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Autore: Red Owl    14/04/2018    4 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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La ragazza guardò il misero straccio che Rolf le stava porgendo. Ammesso che ci fosse veramente la necessità di nascondersi dalle persone che si stavano avvicinando, giungendo dalla direzione opposta alla loro, quel telo sarebbe stata una protezione sufficiente?

Secondo me, finirò soltanto per dare nell’occhio e attirare ancora di più l’attenzione.

«Muoviti!» l’apostrofò Karl, con una nota di urgenza nella voce. Non vedendo alternative, Lidia si sdraiò sul pianale del carro e Rolf drappeggiò sopra di lei il telo di juta. Immediatamente, un odore denso e penetrante, di polvere e di fibre, le invase i polmoni, e la fanciulla dovette combattere contro l’impulso di tossire rumorosamente. «Mi vedranno comunque» si lamentò, con la voce soffocata dal tessuto pesante.

«È sempre meglio di niente» replicò Karl. «Tu stai ferma… così abbiamo la speranza che ti scambino per un sacco di patate o qualcosa del genere!»

Che idea cretina, pensò Lidia, stringendo i denti e costringendosi a rimanere immobile. Non sarebbe forse stato meglio restare in piena vista e ostentare indifferenza? Tanto dubito che, chiunque ci sia su quel carro automatico, mi conosca così bene da riconoscermi a colpo d’occhio. Al massimo me la sarei potuta mettere in testa, questa coperta…

Appoggiando una guancia contro il legno ruvido e cercando di assorbire le vibrazioni e i sobbalzi del carretto come meglio poteva, la giovane romana rimase in ascolto, mentre il borbottio del carro automatico si avvicinava sempre di più. Saranno dei legionari, rifletté ancora la ragazza. Chi altro potrebbe permettersi una macchina del genere? Possibile che qualcuno mi stia già cercando? Che il Prefetto abbia scoperto che qualcosa è andato storto e abbia mandato i rinforzi?

Lidia pregò ardentemente che le cose non stessero così: se avessero incrociato gli uomini di Caleno e quelli l’avessero riconosciuta, era alquanto probabile che l’avrebbero costretta a invertire ancora una volta la rotta e a dirigersi nuovamente verso Roma. Cosa che non ho assolutamente intenzione di fare: non adesso che sono coì vicina a tornare da Ulf!

Con un improvviso barlume di speranza, Lidia si chiese se vi fosse qualche possibilità che anche il Legato Libo fosse venuto a conoscenza della sua partenza forzata e, deciso a opporsi alle disposizioni di Caleno, avesse mandato qualcuno a recuperarla. Sarebbe davvero perfetto! Così potrei tornare a Erding molto più in fretta… e non sarei nemmeno costretta a viaggiare con Karl!

Anche se non aveva modo di vedere alcun ché, quando i sobbalzi del carro si fecero meno bruschi, Lidia comprese che Karl si stava fermando. Perché ti fermi? Gli chiese in silenzio, premendo i polpastrelli sul pianale del carro fino a quando non sentì le unghie penetrare leggermente nel legno. Vai avanti, fai finta di niente…

Come obbedendo al suo ordine silenzioso, Karl piegò lievemente verso destra, forse per permettere a chiunque ci fosse davanti a loro di passare.

«Buongiorno.»

Quel saluto improvviso – che non era stato pronunciato da Karl – la fece sussultare. Dove aveva già sentito quello strano accento strascicato? Nel momento stesso in cui si poneva la domanda, Lidia trovava la risposta. Alexander! Comprese sgomenta, con il cuore in gola. Subito si ricordò ciò che Gaio le aveva detto la sera prima: il germanico aveva promesso di recuperare da qualche parte un carro automatico, che però non era arrivato in tempo per la loro partenza. Evidentemente gliel’hanno fatto avere durante la notte! Ma perché è in giro? Cosa sta facendo?

Karl rispose al saluto dell’uomo con una sorta di grugnito poco amichevole. La fanciulla sperò che l’ostilità del suo accompagnatore fosse sufficiente per scoraggiare Alexander, ma, per suo sommo orrore, il borbottio del motore del carro automatico cessò, indice che l’uomo aveva spento la macchina.

