La ragazza
guardò il misero straccio che Rolf le stava porgendo.
Ammesso che ci fosse
veramente la necessità di nascondersi dalle persone che si
stavano avvicinando,
giungendo dalla direzione opposta alla loro, quel telo sarebbe stata
una
protezione sufficiente?
Secondo me,
finirò soltanto per dare
nell’occhio e attirare ancora di più
l’attenzione.
«Muoviti!»
l’apostrofò Karl, con una nota di urgenza nella
voce. Non vedendo alternative,
Lidia si sdraiò sul pianale del carro e Rolf
drappeggiò sopra di lei il telo di
juta. Immediatamente, un odore denso e penetrante, di polvere e di
fibre, le
invase i polmoni, e la fanciulla dovette combattere contro
l’impulso di tossire
rumorosamente. «Mi vedranno comunque» si
lamentò, con la voce soffocata dal
tessuto pesante.
«È sempre
meglio di niente» replicò Karl. «Tu stai
ferma… così abbiamo la speranza che ti
scambino per un sacco di patate o qualcosa del genere!»
Che idea cretina, pensò
Lidia, stringendo i denti e costringendosi a rimanere immobile. Non
sarebbe
forse stato meglio restare in piena vista e ostentare indifferenza? Tanto dubito che, chiunque ci sia su quel
carro automatico, mi conosca così bene da riconoscermi a
colpo d’occhio. Al
massimo me la sarei potuta mettere in testa, questa coperta…
Appoggiando
una guancia contro il legno ruvido e cercando di assorbire le
vibrazioni e i
sobbalzi del carretto come meglio poteva, la giovane romana rimase in
ascolto,
mentre il borbottio del carro automatico si avvicinava sempre di
più. Saranno dei legionari,
rifletté ancora
la ragazza. Chi altro potrebbe
permettersi una macchina del genere? Possibile che qualcuno mi stia
già
cercando? Che il Prefetto abbia scoperto che qualcosa è
andato storto e abbia
mandato i rinforzi?
Lidia
pregò ardentemente che le cose non stessero così:
se avessero incrociato gli
uomini di Caleno e quelli l’avessero riconosciuta, era
alquanto probabile che
l’avrebbero costretta a invertire ancora una volta la rotta e
a dirigersi
nuovamente verso Roma. Cosa che non ho
assolutamente intenzione di fare: non adesso che sono coì
vicina a tornare da
Ulf!
Con un
improvviso barlume di speranza, Lidia si chiese se vi fosse qualche
possibilità
che anche il Legato Libo fosse venuto a conoscenza della sua partenza
forzata
e, deciso a opporsi alle disposizioni di Caleno, avesse mandato
qualcuno a
recuperarla. Sarebbe davvero perfetto!
Così potrei tornare a Erding molto più in
fretta… e non sarei nemmeno costretta
a viaggiare con Karl!
Anche se
non aveva modo di vedere alcun ché, quando i sobbalzi del
carro si fecero meno
bruschi, Lidia comprese che Karl si stava fermando. Perché
ti fermi? Gli chiese in silenzio, premendo i polpastrelli
sul pianale del carro fino a quando non sentì le unghie
penetrare leggermente
nel legno. Vai avanti, fai finta di
niente…
Come
obbedendo al suo ordine silenzioso, Karl piegò lievemente
verso destra, forse
per permettere a chiunque ci fosse davanti a loro di passare.
«Buongiorno.»
Quel
saluto improvviso – che non era stato pronunciato da Karl
– la fece sussultare.
Dove aveva già sentito quello strano accento strascicato?
Nel momento stesso in
cui si poneva la domanda, Lidia trovava la risposta. Alexander!
Comprese sgomenta, con il cuore in gola. Subito si
ricordò ciò che Gaio le aveva detto la sera
prima: il germanico aveva promesso
di recuperare da qualche parte un carro automatico, che però
non era arrivato
in tempo per la loro partenza. Evidentemente
gliel’hanno fatto avere durante la notte! Ma
perché è in giro? Cosa sta
facendo?
Karl
rispose al saluto dell’uomo con una sorta di grugnito poco
amichevole. La
fanciulla sperò che l’ostilità del suo
accompagnatore fosse sufficiente per
scoraggiare Alexander, ma, per suo sommo orrore, il borbottio del
motore del
carro automatico cessò, indice che l’uomo aveva
spento la macchina.
«Non
riesco a passare» ringhiò Karl, in un tono che a
Lidia non piacque affatto.
«Spostatevi un po’ a sinistra.»
La ragazza
dovette compiere un notevole sforzo di volontà per impedirsi
di mettersi a
sedere e vedere con i propri occhi quello che stava succedendo. “Spostatevi”? Si
disse. Perché parla al plurale?
Alexander non è
solo?
«Certamente»
replicò educatamente l’uomo dai capelli rossi.
«Vieni da sud?» Karl attese
qualche istante, prima di rispondere, e Lidia si chiese se anche lui,
come lei,
avesse intravisto una trappola in quella domanda apparentemente
innocente. «Mi
pare ovvio» sbottò poi il germanico.
«In questo
caso», riprese Alexander, «forse ci puoi aiutare.
Stiamo cercando una ragazza:
mora, non tanto alta. Forse viaggia da sola o forse è
accompagnata da alcuni
uomini: l’hai vista, per caso?»
«Se ho
incrociato delle ragazze, non ci ho badato.» Karl aveva
risposto con prontezza
e con voce ferma, ma Lidia era talmente stupefatta da quello che aveva
appena
udito, che le parole del germanico giunsero alle sue orecchie un
po’ attutite.
Era assolutamente palese che Alexander si stesse riferendo proprio a
lei, ma,
sulle prime, la fanciulla non riuscì a comprendere come
fosse possibile che
l’uomo fosse al corrente della sua scomparsa.
Quell’interrogativo
ebbe però vita breve. «Tu vieni da Erding, non
è così? Lavori alla miniera.»
Non era stato Alexander a parlare, ma un’altra voce, fin
troppo familiare. Tito!
Pensò Lidia, mentre il sangue le
defluiva dalla faccia. Come può
essere
qui? L’ho lasciato in mezzo a un bosco, da solo, nel cuore
della notte… e noi
non ci siamo mai fermati!
In un modo
o nell’altro, il giovane romano li aveva preceduti. E non solo: ha anche fatto in tempo a raggiungere
Alexander e a dirgli
quello che è successo! Come ha fatto? Per una
frazione di secondo, la
ragazza fu tentata di balzare in piedi e di chiedere spiegazioni, ma il
buon
senso – e la mano di Rolf che, non vista, le sfiorava la
schiena – la spinse a
rimanere sdraiata sul fondo del carro, in attesa
dell’evolversi degli eventi.
«Sì.» La
voce di Karl si era fatta guardinga e in essa Lidia riconobbe
quell’accento
tagliente che gliel’aveva fatto notare le prime volte che
aveva avuto a che
fare con lui. «Tu invece sei quel ragazzino romano che
gironzola al villaggio,
ultimamente.»
No! Stai zitto, idiota!
Non far vedere che lo
conosci! Frustrata,
Lidia si morse un labbro, cercando di contenere il
nervosismo. Che motivo aveva, Karl, di far capire a Tito che sapeva chi
fosse? Rischia di attirare
l’attenzione… su di me.
«Ci siamo
già incontrati?» indagò Tito. Anche se
non aveva modo di vederlo, la fanciulla
si figurò perfettamente l’espressione sospettosa
che si era sicuramente disegnata
sul suo volto. Prima che il germanico avesse modo di rispondere, il
giovane
romano riprese a parlare. «Aspetta un attimo» disse
lentamente. «Tu non sei… tu
conosci Lidia! Hai sposato la sorella di suo marito, vero?»
