Lily e Rose erano sedute
in silenzio a uno dei tavoli della biblioteca. Entrambe avevano libri e
pergamena davanti a loro, ma era evidente che tutto stavano facendo tranne che
studiare. Rose giocherellava con la sua piuma e, a parte il suo nome e la data,
non aveva scritto nulla del suo tema di pozioni. Lily scarabocchiava il lato
del suo foglio, evidentemente irritata.
All’ennesimo sospiro
frustrato della rossa, Rose si decise a interrompere il loro silenzio.
-Tutto bene? -
-Certo. Una meraviglia.-
-Non si direbbe… Sembri
arrabbiata…-
-No.-
-Non vuoi dirmi cosa c’è
che non va?-
-No.-
-Scorpius
mi ha baciata.-
Lily smise di
scribacchiare la pergamena e alzò gli occhi sulla cugina.
-Cosa?-
-Hai capito.-
-E me lo dici così?-
-Come dovrei dirtelo
scusa?-
-Non so… Con più
entusiasmo forse?-
-Siamo in biblioteca!-
-Come è successo?-
-Non lo so… Un attimo
prima eravamo seduti per terra a parlare e l’attimo dopo…-
-Rose, se devi
raccontarmelo, fallo bene. Voglio i dettagli!-
-Stavamo parlando… Io…
Gli ho raccontato di Julian…-
-Davvero? E lui che ha
detto?-
-Nulla, mi ha ascoltata…
E ha promesso che se lo terrà per sé… Stavamo per tornare in sala comune quando
mi ha trattenuta e mi ha baciata…-
-E come è stato?-
Le sembrava di sentire
ancora il tocco leggero della sua mano dietro la schiena. Non se l’era
aspettato, era una cosa completamente fuori contesto.
Si era alzata per tornare in dormitorio, evitando
di guardarlo negli occhi. Dopo quella chiacchierata non si sentiva del tutto a
suo agio. Gli aveva confessato una cosa che non avrebbe mai pensato di
raccontare a qualcuno al di fuori della sua famiglia, ma con lui era così.
Finiva sempre a raccontargli più di ciò che voleva, perché le trasmetteva
sicurezza. Lei che non si fidava mai di nessuno…
Non aveva fatto neppure un passo, lui le aveva
afferrato il polso e, in maniera gentile ma decisa, l’aveva attirata a sé, mettendole
tutte e due le braccia attorno e posando dolcemente la bocca sulla sua. Un
bacio a stampo, leggero, come il battito di ali di una farfalla. Erano rimasti
intrappolati in quel momento per una manciata di secondi, il tempo di uno
sguardo incerto, di un sospiro. Dopo lo shock iniziale, che l’aveva
pietrificata, non aveva perso tempo: si era allungata per portare le sue
braccia attorno al suo collo, si era stretta di più a lui e gli aveva
restituito il bacio. Lo voleva disperatamente, lo desiderava con tutta sé
stessa. La lingua di Scorpius aveva accarezzato con
delicatezza la sua bocca, in modo dolce e sensuale, e lei non si era fatta
pregare: aveva dischiuso le labbra per sfiorarlo a sua volta. Sentiva il suo
cuore battere all’impazzata e una sensazione di vuoto nello stomaco.
Nella sua testa non c’era spazio per niente, non
riusciva a pensare a nulla se non ai loro corpi che si toccavano, alla mano di
lui che accarezzava il suo viso bruciante, al suo sapore di caffè, alle loro
bocche che si muovevano armoniosamente l’una sull’altra, come se fossero state
create appositamente per questo. La stringeva come se avesse paura che gli
sarebbe scivolata via dalle mani da un momento all’altro, come se la vicinanza
tra loro non fosse sufficiente.
Era convinta che si sarebbe sciolta da un momento
all’altro, sentiva le ginocchia tremare, il cuore esploderle nel petto, il
fiato corto. Le sue mani erano scese lungo il suo collo e adesso stringevano
convulsamente il colletto della sua camicia. Senza nemmeno rendersene conto si
era sbilanciata all’indietro per appoggiare la schiena contro il muro e lo
aveva trascinato con sé, senza separarsi da lui. Sentiva piccole scosse
elettriche attraversarle il corpo partendo da tutti i punti i cui lui la
toccava.
