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Autore: lady lina 77    08/04/2018    2 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era un cavallo magnifico, dalla criniera e dal manto nero e lucido, giovane e con zampe possenti e muscolose. I suoi occhi, neri come tutto il resto, trasmettevano intelligenza e dolcezza a dispetto del suo aspetto che pareva, a prima vista, furioso.

Elke gli accarezzò il muso, lentamente, affinché l'animale prendesse confidenza con lei, pensando a quanto sarebbe stato magnifico cavalcarlo nel viaggio che si apprestava a compiere. Aveva imparato a cavalcare da bambina, in montagna, montando sui cavalli selvatici che popolavano le vette e la passione per il galoppo non si era mai sopita in lei, con lo scorrere degli anni.

Più guardava quel cavallo e più era stupita, non avrebbe mai creduto che suor Faustine le avrebbe donato un animale del genere.

Il sole caldo della primavera le baciava la pelle e le infondeva un senso di benessere profondo; il cielo era azzurro, terso, un leggero vento le scuoteva i capelli e il sole dava una luce vitale a Bozen. Osservò le case, i vicoli, le botteghe che per più di tre anni erano state il suo mondo e provò uno strano senso di malinconia: nonostante tutto quel posto le sarebbe mancato, così come tante persone lì conosciute nel corso degli anni come i senza tetto della piazza, Helena ed Anna e le altre ragazze che avevano condiviso con lei l'esperienza di lavorare al convento.

Helena in quei mesi aveva imparato a leggere e scrivere e nonostante la sua iniziale reticenza era riuscita ad imparare in fretta, dimostrandosi una mente aperta e curiosa; Suor Faustine le aveva trovato lavoro come sarta in una bottega poco lontana dal convento ed Helena, con la figlia, si era trasferita in un piccolo appartamento di proprietà dei suoi datori di lavoro. Era stata dura salutarla la sera prima, dire addio a lei e alla piccola Anna, rendendosi conto che da quel momento le loro vite, con tutta probabilità, non si sarebbero più incrociate, solo una certezza la rasserenava: entrambe se la sarebbero cavata egregiamente. Si guardò l'abito che le aveva cucito Helena: uno splendido vestito della tradizione tirolese composto da una camicia con maniche a sbuffo e uno smanicato blu legato in vita da un nastrino rosso come quello che aveva fra i capelli, che legava la piccola treccia che si era fatta di lato.


"Devi essere carina per il tuo futuro marito, non puoi presentarti a lui dopo cinque mesi vestita di stracci. Gli uomini si innamorano e si disinnamorano in fretta, se noi donne non sappiamo tenerci come si deve".


Montò sul cavallo, decisa a mettersi in viaggio, mancavano solo due settimane al solstizio d'estate e se non faceva in fretta sarebbe arrivata tardi da Mattheus e non avrebbe potuto mantenere la sua promessa. C'era molta strada da percorrere per arrivare a Pennes e aveva ancora una tappa da fare prima di tornare dal suo futuro marito. Accarezzò la criniera del cavallo, stringendo le redini. "Dovrò trovarti un nome" – commentò divertita, immaginando quanto avrebbe borbottato Mattheus per questa cosa.

"Parti ora?".

Presa alla sprovvista, si voltò verso la fonte della voce alla sue spalle. "Suor Faustine...". Strinse ancora di più le redini, mentre lo stomaco le si contorceva. In quegli ultimi mesi il suo rapporto con la suora era stato strano e inspiegabilmente stretto, non le aveva più torto un capello e se questo, all'inizio, era dovuto al fatto che suor Faustine temeva Mattheus, poi le cose erano cambiate. Aveva iniziato a guardarla più attentamente, con la curiosità con cui a volte si osserva qualche creatura strana e sconosciuta da studiare, sospettosa e al contempo incuriosita. Per i primi mesi aveva permesso a lei e ad Helena, come promesso, di lavorare e passare tutto il tempo libero insieme ma poi, con sua somma sorpresa, un giorno l'aveva chiamata nel suo studio, mostrandole i libri contabili del convento.


"Sai leggere, scrivere e fare di conto, giusto? Se non erano bugie, suppongo che una mente giovane come la tua potrebbe aiutarmi a gestire spese e contabilità del convento, fintanto che rimarrai qui. Credi di poterlo fare? Io ormai non sono più molto giovane, i miei occhi cominciano a darmi problemi e mi è spesso difficile scrivere al lume di candela".


A quella proposta per un attimo aveva tremato, poi, spinta dalla curiosità di tentare ed imparare qualcosa di nuovo, aveva accettato di provare a fare quanto le veniva richiesto. Da allora, per molte ore al giorno, era stata insieme a suor Faustine ad annotare spese ed entrate, a tentare di ottimizzare costi e benefici e a sistemare archivi e scartoffie. Questo le aveva permesso di leggere i tomi antichi che la suora teneva nella sua stanza, libri sulla Chiesa, sulla storia di quel territorio, sulla geografia, di diritto e qualsiasi altra cosa le capitasse per mano. Suor Faustine, in silenzio, l'aveva lasciata fare, guardandola di sottecchi con interesse. Le aveva chiesto di provare a trovare, fra le varie spese ed entrate, un modo per poter pagare un maestro che potesse aprire una scuola nel convento per i bambini che ospitavano e anche per le ragazze come lei ed Helena che desideravano imparare. Questo l'aveva sorpresa, vista la reticenza con cui inizialmente aveva scoperto che lei sapeva già fare tutte queste cose, ma l'aveva accontentata con piacere giudicandola un'ottima idea ed era riuscita, fra cifre e conti, a trovare il modo di aprire una piccola aula all'interno del convento ed i fondi con cui pagare un insegnate e quanto poteva servire per gli allievi.

