Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: Selena Leroy    01/04/2018    1 recensioni
Il progetto "Les Enfant Terrible" aveva uno scopo: dare alla luce una nuova generazione più consapevole, più capace e più ambiziosa della precedente. Non era rimasto molto, d'altronde, agli ultimi superstiti di un pianeta arso vivo dalla Peste, un nuovo morbo che infesta il pianeta uccidendo qualunque creatura esistente si trovi sul suo cammino.
Yuya Sakaki è una di queste speranze, cresciuta assieme al padre e alla medicina. Ha solo sedici anni, ma il suo quoziente intellettivo supera di gran lunga quello delle sue normali coetanee; con il suo amico di sempre, quel ragazzo di nome Yuto segretamente innamorato di lei, continua una battaglia che però sembra persa in partenza.
E la situazione, per lei, volgerà inaspettatamente verso il peggio; alla morte improvvisa del padre, le decisioni di un uomo mai visto né sentito e che risponde al nome di Leo Akaba, la porteranno via dal suo luogo natio, dai suoi affetti e dai suoi amici, e in quella solitudine imposta da estranei, nelle cui menti si cela un segreto dalle cupe ombre, tutto ciò che le rimane da fare è lottare, e continuare quella ricerca ora così preziosa. Se farlo o meno da sola, dipenderà solo da Reiji Akaba...
[Pendulumshipping]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akaba Reiji/ Declan Akaba, Yuto, Yuya Sakaki
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Questo capitolo lo dedico a KH4
mia Sempai,
mia musa ispiratrice,
mia fida alleata
e, soprattutto,
mia preziosa amica

 