Orripilata
dalla piega che stava prendendo il discorso, la ragazza trattenne il
fiato. «Ne
sei sicuro?» Era stato Alexander a parlare, e nel suo tono
cauto Lidia colse
qualcosa che la fece rabbrividire. Karl inspirò come per
dire qualcosa, ma Tito
lo precedette. «Certo, che ne sono sicuro!»
esclamò. «Me lo ricordo benissimo,
adesso: è stato il Prefetto in persona a dirmi chi fosse e a
consigliarmi di
tenerlo d’occhio… non è un tipo
raccomandabile, ed è uno di quelli che fanno
più casini, a quanto pare!»
Sebbene,
in tutta coscienza, Lidia non si sentisse di dissentire col ritratto
che Tito
aveva appena fatto del cognato, il fatto che Karl fosse stato
letteralmente schedato da Caleno e
dai suoi sottoposti
la disturbava un po’.
«Vogliamo
davvero parlare di chi è che fa più casino,
romano?» lo provocò Karl, che, evidentemente,
stava perdendo la pazienza. «Per
quanto mi riguarda, siete…» «Non
è il momento di parlare di queste cose»
intervenne bruscamente Alexander, nella sua voce
un’autorevolezza che, fino a
quel momento, Lidia non aveva mai notato. «Quello che conta,
adesso, è
ritrovare Lidia… che sembra essere sparita nel nulla in
circostanze poco
chiare.»
«Esatto»
concordò Tito, con voce un po’ roca.
«Non so perché, ma ho come il sospetto che
la sua presenza da queste parti non sia esattamente una coincidenza:
perché sei
qui, minatore?»
«La cosa
non ti riguarda» ribatté Karl, altrettanto
duramente. Accanto a lei, Lidia
avvertì Rolf vacillare lievemente, come se il ragazzino
fosse intimorito dai
toni sempre più accesi della conversazione che si stava
svolgendo davanti ai
suoi occhi.
«Tu sai
dov’è Lidia, non è
così?» insistette Tito, con voce dura.
«Dove l’hai portata?»
«Tito…»
Alexander provò nuovamente a inserirsi nella conversazione,
ma il giovane
romano non glielo permise. «Anzi, fammi un po’
vedere che cos’hai sul carro?
Che cosa trasporti?»
«Non ti
avvicinare, ragazzino» ringhiò di rimando Karl.
«Quello che trasporto è affar
mio: ti assicuro che non ci ho nascosto il corpo della tua amica, qui
sopra.»
Tecnicamente non
è una bugia,
osservò
Lidia, con una punta di sarcasmo dettato più che altro dalla
disperazione.
Quasi senza accorgersene, si ritrovò ad appiattirsi ancor di
più contro il
fondo del carro, riducendo al minimo il respiro. Per qualche istante,
ebbe
l’impressione che anche il cuore avesse preso a battere in
modo più silenzioso.
«Allora
non ti dispiacerà, se do un’occhiata.»
Le parole di Tito la fecero trasalire.
Lo conosceva abbastanza bene per poter dire con certezza che non si
trattava di
una provocazione vuota: se il ragazzo si era messo in testa che Karl
stesse
nascondendo qualcosa, non c’era modo di impedirgli di
verificare con i suoi
occhi che fosse tutto a posto. A meno che
Karl non gli impedisca di salire bloccandolo fisicamente.
Davanti ai suoi
occhi si parò l’immagine del giovane romano, tutto
sommato fragile e minuto in
confronto alla stazza imponente del germanico, che si apprestava ad
avere uno
scontro fisico con lui. No, no,
pensò
Lidia, mentre la preoccupazione per le sorti dell’amico le
serrava la gola.
«Tito,
aspetta!» Il richiamo di Alexander le confermò che
il ragazzo stava
effettivamente cercando di raggiungere il carro su cui si trovavano
Karl e
Rolf; e Lidia si trovò ad agire senza riflettere. Del resto, non voglio certo farmi scoprire qui,
nascosta come un
criminale. Sarebbe patetico, e poi non sto facendo nulla di male!
Senza che
Rolf potesse fare nulla per impedirglielo, la ragazza si mise a carponi
e, con
un gesto secco, si liberò della vecchia coperta polverosa,
incontrando subito
gli occhi di Tito che, nel frattempo, era sceso dal carro automatico.
«Lidia!»
esclamò lui, in un misto di stupore e sollievo. Per qualche
motivo, lei si
ritrovò a lottare contro una bocca improvvisamente secca.
«Ehm… ciao» abbozzò,
senza riuscire a sostenere il suo sguardo che per pochi secondi.
Mordicchiandosi
le labbra, Lidia pensò che il giovane romano avesse tutti i
motivi per avercela
con lei: l’aveva abbandonato in mezzo al nulla, lasciandolo
solo a sbrigarsela
con tutte le insidie che si nascondevano nella notte.
Il
ragazzo, però, non sembrava mostrare rancore nei suoi
confronti: sorrideva come
se il fatto di vederla viva – e sana e salva –
fosse l’unica cosa veramente
importante. C’è da dire
che Tito non lo
sa, che hai deciso di seguire Karl di tua spontanea volontà,
le fece notare
la sua coscienza, velenosa. Mi sa che, se
lo sapesse, sorriderebbe un po’ meno.
«Stai
bene?» le chiese il ragazzo, avvicinandosi a lei fino a
quando non appoggiò le
mani sulla sponda del carro. Con la coda dell’occhio, Lidia
notò la mascella contratta
di Karl e lo ringraziò in silenzio per quel briciolo di
pazienza che stava
dimostrando. La fanciulla annuì. «Sì,
sì, sto bene…» Le parole di scusa che
avrebbe voluto rivolgergli le morirono in gola e Lidia
abbassò lo sguardo sulle
proprie ginocchia, a disagio come le era capitato poche volte, quando
era stata
in compagnia di Tito.
Con il
capo chino, la giovane avvertì, più che vedere,
il cenno d’assenso rivoltole
dal ragazzo. «Meno male. E allora andiamo, su.»
Nell’udire quell’esortazione,
Lidia levò di scatto la testa.
«Andiamo?» gli fece eco, anticipando persino
Karl, che si era girato per fronteggiare meglio Tito.
Sul volto
del giovane romano si disegnò un’espressione
ancora più determinata. «Sì.
Adesso ti riporto da Alexander», disse, indicando con una
mano il germanico
ancora fermo a bordo del carro automatico, «e poi domani
ripartiamo per il
campo di Hudwill. Non so cosa sia successo esattamente a Gaio e a
Valerio, ma
ora abbiamo un carro e potremo arrivarci anche da soli,
credo.»
Lidia
rimase immobile per qualche istante, troppo incredula per reagire
immediatamente. Possibile che Tito intendesse davvero riprendere il suo
piano
lì dove l’aveva lasciato? Crede
davvero
che intenda fare marcia indietro per l’ennesima volta?
Prima che avesse
modo di dar voce a quei pensieri, però, Karl
lasciò le redini del cavallo e si
avvicinò minacciosamente al giovane romano. «Tu
non farai niente del genere»
ringhiò. «La ragazza torna a Erding. Con
me.»
Tito
irrigidì la mascella, mentre i suoi occhi sembravano farsi
ancora più scuri del
consueto. «Così che tu possa consegnarla alle
persone che hanno cercato di
ammazzarci, giusto?» lo provocò, sprezzante.