«Non riesco a passare» ringhiò Karl, in un tono che a Lidia non piacque affatto. «Spostatevi un po’ a sinistra.»

La ragazza dovette compiere un notevole sforzo di volontà per impedirsi di mettersi a sedere e vedere con i propri occhi quello che stava succedendo. “Spostatevi”? Si disse. Perché parla al plurale? Alexander non è solo?

«Certamente» replicò educatamente l’uomo dai capelli rossi. «Vieni da sud?» Karl attese qualche istante, prima di rispondere, e Lidia si chiese se anche lui, come lei, avesse intravisto una trappola in quella domanda apparentemente innocente. «Mi pare ovvio» sbottò poi il germanico.

«In questo caso», riprese Alexander, «forse ci puoi aiutare. Stiamo cercando una ragazza: mora, non tanto alta. Forse viaggia da sola o forse è accompagnata da alcuni uomini: l’hai vista, per caso?»

«Se ho incrociato delle ragazze, non ci ho badato.» Karl aveva risposto con prontezza e con voce ferma, ma Lidia era talmente stupefatta da quello che aveva appena udito, che le parole del germanico giunsero alle sue orecchie un po’ attutite. Era assolutamente palese che Alexander si stesse riferendo proprio a lei, ma, sulle prime, la fanciulla non riuscì a comprendere come fosse possibile che l’uomo fosse al corrente della sua scomparsa.

Quell’interrogativo ebbe però vita breve. «Tu vieni da Erding, non è così? Lavori alla miniera.» Non era stato Alexander a parlare, ma un’altra voce, fin troppo familiare. Tito! Pensò Lidia, mentre il sangue le defluiva dalla faccia. Come può essere qui? L’ho lasciato in mezzo a un bosco, da solo, nel cuore della notte… e noi non ci siamo mai fermati!

In un modo o nell’altro, il giovane romano li aveva preceduti. E non solo: ha anche fatto in tempo a raggiungere Alexander e a dirgli quello che è successo! Come ha fatto? Per una frazione di secondo, la ragazza fu tentata di balzare in piedi e di chiedere spiegazioni, ma il buon senso – e la mano di Rolf che, non vista, le sfiorava la schiena – la spinse a rimanere sdraiata sul fondo del carro, in attesa dell’evolversi degli eventi.

«Sì.» La voce di Karl si era fatta guardinga e in essa Lidia riconobbe quell’accento tagliente che gliel’aveva fatto notare le prime volte che aveva avuto a che fare con lui. «Tu invece sei quel ragazzino romano che gironzola al villaggio, ultimamente.»

No! Stai zitto, idiota! Non far vedere che lo conosci! Frustrata, Lidia si morse un labbro, cercando di contenere il nervosismo. Che motivo aveva, Karl, di far capire a Tito che sapeva chi fosse? Rischia di attirare l’attenzione… su di me.

«Ci siamo già incontrati?» indagò Tito. Anche se non aveva modo di vederlo, la fanciulla si figurò perfettamente l’espressione sospettosa che si era sicuramente disegnata sul suo volto. Prima che il germanico avesse modo di rispondere, il giovane romano riprese a parlare. «Aspetta un attimo» disse lentamente. «Tu non sei… tu conosci Lidia! Hai sposato la sorella di suo marito, vero?»

Orripilata dalla piega che stava prendendo il discorso, la ragazza trattenne il fiato. «Ne sei sicuro?» Era stato Alexander a parlare, e nel suo tono cauto Lidia colse qualcosa che la fece rabbrividire. Karl inspirò come per dire qualcosa, ma Tito lo precedette. «Certo, che ne sono sicuro!» esclamò. «Me lo ricordo benissimo, adesso: è stato il Prefetto in persona a dirmi chi fosse e a consigliarmi di tenerlo d’occhio… non è un tipo raccomandabile, ed è uno di quelli che fanno più casini, a quanto pare!»

Sebbene, in tutta coscienza, Lidia non si sentisse di dissentire col ritratto che Tito aveva appena fatto del cognato, il fatto che Karl fosse stato letteralmente schedato da Caleno e dai suoi sottoposti la disturbava un po’.

