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Autore: _Agrifoglio_    04/04/2018    13 recensioni
I personaggi della storia - tutti, ormai, morti - parlano, si confessano, si sfogano, sull'esempio di un noto capolavoro della letteratura americana. Ognuno esprime il proprio punto di vista.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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André Grandier
 
Nacqui in un paesino sperduto nella campagna francese,
da una famiglia umile, ma unita e di sani principi.
A quei tempi, la gente laboriosa e assennata, seppur modesta,
riusciva ancora a guadagnarsi il cibo, le vesti e lo stretto necessario.
Si lavorava duramente, ma si sopravviveva.
Ero un bambino allegro, affettuoso, attento, curioso.
Conservo il ricordo del tavolo da cucina
con sopra i cestini, colmi di noci, di funghi,
di patate, di fragole,
secondo ciò che la stagione offriva
e dell’odore di menta, di timo,
di frutti di bosco e di finocchio selvatico
che si sprigionava dai pentoloni e si diffondeva negli ambienti.
Ricordo le passeggiate in compagnia dei miei genitori,
nei sentieri fuori dal paese,
costeggiati da rovi e da boscaglia,
da cui spuntavano bacche rosse e more.
Ricordo il noce alla destra della casa
e la grande quercia vicino alla Chiesa.
Durò poco.
Arrivò un inverno molto freddo
e i miei genitori caddero ammalati.
Resero l’anima a Dio a pochi giorni l’uno dall’altra.
Non conservo il ricordo dei loro volti,
ma soltanto dei loro sorrisi.
Fu un dolore immenso per la mia piccola anima.
Padrone del solo vestito che avevo indosso,
mia nonna, che conoscevo appena,
mi portò in un enorme palazzo,
molto lontano dal mio paese che mai più rividi.
Vi abitava una strana famiglia,
molto antica e importante, come diceva mia nonna,
i cui componenti erano vestiti con abiti sfarzosi e ingombranti.
Nella famiglia, c’era una singolare bambina,
bionda come il grano, ma vestita da ragazzo.
Non compresi, all’inizio, che si trattava di una femmina
e, per la verità, allora, neppure lei lo sapeva con certezza.
Volli subito bene alla mia Oscar,
così generosa e impulsiva,
intraprendente e spericolata,
già conscia delle enormi aspettative riposte su di lei
e delle  responsabilità connesse alla nascita in un nobile Casato.
Lei salvò me dal gorgo che mi stava risucchiando
ed io, più di una volta, la salvai da lei stessa.
Era spesso brusca e altera, la mia Oscar,
ma mi voleva bene e mi trattava da suo pari.
Mi donarono una spada, un cavallo, dei vestiti da nobile,
un’istruzione e un’educazione da gentiluomo.
Nobile in tutto, fuorché nei natali,
affiancavo una donna che viveva da uomo.
Non condividevo questa scelta e glielo dissi,
ma, sul punto, era molto irrazionale.
Credo di esserne stato innamorato da sempre.
Finita l’infanzia, altre persone si intromisero
e il nostro rapporto non fu più esclusivo.
Le nostre esistenze ebbero evoluzioni diverse:
lei a capo delle Guardie Reali ed io un attendente.
Sei come uno che ha una mano a poker
e che si lamenta di non avere una scala reale”,
mi diceva spesso il mio amico Alain.
Sei solo un servo, mantieni le distanze!”,
mi gridava severamente mia nonna
e, poi, cambiava bruscamente discorso
oppure aggiungeva:
Chi vuole la luna non avrà mai la terra”.
E figurarsi, io volevo il sole,
il mio bel sole di cui ero l’inseparabile ombra.
Se avessi voluto veramente una famiglia,
una moglie, dei figli,
avrei impegnato tutto me stesso per ottenerli,
con la cocciutaggine che mi aveva sempre contraddistinto,
ponendo fine, per tempo, a un sogno impossibile,
ma perché rinunciare a ciò che è bello,
per una realtà precaria e infida,
per un’esistenza che non fa promesse,
per una vita “vera” che, da un giorno all’altro,
può rivoltarcisi contro e scaraventarci a terra,
disarcionati e con le ossa rotte?
Quale moglie, nobile o popolana, sarebbe stata,
per me, un adeguato completamento?
Troppo diverso ero dagli aristocratici e dai plebei.
Soltanto lei con me s’intrecciava, ma non potevo averla,
non potevamo stare insieme.
Non era Fersen il vero problema….
Avrei potuto laurearmi e intraprendere una professione
e, tuttavia, nessuna posizione sarebbe stata così elevata
da rendermi degno di lei.
Oltretutto, non sono mai stato l’uomo delle grandi scelte,
o delle svolte improvvise: quelle le lasciavo a lei
né l’eroe dalle azioni eclatanti, se non quando occorreva salvarla.
In fin dei conti, non mi era mai pesata la condizione di servo:
dovevo seguire colei che amavo, aiutarla e ammirarla.
Quant’era bella la mia Oscar, con gli occhi azzurri
e i capelli biondi, scarmigliati al vento,
quando galoppava in sella al suo cavallo bianco!
Quanta armonia, se scorreva le dita sui tasti del clavicembalo
o quando faceva vibrare le corde del violino!
Come era nobile e fiera quando comandava la Guardia Reale!
Quanto mi apparve sublime e inarrivabile,
divinità inclita e benevola,
quando sfidò la collera del Re per salvarmi dalla morte!
Per lei avrei dato entrambi gli occhi, le mani, la testa,
non il mio cuore, perché già lo aveva.
La feci soffrire, invece, una sera, con un gesto sconsiderato,
figlio di un brusco congedo che ruppe gli argini
dell’energia sessuale e dell’aggressività
che, sublimate, per anni, nella cura di lei
si ritrovarono, improvvisamente, prive di meta e di controllo.
Il rimorso, da allora, mai più mi abbandonò.
Ne scaturì un oceano di silenzi e di solitudine,
una distesa di ghiaccio per lei e fiumi di vino per me.
Tutto si compose, col tempo
eppure un’ombra di sottile e strisciante disagio mai si dileguò.
Se ella avesse ricambiato i miei sentimenti,
sarei stato così reprobo e incosciente
da sottrarla a una nobile condizione,
in cambio della mia miseria?
Il cuore è generoso, ma la passione è egoista.
Se il Re ama una donna,
a chi deve chiedere il permesso per sposarla?
Io, però, non ero il Re.
Avrei avuto il coraggio di uscire dall’ombra
e di costruirmi una vita vera, affrancata dai miei sogni,
a dispetto delle mie condizioni sociali, economiche e di salute?
Avrei potuto infliggerle, per appagare il mio cuore,
quelle menomazioni di censo e di rango
che avevano fatto di me un umile servitore?
Per la mia bellissima Oscar, splendida amazzone,
nobile Comandante delle Guardie Reali,
i panni di Madame Grandier sarebbero stati stretti e inadeguati….
Alla fine, mi ricambiò, la mia Oscar e quasi non ci credevo
e mi domandai il perché e come avessi potuto permetterglielo.
Avvenne tutto all’improvviso, una parentesi creata dal caso,
in un bosco vicino al fiume, avvolto dalle lucciole e dalle stelle,
un’atmosfera onirica, sospesa nel tempo e lontana da ogni cosa,
dal vortice che stava risucchiando la storia,
dalla vacuità del mio sguardo cieco e dal mistero celato da Oscar,
giacché, negli ultimi tempi, c’era qualcosa di lei che mi sfuggiva.
Una chiesetta ad Arras, una cerimonia semplice,
nessuno dei due ci credette veramente fino in fondo
e, infatti, durò lo spazio di un giorno e, poi, tutto ebbe fine.
L’eco di uno sparo, urla disperate, una corsa a perdifiato,
un letto in mezzo a una piazza, una struggente e vana promessa,
la muta disperazione per l’accanirsi di un destino ingiusto e beffardo,
il volto appannato di Oscar impresso nell’iride come ultima immagine terrena.
Il resto fu librarsi nell’aria, allontanarsi dal mondo, ascendere al Cielo,
diventare un tutt’uno con le stelle e risplendere di pace.