Turbata dal tono del giovane,
Lidia scosse con forza la testa. «No, lui non vuole farmi del
male. Vuole solo
riportarmi da Ulf.»
«Come fai
a esserne certa?» La voce quieta di Alexander, che la fissava
con
un’espressione preoccupata nei profondi occhi blu, distrasse
brevemente la
ragazza, che non si accorse del fatto che Tito si fosse avvicinato a
lei fino a
quando non si sentì afferrare saldamente per un braccio.
«Non lo può sapere,
ovviamente» rispose il ragazzo, al posto suo. «Ed
è proprio per questo che
verrà con noi, come avevamo deciso fin
dall’inizio.»
«Avete
deciso tutto voi» ribatté lei, cercando di
liberarsi dalla sua presa, invano.
«Io avrei preferito restare al villaggio, ma non mi avete
lasciato scelta.»
«Lasciala
andare. Ci stai facendo perdere fin tropo tempo»
ringhiò Karl. Il suo volto era
talmente tirato che Lidia temette che il cognato fosse sul punto di
esplodere e
di perdere il controllo – tutto sommato sorprendente
– che aveva dimostrato
fino a quel momento. «Tito, lasciami andare»
rincarò allora la dose la
fanciulla. «Mi stai facendo male.»
«Cerca di
ragionare» la esortò il ragazzo, senza allentare
minimamente la presa. «Io ho
cercato di rispettare la tua volontà, ma non posso
permettere che tu ti esponga
a dei rischi inutili così, proprio sotto ai miei
occhi.»
«Tito…»
riprovò ancora la ragazza, ma le parole le morirono in gola
quando, con la coda
dell’occhio, vide Karl balzare in piedi e poi giù
dal carro, in un unico
movimento fluido. Il cuore prese a martellarle in gola e Tito
sgranò gli occhi,
sorpreso dal movimento del germanico. Un secondo più tardi,
l’uomo gli fu
addosso e lo afferrò per la collottola, tirandolo indietro
così bruscamente
che, prima che lasciasse andare il suo braccio, il ragazzo
rischiò di
trascinare con sé anche Lidia. «Ti ho detto di
lasciarla andare e di sparire!»
fece ancora Karl, con la voce carica di minacce.
Quando
Tito si voltò per fronteggiarlo, la ragazza sentì
il proprio cuore perdere un
battito. Istintivamente si lanciò giù dal carro,
rendendosi solo vagamente
conto del fatto che Alexander si era mosso quasi in perfetta sincronia
con lei.
Distratto dal movimento che avvertì alle sue spalle, Karl si
voltò a guardarla.
«Torna sul carro» le intimò, piantando
gli occhi nei suoi. Approfittando della
distrazione dell’avversario, Tito si mosse così
rapidamente che Lidia si
accorse che il giovane si era nuovamente avvicinato a lei solo nel
momento in
cui le sue dita trovarono una seconda volta il suo polso.
«Non ci pensare
nemmeno» le intimò, cercando di tirarla a
sé.
«Forse
potremmo…» Alexander tentò di dire
qualcosa che potesse calmare un poco gli
animi, ma, di punto in bianco, i due uomini lo ignorarono e si
scagliarono
l’uno sull’altro. Karl afferrò il
ragazzo più giovane e, come aveva fatto anche
in precedenza, lo tirò con forza via da Lidia, rimediandosi
così un pugno che
lo fece imprecare. Prima che Tito potesse attaccarlo di nuovo, il
germanico gli
torse dolorosamente il braccio dietro la schiena, costringendolo a
ripiegarsi
su se stesso con un gemito di dolore.
«Smettetela!»
gridò Lidia, facendo per inserirsi tra di loro nel tentativo
di separarli.
Prima che riuscisse a raggiungerli, però, Alexander le
circondò la vita con un
braccio, tirandola contro il proprio corpo. «Stanne
fuori» le disse.
La giovane
piegò il collo all’indietro e vide che il
germanico fissava con occhi
preoccupati i due uomini, senza tuttavia accennare a mollare la presa
che aveva
su di lei, né a fare qualcosa per separarli.
«Finiranno col farsi male»
gemette, preoccupata. «Lo so», mormorò
amaramente lui, «ma non è il caso che ci
vada di mezzo anche tu.»
In un
qualche modo, Tito riuscì a liberare il braccio dalla presa
del germanico, ma
subito quello lo afferrò per il bavero e lo
strattonò come per gettarlo a
terra. Puntando i piedi contro il terreno erboso, il giovane romano
riuscì a
sbilanciare l’avversario, sospingendolo bruscamente verso i
pochi alberi che
crescevano sulla sinistra del sentiero. «Attenti!»
gridò Lidia, divincolandosi
nella presa di Alexander. L’uomo la tenne stretta, passandole
più saldamente il
braccio attorno alla vita, e la fanciulla si voltò verso di
lui, angosciata. «C’è
un salto, lì sotto. Se non stanno
attenti…»
«Resta qui»
le disse lui, sporgendosi per guardarla negli occhi. Lidia
corrugò la fronte,
confusa e spaventata. «Ma…»
«Cerco di
calmarli», mormorò Alexander, «ma tu
devi promettermi di restartene qui buona,
senza più cercare di metterti in mezzo. Non voglio dovermi
preoccupare anche
per te, d’accordo?» Con gli occhi offuscati dalle
lacrime, Lidia annuì e
indietreggiò fino ad appoggiarsi, tremante, al tronco di un
frassino che
cresceva sul lato opposto della strada. Con l’angoscia che le
mozzava il fiato,
la fanciulla percorse con i polpastrelli la corteccia liscia
dell’albero,
cercando inconsciamente conforto nella solidità del legno.
Una volta
che si fu assicurato che la ragazza sarebbe rimasta al proprio posto,
il
germanico si avvicinò con circospezione agli altri due
uomini, alzando le mani
come per dimostrare il suo intento pacificatore. Dalla sua posizione,
Lidia
vide gli occhi dell’uomo balenare tra i due giovani e il
precipizio che si
apriva a pochi metri di distanza, valutando forse un modo rapido per
dividerli
e allontanarli dal pericolo. Proprio quando parve sul punto di prendere
una
decisione e muovere un passo nella loro direzione, Karl cadde su un
ginocchio
con un gemito di dolore. «Tito, no!»
L’esclamazione
di Alexander fece balzare il cuore in gola a Lidia e, in preda a un
capogiro,
la ragazza si trovò a scivolare a terra. Anche se la
distanza e la vegetazione
bassa che la separava dai tre uomini non le permettevano di scorgere i
particolari, la fanciulla vide che, inaspettatamente, nella mano di
Tito era
spuntato un coltello dalla lama insanguinata. Oh,
no, pensò, sconvolta, mentre un presagio funesto
calava su di
lei e le faceva comprendere per la prima volta quanto grave fosse la
situazione.
Prima che
il giovane romano potesse colpire di nuovo l’avversario,
Alexander di lanciò su
di lui, cercando di immobilizzarlo. In quello stesso istante,
però, Karl si
rimise in piedi e, anche se il suo volto si era fatto pallido e il
dolore
distorceva i suoi lineamenti, strinse le mani sulle spalle del ragazzo,
sospingendo sia lui che Alexander verso la ripida vallata creata dal
fiume.
Senza lasciare a nessuno il tempo di fermarlo, Tito si
divincolò, facendo
saettare la mano che stringeva il coltello e ferendo il braccio di
Alexander
che, di riflesso, lasciò la presa. Con un unico, rapido
movimento, il giovane
colpì di nuovo Karl, facendolo vacillare, mentre una macchia
scura si allargava
sui suoi vestiti attorno al punto in cui era affondata la lama.
