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Autore: Mikirise    08/04/2018    0 recensioni
"Appunta sul calendario il giorno dei suoi primi passi. 21 Aprile. I primi passi dell'indipendenza, dice sempre. Un minuto prima camminano incerti per il salotto, il minuto dopo, eccoli con la loro ribellione adolescenziale. Peter riderà della melodrammaticità, poi ribatterà con un non dovrei ribellarmi se le vostre regole non fossero così stupide! Finiva così Le mani di papà. Con un'enorme disegno delle mani del papà che lascia andare il proprio bambino."
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Due colpe nessuno gli perdona

 
“I figli ti convertono, perché contro la tua volontà ammazzano il drago dell’egoismo, ti privano di quasi tutte le paturnie cui tanto volentieri indulgeresti, fanno emergere chiaramente tutto quello che dentro di te ha bisogno di essere guarito.” Costanza Miriano

Prima colpa


Peter piange nella sua culla da quello che a Tony, con le mani poggiate sul legno e la testa china, sembra un'eternità. Non dorme da trentasei ore. Forse è per questo che il pianto del bambino gli sembra un po' più acuto, un po' più disperato, un po' più doloroso. Peter ha dormito, forse per qualche ora, poi ha ricominciato a piangere e ogni volta c'era qualcosa, qualcosa che non andava, qualcosa che Tony non capisce. Peter piange. Prende respiri profondi e poi li prende spezzati, apre la bocca e grida con tutti i polmoni, stirando le gambe per darsi più forza, con gli occhi chiusi e le manine che sono due piccoli pugni. È diventato tutto rosso. Prende di nuovo il respiro. Di nuovo grida il suo pianto e il corpicino continua a muoversi nervosamente.

No, non piangere, pensa Tony, e non sa se lo ha detto, sa solo di averlo pensato molto intensamente. Ti prego, non piangere.

Stringe le mani contro la sbarra di legno della culla e gli sembra che Peter abbia capito, forse per questo piange in questo modo. Piange perché ha capito che tipo di padre ha. Piange perché sa che non sarà all'altezza. Piange perché, a questo punto, sarebbe stato meglio -sarebbe stato meglio. Peter piange. Non la smette e c'è sempre qualcosa che non va, qualcosa che Tony non capisce. Chiunque altro avrebbe capito. Avrebbe visto la smorfia del proprio bambino e avrebbe detto uhm, è il pannolino, okay, ha fame, capisco, vuole solo essere cullato. Il naso di Tony inizia a pizzicare e tutto intorno a lui viene offuscato da lacrime fastidiose. Lui non riesce a capire, invece. Per la prima volta nella sua vita non capisce e un essere umano è diverso. È diverso da un bot, è più complesso, è più difficile. Non ci sono meccanismi. Se ci sono non li riconosce. E lui non sa, non -ha gli occhi appannati dalle lacrime.

Peter continua a piangere. Ti prego no. Adesso piange anche Tony. Tira su col naso e Peter grida più forte, perché lo ha visto, si è reso conto che il suo papà è lì e che non sta facendo niente. Lo sapeva già, probabilmente. Suona ancora più disperato. No, ti prego, ti prego.

Tony si passa la mano sul viso, per cercare di riprendere il controllo delle sue emozioni, ma poi Peter piange e lui non riesce a non tirare su col naso, a non continuare a piangere. Ti prego ti prego ti prego.

“Cosa succede?”

Non si gira nemmeno per guardare Bruce, senza occhiali, in pantaloncini alla porta. Sente i suoi passi, ringrazia chiunque deve ringraziare per non avergli fatto accendere la luce. Bruce si avvicina a Tony con la sua solita calma e ci sono altri passi che lo accompagnano, più frenetici, meno pazienti. È Clint. Tony tira su col naso una seconda, poi una terza volta e rimane in piedi accanto alla culla, guardando Peter che viene preso tra le braccia di Clint, che sbuffa pesantemente, coi capelli spettinati e gli occhi a mezz'asta. Peter continua a piangere. Clint lo annusa. Non è il pannolino, Tony ha già controllato. Cerca di cullarlo. Salterella su e giù, continuando a fare piccoli versi per calmarlo. Sssh, inizia, ssssh, continua, ma Peter grida e diventa ancora più rosso. Scalcia sulle sue braccia e Clint continua a provare a cullarlo. Ssssh, ssssh. L'azione non calma nemmeno Tony, che prende a respirare un po' più affannosamente, sente anche un inizio di mal di testa. È la testa piena di qualcosa che non sono pensieri e che fanno male.

Bruce gli posa una mano sulla spalla ed è probabilmente questo il momento in cui si rende conto che sta piangendo. Lo vede nella sua espressione. In come unisce le sopracciglia e i lati delle labbra scendono verso il basso. “Tony” sussurra e quasi non si sente, perché Peter continua a piangere, continua a gridare e non riesce a smettere, sta respirando con fatica, sembra che le sue corde vocali si possano spezzare, che i suoi polmoni non riescano più a sopportare uno sforzo del genere e Tony deve girarsi verso Clint, deve stendere le braccia, deve essere sicuro che Peter stia bene. Questa è la cosa importante.