Suor Faustine nei mesi aveva mantenuto con lei un tono distaccato, distante, mai nelle loro conversazioni aveva avuto l'impressione che l'apprezzasse, eccetto per il fatto che le chiedeva spesso consiglio sul da farsi, quasi che avesse imparato a fidarsi di lei.

Lei annuì. "Sì, oggi è una buona giornata per partire, il cielo è limpido e la temperatura fantastica. Sarà un piacere viaggiare con questo meraviglioso cavallo. A proposito, grazie! Non ambivo certo a un animale tanto maestoso".

La suora scosse la testa. "Sei sprecata per passare la tua vita a servire un uomo, saresti molto più utile qui. Pensaci bene, Elke".

Spalancò gli occhi, sorpresa. "Volete che resti?".

"Le donne banali si sposano e tu non lo sei. Smetterai di studiare se vai a Pennes e ti ritroverai, come tutte, a badare a una casa e a una miriade di figli" – ammise.

A quella frase, Elke rise. "Dubito che smetterò di studiare, il mio futuro marito non me lo permetterebbe. E per quanto riguarda badare alla casa, lui è molto più bravo di me a farlo, state tranquilla. Non mi sposo con un uomo banale e con lui non potrò far altro che crescere e migliorarmi sempre di più. Mattheus non è mai stato un mio limite, ma al contrario, la mia più grande ricchezza. Lo amo e mi manca, non ho aspettato per mesi che questo giorno".

La suora sospirò. "Se ne sei sicura...".

"Lo sono" – rispose, con tono fermo. Era stranita dalle parole di suor Faustine, non si aspettava quella conversazione ed era sempre stata sicura che non vedesse l'ora che lei partisse. Ma... "Per tanto avete creduto che fossi la figlia del diavolo... Avete cambiato idea a riguardo?".

Suor Faustine scosse la testa. "Non posso affermare che tu non lo sia. Ma di certo posso dire che sei molto intelligente e che impari in fretta. E che con le tue capacità, qui ci saresti stata utile".

Quelle parole le fecero piacere. "Questo non è il mio posto, io appartengo alle montagne".

"Le montagne sanno essere crudeli ed implacabili, feroci. Come puoi appartenervi, Elke?".

La ragazza sospirò, accarezzando il manto liscio del cavallo. "Sapete suor Faustine, io non ho mai avuto dei genitori che si siano occupati di me. La mia mamma e il mio papà sono stati le montagne. Loro mi hanno protetta, sostenuta, mi hanno fatto da guida e da maestro e io sono quel che sono oggi anche grazie a loro. So che Bozen offre tante possibilità ma ogni posto ne può dare, se lo si sa conoscere e capire bene. I monti sono posti magici, non potete nemmeno immaginare quanto". Le venne da ridere ma si trattenne. Se suor Faustine avesse saputo di elfi, fate e gnomi, probabilmente sarebbe svenuta all'istante.

Accarezzò la criniera del cavallo, stringendo poi le redini fra le mani. "Devo andare ora, buona fortuna suor Faustine".

La donna la fissò in viso, intensamente. Poi annuì, allontanandosi da lei. "Se hai deciso, non mi resta che salutarti e farti gli auguri per il tuo imminente matrimonio".

"Grazie". La guardò per un'ultima volta, assieme al convento e alle strade lastricate del centro che erano state il suo mondo. Poi diede un colpetto leggero al cavallo e partì, senza voltarsi più indietro.

Al passo, percorse le vie del centro e poi via via quelle di periferia, fino a trovarsi su una strada sterrata che portava alle valli circostanti. E a quel punto, senza più nessuno in giro, spronò il cavallo a partire al galoppo. Sentì il vento sui capelli, sul viso, una sensazione di libertà che non provava da tanto. Era così diversa dalla ragazza che era stata al suo arrivo in quella città, era come se si fosse evoluta mille e più volte, giorno dopo giorno, scoprendo lati di se stessa che mai avrebbe pensato di possedere. Era cambiata tanto da allora e si sentiva cambiata anche rispetto alla notte di Natale in cui era stata con Mattheus, come se in quei mesi fosse cresciuta talmente tanto da sentirsi finalmente e completamente adulta e padrona di se stessa. Conosceva ogni lato di se, sia nei pregi che nei difetti, conosceva il suo valore e sapeva cosa volere dalla vita e non avrebbe più permesso a nessuno di giudicarla senza conoscerla.