L’uomo
cadde a terra, ma, così facendo, afferrò gli
abiti del ragazzo e lo trascinò
con sé. Tito urtò violentemente il terreno umido
con una spalla e perse la
presa sull’arma che ancora stringeva in mano. I movimenti dei
due si fecero
confusi e la fanciulla, il cui sguardo si faceva via via sempre
più appannato a
causa delle lacrime e del terrore che le annebbiava i sensi, non
riuscì più a
scorgere quello che stava accadendo: sentì solo il grido di
Alexander e poi,
senza nemmeno accorgersene, si ritrovò a volare verso il
germanico.
Quando lo
raggiunse, vide che l’uomo era inginocchiato a terra molto
più vicino al dirupo
di quanto si sarebbe aspettata. Tenendosi ancorato al terreno con una
mano, Alexander
stringeva con l’altra il polso di Tito, impedendogli di
scivolare giù per la
ripida scarpata. Senza pensarci due volte, la ragazza si
lasciò cadere a terra
accanto a lui: ignorando il dolore al ginocchio, si sporse a sua volta
in direzione
del giovane romano, stringendo tra i pungi la stoffa della sua maglia e
aiutandolo a issarsi in una posizione più sicura. Quando
Tito non si trovò più
in pericolo di scivolare di sotto, la fanciulla si guardò
attorno. Dov’è Karl?
In preda a
uno strano senso di estraniamento, la giovane si sporse verso il fiume
che
scorreva in fondo al burrone, quasi senza sentire le mani di Alexander
che la
afferravano per le spalle e la costringevano a ritrarsi: diverse decine
di
metri più in basso, dopo un piccolo salto di roccia, Lidia
scorse il corpo
immobile dell’uomo. «No!»
esclamò, in preda all’orrore. «Dobbiamo
aiutarlo!»
«Lidia»,
la richiamò Alexander, con voce morbida, «non
c’è niente che possiamo fare, per
aiutarlo.» La fanciulla si voltò verso di lui con
gli occhi sgranati,
rifiutandosi di accettare l’evidenza che il germanico le
stava presentando.
«Non è vero» lo contraddisse, con voce
strozzata. «Possiamo… possiamo scendere,
un po’più avanti! Non possiamo lasciarlo
lì, ha bisogno di essere aiutato,
curato!»
Le labbra
di Alexander si piegarono in una curva amara, mentre l’uomo
scuoteva mestamente
la testa. «Ha fatto un volo di più di dieci metri
ed è finito sulle rocce: se
non è morto, lo sarà presto. Perdeva parecchio
sangue» aggiunse, lanciando
un’occhiata di soppiatto a Tito, che sembrava come congelato
nella posizione in
cui l’avevano lasciato.
Lidia
guardò ancora verso il punto in cui Karl era caduto,
seguendo con gli occhi i
contorni del suo corpo in una sorta di macabra fascinazione. Anche se
la parte
più razionale della sua mente le sussurrava che Alexander
aveva ragione e che
non c’era assolutamente modo che il cognato potesse
sopravvivere a una caduta
del genere, c’era qualcosa, nel profondo del suo animo, che
si ribellava alla
prospettiva di abbandonarlo lì, sulla roccia fredda. Vivo o
morto che fosse.
«Non fa niente» insistette, cercando di ingoiare il
nodo che aveva preso a
stringerle la gola. «Voglio scendere comunque. Non possiamo
lasciarlo lì.»
Con quelle
parole, Lidia fece per dirigersi verso il punto in cui le pareva che la
scarpata fosse meno impervia, ma le mani di Alexander strinsero la
presa sulle
sue spalle. «Non possiamo scendere senza attrezzatura. Ci
servirebbe una corda,
come minimo. Dei rinvii.» La ragazza lo guardò
boccheggiando, troppo scioccata
per capire quello che l’uomo stava dicendo, e lui ne
approfittò per trascinarla
via dall’orlo del precipizio. «Mi dispiace, ma non
possiamo rischiare di
romperci l’osso del collo. Un morto basta e avanza. So che
non è facile, ma
devi andare avanti.»
Quell’ultima
osservazione suscitò nella ragazza un moto di ribellione. È appena morto!
Pensò confusamente, mentre la rabbia le infiammava
lo stomaco. Come fa a dire che devo
andare avanti? È troppo presto! Lidia si
voltò verso il germanico,
intenzionata a controbattere, ma qualcosa, nella sua espressione
distante e stanca, dissolse la sua
rabbia: al suo
posto, la giovane avvertì soltanto smarrimento, angoscia e
un’intuizione che
scivolò via prima che lei potesse afferrarla.
«Cosa dirò a sua moglie?»
pigolò
allora, a corto di parole. «Cosa dirò a
Ulf?»
Alexander
fece per rispondere, ma le parole sembrarono morirgli in gola, mentre
l’uomo
abbassava gli occhi a terra. «Non lo so» ammise
cupamente. «È stato un
incidente.»
Non è vero
che è stato un incidente, pensò la
fanciulla, mentre lo stomaco le si contraeva in una stretta dolorosa.
Se era
vero che era stata la fatalità a far sì che Karl
scivolasse giù dalla scarpata
e cadesse nel canyon creato dal fiume, era altrettanto vero che era
stato Tito,
ad attaccarlo per primo. Ad
accoltellarlo.
Spostando
la sua attenzione sul giovane romano, Lidia avvertì una
nuova preoccupazione
nascere in lei. Malgrado tutto – malgrado la sua
volontà di allontanarla da
Erding e malgrado quello che aveva appena fatto – lei
continuava a voler bene a
Tito. Con una punta di stupore, si rese conto di sentirsi persino
responsabile
per lui, forse perché, se non fosse stato per lei, il
ragazzo non avrebbe mai
abbandonato Roma per recarsi in Germanica. Se già prima le
speranze che il
giovane fosse ben accetto dalla sua nuova famiglia erano estremamente
esili,
dopo la morte di Karl esse erano assolutamente inesistenti.
Non posso non
raccontare a Unna e a Ulf quello
che è successo. Hanno il diritto di sapere. Soprattutto
Unna… e il bambino.
Anche se
il solo pensiero di raccontare ai gemelli – e
a Gefrid! – la dinamica dei fatti le faceva tremare
le gambe, Lidia era
terribilmente consapevole di non poter fare altrimenti. E
allora, chi può dire come reagiranno?
Tito
sarebbe stato al sicuro, una volta che la sua responsabilità
nella morte di
Karl fosse stata chiara a tutti? Be’,
immagino che lui possa sempre chiedere protezione
all’accampamento militare:
scommetto che Caleno sarebbe ben felice di concedergliela. Improvvisamente,
un altro pensiero le balenò in testa. E
io? Sarò al sicuro, io? L’espressione
gelida di Unna le si presentò davanti
agli occhi e Lidia sentì il proprio cuore mancare un
battito, mentre una
sincera preoccupazione per la reazione della cognata le mozzava il
fiato.
Fu la voce
di Alexander a riscuoterla da quei pensieri e a riportarla al presente.
«Dov’è
finito il ragazzo?»
Quale ragazzo? Fu la
prima domanda che attraversò la mente di Lidia, ma, una
frazione di secondo più
tardi, la giovane si riscosse. Rolf!
Comprese, improvvisamente consapevole che era da parecchio tempo che
aveva
perso di vista il nipote di Karl. Dov’è
sparito?