Non dorme da trentasei ore.

Clint alza la testa dal bambino e gli lancia uno sguardo neutro. Sbatte le palpebre, gli passa Peter con la massima delicatezza, non commenta, aspetta soltanto che il bambino si accomodi tra le braccia di Tony e lui e Bruce li osservano in silenzio, mentre Peter, quasi avesse capito in quali braccia si trova, lancia un ultimo grido, quasi fosse una punizione per averci messo così tanto a capire dove voleva trovarsi, poi sospira e inizia a fare dei versi strani, come se si stesse lamentando di aver dovuto piangere così tanto per ritrovarsi finalmente nelle braccia del suo papà. Tony torna a respirare, ma non riesce a smettere di piangere. Peter scalcia, ma senza frustrazione. Lo fa quasi sorridere quanto questo bambino continui a muoversi nonostante non possa andare da nessuna parte. Lo fa giocare con il dito, finché entrambi non si stufano e Tony tira su col naso. Sta ancora piangendo. Ma Peter non piange. Bravo, bravo, non piangere, pensa, cullandolo.

Sistema le copertine di Peter tra le sue braccia, lo tiene stretto con la stessa cura di quando è uscito dall'ospedale, perché aveva paura che gli cadesse. Ha fatto migliaia di domande su cosa sarebbe potuto andare storto biologicamente, poi fisicamente, ha anche fatto domande su quello che potrebbe andare storto emotivamente. Ha calcolato le probabilità. C'è il 68% di possibilità che distrugga la vita di suo figlio, ad esempio. Peter smette di vocalizzare. Posa una manina sulla bocca e con l'altra cerca di afferrare la barba di Tony. Non sorride. Poi afferra un pelo sul suo mento, Tony sospira una risata, e allora anche Peter ride con la bocca aperta. Tutto potrebbe ancora andare storto. 68% è un percentuale alta. E ci sono ancora tante cose che non ha tenuto in considerazione. Tutto potrebbe andare storto. La psicologia non è una scienza esatta e tutto non è un numero. Ma comunque tutto andrà storto.

“Tony” sente di nuovo sussurrare Bruce, mentre si siede per terra, perché è così stanco, sente i suoi pensieri così offuscati. Vuole riposare un po'. E che Peter riposi. Vede Clint che continua a guardarlo come se si sentisse in colpa, il che è stupido, forse dovrebbe solo smettere di non dormire. Perché Clint dovrebbe sentirsi in colpa? “Forse dovremmo chiamare Jarvis” propone dopo qualche secondo, sempre con la voce bassa, come se tenendo sotto controllo la voce potesse tenere sotto controllo la situazione.

Tony prende un respiro spezzato, continuando a guardare Peter, con le sopracciglia corrugate e una smorfia sulle labbra. “No” risponde, perché ce la può fare anche così. Ce la può fare anche da solo. Non c'è bisogno. Poi sente un peso sul petto che non lo fa respirare e Peter continua a vocalizzare, come se gli stesse raccontando qualcosa. Non sta piangendo più, non piange più. Che bravo. Che bravo bambino, non piange più. Tony invece… Potrebbe andare tutto storto. Potrebbe fargli tanto male. Non vuole che Peter stia male, non è quello che vuole. No.

“Tony” lo chiama Bruce, lanciando occhiate veloci a lui e poi a Clint. “Tony…”

“Sto bene” risponde lui, stancamente. “Stiamo bene” dice poi, e stringe un po' di più al petto Peter, che non protesta se non coi suoi versi che diventano piano piano più bassi, più sereni. Continua a giocare con il pizzetto di Tony, quando i suoi occhietti incontrano quelli di lui, ride. Il suo momento di infantile lucidità, in cui deve aver intuito che Tony è una brutta persona, figuriamoci che padre potrebbe essere, è finito. È tornato a essere un bambino felice di stare con il suo papà. Sembra che non possa fare altro se non pregare di stare il più possibile tra le sue braccia. Come se si sentisse al sicuro soltanto lì. A Tony manca il respiro. “Frequenterò il gruppo” riesce a mormorare, con la voce spezzata e piegandosi sul bambino, che non capisce cosa stia succedendo, motivo per cui scoppia a ridere. “Ma non chiamate Jarvis” chiede. Prega. Con il viso nascosto tra le coperte di Peter. “Non fatelo” finisce. Peter vocalizza. Fa un verso buffo. Tony tira su col naso.

Non vede come Clint e Bruce si lancino uno sguardo che non è soddisfatto, come pensa che invece dovrebbe esserlo, quanto preoccupato. Quanto frustrato. “Tony…” ripete Bruce a bassa voce, accarezzandosi il ponte del naso.

Tony continua a cullare Peter, che sospira sereno.






 
  
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