“Aspetta, Yuto! Te l’ho detto, io non voglio andarmene. Voglio rimanere qui, voglio aiutare gli altri...”
Il braccio di Yuto fu vittima di una morsa feroce, ma che nascondeva e parlava di mestizia. Gli occhi di Yuya scandagliavano l’argento per chiarire ogni eventuale malinteso circa le sue intenzioni bellicose, e in essi la tempesta non fornì altra spiegazione se non quella già avvertibile come evidente. Era lui stesso vento di bufera, aveva deciso lui di divenir tale e di trasformarla nella vittima designata. Lo aveva detto, Yuto, di fermarlo dal ferirla ancora. Era esattamente quello che Yuya tentava di fare.
“Yuya, tu sei... la donna più generosa che io abbia mai conosciuto. Salveresti il mondo, se ne avessi la forza, e non chiederesti nulla in cambio. Io lo so bene, ti ho vista crescere e, sebbene gli ultimi avvenimenti ci hanno visti distanti, io so chi sei e cosa vuoi. Per questo non dubito dei tuoi desideri, né della tua volontà. Non sei tu colei che dà incertezze, ma coloro che ti circondano”
“Akaba Reiji non mi farebbe mai del male...”
“E infatti io non parlo di Akaba Reiji”
Lo aveva pregato, per un fermarsi repentino delle sue azioni, e in quel frangente egli la accontentò asserragliandosi su di lei, le mani poste sulle sue spalle, libere da ogni suo controllo e memori di un calore che adesso non poteva più appartenergli. Era per lei, Yuto, che aveva scagliato via ogni suo destino, e per lei colmava il rischio di studiati calcoli al fine di non divenir ladro o boicottatore. Yuto era lì per lei, sogno divenuto reale dopo averlo espresso al chiarore di stelle ormai divenute cenere, e le parlava con un sentimento di animoso sospetto che gelava il sangue; tuttavia, in un viso che scoperchiava ogni suo sentimento, ella vi vide una certezza, e l’angoscia fusasi al terrore le parlavano di un ragazzo reso consapevole di quanto succedutole, degli strani quanto orribili patimenti subiti per colpa di un uomo che non si era fatto scrupolo a sfruttarne le più umane debolezze, e quindi pronto a venirle incontro per strapparla ad un torpore che rischiava di annichilirla. Era lo stesso ragazzo che, anni addietro, le confidava di amici segreti al quale lei stentava a credere, e che in quei frangenti tanto le apparve cresciuto da stentare a riconoscerlo.
Quel ragazzo, che un tempo cercava timidamente la sua compagnia senza comprendere di poterla avere senza chiedere, era ora un uomo investitosi del titolo di cavaliere al solo fine di salvarla.
“Leo Akaba... lui voleva il mio sangue... voleva salvare delle vite, farlo in nome di sua figlia. Odialo, ma non fargli del male”
“Non scenderei mai al suo livello” parlava lui, rivestito di saggezza “Ma è in inganno, se crede che il tuo sangue sia la medicina alla peste”
Lo aveva ripetuto, e con quella sicurezza che uccideva il dubbio. Indietreggiando, e venendo  incontro ad un muro rivestito di trasparenza, ella ebbe timore di lui, pur nell’amore cieco che gli cuciva addosso, perché timore era il descriversi di un sentimento che traduceva l’inganno di una soluzione creduta corretta.
“Ma quel ragazzo, Eisuke, è guarito. Non sarebbe mai sopravvissuto alla peste, eppure è vivo, adesso, e si sta rimettendo. Tu non lo hai visto...”
“E tu non hai visto ciò che ho visto io, Yuya” ancora a lei vicino, ancora colmo di verità non dette, continuava a renderla partecipe di un gioco di sguardi al quale lei non riusciva a sottrarsi “Ascoltami, Yuya... quell’uomo, Leo Akaba... non va sottovalutato. Non lo conosco, ma se ha fatto tutto questo per portarti qui, da lui, allora è venuto sicuramente a conoscenza di tutto. Non è il tuo sangue ciò che vuole, perché anche lui è cosciente che non è solo questo che può salvare la vita dei  malati”
“Vuol dire che le nostre ricerche... sono inutili?”
“E chi vi ha messo su questa pista, Yuya? Chi vi ha indotto a credere che la cura era nel tuo sangue?”
Akaba Reiji viveva per vincere una sfida intrapresa con la morte stessa. Il suo laboratorio era l’armamentario col quale si bardava per scendere in guerra, e i suoi uomini gli fornivano armi che, di volta in volta, cambiavano nome e aspetto per concedergli ulteriori speranze. L’ultima da lui indossata gli era stata effettivamente offerta dall’uomo che ne aveva tradito le attese, e nella sua forma grezza lui aveva speso tempo e fatica per farle raggiungere uno stadio di perfezione. Ma era una certezza che questo tale, Eisuke, aveva immesso nelle loro menti così come Leo Akaba aveva convinto loro che egli si fosse salvato soltanto per merito suo.
“Però... i pazienti in stato terminale sono stati trattati col mio sangue, e adesso stanno meglio! Non può essere una fantasia, questa!”
“E infatti non lo è. Questa è una sfida. Meglio, un guanto di sfida, lanciato nei confronti dell’artefice di tutto questo”
Per anni, almeno dall’inizio di quella pestilenza, l’unico ritenuto reo di quella immonda disgrazia era stato il padreterno, e nessuno aveva mai posto altri nomi capaci di togliere a quel Dio infame l’immane colpa di aver lasciato il suo gregge a morire tra atroci sofferenze. Non sarebbe dovuto esistere un uno umano capace di accaparrarsi simile colpa, perché nessun umano vivente possedeva una forza tale da travalicare il regno degli dei. O no?
“Yuto, io non capisco!” esclamò lei, disperata “Parli per enigmi, prendi le mie certezze e le rimpiazzi con dubbi a cui non riesco a trovare una risposta! Perché fai questo? Perché sei qui?”
“Perché ti amo, Yuya”