E’ arrivato il turno di André, personaggio molto rimaneggiato, bistrattato dal fumetto e nobilitato dal cartone animato, nel corso del quale, però, avrà detto due parole, ragion per cui, in una sorta di legge del contrappasso e di compensazione, l’ho fatto parlare a lungo qui.
Ciò che colpisce di lui è la radicalità di una scelta di vita che lo indusse a dimenticare se stesso e a donarsi interamente a un’altra persona, senza avere la minima possibilità di successo, perché il destino cinico e baro non fu quello che lo fece morire ventiquattr’ore dopo la dichiarazione di Oscar, ma quello che, molti anni prima, unì i cammini di questi numeri primi. André è uno dei personaggi più sfruttati delle fanfiction, perché ben si presta: è empatico, generoso, tormentato, fedele, leale, affidabile, si strugge d’amore, ma, al dunque, sa tirare fuori coraggio e determinazione e, soprattutto, è sfortunato come ogni eroe tragico che si rispetti. Ecce par Deo dignum: vir fortis cum fortuna mala compositus. Tutto ciò fa di André l’eroe tragico per eccellenza, ma entrare nella testa di lui e comprendere la ragione di certe scelte auto annientanti e prive di un appagamento a breve o a lungo termine è stata un’impresa estremamente ardua. Il ritratto di André è stato il più difficile di questa galleria.
Ho ricostruito una piccola biografia che fungesse da prequel all’arrivo di lui a Palazzo Jarjayes che, poi, non sarà stata molto diversa dall’originale. Ho cercato di indagare il profondo legame con i genitori e il senso di sicurezza infuso dalla loro presenza, scandito dalle cose semplici e simbolizzato dal noce e dalla quercia. I genitori, però, morirono presto e ciò lacerò l’anima di un bambino sensibile, estirpato dal suo mondo e trapiantato sulla Luna da una nonna appena conosciuta. Ne seguì un senso di estraniazione e di precarietà della vita e un forte legame con Oscar con la quale condivise un destino da diverso. Il dramma di André fu quello di vivere in un eterno limbo: non nobile né popolano e disincentivato dal formarsi una famiglia dalla perdita precoce di quella d’origine e dalla consapevolezza che l’unica persona in cui si poteva rispecchiare era, per lui, irraggiungibile. Ho voluto anche evidenziare il tormento del personaggio, perennemente oscillante fra l’amore per Oscar e la consapevolezza di non avere alcunché da offrirle. Oscar andava protetta dai nemici, ma anche dalle conseguenze negative di un’unione che l’avrebbe privata di tutto: la classica mésalliance. Come avrebbe potuto André – che, sin dall’infanzia, si misurava con l’inferiorità socio economica – infliggere una pari menomazione alla persona che più amava al mondo? Ma come fare a rinunciarvi?
Come sempre, grazie a chi ha commentato il Generale e grazie a chi commenterà André.
 
   
 
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