Aveva una voglia pazza di abbracciare Mattheus, ma sapeva anche che c'era ancora un posto dove aveva tanti conti in sospeso: Tires. Era scappata da lì una notte d'estate di quattro anni prima, senza nulla con sé se non un arco di legno e dei nastri colorati per i capelli, senza conoscere il mondo, senza la minima istruzione e con la convinzione di essere sbagliata e non degna delle altre persone. Ora sarebbe tornata laggiù, non per vendetta, ma per dimostrare a coloro che avrebbero dovuto amarla e proteggerla che ce l'aveva fatta a sopravvivere e a crescere senza di loro, o meglio, nonostante loro.

Man mano che si avvicinava al suo paese natale riconobbe i boschi, i prati, le baite che aveva visto da bambina. Tutto sembrava così incredibilmente uguale, immutato, come se quegli anni di lontananza non fossero mai esistiti.

Si sentiva strana, una spiacevole ansia le attanagliava lo stomaco man mano che andava avanti e per un attimo si sentì schiacciata dalla stessa paura sorda che la sorprendeva da bambina quando qualcuno le si avvicinava. Per un attimo fu tentata di cedere alla voglia di andare dritto, di non fermarsi, di convincersi che non era importante e che in fondo non aveva nulla da dimostrare a nessuno, ma alla fine non fermò la corsa del cavallo finché non si trovò davanti ai campi che circondavano Tires. Erano le prime ore del pomeriggio, tutta la campagna era deserta e probabilmente non avrebbe incrociato quasi nessuno fino alla casa dei suoi genitori, era ora di pranzo e di riposo.

Fece per imboccare il sentiero che portava al villaggio quando la sua attenzione fu catturata dalla figura di una giovane ragazza che, semi nascosta dalla vegetazione dei campi, era intenta a legare delle fascine di fieno. Sembrava poco avvezza a quel lavoro e nello svolgerlo, probabilmente per la fretta di finire, si stava incaponendo senza successo a racchiudere tutto il fieno in fascine enormi che non riusciva a legare invece che dividerlo in parti più piccole e maneggevoli.

C'era qualcosa di familiare in quella ragazzina, tanto che, vinta la sua ritrosia, scese da cavallo e le si avvicinò. E quando fu a pochi passi da lei, capì perché avesse catturato la sua attenzione.

"Inge".

Rimase a bocca aperta, che ci faceva sua sorella lì? Il lavoro nei campi era sempre stato uno dei compiti di suo padre e mai aveva permesso a sua madre e alle sue sorelle di aiutarlo. Inge era la più piccola della famiglia, aveva quattordici anni quando lei se n'era andata e ora doveva averne circa diciotto. Aveva sempre avuto guance rosse e piene, era la meno esile della famiglia, aveva un viso che ispirava simpatia, puntellato da qualche lentiggine sul naso e i capelli biondissimi e ondulati, che teneva sempre raccolti in due lunghe trecce. Di carattere era docile e poco combattiva e spesso finiva per accodarsi alle decisioni dell'altra loro sorella, Annelies, di tre anni più grande, e di indole molto più dominante.

Inge, vedendola arrivare, spalancò gli occhi, smettendo di lavorare.

"Ma... ma tu sei... Sei tornata?" - balbettò, a bocca aperta, lasciando cadere a terra il fieno che teneva fra le mani.

Elke sospirò, ma del resto non poteva aspettarsi che le gettasse le braccia al collo... "No, non sono tornata, sono solo di passaggio, sta tranquilla".

Osservò il montone di fieno accanto alla sorella, ammucchiato al bordo del campo. Si avvicinò e ne prese un po’ fra le braccia, legandolo coi fili di fieno più lunghi.

"Se ti incaponisci e prenderne troppo per finire prima, otterrai il risultato contrario: ti spaccherai le braccia e non otterrai nulla. Prendine meno, fai delle fascine più piccole, sarà meno faticoso e più veloce". Finì di legare la fascina fra le sue mani, agilmente, poi la gettò a terra, accanto alla sorella.

"Visto?".

"Visto". Inge deglutì, imbarazzata. "Perché sei quì? Credevo fossi morta".

"Ti sarebbe piaciuto?".

Si stupì di essere tanto diretta nei confronti della sorella, soprattutto ricordando quanto, un tempo, temesse qualsiasi confronto coi membri della sua famiglia.

Inge alzò le spalle. "No... Non lo so, non ci ho mai pensato troppo. In fondo non ci parlavamo mai, non è che mi sei mancata...".

"Immagino...". Elke si guardò attorno, accigliata. "Sei qui sola? Dov'è nostro padre?".

L'espressione di Inge si incupì.

"Sono qui sola, sono abbastanza grande per lavorare ormai. Mamma e Annelies invece sono a casa, in questo momento. Se vuoi vederle, le trovi lì".

Elke si accigliò. Inge non aveva risposto alla sua domanda, non del tutto almeno. Si chiese dove fosse suo padre, ma supponeva che lo avrebbe scoperto una volta arrivata a casa.

"Credo che le raggiungerò. Buon lavoro, Inge".

La ragazzina guardò, sconsolata, l'enorme montone di fieno ancora da legare.

"Già... Buon lavoro a me". Poi la fissò per un attimo, pensierosa. "Elke?".

Sussultò, stupita. Inge non l'aveva mai chiamata per nome.

"Dimmi".

"Sei sicura che non resti?".

"Vorresti che lo facessi?". Era strano ma da sempre aveva avuto la sensazione che, se le circostanze fossero state diverse, sarebbe andata d'accordo con Inge.