«Vogliamo davvero parlare di chi è che fa più casino, romano?» lo provocò Karl, che, evidentemente, stava perdendo la pazienza. «Per quanto mi riguarda, siete…» «Non è il momento di parlare di queste cose» intervenne bruscamente Alexander, nella sua voce un’autorevolezza che, fino a quel momento, Lidia non aveva mai notato. «Quello che conta, adesso, è ritrovare Lidia… che sembra essere sparita nel nulla in circostanze poco chiare.»

«Esatto» concordò Tito, con voce un po’ roca. «Non so perché, ma ho come il sospetto che la sua presenza da queste parti non sia esattamente una coincidenza: perché sei qui, minatore?»

«La cosa non ti riguarda» ribatté Karl, altrettanto duramente. Accanto a lei, Lidia avvertì Rolf vacillare lievemente, come se il ragazzino fosse intimorito dai toni sempre più accesi della conversazione che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.

«Tu sai dov’è Lidia, non è così?» insistette Tito, con voce dura. «Dove l’hai portata?»

«Tito…» Alexander provò nuovamente a inserirsi nella conversazione, ma il giovane romano non glielo permise. «Anzi, fammi un po’ vedere che cos’hai sul carro? Che cosa trasporti?»

«Non ti avvicinare, ragazzino» ringhiò di rimando Karl. «Quello che trasporto è affar mio: ti assicuro che non ci ho nascosto il corpo della tua amica, qui sopra.»

Tecnicamente non è una bugia, osservò Lidia, con una punta di sarcasmo dettato più che altro dalla disperazione. Quasi senza accorgersene, si ritrovò ad appiattirsi ancor di più contro il fondo del carro, riducendo al minimo il respiro. Per qualche istante, ebbe l’impressione che anche il cuore avesse preso a battere in modo più silenzioso.

«Allora non ti dispiacerà, se do un’occhiata.» Le parole di Tito la fecero trasalire. Lo conosceva abbastanza bene per poter dire con certezza che non si trattava di una provocazione vuota: se il ragazzo si era messo in testa che Karl stesse nascondendo qualcosa, non c’era modo di impedirgli di verificare con i suoi occhi che fosse tutto a posto. A meno che Karl non gli impedisca di salire bloccandolo fisicamente. Davanti ai suoi occhi si parò l’immagine del giovane romano, tutto sommato fragile e minuto in confronto alla stazza imponente del germanico, che si apprestava ad avere uno scontro fisico con lui. No, no, pensò Lidia, mentre la preoccupazione per le sorti dell’amico le serrava la gola.

«Tito, aspetta!» Il richiamo di Alexander le confermò che il ragazzo stava effettivamente cercando di raggiungere il carro su cui si trovavano Karl e Rolf; e Lidia si trovò ad agire senza riflettere. Del resto, non voglio certo farmi scoprire qui, nascosta come un criminale. Sarebbe patetico, e poi non sto facendo nulla di male! Senza che Rolf potesse fare nulla per impedirglielo, la ragazza si mise a carponi e, con un gesto secco, si liberò della vecchia coperta polverosa, incontrando subito gli occhi di Tito che, nel frattempo, era sceso dal carro automatico.

«Lidia!» esclamò lui, in un misto di stupore e sollievo. Per qualche motivo, lei si ritrovò a lottare contro una bocca improvvisamente secca. «Ehm… ciao» abbozzò, senza riuscire a sostenere il suo sguardo che per pochi secondi. Mordicchiandosi le labbra, Lidia pensò che il giovane romano avesse tutti i motivi per avercela con lei: l’aveva abbandonato in mezzo al nulla, lasciandolo solo a sbrigarsela con tutte le insidie che si nascondevano nella notte.

Il ragazzo, però, non sembrava mostrare rancore nei suoi confronti: sorrideva come se il fatto di vederla viva – e sana e salva – fosse l’unica cosa veramente importante. C’è da dire che Tito non lo sa, che hai deciso di seguire Karl di tua spontanea volontà, le fece notare la sua coscienza, velenosa. Mi sa che, se lo sapesse, sorriderebbe un po’ meno.

«Stai bene?» le chiese il ragazzo, avvicinandosi a lei fino a quando non appoggiò le mani sulla sponda del carro. Con la coda dell’occhio, Lidia notò la mascella contratta di Karl e lo ringraziò in silenzio per quel briciolo di pazienza che stava dimostrando. La fanciulla annuì. «Sì, sì, sto bene…» Le parole di scusa che avrebbe voluto rivolgergli le morirono in gola e Lidia abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia, a disagio come le era capitato poche volte, quando era stata in compagnia di Tito.