«Non lo
so» replicò, incerta. Lidia fece saettare lo
sguardo tutto attorno a sé, alla
ricerca di un qualche segnale che potesse rivelare la posizione del
ragazzino,
ma Rolf sembrava essere scomparso nel nulla. «È
scappato, presumo» concluse,
poi, stringendosi nelle spalle in preda allo sconforto.
Alexander
espirò lentamente dal naso. «Preferirei
ritrovarlo» mormorò, con una smorfia
preoccupata. «Ha visto chiaramente quello che è
successo: il fatto che sia in
giro a piede libero mi piace poco.» Lidia aggrottò
la fronte, turbata.
«Perché?» indagò, con un
tremito quasi impercettibile nella voce. «Che cosa
vorresti fargli?»
Il
germanico le rivolse uno sguardo teso. «Niente di male,
ovviamente. Io non me
la prendo di certo con i bambini. È solo che preferirei
tenerlo d’occhio per un
po’: è spaventato; e non vorrei che andasse a
parlare con le persone
sbagliate.»
Lidia
annuì in silenzio. L’adrenalina che
l’aveva sostenuta fino a quel momento stava
rapidamente scemando, lasciando il posto a un sentimento opprimente e
appiccicoso che la faceva annaspare alla ricerca di ossigeno. Quando
spostò il
peso sul ginocchio destro, la ragazza sussultò mentre il
dolore dovuto alla
caduta, dimenticato per qualche tempo, tornava a farsi sentire. La sua
smorfia
non sfuggì ad Alexander, che le si avvicinò di un
passo. «Sei ferita?» le
chiese. Dalla sua espressione preoccupata, Lidia comprese che il
germanico
temeva che, in un modo o nell’altro, lei si fosse fatta male
durante la
colluttazione di poco prima, quindi scosse la testa.
«È solo una storta. O una
botta. Sono scivolata lungo il sentiero.»
Il dolore
acuto che ancora si riverberava nella sua gamba ebbe
l’effetto di distoglierla
dalle preoccupazioni che non riguardavano l’immediata
contingenza in cui si
trovava. In particolare, si rese conto che Tito era ancora nella stessa
identica posizione in cui lei e Alexander l’avevano lasciato
ormai diversi
minuti prima. Non sarà mica
ferito, vero?
Si chiese la fanciulla, mentre una preoccupazione improvvisa la
assaliva.
Anche se
la morte del cognato la turbava – e la spaventava
– più di quanto avrebbe potuto immaginare fino al
giorno prima, doveva
riconoscere che non c’era più nulla che potesse
fare per lui: ora non le
restava che prendersi cura di Tito. Se da un lato il suo subconscio
continuava
a ripeterle che il giovane romano si trovava dalla parte del torto
– era stato
lui a uccidere Karl –
Lidia doveva
riconoscere che il ragazzo era anch’esso una vittima, a modo
suo. L’ha fatto solo per
difendersi. Per
difendermi.
Avvicinandosi
a Tito quasi in punta di piedi, la fanciulla si accovacciò
accanto a lui,
stringendo i denti contro il dolore che le si irradiò dal
ginocchio. «Ehi. Stai
bene?» gli chiese, cercando di adottare il tono
più morbido che le riuscisse in
quelle circostanze. Quando un’ombra calò su di
lei, Lidia scoccò un’occhiata
alle proprie spalle e vide che Alexander le si era avvicinato in
silenzio e
restava fermo a poco più di un metro di distanza da lei,
quasi volesse
concederle una certa privacy, ma, allo stesso tempo, volesse essere
certo di potere
intervenire in tempo nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
La ragazza
quasi sorrise, di fronte alla premura del germanico. Come
se ci fosse il bisogno di difendermi da Tito!
Pensò, con una
punta di amaro divertimento. Il ragazzo non sarebbe mai stato capace di
farle
del male, di questo ne era certa. Però
eri anche certa che non avrebbe mai portato con sé un
coltello, né, tanto meno,
che sarebbe stato capace di usarlo per uccidere una persona…
non è così? Le
sibilò la sua coscienza, facendole trattenere il respiro per
una frazione di
secondo.
Ma no.
Conosceva Tito e sapeva che da lui non aveva nulla da temere. Non in
quelle
circostanze, quantomeno. «Tito?» ripeté,
quando vide che il giovane non dava
cenno di aver sentito la sua prima domanda. Nell’udire il
proprio nome, il
ragazzo si riscosse e alzò su di lei due grandi occhi scuri
insolitamente
vuoti. Sul suo viso, Lidia lesse una tale disperazione e un tale senso
di
smarrimento che gli occhi le si riempirono di lacrime e la gola le si
serrò.
Impulsivamente, la ragazza fu tentata di abbracciarlo per dargli
conforto, ma
si impedì di farlo: anche se confusamente, avvertiva di
dover dosare con
attenzione le proprie reazioni. Doveva evitare di fare dei gesti che, a
caldo,
le sarebbero potuti sembrare giusti e sensati, ma di cui si sarebbe poi
pentita
in un secondo momento.
Davanti
allo sguardo del ragazzo, la fanciulla si sentì allora
indifesa e impacciata,
incerta su come comportarsi e accolse con sollievo
l’inaspettato intervento di
Alexander. Avvertendo forse l’imbarazzo della giovane,
l’uomo la raggiunse e si
chinò su Tito, passandogli un braccio attorno alle spalle.
«Ce la fai ad
alzarti?» gli chiese, con un tono più spiccio di
quello che Lidia si sarebbe
aspettata.
Il giovane
romano sbatté più volte le palpebre, come
ridestandosi da un sogno – o da
un’allucinazione – poi annuì.
«Sì» fece, con voce un po’
roca. «Sei ferito?» lo
interrogò ancora Alexander. «Ti fa male
qualcosa?»
Il ragazzo
si portò una mano alla tempia. «La
testa» mormorò, quasi in trance. Lidia gli
si avvicinò di un passo, passando rapidamente in rassegna al
suo capo alla
ricerca di tracce di sangue. «L’hai
battuta?» indagò, preoccupata. Tito fece un
cenno di diniego. «No. Mi fa male la testa»
ripeté, senza incontrare lo sguardo
della ragazza.
Lidia
aggrottò la fronte, confusa, ma Alexander mosse una mano
come per chiederle di
non insistere. «Credo che sia sotto shock. La cosa migliore
è riportarlo a casa
mia, almeno per stanotte: ha bisogno di riposarsi; e tu devi mettere
qualcosa
su quel ginocchio, a giudicare da come zoppichi.»
Quel
cambiamento dei piani – imprevisto, anche se forse
inevitabile – mise immediatamente
in allarme la ragazza. «No, io… io devo essere a
Erding entro questa sera»
protestò, inciampando nelle parole. Alexander le rivolse
un’occhiata scettica.
«Sì? E per fare cosa?» Lidia
boccheggiò. «Per… per dire a Ulf quello
che è
successo. E anche a Unna, la moglie di Karl.»
Il
germanico scosse la testa con decisione. «Non mi pare una
buona idea» decretò.
«Ovviamente dovremo spiegare a tutti quello che è
successo, ma non oggi. Sei
troppo scossa; e sei stanca: riposati, per questa notte, e domani
affronteremo
la faccenda a mente fresca.» La giovane corrugò la
fronte. «Affronteremo?»
ripeté, senza capire.
Alexander
le rivolse un piccolo sorriso. «Be’, sì:
non me la sento, di scaricarvi per
strada come se nulla fosse. Mi siete capitati tra capo e collo, non
dico di no,
ma adesso mi sento responsabile per voi.» Davanti a
quell’ammissione, Lidia si
accigliò. «Non ce n’è alcun
motivo. Non ho bisogno di un protettore… posso
affrontare le conseguenze da sola» proclamò, anche
se il solo pensiero le
provocò un capogiro.