La ragazzina alzò le spalle. "A volte Annelies è così intrattabile. Tu mi sei sempre sembrata più gentile, anche se papà diceva che eri pericolosa e quindi avevo paura di te. Ma magari come sorella non saresti male, mi hai anche insegnato come si lega il fieno. Annelies non lo sa proprio fare!".

A dispetto di tutto, Elke le sorrise. "Non resterò, ma mi fa piacere esserti stata utile in qualcosa. Buona fortuna Inge".

Era tardi per diventare sorelle pensò, salendo sul cavallo, ma era stato comunque piacevole quello scambio di battute fra di loro.

Si allontanò al galoppo, percorrendo il sentiero principale. Il sole era molto caldo e non incrociò più nessuno finché non giunse al villaggio.

Tires era piccola, ancora più di Pennes, composta da un gruppo di povere baite che, disordinatamente, si adagiavano sul versante della montagna. La casa dei suoi genitori era in periferia, vicinissima a quel bosco dove si rifugiava da bambina per nascondersi al mondo e raggiungere le vette.

La ricordava come una baita molto modesta, povera, costruita in legno e pietre incastrati fra loro alla meglio, circondata da sterpaglie e con piccolo pozzo sul retro, unica comodità della sua famiglia.

Guardandola, a distanza di quattro anni, la baita le sembrò ancora più malmessa: le imposte di legno erano cadenti e scrostate, l’erba che la circondava incolta e piena di sterpaglie e in generale la casa pareva in uno stato di completo abbandono. Questo la incuriosì perché, per quanto suo padre fosse stato un pessimo genitore per lei, era una persona che si era sempre premurata di far vivere dignitosamente sua madre e le sue sorelle.

Sospirando scese da cavallo avvicinandosi alla staccionata. Si guardò attorno, lanciando una veloce occhiata alla piccola stalla a lato della casa, il suo unico rifugio dal freddo quando era bambina. Le sembravano passati secoli da allora e si trovò a chiedersi come avesse potuto permettere a suo padre di trattarla a quel modo: come sarebbero state diverse le cose se allora avesse posseduto la consapevolezza di sé stessa che aveva conquistato negli ultimi anni…

Improvvisamente però quei pensieri furono interrotti da una figura che, svelta, uscì dall’uscio di casa con una montagna di lenzuola da stendere fra le mani.

La riconobbe subito, com’era successo poco prima con Inge.

Annelies”.

Eccola, sua sorella, la secondogenita, più piccola di lei di tre anni; la figlia più bella, dai capelli biondi e lisci come seta, dagli occhi color del ghiaccio, dotata di un portamento nobile ed elegante. La cocca del loro padre, il suo orgoglio. In quegli anni, notò, sembrava essersi fatta ancora più bella e probabilmente erano molti i pretendenti alla sua mano, a Tires.

Appena la vide, Annelies si bloccò, stringendo a se il bucato bagnato che teneva fra le mani.

La strega…” – mormorò, non staccandole gli occhi di dosso.

Elke le sorrise freddamente. Sarebbe stato divertente fingere di lanciarle una maledizione, giusto per vederla ancora più terrorizzata, come di solito amava fare Mattheus con chi riteneva molesto. Sarebbe stato un esperimento interessante, soprattutto in relazione del fatto che, in passato, Annelies si era dimostrata crudele con lei quanto suo padre. Decise tuttavia di tacere e di non abbassarsi al suo livello, ormai erano entrambe adulte e il tempo dello scherno e degli scherzi era finito.

Ho bisogno di parlare coi nostri genitori” – disse, senza un saluto, in tono fermo, senza stare a girarci troppo intorno.

Annelies si voltò verso la porta di casa.

Mamma, corri! La strega, c’è la strega! E’ tornata!”.

Poi si abbassò, raccogliendo da terra un sasso.

Elke si incupì: sapeva cosa voleva fare, la conosceva fin troppo bene dato che quando erano piccole aveva subito di tutto da lei senza trovare il coraggio di ribellarsi. Ora però le cose erano ben diverse.

Provaci anche solo col pensiero, a tirarmelo, e io farò altrettanto! E ti assicuro che ho un’ottima mira, sorellina!”.

Mammaaaa”.

Stavolta Annelies urlò e sua madre, affannosamente, comparve sull’uscio di casa.

Ad Elke sembrò che le stomaco le si contorcesse quando la vide. In un certo senso era stato facile affrontare Inge ed Annelies ma sua madre era colei che, complice con suo padre, l’aveva costretta a vivere un’infanzia ai margini, senza amore e sicurezze, completamente sola e indifesa davanti alle difficoltà della vita.

Ricordò quanto, da bambina e anche subito dopo aver conosciuto Mattheus, l’avesse giustificata e difesa dalle sue colpe e si trovò irritata verso sé stessa a quel pensiero. Non c’erano giustificazioni, non c’era alcun perdono da dare, se era sopravvissuta ed era diventata adulta lo doveva solo a se stessa, alla sua tenacia e alle poche persone che aveva incontrato e le avevano voluto bene. E sua madre non faceva parte di questo gruppo di persone!