Ad interrompere la magia erano state delle voci in
lontananza. Si erano separati, lui aveva appoggiato la fronte alla sua, poi si
era scostato per guardarla negli occhi, col respiro un po’ affannoso, e le
aveva sorriso, accarezzandole una guancia. Erano tornati in dormitorio
tenendosi per mano e prima di entrare
lui le aveva posato un bacio all’angolo della bocca. Probabilmente la
situazione sarebbe nuovamente degenerata, se non fosse arrivato Albus a interromperli. Di malavoglia si era separata da
lui, rimandando a un altro momento il confronto.
-Bellissimo!-
-Cavolo Rose! Sono
contenta per te! Quindi adesso state insieme?-
-Non lo so… Non ne
abbiamo parlato… Albus lo ha sequestrato…-
-Al è proprio un
cretino!-
-Ora vuoi dirmi cosa c’è
che non va?-
-Ma niente… Ho discusso
con Hugo…-
-Come mai?-
-Sai con chi andrà ad Hogsmeade domani? Con Storm
Palmer.-
-Scherzi? Avevo capito che
le aveva detto di no! Era furiosa per questo!-
-A quanto pare ha
cambiato idea.-
-Lei usciva con Julian.-
-Quando?-
-Più o meno quando si
vedeva con me. Dice che se James non lo avesse fatto espellere, loro adesso
starebbero insieme…-
-Come no. Quella cagna…-
-Lily, io lo so che non
la sopporti. Non piace nemmeno a me…-
-Però?-
-Però non puoi
prendertela con Hugo per le ragazze che decide di frequentare…-
Se solo avesse saputo.
Lily avrebbe voluto risponderle a tono, dirle che non era arrabbiata. Non solo
almeno. Era ferita, delusa. Si sentiva tradita e usata. Ma come poteva? Nemmeno
lei avrebbe capito. Non l’avrebbe mai accettato. E forse, visto come si erano
evolute le cose, non aveva nemmeno senso prendersi la briga di spiegare. Tanto
qualsiasi cosa le era sembrato che ci fosse, era già finito prima di iniziare,
morto sul nascere. Amareggiata, scelse d restare in silenzio.
-Guarda. Parli del
diavolo…-
Lily alzò gli occhi e
vide Hugo fermo sulla soglia della biblioteca. Prima che potesse fermarla, Rose
agitò la mano, attirando la sua attenzione. Lo vide esitare, incerto se
avvicinarsi a loro. Sperò vivamente che il suo sguardo torvo gli facesse capire
che non doveva avvicinarsi, ma evidentemente non era sufficiente, perché si
incamminò verso di loro.
-Ciao! Come sono andati
gli allenamenti?-
-Bene-
Lily aveva rincominciato
a scarabocchiare il suo foglio, decisa a non degnarlo di uno sguardo. Sentiva
però i suoi occhi addosso, sapeva che parlava con Rose ma stava fissando lei.
-Io devo andare, ho delle
commissioni da fare! Non litigate, ok?-
Quella traditrice! La
stava mollando da sola con lui, nella speranza che si chiarissero. In quel
momento avrebbe solo voluto dargli fuoco.
-Lils…-
-Non chiamarmi così. Non
chiamarmi proprio.-
-Ho bisogno di parlare
con te. Ho bisogno che mi ascolti…-
-E io ho bisogno che tu
non mi parli.-
-L’unica persona con cui
vorrei uscire domani sei tu.-
-Oh. Ecco perché hai
deciso di accettare l’invito di un’altra! Ha perfettamente senso!-
-Non potevo dire di no.
Credi davvero che rovinerei così quello che c’è tra noi?-
-E cosa c’è tra noi,
precisamente?-
-Lo sai. Lo sai che per
me sei la persona più importante, che farei di tutto per te.-
-Davvero?-
-Lo sai!-
-Allora non uscire con la
Palmer!-
-Non capisci...-
-No, non capisco. E mi
sembra che tu stia cercando di fare il furbo, cerchi di abbindolarmi con le tue
belle parole, ma non sono un’idiota, lo sai? Io non ho intenzione di…-
-Lily, Storm sa qualcosa su di me, per questo ho dovuto dirle di
si!-
Per un attimo pensò di
non aver capito. Lo fissò sospettosa. Lui si passò le mani sul viso e si lasciò
cadere sulla sedia accanto a lei. Era evidentemente angosciato. Quando riaprì
gli occhi e la fissò, il suo sguardo smarrito le fece capire che diceva la
verità. Lo aveva visto in tanti modi, ma mai così.
-Che cosa sa su di te?-
Lo aveva sussurrato,
preoccupata di che cosa potesse mai essere.
