Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Sinkarii Luna Nera    14/04/2018    3 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
RMIcap22
22
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
“Chi sei?”
 
«L’aria che si respira nella valle è piuttosto tesa, Hogevor Calida. Più del solito».
 
«Sì… questo lo percepisco anche io» disse Calida «La valle è sempre stata una polveriera e ora abbiamo tutti la sensazione che sia pronta a esplodere per l’ennesima volta. Attacchi e sabotaggi di tutte le città contro ogni altra città ormai sono all’ordine del giorno, basti pensare alla piccola armata di Moriameer che abbiamo bloccato ieri».
 
“Chi sei?”
 
«Quel che è successo un anno e mezzo fa ha contribuito. Thandrumeer» aggiunse Recte, il Lusan nero che era tra i luogotenenti di Calida «Sembrava che quel che abbiamo fatto fosse servito a schiacciare la voglia di conflitti che c’era già in giro, ma sul lungo termine-»
 
«Aver distrutto Thandrumeer allora significa trovarsi una città in meno contro cui avere a che fare oggi. Se non l’avessimo fatto la guerra sarebbe scoppiata ugualmente, la sola differenza è che ci saremmo stati noi al loro posto. Finito?»
 
«Sissignora».
 
«Bene. Sei congedato…»
 
“Come ti chiami?”
 
«Vai» concluse la Lusan, incapace di pronunciare il nome del suo sottoposto.
 
“So di conoscerti, so che dovrei sapere chi sei. Di fatto però non lo so più. Non oggi, almeno” pensò Calida, stringendo forte i pugni mentre guardava Recte allontanarsi “Non lo so più!
 
Trattenendo un grido che era disperato quanto esasperato, Calida scagliò con tutte le proprie forze un pugno contro la parete in pietra, nella speranza vana che quel gesto privo di senso potesse aiutarla a provare sensazioni vere e riprendere contatto con una realtà che le sfuggiva sempre di più tra le dita.
Tuttavia non poté trovare né “sollievo” né la sorta di risveglio che andava disperatamente cercando, non nel dolore: non lo soffriva più da quando era bambina.
 
Conscia di essersi procurata qualche frattura, osservò la mano sinistra dalle dita rattrappite tremare leggermente: per qualche attimo arrivò a prendere perfino in considerazione l’idea di tagliarla via… e di tagliarsi anche la gola subito dopo.
 
C’era stato un periodo in cui si era preoccupata che fosse Anise a poter fare una cosa del genere, ora invece riteneva molto più probabile che fosse lei stessa a commettere un simile gesto.
 
Inizialmente c’erano stati quella rabbia pulsante che aveva sfogato con pestaggi ai Lusan delle altre città e quegli attimi allucinatori in cui aveva scambiato il loro volto con quello di sua sorella; poi i deliri erano peggiorati -perché aveva iniziato a vedere cadavere parlante di Anise che si disfaceva- e si erano infittiti, allungati, al punto che in certi momenti Calida si era trovata davanti due Anise contemporaneamente: quella vera, viva e in salute, e l’altra, che gorgogliava accuse da una gola tagliata e la fissava con le sue orbite vuote.
Ora, senza che nulla di tutto ciò fosse svanito, si erano aggiunti momenti in cui non riconosceva i suoi stessi soldati, o meglio, a volte si rendeva conto di conoscerli ma non riusciva a ricordare i loro nomi, altre volte invece persone che aveva visto tutti i giorni per anni le sembravano volti del tutto sconosciuti.
 
Ogni giorno il nodo alla gola e la stretta allo stomaco che avvertiva diventavano più fastidiosi e asfissianti. C’erano dei momenti in cui aveva la sensazione che le mancasse l’aria e altri in cui avrebbe solo voluto poter fuggire urlando, con gli occhi chiusi, per non dover temere di non identificare chi e cosa vedeva.
 
Alzarsi tutte le mattine era diventata una condanna, sia a causa della consapevolezza di essere peggiorata sia per la paura di un’ulteriore degenerazione.
Ogni passo che compieva lungo le vie della città guardandosi attorno era diventato fonte di ansia: cosa sarebbe successo se un giorno avesse smesso di riconoscere chiunque? Di riconoscere quelle strade, quelle case di cui in un certo senso conosceva a memoria ogni crepa?
Cosa sarebbe successo se un giorno fosse arrivata a non riconoscere più neppure Anise?
 