Con il capo chino, la giovane avvertì, più che vedere, il cenno d’assenso rivoltole dal ragazzo. «Meno male. E allora andiamo, su.» Nell’udire quell’esortazione, Lidia levò di scatto la testa. «Andiamo?» gli fece eco, anticipando persino Karl, che si era girato per fronteggiare meglio Tito.

Sul volto del giovane romano si disegnò un’espressione ancora più determinata. «Sì. Adesso ti riporto da Alexander», disse, indicando con una mano il germanico ancora fermo a bordo del carro automatico, «e poi domani ripartiamo per il campo di Hudwill. Non so cosa sia successo esattamente a Gaio e a Valerio, ma ora abbiamo un carro e potremo arrivarci anche da soli, credo.»

Lidia rimase immobile per qualche istante, troppo incredula per reagire immediatamente. Possibile che Tito intendesse davvero riprendere il suo piano lì dove l’aveva lasciato? Crede davvero che intenda fare marcia indietro per l’ennesima volta? Prima che avesse modo di dar voce a quei pensieri, però, Karl lasciò le redini del cavallo e si avvicinò minacciosamente al giovane romano. «Tu non farai niente del genere» ringhiò. «La ragazza torna a Erding. Con me.»

Tito irrigidì la mascella, mentre i suoi occhi sembravano farsi ancora più scuri del consueto. «Così che tu possa consegnarla alle persone che hanno cercato di ammazzarci, giusto?» lo provocò, sprezzante. Turbata dal tono del giovane, Lidia scosse con forza la testa. «No, lui non vuole farmi del male. Vuole solo riportarmi da Ulf.»

«Come fai a esserne certa?» La voce quieta di Alexander, che la fissava con un’espressione preoccupata nei profondi occhi blu, distrasse brevemente la ragazza, che non si accorse del fatto che Tito si fosse avvicinato a lei fino a quando non si sentì afferrare saldamente per un braccio. «Non lo può sapere, ovviamente» rispose il ragazzo, al posto suo. «Ed è proprio per questo che verrà con noi, come avevamo deciso fin dall’inizio.»

«Avete deciso tutto voi» ribatté lei, cercando di liberarsi dalla sua presa, invano. «Io avrei preferito restare al villaggio, ma non mi avete lasciato scelta.»

«Lasciala andare. Ci stai facendo perdere fin tropo tempo» ringhiò Karl. Il suo volto era talmente tirato che Lidia temette che il cognato fosse sul punto di esplodere e di perdere il controllo – tutto sommato sorprendente – che aveva dimostrato fino a quel momento. «Tito, lasciami andare» rincarò allora la dose la fanciulla. «Mi stai facendo male.»

«Cerca di ragionare» la esortò il ragazzo, senza allentare minimamente la presa. «Io ho cercato di rispettare la tua volontà, ma non posso permettere che tu ti esponga a dei rischi inutili così, proprio sotto ai miei occhi.»

«Tito…» riprovò ancora la ragazza, ma le parole le morirono in gola quando, con la coda dell’occhio, vide Karl balzare in piedi e poi giù dal carro, in un unico movimento fluido. Il cuore prese a martellarle in gola e Tito sgranò gli occhi, sorpreso dal movimento del germanico. Un secondo più tardi, l’uomo gli fu addosso e lo afferrò per la collottola, tirandolo indietro così bruscamente che, prima che lasciasse andare il suo braccio, il ragazzo rischiò di trascinare con sé anche Lidia. «Ti ho detto di lasciarla andare e di sparire!» fece ancora Karl, con la voce carica di minacce.

Quando Tito si voltò per fronteggiarlo, la ragazza sentì il proprio cuore perdere un battito. Istintivamente si lanciò giù dal carro, rendendosi solo vagamente conto del fatto che Alexander si era mosso quasi in perfetta sincronia con lei. Distratto dal movimento che avvertì alle sue spalle, Karl si voltò a guardarla. «Torna sul carro» le intimò, piantando gli occhi nei suoi. Approfittando della distrazione dell’avversario, Tito si mosse così rapidamente che Lidia si accorse che il giovane si era nuovamente avvicinato a lei solo nel momento in cui le sue dita trovarono una seconda volta il suo polso. «Non ci pensare nemmeno» le intimò, cercando di tirarla a sé.