-Ho fatto una cazzata
Lily… Non avrei dovuto, sapevo che stavo sbagliando, ma pensavo che nessuno lo
avrebbe mai scoperto. Invece, non so come, lei c’è riuscita, e adesso…-
-Hugo, che cosa hai
fatto?-
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Stava per esplodere, lo
sapeva. Fissava il marito pietrificata, conscia del fatto che da un momento
all’altro avrebbe riversato tutta la sua rabbia su di lei. Ormai aveva iniziato
a riconoscere i segnali: prima la calma, surreale. Poi un sorriso perfido,
accompagnato da commenti cattivi, con lo scopo di ferirla. Poi le urla, gli
insulti. E poi…
Non era sempre stato
così: c’era stato un momento in cui era certa che sarebbe stata felice con lui,
che il suo matrimonio sarebbe stato un successo. Ma poi qualcosa era cambiato.
Lui era cambiato.
Ricordava perfettamente
il giorno in cui tutto era iniziato, tanti anni prima.
Era tornata a casa e lui era lì, ad aspettarla.
Ingenuamente, lei aveva creduto che volesse farle una sorpresa: lui non tornava
mai a casa prima dal lavoro. Era persino stata contenta di vederlo. Sorridendo,
si era avvicinata a lui per abbracciarlo, ma lui si era alzato dalla poltrona e
in modo gelido le aveva chiesto dove fosse stata.
Lei si era stupita, forse più per la domanda che
per il tono. Forse lui si era aspettato di trovarla a casa e si era stranito
per questo. Eppure lei non aveva preso ferie quel giorno: come sempre era
uscita per andare a lavoro ed era rincasata al solito orario. Non c’era stato nulla
di strano o di diverso nella sua routine. Gli aveva sorriso e, tranquillamente,
gli aveva detto la verità.
Non aveva fatto caso alla vena sul suo collo che
si ingrossava, non aveva notato che la presa sul bicchiere di vino che teneva
in mano si era fatta più salda. Lo aveva visto sorridere in modo strano, ma
ancora non aveva capito. E aveva fatto ancora un passo verso di lui.
-Pensi di essere furba, vero? Pensi che io non mi
sia accorto che sei solo una puttana da quattro soldi che va in giro a farsi
sbattere da chiunque?-
Non le aveva mai parlato così. Non lo aveva mai
sentito dire nulla di volgare sul conto di nessuno, figuriamoci sul suo. Lo
guardava con gli occhi spalancati per la sorpresa. Non solo per il suo
linguaggio, ma soprattutto perché quell’accusa era assolutamente infondata. Lei
non lo aveva mai tradito.
-Io… Perché dici questo?-
-“Perché dici questo?”- la scimmiottò lui. -Non
provare a negarlo. Basta guardarti, te ne vai in giro vestita come la lurida
troia che sei!-
-Io non capisco, non ho…-
Non era riuscita a finire la frase perché lui era
esploso. Aveva lanciato il bicchiere di vino che aveva in mano. Lo aveva sentito frantumarsi sul muro
alla sua sinistra, volto vicino a lei. E aveva iniziato ad avere paura.
-Stai zitta, cretina! Non negare!-
Era stata l’ultima cosa che aveva sentito. Lui
aveva continuato ad urlare e ad inveirle contro, ma lei era sotto shock e non
sentiva più nulla. Sentiva solo un ronzio nelle orecchie, vedeva il volto
dell’uomo che aveva sposato sfigurato da una rabbia cieca. Non stava succedendo
a lei.
Lei aveva sposato un uomo premuroso, sempre
attento al suo benessere, sempre gentile e amorevole. Non conosceva questa
persona.
Non sapeva precisamente cosa aveva fatto per
innescare la reazione successiva. Non le sembrava di avere parlato, ma
evidentemente aveva detto qualcosa che lo aveva portato ad oltrepassare il
limite, perché improvvisamente lui non era più vicino alla poltrona ma di
fronte a lei.
Le aveva afferrato un braccio e la strattonava,
senza smettere di vomitarle addosso i peggiori insulti. E poi l’aveva spinta
contro il muro e colpita. Il ceffone non l’aveva fatta cadere solo perché lui
l’aveva trattenuta. Era la prima volta in vita sua che veniva schiaffeggiata.