Non c’era più alcun momento di sollievo per Calida, perché non c’era salvezza per chi si trovava a combattere con simili demoni, non c’era mai.
Lo sapeva così bene che ormai non riusciva più a contare le notti in cui si era svegliata in preda all’angoscia, stringendosi la testa tra le mani e bisbigliando richieste d’aiuto totalmente inutili, che nessuno avrebbe potuto sentire e tantomeno accogliere, e quelle preghiere disperate a divinità non meglio specificate servivano soltanto a farla vergognare di se stessa il giorno dopo.
 
Combattuta tra il bisogno di uscire da quella stanza e il terrore di ritrovarsi in un posto sconosciuto, Calida si mise semplicemente a sedere, dando le spalle alla sola finestra presente in quella stanza.
 
Chiunque l’avesse vista avrebbe pensato che si stesse concentrando su come affrontare la guerra che quasi sicuramente sarebbe scoppiata, non che stesse seriamente riflettendo sul fatto che forse, forse, sarebbe stato meglio scegliere finalmente un vice -non l’aveva fatto, visto che lei un tempo lo era stata e aveva finito per uccidere il suo capo- ritirarsi e lasciare il comando a qualcun altro.
Possibilmente in una giornata in cui riconosceva tutti quelli che le stavano attorno.
 
“Però se abbandonassi proprio ora che potrebbe esserci veramente bisogno di me, sapendo che pur con tutti i problemi che ho sono ancora in grado di fare qualcosa di buono per la mia città, sarebbe il colpo di grazia per una salute mentale che sta andando a farsi fottere sempre più” pensò, orribilmente combattuta.
 
«E vai a farti fottere anche tu» mormorò, degnando solo di un’occhiata la testa malamente tagliata di Anise che era appena comparsa sul tavolo «Lei è viva e in salute, tu non esisti».
 
Quando aveva iniziato a ricordare i propri soldati solo a tratti?
Se cercava di rispondere a quella domanda le veniva in mente il giorno in cui aveva avuto quel contatto con Rubedo -o Kamandi, che dir si voglia.
Nel tempo aveva cercato di dirsi “Forse Anise non aveva torto, forse è stato davvero solo un sogno”, però c’era una parte di lei che invece credeva fermamente nel fatto di essere stata veramente contattata da una figura leggendaria… e di aver ricevuto da essa una delusione altrettanto leggendaria. Il richiamo verso Vynumeer era rimasto fortissimo ma, ripensando a quel vecchio Lusan miserabile, lei non aveva più ceduto.
 
“Però se -no, quando- scoppierà l’ennesima guerra tra città, un potere come quello della corona potrebbe fare molto comodo. Distruggere le armate altrui e conquistare le altre città sarebbe facile. Riuscirei a realizzare quello che ho sempre sognato di fare…”
 
Rifletté anche sul fatto che forse riuscire nel suo intento sarebbe perfino servito a migliorare le sue condizioni psichiche, però poi finì ad alzare gli occhi al soffitto e ad aggiungere “sì, e poi diventerò una dolce, tenera e cara fatina dei boschi”. Non doveva permettersi di sperare in un miglioramento.
 
“E poi l’idea di avere dentro Rubedo non mi attira” pensò “Non mi attirerebbe nemmeno se fosse un ‘averlo dentro’ in senso fisico, essendo mediocre in tutto immagino che lo sarebbe anche la sua durata”.
 
Solo in quel momento le tornò in mente una cosa fondamentale: quello era giorno di visita. Da quando aveva iniziato ad avere problemi nel ricordare le persone aveva iniziato ad andare a trovare Anise due volte a settimana.
All’inizio era stata molto combattuta, si era detta che quel peggioramento poteva essere un rischio per la sicurezza di sua sorella, poi però aveva ceduto, e Anise per Calida era diventata una specie di “indicatore”: finché fosse stata in grado di riconoscerla senza esitazioni, avrebbe potuto ritenersi ancora da non buttare via completamente.
 
Si fece animo, si alzò, uscì dalla stanza cercando di mantenere un’essenziale parvenza di normalità e lasciò la città, diretta alla casa nella foresta. Nel notare che anche in quell’occasione aveva riconosciuto -e stava riconoscendo- tranquillamente le strade si permise di sentirsi leggermente più tranquilla.
 