«Non lo
metto in dubbio» replicò l’uomo, ancora
con un mezzo sorriso. «Ma cosa mi dici
di Tito? Credi davvero che possa percorrere da solo la strada che porta
al tuo
villaggio? Non sono sicuro che sia in grado di reggere i sensi di
colpa.»
Lidia
soppesò con lo sguardo il giovane romano. Il ragazzo era
visibilmente scosso e
provato, eppure, qualcosa nel fondo della sua mente, metteva in dubbio
che Tito
si sentisse veramente in colpa per avere ucciso Karl. Dopotutto,
non sono convinta che l’abbia fatto apposta: l’ha
attaccato
per difendermi, non per ucciderlo… credo. E,
soprattutto, non riusciva a
togliersi dalla testa l’astio e il disprezzo con cui il
giovane si era rivolto
a Karl – un sentimento che forse il ragazzo provava per
l’intero popolo germanico,
se aveva interpretato correttamente i suoi discorsi.
Tuttavia,
non sentendosi in grado di interpretare correttamente i pensieri che in
quel
momento stavano attraversando la testa di Tito, Lidia
preferì soprassedere su
quel particolare. «E allora cosa farai?» chiese,
tornando a rivolgersi ad
Alexander. «Ci accompagnerai a Erding, e poi? Farai avanti e
indietro in
giornata? Non è un viaggio troppo lungo?»
Il
germanico esitò. «Credo che potrei approfittarne
per scambiare due parole con
Erin» mormorò. Lidia gli scoccò
un’occhiata sorpresa: non era certamente la
spiegazione che si era aspettata. «Erin? Intendi Donna Erin? Ovvero la nostra
Sacerdotessa?»
Alexander
si strinse nelle spalle. Forse era solo un’impressione, ma a
Lidia quel gesto
sembrò tradire un certo imbarazzo. «Sì,
proprio lei» confermò però
l’uomo, con
voce neutrale. «Non ci vediamo spesso, ma ci conosciamo da
diversi anni. È
sempre bene informata su tutto quello che avviene nella regione e,
visto tutto
quello che sta succedendo, mi piacerebbe avere qualche
aggiornamento.» Lidia si
rigirò in testa quella spiegazione, pensando che aveva
senso, ma, prima che
potesse aggiungere altro, Alexander si chinò nuovamente su
Tito e, afferrandolo
saldamente per le spalle, lo esortò ad alzarsi. Il ragazzo
sembrava leggermente
più padrone di sé, adesso, e si sciolse dalla
presa del germanico. «Ce la
faccio» mormorò, senza alzare lo sguardo da terra.
«Va bene»
annuì Alexander. «Allora andiamo. Salite pure sul
carro automatico. Sai a chi
appartiene quello su cui stavi viaggiando tu, Lidia?»
«Non lo
so. Karl l’aveva… l’aveva rubato da
qualche parte» replicò, con la bocca secca.
Dunque lo stavano facendo veramente: stavano davvero andandosene via,
abbandonando il corpo di Karl in fondo a una gola, alla
mercé degli elementi e
degli animali selvatici. Sebbene stesse cercando di convincersi del
fatto che
non avevano alternative, non poteva fare a meno di pensare che quella
decisione
fosse profondamente sbagliata.
«E allora
lasceremo che il cavallo ritrovi il suo padrone» fece il
germanico, ignorando –
o scegliendo di ignorare – il turbamento della fanciulla.
Così dicendo, sciolse
i finimenti del cavallo ancora legato al vecchio carro sottratto a
qualche
contadino della zona; e a Lidia non rimase altra scelta che montare sul
carro
automatico al fianco di Tito.
Quando,
dopo qualche istante, la macchina si mise in marcia, il suo stomaco era
talmente contratto dallo smarrimento e dai sensi di colpa che la
giovane si
credette sul punto di vomitare.
***
Germanica
Inferiore, 342 a.U.c., 18 Luglio
Quando il profilo ormai famigliare
della miniera d’argento si stagliò davanti a lei,
Lidia affondò nervosamente le
unghie nella gommapiuma che rivestiva i sedili del carro automatico.
Non era
stata tanto in ansia nemmeno il giorno in cui era giunta per la prima
volta a
Erding accompagnata dai suoi genitori: all’epoca, infatti,
sapeva di non avere
nulla di cui rimproverarsi. A differenza
di adesso. Adesso ci sono un sacco di cose che, volendo ben vedere, si
potrebbe
dire che siano successe per colpa mia…
Inspirando a fondo e poi rilasciando
l’aria in un sospiro tremulo, la fanciulla notò
che i suoi compagni non
sembravano condividere del tutto la sua inquietudine. Anche se non lo
conosceva
abbastanza bene per giudicare i suoi stati d’animo, Alexander
pareva piuttosto
tranquillo. Anzi, a giudicare dall’espressione del suo volto,
il germanico
sembrava quasi annoiato, come se
l’imminente incontro con Donna Erin non lo preoccupasse
minimamente. Il che è abbastanza
strano: a parte Caleno,
mi sembra che la gente sia sempre abbastanza tesa, quando deve trattare
con
lei.
Quel particolare la incuriosiva: la
sera prima, Lidia aveva cercato di indagare e capire meglio quale tipo
di
rapporto esistesse tra Alexander e la Sacerdotessa, ma lui era stato
molto
vago, facendole chiaramente capire di non gradire la conversazione. Il che, probabilmente, dovrebbe farmi
dubitare della sua affidabilità, pensò
la ragazza, osservandolo con la coda
dell’occhio. Anche se gli avvenimenti del giorno prima
avevano fatto passare in
secondo piano tutto il resto, ora che era a un passo dal rimettere
piede al
villaggio, Lidia vedeva riemergere tutti gli antichi sospetti che aveva
nutrito
– incoraggiata da Ulf, naturalmente – a proposito
delle intenzioni di Donna
Erin e dei Sacerdoti in generale.
La
questione più importante, comunque non è quello
che ha in mente Alexander: mi
preme più capire cosa ha intenzione di fare Tito…
Quasi le avesse letto nel pensiero, il
ragazzo si voltò a guardarla. «Io rimango
dell’idea che sarebbe meglio andare
al campo militare» disse, incrociando le braccia davanti al
petto. «No» fu
l’immediata replica di Alexander. «Ne abbiamo
già parlato: prima di tutto,
andremo da Erin e sentire cosa ha da dirci. Poi, se vorrete e se non ci
saranno
controindicazioni, potrete anche andare dal Prefetto.»
Lidia alzò gli occhi al cielo,
pregando ferventemente che i due uomini non riprendessero a discutere
come
avevano fatto per ore la sera prima. «Fate come
volete» sbuffò. «Andiamo dalla
Sacerdotessa, se proprio dobbiamo: poi, però, io vado a
casa. Mio marito
dovrebbe essere già tornato e non mi sembra proprio il caso
di perdere
dell’altro tempo. Devo andare da lui.»
Tito le lanciò un’occhiata
truce, ma
non replicò. Inconsciamente, Lidia si morse le labbra,
mentre un nuovo brivido
di apprensione le scivolava lungo la schiena. Le cose erano
già abbastanza
complicate così com’erano e lei non aveva
assolutamente bisogno che il giovane
romano ricominciasse ad avanzare pretese sul suo futuro.
