- Questo
capitolo lo dedico a KH4
- mia
Sempai,
- mia musa
ispiratrice,
- mia
fida alleata
- e,
soprattutto,
- mia preziosa
amica
- “Aspetta,
Yuto! Te l’ho detto, io non voglio
andarmene. Voglio rimanere qui, voglio aiutare gli altri...”
Il braccio di Yuto fu vittima di una morsa feroce, ma che nascondeva e parlava di mestizia. Gli occhi di Yuya scandagliavano l’argento per chiarire ogni eventuale malinteso circa le sue intenzioni bellicose, e in essi la tempesta non fornì altra spiegazione se non quella già avvertibile come evidente. Era lui stesso vento di bufera, aveva deciso lui di divenir tale e di trasformarla nella vittima designata. Lo aveva detto, Yuto, di fermarlo dal ferirla ancora. Era esattamente quello che Yuya tentava di fare. - “Yuya,
tu sei... la donna più generosa che io
abbia mai conosciuto. Salveresti il mondo, se ne avessi la forza, e non
chiederesti nulla in cambio. Io lo so bene, ti ho vista crescere e,
sebbene gli
ultimi avvenimenti ci hanno visti distanti, io so chi sei e cosa vuoi.
Per
questo non dubito dei tuoi desideri, né della tua
volontà. Non sei tu colei che
dà incertezze, ma coloro che ti circondano”
- “Akaba
Reiji non mi farebbe mai del male...”
- “E
infatti io non parlo di Akaba Reiji”
- Lo
aveva pregato, per un fermarsi repentino delle
sue azioni, e in quel frangente egli la accontentò
asserragliandosi su di lei,
le mani poste sulle sue spalle, libere da ogni suo controllo e memori
di un
calore che adesso non poteva più appartenergli. Era per lei,
Yuto, che aveva scagliato
via ogni suo destino, e per lei colmava il rischio di studiati calcoli
al fine
di non divenir ladro o boicottatore. Yuto era lì per lei,
sogno divenuto reale
dopo averlo espresso al chiarore di stelle ormai divenute cenere, e le
parlava
con un sentimento di animoso sospetto che gelava il sangue; tuttavia,
in un
viso che scoperchiava ogni suo sentimento, ella vi vide una certezza, e
l’angoscia fusasi al terrore le parlavano di un ragazzo reso
consapevole di
quanto succedutole, degli strani quanto orribili patimenti subiti per
colpa di
un uomo che non si era fatto scrupolo a sfruttarne le più
umane debolezze, e
quindi pronto a venirle incontro per strapparla ad un torpore che
rischiava di
annichilirla. Era lo stesso ragazzo che, anni addietro, le confidava di
amici
segreti al quale lei stentava a credere, e che in quei frangenti tanto
le
apparve cresciuto da stentare a riconoscerlo.
- Quel
ragazzo, che un tempo cercava timidamente la
sua compagnia senza comprendere di poterla avere senza chiedere, era
ora un uomo
investitosi del titolo di cavaliere al solo fine di salvarla.
- “Leo
Akaba... lui voleva il mio sangue... voleva
salvare delle vite, farlo in nome di sua figlia. Odialo, ma non fargli
del
male”
- “Non
scenderei mai al suo livello” parlava lui,
rivestito di saggezza “Ma è in inganno, se crede
che il tuo sangue sia la
medicina alla peste”
- Lo
aveva ripetuto, e con quella sicurezza che
uccideva il dubbio. Indietreggiando, e venendo
incontro ad un muro rivestito di trasparenza, ella
ebbe timore di lui,
pur nell’amore cieco che gli cuciva addosso,
perché timore era il descriversi
di un sentimento che traduceva l’inganno di una soluzione
creduta corretta.
- “Ma
quel ragazzo, Eisuke, è guarito. Non sarebbe
mai sopravvissuto alla peste, eppure è vivo, adesso, e si
sta rimettendo. Tu
non lo hai visto...”
- “E
tu non hai visto ciò che ho visto io, Yuya”
ancora a lei vicino, ancora colmo di verità non dette,
continuava a renderla
partecipe di un gioco di sguardi al quale lei non riusciva a sottrarsi
“Ascoltami, Yuya... quell’uomo, Leo Akaba... non va
sottovalutato. Non lo
conosco, ma se ha fatto tutto questo per portarti qui, da lui, allora
è venuto
sicuramente a conoscenza di tutto. Non è il tuo sangue
ciò che vuole, perché
anche lui è cosciente che non è solo questo che
può salvare la vita dei
malati”
- “Vuol
dire che le nostre ricerche... sono
inutili?”