Mentre si avvicinava alla foresta a passi lunghi e veloci notò che il cielo, tutt’altro che sereno fin dal mattino, era diventato ancora più scuro. Le gocce di pioggia che iniziarono a cadere impietose sulla sua testa però non fermarono la sua avanzata.
 
Una volta che ebbe raggiunto il fiume e poi la “scala” di massi piatti, che era una scorciatoia per raggiungere la casa nel bosco in minor tempo, iniziò a chiedersi per la prima volta come sarebbe stata la sua vita se invece di dedicarsi alla carriera -e soprattutto lasciare che Anise sposasse Meskal- fossero andate a vivere nella foresta quando Anise era ancora bambina, quando il loro rapporto in origine puro non era stato ancora corrotto. Magari avrebbero vissuto entrambe molto meglio, o magari tutto sarebbe degenerato in egual modo: non le era dato saperlo.
 
Dopo circa sette minuti di cammino intravide finalmente la casa nella foresta, e notò subito Anise seduta sul tetto. Le chiome foltissime degli alberi la riparavano dalla stragrande maggioranza della pioggia, però non potevano farlo del tutto, dunque per Calida era piuttosto assurdo che se ne stesse ferma lì. «Aspetti che un fulmine ti colpisca o cosa?»
 
«Entrambe le opzioni mi vanno benissimo».
 
«Insomma è una bella giornata, di pari passo con il meteo» commentò Calida, avvicinandosi ulteriormente alla casa.
 
«A volte penso che il mio umore venga influenzato anche da quello» disse Anise «Vengo giù io o vieni su tu?»
 
«Anise, piove» le fece notare l’altra.
 
«Si percepisce a malapena».
 
In quei mesi per Calida c’era stato un peggioramento, ma quel discorso non valeva solamente per lei. Anise da dopo quella sottospecie di attacco di panico avuto a Vynumeer non era stata più la stessa: se mai nel lasso di tempo che era passato aveva sorriso, Calida non riusciva a ricordarlo. Se lo aveva fatto doveva essere stato mentre lei non era presente. «Non fare la sciocca, vieni giù».
 
La giovane si rassegnò ad alzarsi e a rientrare in casa passando per la finestra da cui era uscita, quella della camera da letto; dopo nemmeno un minuto, Calida la vide aprire la porta principale di casa.
 
«Entra. Non ho fatto l’infuso, non ricordavo che oggi fosse giorno di visita» disse Anise «Ultimamente fatico a distinguerne uno dall’altro».
 
«Se non altro questa volta ti ho trovata sveglia».
 
Era un’altra delle cose che erano cambiate, l’ennesima: sua sorella quando era a casa tendeva ad alzarsi sempre piuttosto presto al mattino, mentre da diverso tempo a quella parte l’aveva trovata intenta a dormire anche a ora di pranzo o nel pomeriggio, oppure a ore improbabili della sera.
 
«È che a breve dovrebbero arrivare Beerus e Champa» le spiegò Anise «O solo Beerus. Da quando hanno litigato tempo fa i loro rapporti sono  peggiorati. Nel caso sia presente anche Beerus, Champa di solito si trattiene per un’ora
al massimo. La sola volta in cui è rimasto di più è stata l’occasione del mio ventunesimo compleanno. Non hai idea di quanto sia dispiaciuta per tutto questo».
 
«Se quei due litigano uno con l’altro tu non puoi fare molto».
 
«Purtroppo è vero. Non posso fare altro se non da cuscinetto… per quel che serve».
 
«Come va tra te e quell’adorabile personcina che è il nostro Hakaishin?»
 
Anise fece spallucce. «Tiriamo avanti. E a te, Calida? Come va?»
 
«Tutto nella norma» “A parte per il fatto che le mani del tuo cadavere mi stanno stringendo il collo proprio in questo momento” aggiunse mentalmente «Solo che c'è aria di guerra».
 
«Tanto per cambiare».
 
«No, Anise: tira aria di guerra vera. Tu non puoi riconoscerla, perché sei nata qualche anno dopo la fine» disse Calida «Ma io la ricordo benissimo e ti assicuro che ci siamo. Le azioni di sabotaggio e di attacco sono diventate estremamente frequenti, non solo contro la mia città ma, stando alle informazioni che ho raccolto, anche contro le altre. È un tutti contro tutti proprio come l’ultima volta e, com’è accaduto anni fa, da questo scaturirà una guerra. Te lo dico io».
 