Il giorno prima, mentre Alexander li
riaccompagnava alla sua casa in mezzo ai boschi, il ragazzo era stato
estremamente silenzioso. Aveva percorso l’intero viaggio
chiuso in se stesso –
quasi ripiegato su se stesso,
anche
fisicamente. Anche se Lidia aveva rispettato e compreso il suo bisogno
di
venire a patti con quello che aveva fatto, era stata sinceramente
preoccupata
per l’ostinato mutismo del giovane. Si era sentita inutile,
senza alcuna idea
di cosa fare, né di quali cupi pensieri stessero
attraversando la mente di Tito
in quel momento.
Era stato solo durante la cena,
diverse ore dopo, che il ragazzo aveva iniziato a dare segni di
ripresa. Poco
alla volta, si era fatto più loquace e aveva preso a porre
domande e a chiedere
ad Alexander come intendeva muoversi, il che aveva poi condotto alla
discussione circa l’opportunità di recarsi da Erin
piuttosto che dal Prefetto.
Però
non ha mai detto nulla a proposito da Karl, ricordò Lidia, con una smorfia. Se
lo guardava attentamente, vedeva che Tito non era ancora veramente se
stesso,
capiva che c’era ancora qualcosa che lo turbava:
cionondimeno, le pareva che il
ragazzo si stesse lasciando alle spalle la morte di Karl fin troppo
velocemente… cosa che lei non riusciva a fare.
Quando lo shock iniziale si era un po’
affievolito, Lidia aveva passato una notte insonne, cercando di mettere
le cose
in prospettiva. Anche se il cognato si era rivelato un alleato
inaspettato, la
sua mente aveva iniziato a ricordarle tutti i motivi per cui lei e Karl
non
erano mai andati d’accordo. Lui
odiava i
romani, si era detta, ricordando tutte le occasioni in cui
l’uomo aveva
dato sfoggio dell’insofferenza che provava nei confronti
della sua gente. Non mi ha mai vista per
quello che sono
veramente: mi ha sempre odiata solo perché sono nata a Roma.
Come se questa
fosse una colpa; o una cosa che ho scelto.
Aveva
suggerito a Ulf di uccidermi,
aveva ricordato, ancora. Non mi conosceva
nemmeno e già pensava a un
modo per farmi fuori. E scommetto che non ha mai cambiato veramente
idea.
L’altro giorno mi ha spaventata, e mi ha fatto male.
Non
era un mio amico. Non lo sarebbe mai stato.
Erano stati quei pensieri, la sera
prima, a farle capire una cosa: il trauma che aveva avvertito non era
legato
tanto alla morte di Karl in sé, quanto piuttosto a tutte le
ripercussioni che
quella vicenda avrebbe avuto sul suo futuro e sui rapporti con le
persone a cui
voleva bene. Karl non mi è mai
piaciuto
ed è probabile che in futuro mi avrebbe dato un mucchio di
problemi. Però ho
paura che i problemi che mi causerà da morto saranno ben
peggiori di quelli che
mi avrebbe potuto causare da vivo.
Unna, per prima cosa, non l’avrebbe
mai perdonata. Su questo non ci sono
dubbi. Anche se non era mai riuscita a capire quanto profondo
fosse l’amore
tra la cognata e suo marito, era evidente che i due fossero fortemente
legati e
che, in un certo senso, Unna trovasse in Karl un appoggio, un punto di
riferimento.
Senza contare il fatto che tra poco
nascerà il loro bambino, ovviamente. Un bambino
che ora Unna avrebbe dovuto
crescere da sola, senza un padre.
E
nemmeno Ulf mi perdonerà facilmente. Perché Karl era il suo migliore
amico sin dall’infanzia e perché i due avevano
condiviso più di una semplice
amicizia. Come mi sentirei se lui avesse
provocato la morte di Lucilla? Sarebbe una cosa che riuscirei a
superare?
Lidia non riusciva a figurarsi le
reazioni di Gefrid, di Donna Edda, di Hermann, ma era certa che non
sarebbero
state particolarmente morbide. Se non con
me, quantomeno con Tito. Il ragazzo correva veramente qualche
pericolo? Oh, forse sarebbe davvero meglio
accompagnarlo dal Prefetto Caleno. Il militare aveva a cuore
il benessere
dei suoi concittadini e, con lui, Tito sarebbe probabilmente stato
più al
sicuro che non con la Sacerdotessa.
Era comunque ormai troppo tardi per un
cambio di rotta: mentre era immersa in quei pensieri, il carro
automatico aveva
raggiunto il villaggio e, borbottando, aveva imboccato la strada che
conduceva
all’abitazione di Donna Erin. Con una morsa allo stomaco,
Lidia osservò le
abitazioni famigliari e vide qui e là qualche viso noto.
Istintivamente, di
allontanò un po’ dal finestrino nel timore di
incrociare lo sguardo di Ulf o di
qualche altro membro della sua famiglia. Non
voglio che mi vedano qui, in compagnia di Tito e di Alexander. Voglio
potergli
parlare: non voglio che si facciano idee strane.
Dopo pochi minuti, il carro si fermò
davanti alla casetta bianca che Lidia stava ormai imparando a conoscere
bene.
«Erin abita ancora qui, giusto?» si
informò Alexander, percorrendo con gli
occhi i muri immacolati. Lidia annuì.
«Sì» confermò. «Ci
ha convocati qui
giusto un paio di giorni fa…» La ragazza
lasciò sfumare la frase, mentre,
improvvisamente, si accorgeva di non aver parlato di un particolare
forse
importante. In occasione della sua ultima visita, Donna Erin non era
stata
sola: con lei c’era Fratello Kay.
La fanciulla socchiuse le labbra,
tentata di informare Alexander della visita del giovane sacerdote dalla
pelle
scura, ma il germanico era già sceso dal carro e si stava
dirigendo verso la
porta. «Voi restate qui» disse, rivolgendosi ai due
romani. «Preferisco
avvertire Erin della nostra visita, poi vi farò
entrare.» Lidia e Tito si
scambiarono un’occhiata perplessa, ma non commentarono.
Meno di un minuto più tardi, Alexander
fece ritorno, la fronte contratta in un’espressione confusa.
«Siete sicuri che
abiti ancora qui?» chiese. «La porta è
aperta, ma in casa sembra non esserci
nessuno.»
Scesa dal carro, Lidia si strinse
nelle spalle. «Be’… sarà
uscita. Non c’è nemmeno Susi? La ragazzina che
abita
con lei?» L’uomo scosse il capo. «Ho
provato a chiamare, ma non è comparso
nessuno. E… la casa è spoglia. Non mi pare di
aver visto alcun oggetto che
possa appartenere a lei.»
Per qualche motivo, quell’informazione
fece comparire un piccolo nodo di paura nel petto di Lidia. Donna Erin
c’era
sempre. Era ovunque, all’interno del villaggio. Sapeva tutto,
era sempre
presente: non poteva essere sparita nel nulla, nel giro di un paio di
giorno.
«Forse… forse potremmo controllare un
po’ meglio?» Alexander sollevò le
spalle.
«Controlliamo un po’ meglio»
acconsentì, in tono poco convinto.
Quando anche Tito li ebbe raggiunti a
terra, i tre si diressero nuovamente verso l’abitazione e,
una volta che vi
furono entrati, Lidia vide che il germanico aveva ragione. Era cambiato
tutto.
La casa non era esattamente vuota,
non sembrava disabitata, ma pareva che tutte le suppellettili inutili
fossero
state rimosse, lasciando soltanto lo stretto necessario.
«Dove sono finiti i soldati?»