“E chi vi ha messo su questa pista, Yuya? Chi vi ha indotto a credere che la cura era nel tuo sangue?”
Akaba Reiji viveva per vincere una sfida intrapresa con la morte stessa. Il suo laboratorio era l’armamentario col quale si bardava per scendere in guerra, e i suoi uomini gli fornivano armi che, di volta in volta, cambiavano nome e aspetto per concedergli ulteriori speranze. L’ultima da lui indossata gli era stata effettivamente offerta dall’uomo che ne aveva tradito le attese, e nella sua forma grezza lui aveva speso tempo e fatica per farle raggiungere uno stadio di perfezione. Ma era una certezza che questo tale, Eisuke, aveva immesso nelle loro menti così come Leo Akaba aveva convinto loro che egli si fosse salvato soltanto per merito suo. - “Però...
i pazienti in stato terminale sono stati
trattati col mio sangue, e adesso stanno meglio! Non può
essere una fantasia,
questa!”
“E infatti non lo è. Questa è una sfida. Meglio, un guanto di sfida, lanciato nei confronti dell’artefice di tutto questo” - Per
anni, almeno dall’inizio di quella pestilenza,
l’unico ritenuto reo di quella immonda disgrazia era stato il
padreterno, e
nessuno aveva mai posto altri nomi capaci di togliere a quel Dio infame
l’immane colpa di aver lasciato il suo gregge a morire tra
atroci sofferenze.
Non sarebbe dovuto esistere un uno umano capace di accaparrarsi simile
colpa,
perché nessun umano vivente possedeva una forza tale da
travalicare il regno
degli dei. O no?
- “Yuto,
io non capisco!” esclamò lei, disperata
“Parli per enigmi, prendi le mie certezze e le rimpiazzi con
dubbi a cui non
riesco a trovare una risposta! Perché fai questo?
Perché sei qui?”
- “Perché
ti amo, Yuya”
- E
le sue labbra furono carpite, rubate da quelle
di lui, arse da un desiderio ormai divenuto irrefrenabile. Yuya non
vide che la
sua pelle ambrata divenir bollente, le sue mani cercare le sue, il suo
cuore
esplodere in una girandola di sentimenti indecifrabili, e saettare in
stille di
gioia che mai avrebbe pensato di conoscere. Il mondo si
assottigliò alla loro
mera esistenza, al contatto delle loro labbra, al calore di lacrime
lasciate
sgusciar fuori per parlare ancora, araldi di un sentimento che ella
nemmeno
sapeva di avere.
- E
Yuto, in quel frangente, scoprì che il mondo
poteva anche conoscere la sua immediata fine, che le stelle potevano
esplodere
a lui innanzi, che la volta celeste poteva crollargli addosso... e per
lui non
avrebbe mai avuto l’ugual importanza di render vero il sogno
che mai aveva
voluto tradurre in realtà. Non esistevano parole in grado di
descrivere il
coraggio che lo aveva avvicinato a colei che più ambiva, e
forse perché non si
parlava di coraggio quanto di scelleratezza, di un colmarsi di
sentimenti che
avevano conosciuto la loro saturazione.
- Cos’era
la fuga, quando il sapore di lei
finalmente conosceva le sue labbra? Quando finalmente poté
carpire il suo viso
in un lento scivolare di dita atte a conquistare il più
miserrimo dettaglio di
quella fine porcellana? Quando la seta dei suoi capelli andò
a infrangersi
sulle sue dita?
- E
quando sentì lei contraccambiare il suo amore?
- Yuya
non ricordò più chi ella fosse.
Ritornò
bimba, quando il mondo era nella piccola mano che stringeva con forza e
nella
zazzera di nera tempesta che amava tanto scompigliare. Si riconobbe nei
sogni che
narrava all’amico di sempre e nella ragazza che, crescendo,
cominciò a
desiderare un futuro con l’unico uomo – ad
eccezione di suo padre – del quale
aveva piena fiducia.
