiarsi sopra al letto e dormire.
Eppure, non appena il ragazzo si era congedato da Terra, trovò qualcosa ad infrangere quel piccolo spicchio di felicità: Roxas.
Suo fratello se ne stava seduto a gambe incrociate sopra le scale della veranda, una sigaretta tra le labbra e lo sguardo perso verso il cielo al tramonto.
Ventus l’aveva cercato tutto il giorno ed ora eccolo lì, come se niente fosse, proprio davanti casa.
Il ragazzo strinse la mano sopra al cancelletto del giardino e se lo richiuse alle spalle, sbattendolo con fin troppa forza, e strappando Roxas dai suoi pensieri.
Gli sguardi si incontrarono per la prima volta in sei giorni e Ventus avvertì una stretta al cuore talmente dolorosa che temette di poter stramazzare a terra da un momento all’altro.
Si fece coraggio – “ l’hai cercato tutto il giorno, ora affrontalo”, aveva mormorato tra sé e sé- e andò a sedersi silenziosamente affianco al gemello.
Nessuno dei due emise un solo rumore ed entrambi rimasero in silenzio ad ascoltare i caldi rumori estivi che li circondavano.

«  Non pensavo fumassi », disse alla fine Ventus, “ non pensavo di trovarti qui”, pensò.
Roxas al suo fianco scrollò le spalle, abbassando lo sguardo sopra la sigaretta a metà, per poi fare un tiro veloce.

«  Non è un vizio, più uno sfizio », commentò qualche secondo dopo, corrugando appena la fronte.
Ventus al suo fianco tentò un sorriso forzato, mentre fissava il volto del gemello; aveva un piccolo livido giallognolo sotto all’occhio e il labbro era ancora leggermente gonfio dove si riusciva ad intravedere un piccolo taglio, ma per il resto sembrava star bene.
Non era morto sgozzato in vicolo dell’east side se non altro.
Ventus sospirò leggermente e allungò le gambe davanti a sé, appoggiando entrambe le mani sopra le scalinate di mattoni.
Osservò il cielo che sfumava in caldi colori; rosso come le foglie d’autunno, arancio come il frutto maturo e lassù, più in alto, quella leggera sfumatura di azzurro che ricordava i loro occhi.

«  E così … sei gay?», la voce gli uscì dalla bocca senza nemmeno accorgersene. Le parole fluirono sopra la lingua e scivolarono tra le labbra di Ventus senza alcun controllo, ma oramai non aveva senso trattenere quella domanda.
Gli occhi del ragazzo scivolarono sopra al volto di Roxas al suo fianco, cercando di scorgere un leggero cambiamento della sua espressione, ma il volto del gemello rimase uguale: un leggero sorriso sopra le labbra e gli occhi puntati sopra al cielo.

«  Devo per forza essere qualcosa? », gli domandò Roxas, abbassando il braccio e togliendosi la sigaretta dalle labbra. La spense contro il gradino, lasciando una chiazza di cenere nera.
«  E’ così che funziona », gli rispose semplicemente Ventus, mentre la domanda dell’altro gli ronzava nella testa come un’accusa velata.
Il ragazzo serrò leggermente le labbra e iniziò a giocherellare con le proprie dita, mentre Roxas al suo fianco si lasciava andare ad una risatina amara, così diversa da quelle che un tempo condividevano.

«  Davvero Ven, il mondo fa davvero schifo se tutti la pensano in questo modo. Gay. Ha un suono strano, non credi, porta con un sé un certo insulto, un tono dispregiativo, qualcosa che non riesco bene a capire. Gay ...», Roxas mormorò quella parola tra sé e sé come se stesse cercando di studiarla e capirla, ma alla fine si zittì e la rughetta sulla fronte si appiattì tanto velocemente quanto  era comparsa.
Ventus rimase in silenzio pensando a propria volta, un leggero senso di colpa allo stomaco che non riusciva a levarsi di dosso.
Era anche lui come tutti gli altri? Aveva trattato Roxas come tutti gli altri?
Il silenzio continuò per un minuto intero finché Ventus non scosse la testa e sospirò.

«  Sai, oggi ti ho cercato tutto il giorno. Volevo trovarti e riportarti a casa a tutti i costi, ma alla fine non è servito a niente. Sei tornato da solo.»
«  Non intendo rimare qui », lo interruppe prontamente Roxas, ma l’altro ragazzo scosse la mano destra in aria, come a scacciare via quelle parole.
«  Non importa », continuò Ventus, «  sei tornato qui per parlare con me, no? Mi basta sapere che non mi hai abbandonato del tutto.»
Il ragazzo serrò appena le labbra e tirò su col naso l’istante dopo, cercando di ricacciare indietro quel fastidioso bruciore agli occhi.
Roxas al suo fianco se ne rimase in silenzio ancora una volta, ma gli occhi non erano più rivolti verso il tramonto, ora erano fissi sopra al volto del gemello.

«  Roxas, non mi importa se sei gay o etero, o qualsiasi cosa tu non voglia essere, te lo giuro.»
«  Ah sì? Non ti da fastidio che mi piace un ragazzo?»
Ventus si ritrovò a serrare maggiormente le labbra e cercò di ricacciare indietro quel “ sì” che gli premeva sopra le labbra.
«  Cercherò di farmelo andare bene, se questo vuol dire farti tornare a casa.»
Roxas schiuse le labbra come se volesse parlare, ma alla fine non disse nulla; rimase affianco a Ventus e tirò fuori il pacchetto di sigarette di Axel, giocherellando con il cartone.
«  Mi dispiace di essere un stronzo », disse alla fine, allungando il pacchetto verso il gemello; Ventus afferrò una sigaretta e se la rigirò tra le mani.
«  Dispiace anche a me, stronzo », borbottò, afferrando l’accendino e prendendo la prima boccata di fumo l’attimo dopo.
Roxas osservò le labbra del gemello schiudersi e il fumo risalire verso il cielo e alla fine sospirò.
 “Non pensavo fumassi”, disse alla fine, allungando a propria volta le gambe lungo i gradini.
Ventus accennò un sorrisetto.

«  Non è un vizio, più uno sfizio.»







***
Ecco, insomma, un mese di ritardo, ma l'importante è non arrendersi mai, no? NO?
Esatto, quindi eccoci qui con un nuovo capitolo dedicato a Ventus, forza, entriamo un po' nella testolina del gemello di Roxas per  vedere cosa succede.
Spero sia una bella lettura, cari lettori, alla prossima!
Mel.

 
   
 
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