Lidia inspirò bruscamente. Era stato
Tito a parlare e a farle notare un’altra enorme differenza
rispetto all’ultima
occasione in cui aveva messo piede in quel luogo: non vi era
più alcuna traccia
dei numerosi legionari che avevano affollato quei locali in occasione
del suo
colloquio con Fratello Kay. Lidia boccheggiò.
«Ah… non lo so.»
«C’erano dei soldati,
qui?» li
interrogò Alexander, cercando i loro occhi. Tito
annuì. «Sì. Suppongo che la
Sacerdotessa li avesse raccolti per garantire la propria sicurezza.
Pare che ci
sia molto malcontento, in paese, e non escludo che si sentisse
minacciata da
qualcuno…»
Il germanico sospirò e lasciò
scorrere
lo sguardo tutto intorno a sé. «Non vorrei che
fosse successo qualcosa di
brutto, qui…» mormorò.
«Non è successo nulla di
brutto, ma
voi non dovreste essere qui.»
Lidia sobbalzò e, voltandosi di
scatto, si trovò davanti a Fratello Kay, fermo ai piedi
delle scale che
conducevano al piano superiore. Il Sacerdote, impassibile come suo
solito, li
fissava con i suoi occhi neri, aspettando una loro reazione. Il primo a
riprendersi fu Alexander. «E tu chi sei?» chiese,
assottigliando gli occhi.
«Kay, confratello dell’ordine
degli
Alti Sacerdoti germanici.» Alexander sollevò
elegantemente un sopracciglio.
«Kay… cosa?» insistette, attirandosi
l’occhiata confusa di Lidia.
«Jonathan
Kay» replicò il Sacerdote, in tono basso,
sostenendo lo sguardo del germanico.
Quello spalancò gli occhi, come se, improvvisamente, la
situazione gli fosse
divenuta più chiara. «Oh! Capisco. Io sono
Alexander…» «Sì,
sì, lo so chi sei»
tagliò corto Kay. «Posso immaginarlo, per lo meno.
Quello che mi sfugge, è
perché sei qui. E perché hai portato con te
queste persone.»
Alexander si passò stancamente una
mano sul viso. Lidia notò che le sue spalle sembravano
essersi irrigidite e,
quando parlò, c’era una tensione nuova anche nella
sua voce. «C’è stato un
incidente. Volevo confrontarmi con Erin per capire come procedere: non
sono
certo che il ragazzo sia al sicuro, qui.»
«Chi è il ragazzo?»
si informò il
Sacerdote. «Mi chiamo Tito Fabio Fusco» si
inserì Tito. «Sono un cittadino di
Roma.» «Ma non sei un soldato»
affermò, più che domandare, il giovane dalla
pelle scura. Quando Tito scosse il capo, Kay si rivolse ancora ad
Alexander.
«Cos’è successo?»
«È morto un
germanico» replicò, senza
scendere nei particolari. «E l’ha ucciso
lui?» insistette il sacerdote,
subodorando ciò che l’altro uomo stava cercando di
tacere. Alexander esitò.
«Diciamo che… è stato più
che altro un incidente. Potrebbe averlo ucciso lui,
ma si è trattato di autodifesa.» Lidia storse il
naso davanti a quella
ricostruzione dei fatti: in tutta onestà, non era certa che
si potesse dire che
Tito avesse ucciso Karl per difendersi da lui. Quando Kay non disse
altro,
Alexander proseguì: «Si trattava di un
minatore.»
Il Sacerdote annuì. «Ah.
Questo
potrebbe essere un problema. Porta il ragazzo dai suoi conterranei: al
campo
militare sarà ragionevolmente al sicuro,
suppongo.» Quando Alexander annuì, Kay
spostò la sua attenzione su Lida.
«Lidia» la apostrofò, riconoscendola.
«Tu hai
una casa. Torna da tuo marito ed evita di metterti nei guai.»
«Certamente» replicò
in fretta lei,
ignorando lo sguardo di disapprovazione di Tito che le gravava sulle
spalle.
«Molto bene» riprese il giovane
sacerdote. «Se non c’è altro, potete
andare.» Sorpresa dalla rapidità con cui
l’uomo li stava liquidando, Lidia cercò lo sguardo
di Alexander, ma questo era
concentrato sul sacerdote. «Solo una cosa:
dov’è Erin?» chiese, rivolto a
Fratello Kay.
«Se n’è dovuta
andare: ora ci sono io,
al suo posto.»
Lidia inspirò bruscamente, sorpresa da
quella notizia, e sul volto di Alexander passò
un’espressione che la giovane
non riuscì a interpretare, ma che smosse qualcosa di
estremamente sgradevole
nel suo animo. «Se n’è andata di sua
spontanea volontà?» chiese, in un tono che
alla ragazza parve quasi cauto.
Il Sacerdote scosse appena il capo.
«No, naturalmente: è stata richiamata
dall’Alto Concilio.» Alexander gli si
avvicinò di un passo. «Ma…»
Fratello Kay levò una mano come per chiedergli di
non avvicinarsi ulteriormente. «È così:
sono decisioni prese ad alto livello.
Vanno accettate e basta.»
Retrocedendo inconsciamente di un
passo, Lidia spostò lo sguardo da un uomo
all’altro, cercando di capire che
cosa stesse succedendo. Era assolutamente sicura che ci fosse tutto un
dialogo
silenzioso, dietro alle parole che lei e Tito riuscivano a sentire.
Riusciva a
intravvedere un discorso sottointeso, forse segreto, ma non riusciva a
intuirne
il contenuto – e la cosa la inquietava. Più di
tutto, però, ad allarmarla era
la rigidità che riusciva a scorgere nella postura di
Alexander, la scintilla di
allarme – forse anche di rabbia
– che
si era accesa nei suoi occhi.
«C’è qualche
problema?» chiese Tito,
interrompendo le riflessioni della fanciulla. Deglutendo vistosamente,
Alexander
distolse lo sguardo da Kay e si voltò verso i due giovani.
«Forse» ammise, a
mezza voce, ma senza preoccuparsi di non farsi sentire dal Sacerdote.
«Ora però
andiamo» aggiunse, poi, posando le mani sulle spalle dei due
ragazzi e
sospingendoli gentilmente verso la porta.
Lidia esitò e Alexander strinse le
dita sulla stoffa dei suoi abiti. «Andiamo, Lidia»
le sussurrò. Confusa e un po’
spaesata, la giovane smise di opporre resistenza e permise al germanico
di
guidarla verso la porta. Quando stavano per varcarla, vennero raggiunti
dalla
voce del Sacerdote. Il tono era calmo, ma le parole erano completamente
sconosciute,
incomprensibili. La ragazza fece per voltarsi, ma il sibilo di
disprezzo che
uscì dalle labbra di Alexander – e lo spasmo che
percorse fulmineo le sue dita –
la convinsero a non farlo.
Quando si trovò di nuovo in strada,
davanti al carro automatico, Lidia ebbe la netta impressione che
qualcosa fosse
cambiato; e che il cambiamento non fosse stato per il meglio.
***
Bando
alle ciance, che sono già in ritardo. Entriamo ora nella
fase finale della
storia che, da scaletta, dovrebbe durare 13 capitoli più
epilogo. Vediamo se
riuscirò a rispettare i miei stessi piani. Nella prima
stesura aveva previsto
più di 20 capitoli, quindi direi che ho tagliato un bel
po’ di porcheria
inutile.
A
parte questo, settimana prossima sarò piuttosto impegnata e
poi me ne andrò un
paio di giorni a Napoli, quindi, salvo miracoli o sere particolarmente
ispirate, il prossimo capitolo andrà a dopo il 25 aprile.
Alla
prossima!