- Dimenticò
Akaba Reiji, la ricerca, il vile inganno
di Leo Akaba, il lavoro febbrile lasciato in sospeso, e
quell’ultimo congedo
che le aveva ghiacciato le speranze; dimenticò la
confusione, il dubbio, la
scia di domande che Yuto aveva portato col suo arrivo burrascoso, e con
esso
anche i numerosi tentennamenti che avevano ostacolato il suo annuire
lieto,
ostracizzando i suoi desideri passati e i suoi sentimenti
più profondi. Nemmeno
il sorriso amorevole di Reira, o la gentilezza di Himika divennero
un’ancora
sufficientemente pesante per legarla al suolo; viveva di quel bacio, di
quei
respiri mozzati che si smorzavano in schiocchi addolciti di passione, e
di quel
contatto che inebriava i sensi e ridefiniva i suoi stessi confini.
Divenne la
Yuya che Yuto aveva amato nel profondo, e divenne la ragazza che aveva
la
chiave del suo cuore, stretta nella stessa mano nella quale stringeva
ciò che
apriva i cancelli del suo. Erano quella
cosa sola che in quel frangente, in quel pericolo e in quel mistero non
sarebbero mai dovuti esistere.
- Imbevuti
entrambi dei loro stessi respiri,
ossigeno l’uno dell’altra, rapitori e rapiti dei
loro sguardi, lasciarono al
tempo l’inutilità di segnare il loro momento,
ignari del suo scorrere e delle
sue leggi. Magia, l’unico termine in grado di decifrare quel
vibrare che
nasceva dal cuore, che rendeva assuefatti di una tripudio gioioso
immortale
perfino alla peste stesse. E, da quella bolla unicamente loro,
unicamente
intessuta d’amore e di rosee speranze e certezze, loro non
vollero uscire.
- “Sei
tu la cosa a cui tengo di più, Yuya” fu il
sussurro di Yuto, un ansito in cui ella si perse “Ti amo, ti
ho sempre amata e
ti amerò sempre. Non permetterò a nessuno di
farti del male, di ferirti...
nessuno ti porterà via da me. Nemmeno lui”
- “Lui...?”
E la magia ebbe termine. Con lui. - “Ti
riferisci forse a me?”
- Non
ci fu nulla ad annunciare il nuovo ospite. Lo
spiraglio di una porta lasciata aperta, le finestre lasciate scoperte
allo
sguardo altrui, un giaciglio segreto del quale nemmeno lei era a
conoscenza.
- Nemmeno
lo vide, Yuya, perché l’oscurità
più nera
dominava proprio quell’angolo di stanza nel quale lo
sconosciuto aveva deciso
di pernottare.
- E
lui
venne fuori. Vestito di un lacero tessuto bianco come sola difesa al
freddo di
una sera infelice di calore, mosse i suoi passi nella loro direzione,
l’indifferenza a non renderlo partecipe del loro terrore.
- “Tu
sei... Eisuke?!”
Nemmeno lo avrebbe riconosciuto, ella, se non fosse intervenuto in suo aiuto l’ottima memoria da sempre resa orgoglio dei les enfant terrible. Non vi si ritrovava nulla, del moribondo lasciato alle cure delle macchine, del giovane che ancora stentava a riaprire gli occhi, del primo miracolo a cui lei avesse mai assistito. La pelle diafana appariva semplicemente come un tratto caratteriale, come neutri apparvero quei capelli candidi che lei aveva erroneamente ricollegato ad una qualche sofferenza indicibile; non era più lo scheletro rivestito di un tessuto membranoso, e il suo sangue dava linfa ai suoi passi e alla sua baldanza. Del paziente che ella aveva conosciuto come Eisuke, non rimaneva più nulla. - “Non
credere che io non apprezzi ciò che hai
fatto, cavaliere” e lo
disse in un
incedere che lo rese più palese, più umano,
più vivo “So bene che non era tuo
intento adirarmi. Io so riconoscere la verità, quando la
vedo”
- Il
dorato delle sue iridi sfavillava di luci
tenebrose, e Yuya troppo tardi si rese conto che in esso doveva celarsi
un vero
maleficio. La sua mente, quasi ipnotizzata dal tono suadente di lui,
nemmeno
conobbe il momento di un crollo imminente, e le palpebre si fecero
pesanti
negli stessi istanti in cui Yuto provò a raggiungere la
misteriosa figura.
- Non
comprese, Yuya, di stare per svenire. Non
comprese nulla, perché nei pochi istanti passati assieme a
Yuto ella aveva solo
accresciuto le sue domande, e in esse non vi aveva trovato alcuna
delucidazione. Quasi fosse un gioco di deduzioni.
- “Aspetta,
ti supplico... Zarc...”
fu l’ultima cosa che ella sentì.
Tantissimi
auguri di
Buona Pasqua!