«La cosa positiva è che avendo raso al suolo Thandrumeer avrete una città in meno di cui preoccuparvi».
 
«È vero. Credo che però quel che sta accadendo adesso sia dovuto anche alla distruzione di Thandrumeer. Sai che tutte le guerre e battaglie passate non hanno mai portato alla distruzione di una città, perché le risorse, le persone e lo sviluppo degli armamenti erano più o meno allo stesso livello per tutti; per un po’ la paura di finire come loro ha acquietato il tutto, ma allo stesso tempo quel che è successo ha dimostrato che distruggere una città è veramente possibile».
 
«Voi però siete meglio armati» obiettò Anise.
 
«Qualche cannone diverso dal resto non può sempre fare la differenza, anche perché non tutte le città della valle hanno accanto una montagna. Prevedo sangue e morte, più del solito».
 
«Tu vivi per certe cose, eppure non sembri contenta».
 
«Molti abitanti della mia città moriranno, molti edifici saranno distrutti, molte coltivazioni verranno bruciate. Per quanta sete di sangue possa avere mi rendo conto di quali saranno le perdite, quindi è ovvio che non mi rallegri» replicò Calida.
 
Anise avrebbe voluto rispondere qualcosa ma la porta d’ingresso si aprì. Era Beerus, arrivato sul posto per primo.
 
«Erano bei tempi quelli in cui si bussava prima di entrare in casa altrui» commentò Calida, senza degnare Beerus di un’occhiata. Se non altro sembrava non avere problemi a riconoscere anche lui.
 
«Per caso hai qualche problema?» ribatté freddamente il dio.
 
“Hai qualche problema”. Lo aveva detto davvero? Sul serio?
 
Quasi senza accorgersene iniziò a ridere: prima in un modo soffocato che poteva quasi far pensare a dei singhiozzi, poi scoppiò all’improvviso in una risata folle, quasi disperata e allo stesso tempo degna di un demonio, violenta al punto che se avesse sofferto il dolore avrebbe potuto lamentare il mal di gola.
Solo quando il momento di ilarità incontrollabile si calmò un po’ notò che Anise la stava guardando con aria giustamente perplessa, mentre Lord Beerus sembrava indeciso se distruggerla sul posto oppure no.
 
«Sì, effettivamente ho qualche problema» disse la Lusan, una volta ripreso fiato, ancora scossa da risate che non avevano niente di allegro «E al momento il primo tra tutti è avere a che fare con un dio ragazzino ben poco sveglio. Cos’abbia visto di buono in te mia sorella è un mistero»
 
«Calida!» sbottò Anise «smett-»
 
«Se non chiudi quella stramaledetta bocca giuro su quel che vuoi che ti distruggo sul posto» ringhiò Beerus «Sappi che se non l’ho già fatto è solo perché Anise non vuole. Se fosse stato per me, tu e tutto il resto di quella valle di schizzati sareste spariti da un pezzo!»
 
«Sì, sì, immaginavo» minimizzò Calida «Dammi pure la colpa per quanto riguarda Meskal, che era quel che era» aggiunse, rivolta ad Anise «Però questo qui, che hai scelto da sola, non è poi tanto meglio. Lui vorrebbe distruggermi… ma io, se solo avessi abbastanza forza per riuscirci, gli avrei già strappato gli occhi e li avrei divorati con gran gusto».
 
«Calida, vai» disse Anise, indicandole la porta «È stato già detto più che abbastanza. Vai».
 
La risata di prima l’aveva inquietata abbastanza, per non dire spaventata, perché Calida pur non essendo mai stata troppo normale non aveva mai reagito in quel modo in vita sua; se a quella si aggiungevano simili discorsi riguardo lo strappare e divorare occhi -che comunque non le erano nuovi- o Meskal, e il fatto che Beerus fosse tesissimo e decisamente arrabbiato, era ovvio che fosse meglio cercare di allontanare i due litiganti prima che scoppiasse un disastro.
 
Se non altro Calida non si fece pregare, limitandosi a rivolgerle un cenno di saluto senza degnare Beerus di uno sguardo per poi uscire tranquillamente di casa, lasciandoli soli.
 