La guardò in silenzio, le sembrava invecchiata di colpo: i suoi capelli erano grigi e spettinati, gli abiti che indossava erano logori e le sembrava piccola e fragile, come sul punto di spezzarsi. In quel momento si accorse di qualcosa che era irrimediabilmente cambiato in sé stessa rispetto al passato: una volta, guardando i suoi genitori e le sue sorelle, tutti loro le apparivano come giganti mentre lei si sentiva minuscola e irrilevante al loro confronto. Ora invece era il contrario, lei si sentiva grande, cresciuta e loro invece gli apparivano piccoli come formiche.

Sua madre, impallidendo, le si avvicinò. “Elke… Non è possibile, non dopo tutto questo tempo…”.

Cacciala via!” – urlò Annelies, con gli occhi fuori dalle orbite.

Sua madre si voltò verso di lei, lanciandole uno sguardo carico di rimprovero. “In casa Annelies, subito!”.

Ma...”.

Ti ho detto di andare in casa”.

Annelies stavolta ubbidì ed Elke dovette faticare per non ridere. Per la prima volta da quando era nata, era stato dato un ordine perentorio a sua sorella invece che a lei. Non che la cosa ormai la riguardasse, ma di certo la divertiva.

Quando Annelies scomparve dietro l’uscio, sua madre le si avvicinò. “Sei proprio tu…” – mormorò, stupita.

Credevi che fossi morta?”.

No”. La donna scosse la testa, non smettendo di osservarla. “Sei diventata grande, stento a riconoscerti”.

Stenti a riconoscermi perché non mi conosci affatto, non credi?”.

Sua madre spalancò gli occhi davanti a quella risposta tanto secca che doveva apparirgli estremamente inusuale da parte sua.

Dov’è mio padre?”.

Sua madre sospirò. “Manchi da così tanto tempo, Elke, sono successe tante cose”.

Dov’è mio padre?” – chiese, di nuovo. Non aveva voglia di perdersi in inutili conversazioni con lei.

E’ morto alcuni mesi dopo che te ne sei andata”.

Cosa?”. Un brivido le percorse le braccia e la schiena. Suo padre… morto? Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, anche se lo stato di abbandono della casa e sua sorella costretta a lavorare nei campi avrebbero dovuto suggerirglielo! Suo padre, dalle braccia forti, instancabile, che comandava tutto e tutti con arroganza… era morto? Non sapeva cosa provava, non in quei primi istanti. Dolore? No, in un certo senso. Frustrazione forse e poi rabbia. Sì, era arrabbiata, con sua madre e con suo padre perché era morto senza lasciarle la possibilità di un confronto fra loro. Poteva essere una reazione sbagliata, cattiva, insensibile ed egoista, ma era quello che provava in quel momento.

Indietreggiò, raggiungendo il suo cavallo e senza dire nulla montò in sella. Partì al galoppo, incurante della voce di sua madre che chiamava il suo nome. Suo padre era morto, non contava altro ora! Non poteva parlargli, ma di certo c’era un posto dove essere, in un certo senso, faccia a faccia con lui.

Raggiunse il piccolo cimitero di Tires, legò il cavallo ad una staccionata e, fuori di se, raccolse una manciata di fiori dal prato. Non voleva essere un gesto gentile verso il padre, il suo, quella visita non aveva nulla di amorevole e nemmeno quei fiori raccolti alla buona erano un regalo per lui.

Entrò nel cimitero e, tomba dopo tomba, lesse i nomi sulle croci di legno finché non incontrò quella di suo padre.

Per un attimo rimase ferma, zitta, senza provare nulla...

Rolf Windegger

Rilesse quel nome più volte, quasi a convincersi che fosse vero. Windegger... In teoria era anche il suo cognome, ma non lo aveva mai usato, non l’aveva mai rivelato nemmeno a Mattheus; non lo sentiva suo, come non sentiva sua la famiglia che l'aveva messa al mondo. Era sempre stata solo Elke, senza nessun riferimento al cognome paterno perché, da bambina, sapeva che suo padre si sarebbe infuriato se avesse saputo che si presentava anche col suo cognome. E, una volta cresciuta, una volta divenuta adulta, perché non le importava più.

Si inginocchiò, stringendo a se il mazzo di fiori che aveva raccolto poco prima. Poi li gettò lontano dalla tomba, in un gesto stizzito.

"Sai papà" – disse, parlando al vento – "li avevo raccolti per te, per farti dispetto. Perché so che ti infurieresti e mi puniresti, se ne avessi ancora l'opportunità, per il fatto di essere qui davanti alla tua tomba con dei fiori per te, in mano. Ma alla fine, a cosa servirebbe farti un dispetto, adesso? Non mi hai mai voluta, non mi hai mai amata e suppongo di dovermene fare una ragione. Mi sarebbe solo piaciuto, per una volta, parlarti, anche semplicemente per sentirti urlare e per litigare perché avrebbe significato, per me, essere visibile ai tuoi occhi. E invece sei morto e io non provo niente... E so che, se anche fossi vivo, non proverei niente comunque. Avevo solo bisogno di vedere la tua tomba per capirlo, non sei mai stato niente e non sarai mai niente per me. Non volevi che usassi il tuo cognome, ti vergognavi di me, ma sai, io il tuo cognome non lo voglio, ora sono io che mi vergogno di te, per il piccolo uomo insignificante che sei stato. E' finito il tempo in cui mi sentivo in colpa per il fatto di esistere e di non essere come tu volevi che fossi e spero che, ovunque tu sia, ora sia arrivato il tuo turno e che tu abbia l'eternità per capire i tuoi mille errori".