E le sue labbra furono carpite, rubate da quelle di lui, arse da un desiderio ormai divenuto irrefrenabile. Yuya non vide che la sua pelle ambrata divenir bollente, le sue mani cercare le sue, il suo cuore esplodere in una girandola di sentimenti indecifrabili, e saettare in stille di gioia che mai avrebbe pensato di conoscere. Il mondo si assottigliò alla loro mera esistenza, al contatto delle loro labbra, al calore di lacrime lasciate sgusciar fuori per parlare ancora, araldi di un sentimento che ella nemmeno sapeva di avere.
E Yuto, in quel frangente, scoprì che il mondo poteva anche conoscere la sua immediata fine, che le stelle potevano esplodere a lui innanzi, che la volta celeste poteva crollargli addosso... e per lui non avrebbe mai avuto l’ugual importanza di render vero il sogno che mai aveva voluto tradurre in realtà. Non esistevano parole in grado di descrivere il coraggio che lo aveva avvicinato a colei che più ambiva, e forse perché non si parlava di coraggio quanto di scelleratezza, di un colmarsi di sentimenti che avevano conosciuto la loro saturazione.
Cos’era la fuga, quando il sapore di lei finalmente conosceva le sue labbra? Quando finalmente poté carpire il suo viso in un lento scivolare di dita atte a conquistare il più miserrimo dettaglio di quella fine porcellana? Quando la seta dei suoi capelli andò a infrangersi sulle sue dita?
E quando sentì lei contraccambiare il suo amore?
Yuya non ricordò più chi ella fosse. Ritornò bimba, quando il mondo era nella piccola mano che stringeva con forza e nella zazzera di nera tempesta che amava tanto scompigliare. Si riconobbe nei sogni che narrava all’amico di sempre e nella ragazza che, crescendo, cominciò a desiderare un futuro con l’unico uomo – ad eccezione di suo padre – del quale aveva piena fiducia.
Dimenticò Akaba Reiji, la ricerca, il vile inganno di Leo Akaba, il lavoro febbrile lasciato in sospeso, e quell’ultimo congedo che le aveva ghiacciato le speranze; dimenticò la confusione, il dubbio, la scia di domande che Yuto aveva portato col suo arrivo burrascoso, e con esso anche i numerosi tentennamenti che avevano ostacolato il suo annuire lieto, ostracizzando i suoi desideri passati e i suoi sentimenti più profondi. Nemmeno il sorriso amorevole di Reira, o la gentilezza di Himika divennero un’ancora sufficientemente pesante per legarla al suolo; viveva di quel bacio, di quei respiri mozzati che si smorzavano in schiocchi addolciti di passione, e di quel contatto che inebriava i sensi e ridefiniva i suoi stessi confini. Divenne la Yuya che Yuto aveva amato nel profondo, e divenne la ragazza che aveva la chiave del suo cuore, stretta nella stessa mano nella quale stringeva ciò che apriva i cancelli del suo. Erano quella cosa sola che in quel frangente, in quel pericolo e in quel mistero non sarebbero mai dovuti esistere.
Imbevuti entrambi dei loro stessi respiri, ossigeno l’uno dell’altra, rapitori e rapiti dei loro sguardi, lasciarono al tempo l’inutilità di segnare il loro momento, ignari del suo scorrere e delle sue leggi. Magia, l’unico termine in grado di decifrare quel vibrare che nasceva dal cuore, che rendeva assuefatti di una tripudio gioioso immortale perfino alla peste stesse. E, da quella bolla unicamente loro, unicamente intessuta d’amore e di rosee speranze e certezze, loro non vollero uscire.
“Sei tu la cosa a cui tengo di più, Yuya” fu il sussurro di Yuto, un ansito in cui ella si perse “Ti amo, ti ho sempre amata e ti amerò sempre. Non permetterò a nessuno di farti del male, di ferirti... nessuno ti porterà via da me. Nemmeno lui”
“Lui...?”
E la magia ebbe termine. Con lui.
“Ti riferisci forse a me?”
Non ci fu nulla ad annunciare il nuovo ospite. Lo spiraglio di una porta lasciata aperta, le finestre lasciate scoperte allo sguardo altrui, un giaciglio segreto del quale nemmeno lei era a conoscenza.
Nemmeno lo vide, Yuya, perché l’oscurità più nera dominava proprio quell’angolo di stanza nel quale lo sconosciuto aveva deciso di pernottare.
E lui venne fuori. Vestito di un lacero tessuto bianco come sola difesa al freddo di una sera infelice di calore, mosse i suoi passi nella loro direzione, l’indifferenza a non renderlo partecipe del loro terrore.
“Tu sei... Eisuke?!”
Nemmeno lo avrebbe riconosciuto, ella, se non fosse intervenuto in suo aiuto l’ottima memoria da sempre resa orgoglio dei les enfant terrible. Non vi si ritrovava nulla, del moribondo lasciato alle cure delle macchine, del giovane che ancora stentava a riaprire gli occhi, del primo miracolo a cui lei avesse mai assistito. La pelle diafana appariva semplicemente come un tratto caratteriale, come neutri apparvero quei capelli candidi che lei aveva erroneamente ricollegato ad una qualche sofferenza indicibile; non era più lo scheletro rivestito di un tessuto membranoso, e il suo sangue dava linfa ai suoi passi e alla sua baldanza. Del paziente che ella aveva conosciuto come Eisuke, non rimaneva più nulla.
“Non credere che io non apprezzi ciò che hai fatto, cavaliere” e lo disse in un incedere che lo rese più palese, più umano, più vivo “So bene che non era tuo intento adirarmi. Io so riconoscere la verità, quando la vedo”
Il dorato delle sue iridi sfavillava di luci tenebrose, e Yuya troppo tardi si rese conto che in esso doveva celarsi un vero maleficio. La sua mente, quasi ipnotizzata dal tono suadente di lui, nemmeno conobbe il momento di un crollo imminente, e le palpebre si fecero pesanti negli stessi istanti in cui Yuto provò a raggiungere la misteriosa figura.
Non comprese, Yuya, di stare per svenire. Non comprese nulla, perché nei pochi istanti passati assieme a Yuto ella aveva solo accresciuto le sue domande, e in esse non vi aveva trovato alcuna delucidazione. Quasi fosse un gioco di deduzioni.
“Aspetta, ti supplico... Zarc...” fu l’ultima cosa che ella sentì.
 

 

 

 

 

Tantissimi auguri di Buona Pasqua!

   
 
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