«Se ora mi vieni a dire che quella tizia di cui mi rifiuto di pronunciare il nome non è totalmente fuori di testa, inizierò a pensare che non sei tanto più a posto di lei!» sentenziò Beerus.
 
«Ammetto che in altri momenti l’ho vista più “tranquilla”, diciamo, ma tra le città tira aria di guerra, quindi deve aver avuto una pessima giornata… e in ogni caso che vi odiate non è una novità».
 
«Secondo te è normale che abbia detto di volermi strappare gli occhi e divorarli?! Sei seria?! Lei può dire una cosa del genere e va benissimo, se invece io dicessi qualcosa più o meno sullo stesso tono la tua reazione sarebbe sicuramente diversa!» protestò il dio.
 
«Quando prima hai detto che l’avresti distrutta volentieri, io ho fatto commenti?»
 
«No, ma-»
 
«Ecco» lo interruppe Anise, tentando di concludere così il discorso.
 
«Ha detto che non capisce cosa tu abbia trovato di buono in me, si è permessa di giudicare la nostra relazione, cos’avrei dovuto fare?» insistette Beerus, imperterrito.
 
«In quel momento infatti le ho detto di smetterla, o meglio, le avrei detto di smetterla se tu non mi avessi interrotto a “smett”. Tanto per cambiare».
 
«Quindi ora sarebbe colpa mia se quel brutto energumeno che tu chiami “sorella” è pazza da legare?! Questo è veramente il colmo!»
 
«Io per l’appunto ho parlato del fatto che tu mi abbia interrotta e abbia voluto metterti a litigare per forza» ribatté Anise «Quando invece si sarebbero potuti evitare quei bei discorsi su distruzione ed estrazione di occhi».
 
«Non potevi pretendere che stessi zitto, dopo quasi tre anni insieme dovresti conoscermi. Abbiamo già abbastanza problemi senza che si mettano in mezzo anche persone che con noi due non c’entrano alcunché».
 
«Sul fatto che abbiamo già abbastanza problemi non posso che darti ragione».
 
Il problema della gravidanza era stato risolto, però neppure questo aveva portato molto di buono alla loro relazione.
Anise aveva iniziato già da un po’a superare l’aborto di per sé, quel che invece stentava a superare era il fatto di averlo tenuto -e continuare a tenerlo- nascosto. Aveva avuto i suoi motivi per decidere di non dire alcunché e pensava ancora che fossero validi, però questo non contribuiva a rendere la cosa meno pesante. Com’era prevedibile quel segreto non aveva fatto che allontanarla di più dal suo compagno, in un misto di “non avrebbe capito e non capirebbe, visto come va” e di “non merito la sua vicinanza in ogni caso”.
 
Beerus continuava a non comportarsi più come all’inizio, ma anche lei adesso non faceva più nulla per cercare di migliorare le cose. Non riusciva a essere costante nemmeno nel tanto favoleggiato “crederci” -che in ogni caso serviva a poco- e ormai quando discutevano non cercava più di calmare gli animi come faceva in precedenza.
 
«Non era quel che avrei voluto sentirti dire, Anise».
 
«Però è la verità».
 
Aveva detto a Calida che lei e Beerus “tiravano avanti”: solitamente quello era solo un modo di dire, ma in quel caso era estremamente appropriato, perché era esattamente quel che stavano facendo.
Tiravano avanti una relazione che forse avrebbero dovuto troncare già da un pezzo, tutto questo solo perché entrambi -pur non riuscendo più a dimostrarlo- si amavano ancora troppo per riuscire a mettere un punto, nonostante tutto quel che si era messo in mezzo tra loro due.
“Insieme non stiamo bene ma divisi sarebbe molto peggio, e finché siamo insieme possiamo sperare in un miracolo”, quello era il pensiero comune a tutti e due: se fosse giusto o veritiero non era dato sapere, ma di fatto era la loro idea.
 
«Ho la sensazione che tu stia per dire qualcosa che non mi piacerà» borbottò il dio, guardandola appena.
 
«Così non va».
 
«Appunto».
 
«Anche questa è la verità. Può non piacerci ma è così: non va» affermò Anise «Ci vediamo e litighiamo, sempre che iniziamo a parlare».
 