Un'ombra, improvvisamente comparve dietro di lei. Elke si voltò di scatto, spaventata, trovandosi dietro sua madre che, evidentemente, l'aveva seguita.

"Sapevo di trovarti qui Elke. Come hai fatto a trovare la sua tomba?".

Alzò le spalle, con noncuranza, vagamente irritata dalla sua presenza. "Semplice, ho letto i nomi incisi sulle croci".

Sua madre spalancò gli occhi, sicuramente stupita per quanto aveva appena udito. Non aveva più davanti una bambina selvatica ed ignorante, cresciuta da sola nei boschi di montagna, ma una donna indipendente che sapeva leggere. Nonostante fosse sorpresa, la donna non commentò, limitandosi a lanciare un'occhiata alla tomba del marito. "Perché sei voluta venire qui?".

Elke scosse la testa.

"Non lo so, forse avevo bisogno di vederlo coi miei occhi. Mio padre mi ha sempre voltato le spalle e per molto tempo ho pregato, sperato che un giorno mi volesse bene. Ho smesso di desiderarlo da tanto, non credo più alle favole in cui i cattivi si redimono ma... volevo almeno un confronto con lui, che vedesse che esistevo e che ero una persona degna di rispetto come le altre sue figlie. Mi ha fregata di nuovo e ha chiuso a suo modo la partita fra di noi, togliendomi ogni speranza che un giorno cambiasse idea, anche solo un poco, nei miei confronti".

La donna sospirò. "Lo sai bene che non l'avrebbe mai fatto".

Elke annuì, tirandosi su. "Sì, sicuramente è così, ma ora non ha più importanza e non ho motivo di fermarmi oltre".

"Te ne vai? E dove? Sei appena tornata dopo quattro anni di assenza".

La ragazza sorrise. "Torno a casa, la mia vera casa".

"Non è questa la tua casa?".

Elke la guardò storto. Stava per caso scherzando? O si stava prendendo gioco di lei? "Questa non è mai stata la mia casa, avete fatto in modo che non lo fosse mai. E questa è la conversazione più lunga che io e te abbiamo mai avuto dalla mia nascita, se non te ne fossi accorta. Come potrebbe essere casa mia, questa? Come puoi pretendere che resti, dopo che per tutta la vita non hai desiderato altro che me ne andassi? Come puoi essere tanto ipocrita da parlarmi come se nulla fosse? Siamo onesti, se ci fosse qui mio padre, tu tremeresti come una foglia e da brava mogliettina obbediente quale sei sempre stata, seguiresti il suo volere e non mi rivolgeresti la parola".

Sua madre strinse fra le mani il grembiule che aveva legato in vita. "Elke, non avevo scelta, come potevo fare, come potevo oppormi al volere di tuo padre? Devi cercare di capire che...".

"C'è sempre un'altra scelta, mamma. E mi dispiace, ma per una volta vorrei che fossi tu a capire me!".

Sospirando si appoggiò al tronco di una pianta, osservandola. Quella era sua madre, la donna che l'aveva messa al mondo. E le era totalmente estranea... "Ti è sempre andata bene così, che me ne stessi lontana. Non ti è mai importato di me, non mi hai mai difesa, non ti sei mai preoccupata. Sono sicura che eri felice quando me ne sono andata, quasi quattro anni fa".

La donna abbassò lo sguardo. Sembrava trattenere le lacrime a fatica. "Ero preoccupata, terrorizzata dall'idea che ti fosse successo qualcosa. Ma poi ho capito... Tu pensi che non ti abbia mai guardata, che non ti abbia mai osservata. Ma sei mia figlia Elke e ti conosco meglio di chiunque altro. Ho sempre saputo quanto sei in gamba, forte ed intelligente. Fra le mie figlie, sei sempre stata la più sveglia, te la sei sempre cavata in tutto, da sola. Sei migliore di me, di tuo padre e delle tue sorelle. Sapevo che stavi bene, sapevo che te n'eri andata perché avevi scelto la tua strada. Che non so dove ti porterà ma so che, ovunque sia, sarà stata la scelta giusta".

Elke sorrise. Una volta avrebbe fatto salti di gioia nel sentire quelle parole, ma ora era diverso: Tires, la sua famiglia, il suo passato e i tristi ricordi che si portava dietro le apparivano ormai lontani, quasi appartenessero a un'altra persona. Eppure si sentiva in dovere di dirle qualcosa che acquietasse l'anima di entrambe e le permettesse di fare un po’ pace col suo passato, chiudendo i conti che aveva lasciato in sospeso.