Nessuno, nemmeno sua madre, o suo padre, aveva mai alzato le mani su di lei. E
a sconvolgerla più di tutto non era stato il colpo ricevuto, ma il fatto che a
sferrarlo era stata una persona da cui non se lo sarebbe mai aspettata. Questo
aveva fatto quasi più male dello schiaffo. Gli occhi le si erano riempiti di
lacrime amare.
Poi lui l’aveva lasciata.
-Mi hai capito?-
Lei non aveva ascoltato una parola, non aveva idea
di che cosa avrebbe dovuto capire, ma aveva annuito lo stesso. Come se niente
fosse lui si era infilato la giacca ed era uscito.
-Ci vediamo a cena-
Lei si era lasciata cadere sul pavimento,
singhiozzando, terrorizzata. Quello era stato l’inizio dell’incubo.
Da quel giorno viveva nel
terrore. Aveva imparato che bastava una sciocchezza per scatenare una furia
cieca. Aveva imparato che doveva stare zitta, perché se provava a difendersi
era peggio.
Lui era tornato al solito
orario e la cena non era pronta. Questo per lui era inaccettabile, perché
significava che lei aveva di certo fatto qualcosa di diverso nel pomeriggio. E
“qualcosa di diverso” poteva essere solo l’incontro con un altro uomo.
Andava avanti così da
anni: ormai viveva in uno stato di ansia perenne. Ogni volta che rincasava in
ritardo, che si comprava qualcosa di nuovo, che si sistemava i capelli, che
cambiava un minimo particolare di sé stessa o delle sue giornate, aveva paura
della sua reazione.
Stava seduto in silenzio,
fissando il bicchiere di vino che si era versato mentre lei era in cucina e
aspettando di essere servito. Lei aveva paura ad avvicinarsi. Voleva restare il
più possibile fuori dalla sua portata, anche se sapeva che tergiversare ancora
significava peggiorare la situazione.
-Allora, inutile vacca?
Pensi di portare in tavola la cena? O non sei più capace di fare nemmeno
questo?-
Si era fatta coraggio e
si era avvicinata al tavolo, posando la zuppa al centro. Quando aveva allungato
la mano per prendere il suo piatto lui le aveva afferrato il polso,
stringendolo in una presa ferrea e dolorosa.
-Dove sei stata, eh?-
Sapeva di non dover
rispondere.
-Rispondimi, sgualdrina!
Pensi di potermi propinare la tua schifosa zuppa con un ritardo di mezz’ora
così? Che cos’hai fatto questo pomeriggio?-
Teneva gli occhi bassi,
cercando di ignorare il dolore al polso. Lui si alzò di colpo, afferrandola per
i capelli. Sapeva cosa l’aspettava e ormai sperava solo che finisse presto.
Chiuse gli occhi e trattenne il respiro, aspettando il ceffone che, lo sapeva,
sarebbe arrivato.
Il suono del campanello
le fece spalancare gli occhi. Lui aveva il braccio sospeso a mezz’aria e
fissava la porta, stupito tanto quanto lei per quell’inaspettata interruzione.
La lasciò andare e si
girò verso l’ingresso. Lei ripresa a respirare. Non fece però in tempo a
sentirsi sollevata, perché lui improvvisamente si voltò di nuovo verso di lei e
con una mano le afferrò il collo, stringendolo in una morsa salda. Il suo
sguardo minaccioso la fece tremare più della sensazione di soffocamento.
-Non credere che finisca
qui, deficiente che non sei altro!-
La spinse su una sedia e
lei vi si accasciò tossendo. Sapeva che la sua non era una promessa vuota.
Chiunque fosse alla porta non le avrebbe evitato il suo destino. Lui stava
ormai per aprire, aveva già la mano posata sulla maniglia.
Si voltò un’ultima volta
verso di lei. Aveva indossato la maschera di perfetto uomo gentile e affabile
che era solito mostrare in giro. Farsa che, ormai ne era convinta, aveva portato
avanti per molti anni anche con lei.
-Ricomponiti. Sei
patetica e inguardabile!-
Lei si asciugò gli occhi
con uno dei tovaglioli e cercò di darsi un tono, domandandosi ancora una volta
per quanto tempo sarebbe riuscita a sopportare tutto questo.
Ciao a tutti, ecco il nuovo capitolo!
Ringrazio tutte le persone che hanno
letto e tutte quelle che leggeranno! E ringrazio in modo particolare Clemme per la recensione allo scorso capitolo!
Se vi va di farmi sapere cosa ne
pensate mi farebbe immensamente piacere!
Alla prossima
Ale