«Da molti mesi a questa parte sei tu quella che non parla. Perfino quando litighiamo e le cose vanno per le lunghe ti metti in disparte stando in silenzio e mi lasci lì a “litigare da solo”. Mi sembra di avere a che fare con una specie di muro di gomma! Prima ti comportavi diversamente!»
 
«Sì e sai cosa ottenevo? Sentirmi la bocca secca a forza di parlare inutilmente, perché tu non mi ascoltavi in ogni caso. Perché avrei dovuto continuare in quel modo? A che pro, Beerus?»
 
«Ci siamo allontanati ancora di più…» disse l’Hakaishin, piano «Non è quel che avrei voluto».
 
«Ormai è più di un anno che andiamo avanti a dire che questo non è quello che avremmo voluto, ci hai fatto caso? Forse dovremmo mettere un pun-»
 
«Anise, non dirlo».
 
«Beerus-»
 
«Non dirlo» la interruppe lui «Sono sul punto di chiedertelo per favore. Non dirlo».
 
«Posso anche fare a meno di dirlo ma la realtà è piuttosto palese, purtroppo».
 
Beerus fece un sospiro nervoso, per poi sollevare lo sguardo su di lei. «Io non intendo lasciarti. Tu sei la mia Neiē».
 
«A dire il vero sono una Iarim Neiē. Quel giuramento non è stato mai fatto, non è stato reciproco, non è vincolante».
 
«Io l’ho fatto! L’ho fatto, ci credevo e ci credo ancora!» ribatté con decisione il giovane «“Giuro che non avrò altre che te, finché avrò vita”. Sarei disposto a rifarlo anche adesso, se vuoi saperlo! Sarei disposto anche a farlo sul serio e a renderlo vincolante, se tu volessi!»
 
«Saresti veramente disposto a farlo nella situazione in cui ci troviamo?!» allibì Anise «Sarebbe da pazzi!»
 
«E allora vuol dire che sono pazzo, perché io sto parlando seriamente. Tu per me sei la mia Neiē, quindi io non ti lascio. Questo è quanto».
 
«Quindi è solo per quel giuramento a metà che tu non vuoi lasciar perdere?»
 
«Se anche non l’avessi giurato sarebbe lo stesso, te l’assicuro. Non mi importa quanti problemi possiamo avere, non mi importa di quanto possiamo esserci allontanati, dei silenzi, dei litigi, non mi importa!» esclamò Beerus «Sarei ancora pronto a mettere la mia vita nelle tue mani. Letteralmente».
 
«Credo che se Whis ti stesse ascoltando potremmo sentirlo bestemmiare».
 
La sola cosa buona di quel periodo era che Whis aveva veramente smesso di intromettersi tra loro due, facendo quel che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.
Anise non era più stata vittima di tentativi di sabotaggio o frecciatine, né quel che succedeva con Beerus le aveva causato il sospetto che Whis stesse continuando a remare loro contro: si poteva dire che lei e l’angelo ormai si limitassero veramente a dei “buongiorno”, “buonasera” e “buon appetito” di circostanza.
Poteva sembrare anch'essa una situazione pesante ma onestamente a lei non dispiaceva, la sola vera “perdita” risiedeva nel fatto che avessero smesso del tutto di giocare a scacchi. Ormai se Anise aveva voglia di farlo doveva chiederlo a Vados prima che questa mollasse Champa a casa sua.
 
«Non mi importa neanche di Whis, va bene?» sbuffò Beerus «A me importa solo di due persone, e quelle due persone sono entrambe in questa stanza».
 
«Ragiona! Rispetto a quando mi hai fatto quella proposta è cambiato tutto, non credi?»
 
«Quel che mi ha spinto a fartela non è cambiato. Possiamo dire che sia cambiato tutto e niente».
 
La Lusan rimase per un po’a guardarlo in silenzio, per poi annuire. «In un certo senso non hai torto».
 
«Quindi davvero, non parlare più di chiudere la nostra storia. Tu non vuoi, io non voglio: non c’è molto altro da aggiungere».
 
In momenti come quello, pur non dicendo mai le parole “ti amo” o “amore”, Beerus  riusciva a far capire ad Anise che sepolto sotto il loro mare di problemi c’era ancora tutto quello che li aveva spinti a mettersi insieme inizialmente. Se l’avesse detto qualcun altro in una situazione analoga Anise avrebbe potuto pensare che fossero chiacchiere vuote in cui non credeva neppure lui, ma Beerus non era “qualcun altro”, e lei sapeva che se non avesse pensato davvero quel che le stava dicendo non si sarebbe mai esposto così tanto.
Era anche per quella ragione che pensare veramente di chiudere tutto era difficile, e che lo sarebbe sempre rimasto.