"In questi anni ho viaggiato, conosciuto posti e persone che mai avrei potuto incontrare rimanendo qui, sono cresciuta e ho imparato un sacco di cose nuove. Sto andando in Val Sarentino ora, sto tornando dall'uomo che amo. Una persona assolutamente fuori dagli schemi, strana, scostante a volte e con un carattere particolarmente difficile da gestire, per chi non lo conosce. Ma lui... è l'unico che sappia farmi sentire a casa, amata, semplicemente abbracciandomi. Conosce ogni cosa di me, della mia anima e del mio corpo. A lui non è mai importato nulla dei miei capelli, mi ha semplicemente dato una possibilità, mi ha ascoltata, capita, conosciuta ed è diventato l'unica famiglia che abbia mai avuto. Sai, non è vero che non avete mai fatto nulla per me, ora che ci penso... Mi avete ignorata, esclusa e questo mi ha permesso di andarmene e di conoscerlo. Di questo, suppongo, devo esservi grata".

Lo sguardo di sua madre parve ferito a quelle parole, ma incassò il colpo con dignità. "Spero sia davvero una brava persona come dici tu, Elke".

"Lo è. E fra pochi giorni lo sposerò".

La vide spalancare gli occhi dalla sorpresa, come se si rendesse conto solo in quel momento di quanto fosse cresciuta, di quanto fosse lontana dalla bambina solitaria ed indifesa che era stata e che lei ricordava. La donna fece per avvicinarsi, forse per abbracciarla, ma lei si ritrasse. "No...".

"Ti prego" – la implorò la donna.

Elke scosse la testa. "Mi dispiace, ma adesso no, è troppo tardi. Erano altri i momenti in cui avevo bisogno di un tuo abbraccio, mi spiace mamma. Non me la sento".

Sua madre la guardò, sembrava ferita. Ma con dignità annuì, capendo forse i suoi sentimenti. "Hai ragione, scusa".

Elke strinse i pugni delle mani, indecisa. In un certo senso le spiaceva ferirla, ma non poteva fare altrimenti. "Guarda il lato positivo della cosa, se ci riesci... Stiamo parlando da cinque minuti, per la prima volta da quando sono nata. E' già un successo, no?".

La donna sorrise, amaramente. "Una conversazione fra madre e figlia?".

"No, una conversazione fra due donne che a malapena si conoscono. Ma pur sempre una conversazione...". Elke abbassò lo sguardo, non sapendo che altro dire. Si avvicinò al suo cavallo, montando in sella. "Devo andare ora. Credo che sia l'ultima volta che ci vediamo, noi due. Ti auguro di star bene. Come vedi, io so cavarmela benissimo da sola, non pensare più a me e concentrati unicamente sulle mie sorelle. Buona fortuna".

Con un colpetto di redini fece muovere il cavallo, ma la voce di sua madre, alle sue spalle, la frenò per alcuni istanti.

"Buona fortuna Elke. Sono sicura che saprai essere una donna e una madre migliore di me. Ti auguro di essere felice".

La ragazza si morse il labbro, facendo violenza su se stessa per non voltarsi verso di lei e non scoppiare a piangere. In fondo, nonostante tutto, era difficile. Annuì, poi diede di redini e partì al galoppo.

Cavalcò senza mai fermarsi, finché il cavallo non fu esausto. La parte più difficile se l'era lasciata alle spalle: Suor Faustine, la sua famiglia, Tires, aveva chiuso ogni conto in sospeso col passato e le sue paure.

Nei giorni seguenti viaggiò attraverso valichi e passi di montagna, lasciando il sentiero principale. Aveva voglia di tornare a respirare la sensazione di libertà che solo le vette di alta montagna sapevano regalare, godere del silenzio assoluto delle vallate baciate dal sole estivo, riappropriarsi di quei luoghi che erano suoi e che le erano mancati quanto Mattheus negli anni di permanenza a Bozen.

La notte dormiva in giacigli di fortuna, come faceva da bambina, di giorno cavalcava senza sosta per raggiungere Pennes, fermandosi solamente per mangiare e far prendere fiato al cavallo.

Aveva solo un'altra tappa da fare, prima di tornare da Mattheus.

Quando raggiunse il lago di Valdurna, per un attimo le mancò il fiato. Era stata tante volte in quel posto ma ora le appariva diverso, ne capiva appieno la storia e quanto valore avesse per Mattheus. Quel posto e i suoi misteri avevano fatto di lui l'uomo che era ora, l'uomo di cui era innamorata e che stava per prendere come marito. Sulla riva di quel lago si era consumato un amore, si erano combattute battaglie, si era vissuto e qualcuno si era accomiatato dal mondo in modo eroico, difendendo un ragazzino e un amore. Quell'acqua era la testimonianza di una promessa, di affetto, di un rapporto che nemmeno la morte era riuscita a spezzare.

Si chiese cosa provasse Mattheus ogni volta che rimetteva piede in quel posto e come avesse fatto per tutto quel tempo, davanti a lei e ai gemelli, a fingere indifferenza e tranquillità per custodire il suo segreto.

Fece bere il cavallo, ormai esausto, accarezzandone la criniera, e la bestia reagì strofinando il muso contro il suo petto. Ormai avevano stabilito un rapporto di fiducia e amicizia loro due, lei conosceva lui e lui si era adattato perfettamente a lei.

"Che bel cavallo, come si chiama?".

Elke sussultò a quella domanda che, d'improvviso, ruppe il silenzio che la avvolgeva.