Anise a volte iniziava perfino a credere che sarebbero veramente rimasti in quella situazione in eterno -una prospettiva non proprio gradevole: tutto quel che era successo li aveva spinti sul ciglio del baratro senza farli cadere, e in “quel che era successo” era compreso anche un aborto tenuto segreto. Non aveva proprio idea di cosa potesse riuscire a separarli una volta per tutte, né era sicura di volerlo sapere.
 
«Andremo avanti così?»
 
Il dio fece spallucce. «Vedi alternative che siano praticabili?»
 
«Non so… una terapia di coppia. Non so bene in cosa consista, però dicevano che fa bene. In certi pianeti facevano cose del genere, ho visto dei volantini in lingua comune».
 
«“Facevano?”»
 
«Li hai distrutti, Beerus».
 
«Oh».
 
«Nulla esclude che la facciano anche altrove…»
 
«Bah. Né tu né io sappiamo di preciso cosa sia e comunque non voglio che qualcuno si metta a farci “terapie”» disse Beerus, scettico «Ci manca solo che nella nostra storia si immischi anche qualcun altro! È una pessima idea».
 
Sentirono qualcuno bussare alla porta.
 
«Anise! Sei in casa?» chiamò Champa, restando fuori.
 
«Sì, ci siamo io e Beerus. Entra pure!»
 
Quando Champa entrò in casa non aveva un’espressione troppo entusiasta, perché avrebbe preferito poter stare da solo con la sua amica almeno per qualche minuto, però non intendeva mettersi a discutere con Beerus: voleva evitare che Anise potesse aversene a male.
Non essendo stupido aveva notato il cambiamento che c’era stato in quei mesi -già solo per il fatto di averla trovata più volte addormentata a ore improbabili- dunque non voleva essere causa di ulteriori problemi. «Ti ho portato un po’di praline da Swetts, so che ti piacciono».

 
Anise sorrise per la prima volta in quella giornata. «Grazie, sei stato gentile».
 
«O ruffiano, a seconda dell’interpretazione» commentò Beerus «Potresti anche trovare una ragazza a cui portare le praline, invece di portarle alla mia».
 
«La prossima volta pensa anche tu di portarne, sarebbe più utile rispetto a iniziare una mezza scenata di non so cosa. Vado a metterle in cucina, torno subito» concluse la lince, dileguandosi.
 
I gemelli rimasero soli, scambiandosi occhiate torve.
 
«Se non riesci a evitare di litigare con lei, cerca almeno di non prendertela con me quando Anise è presente. È per questo che non ti ho già tirato un pugno in faccia» disse Champa «Sai benissimo che le dispiace».
 
«Il tutto potrebbe essere evitato se tu smettessi di venire qui. Non so perché continui» ribatté Beerus.
 
«Perché qui vive un’amica che al momento non sta bene. Poi l’idiota di un gatto sarei io, eh?»
 
«Se tu-»
 
«Eccomi. Non voglio sapere quanti complimenti vi siete fatti in questo breve lasso di tempo, immagino che resterei sorpresa» sospirò la Lusan «Cos’avevamo in programma oggi?»
 
«In realtà nulla» rispose Beerus «Abbiamo smesso da un pezzo di programmare attività».
 
«Lago?...» propose Champa «Al lago siamo sempre stati bene. Credo che a breve smetterà di povere, quindi potremmo andarci».
 
Dopo un breve momento di silenzio in cui tutti e tre provarono la stessa nostalgia, decisero che andare a fare compagnia ai morti nel lago di Vynumeer non era una cattiva idea.
 
 
 
 
 
 
Ok, questo è in assoluto il capitolo più corto di tutta la storia. Credo sia dovuto al fatto che ho una certa difficoltà con i capitoli di mezzo in cui non c’è proprio nulla da far accadere. O quasi, perché immagino di non farvi chissà quale spoiler dicendo che la guerra tra le città scoppierà sul serio xD
Grazie a chiunque stia ancora leggendo la storia (:
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Sinkarii Luna Nera