Si voltò, trovandosi davanti una ragazza dai lunghi capelli biondi, di una bellezza talmente unica da non sembrare umana. Per un attimo rimase in silenzio, attonita, poi il suo istinto le suggerì che la conosceva: quegli occhi azzurri vivaci e intelligenti le erano familiari, così come il modo elegante di muoversi. L'aveva vista in altre vesti, in altre forme, ma ricordava quanto Mattheus le aveva raccontato a Bozen la notte di Natale, di lei. "Non ha ancora un nome, Jutta".

Era la prima volta che la vedeva in versione umana, ma era assolutamente sicura che fosse lei.

"Mi hai riconosciuta, ne sono contenta".

Elke sorrise, timidamente. "Sì, Mattheus mi ha raccontato molte cose di te".

"Lo so".

Jutta le si avvicinò e poi, a sorpresa, la abbracciò talmente forte che le mancò il fiato. "Elke... bentornata! Sono così contenta che tu sia quì".

"Oh Jutta, anche io sono contenta di essere tornata". In quel momento si rese conto che, per la prima volta da quando era partita, ritrovando Jutta si era sentita a casa per davvero.

Si guardarono negli occhi e poi, come due amiche qualsiasi che non si vedevano da molto tempo, si sedettero una accanto all'altra sulla riva del lago.

Elke la guardò attentamente: era una fata graziosa, ma in versione umana aveva una bellezza talmente rara, perfetta, che nessun uomo avrebbe potuto non notare. Anche se non lo conosceva, capiva il perché Jakob si fosse innamorato di lei e si stupiva che lo stesso non fosse avvenuto per Mattheus.

"Cosa ci fai quì? Mattheus mi aveva detto che saresti tornata, ma credevo ti saresti diretta a Pennes".

"Dovevo far riposare un po’ il cavallo e poi... volevo stare un po' da sola qui. Non ho mai saputo nulla di questo posto, della sua storia, di quanto tu e Mattheus siate legati a questo lago e...".

"Volevi scoprirne qualcosa di più?".

"No, volevo solo guardare, pensare... Per poter, forse, capire meglio Mattheus".

Jutta sorrise. "Lui aveva ragione, sei davvero cresciuta. Ho fatto fatica a riconoscerti prima, sai? Sei così bella, elegante... Una vera signora. Se non sapessi chi sei, ti scambierei per un'elegante donna di città".

Elke, a quelle parole, scoppiò a ridere. "Non lo sarò mai. Sono posti come questo, la mia casa".

"Già. Sono così contenta che tu sia tornata e per te e Mattheus, so che vi sposerete a breve".

"Sì".

"Sei nervosa?".

Elke scosse la testa. In realtà no, non lo era. Perché era convinta della sua scelta, certo, e perché di fatto lei e Mattheus avevano già passato una notte insieme, come due persone sposate. "No, non credo. Forse, sono solo un po' emozionata".

Jutta sorrise. "E pensare che, quando voleva partire per Bozen a Natale, non ero d'accordo. Era una fuga la sua, dalle sue scelte e dalla solitudine. Non volevo passasse le feste da solo ma... evidentemente era quello che lui sentiva di dover fare. Era alla ricerca di qualcosa che, alla fine, ha trovato".

"Non credo sia venuto a Bozen per cercare me. E' stato un caso essersi incontrati".

Jutta le prese la mano destra, stringendola fra le sue. "Non è così, sai? C'è una forza, una specie di magia che spinge le anime gemelle a rincontrarsi, nonostante la distanza e i problemi".

"Dici davvero?".

"Mi piace credere che sia così. Che foste destinati a ritrovarvi, qualunque cosa fosse successa. E se è successo a voi, forse varrà anche per me, un giorno".

"Te lo auguro". Elke sorrise. Decise che quanto le aveva detto Jutta le piaceva e che fosse una cosa bella in cui credere. In fondo, Mattheus le aveva insegnato che esistevano fate, unicorni e folletti, perché quindi non credere anche a quanto le aveva detto Jutta?

"Anime gemelle, eh? Speriamo che tu abbia ragione".

"Sarete felici!" - rispose Jutta, alzandosi in piedi. "Ti devo solo augurare buona fortuna, avere Mattheus per marito potrebbe rivelarsi esasperante, in alcuni momenti. Ma tu saprai rimetterlo in riga, a te dà ascolto!".

Imitandola, anche Elke si alzò in piedi, avvicinandosi al cavallo. "Già, ma direi di non sfidare ulteriormente la sorte. Anzi, forse è meglio che non indugi ulteriormente oppure dovrò sentirmi i suoi rimproveri per essere arrivata in ritardo".

Jutta scoppiò a ridere. “Direi che lo conosci bene… Su, va da lui, sei mancata per troppo tempo".

Elke annuì e montò a cavallo, salutandola con un cenno del capo. "Ci vediamo presto, Jutta".

La fata rispose con un sorriso. "Suppongo che, la prossima volta che ci vedremo, tu sarai una donna sposata".

Elke prese un profondo respiro per metabolizzare quanto le aveva appena detto la fata. In effetti, a breve la sua vita sarebbe cambiata per sempre. L'aveva aspettato a lungo quel momento e finalmente era lì, a portata di mano. Accarezzò il cavallo, salutò Jutta e poi ripartì velocemente al galoppo verso Pennes.





  
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