«Forse potremmo…» Alexander tentò di dire qualcosa che potesse calmare un poco gli animi, ma, di punto in bianco, i due uomini lo ignorarono e si scagliarono l’uno sull’altro. Karl afferrò il ragazzo più giovane e, come aveva fatto anche in precedenza, lo tirò con forza via da Lidia, rimediandosi così un pugno che lo fece imprecare. Prima che Tito potesse attaccarlo di nuovo, il germanico gli torse dolorosamente il braccio dietro la schiena, costringendolo a ripiegarsi su se stesso con un gemito di dolore.

«Smettetela!» gridò Lidia, facendo per inserirsi tra di loro nel tentativo di separarli. Prima che riuscisse a raggiungerli, però, Alexander le circondò la vita con un braccio, tirandola contro il proprio corpo. «Stanne fuori» le disse.

La giovane piegò il collo all’indietro e vide che il germanico fissava con occhi preoccupati i due uomini, senza tuttavia accennare a mollare la presa che aveva su di lei, né a fare qualcosa per separarli. «Finiranno col farsi male» gemette, preoccupata. «Lo so», mormorò amaramente lui, «ma non è il caso che ci vada di mezzo anche tu.»

In un qualche modo, Tito riuscì a liberare il braccio dalla presa del germanico, ma subito quello lo afferrò per il bavero e lo strattonò come per gettarlo a terra. Puntando i piedi contro il terreno erboso, il giovane romano riuscì a sbilanciare l’avversario, sospingendolo bruscamente verso i pochi alberi che crescevano sulla sinistra del sentiero. «Attenti!» gridò Lidia, divincolandosi nella presa di Alexander. L’uomo la tenne stretta, passandole più saldamente il braccio attorno alla vita, e la fanciulla si voltò verso di lui, angosciata. «C’è un salto, lì sotto. Se non stanno attenti…»

«Resta qui» le disse lui, sporgendosi per guardarla negli occhi. Lidia corrugò la fronte, confusa e spaventata. «Ma…»

«Cerco di calmarli», mormorò Alexander, «ma tu devi promettermi di restartene qui buona, senza più cercare di metterti in mezzo. Non voglio dovermi preoccupare anche per te, d’accordo?» Con gli occhi offuscati dalle lacrime, Lidia annuì e indietreggiò fino ad appoggiarsi, tremante, al tronco di un frassino che cresceva sul lato opposto della strada. Con l’angoscia che le mozzava il fiato, la fanciulla percorse con i polpastrelli la corteccia liscia dell’albero, cercando inconsciamente conforto nella solidità del legno.

Una volta che si fu assicurato che la ragazza sarebbe rimasta al proprio posto, il germanico si avvicinò con circospezione agli altri due uomini, alzando le mani come per dimostrare il suo intento pacificatore. Dalla sua posizione, Lidia vide gli occhi dell’uomo balenare tra i due giovani e il precipizio che si apriva a pochi metri di distanza, valutando forse un modo rapido per dividerli e allontanarli dal pericolo. Proprio quando parve sul punto di prendere una decisione e muovere un passo nella loro direzione, Karl cadde su un ginocchio con un gemito di dolore. «Tito, no!»

L’esclamazione di Alexander fece balzare il cuore in gola a Lidia e, in preda a un capogiro, la ragazza si trovò a scivolare a terra. Anche se la distanza e la vegetazione bassa che la separava dai tre uomini non le permettevano di scorgere i particolari, la fanciulla vide che, inaspettatamente, nella mano di Tito era spuntato un coltello dalla lama insanguinata. Oh, no, pensò, sconvolta, mentre un presagio funesto calava su di lei e le faceva comprendere per la prima volta quanto grave fosse la situazione.

Prima che il giovane romano potesse colpire di nuovo l’avversario, Alexander di lanciò su di lui, cercando di immobilizzarlo. In quello stesso istante, però, Karl si rimise in piedi e, anche se il suo volto si era fatto pallido e il dolore distorceva i suoi lineamenti, strinse le mani sulle spalle del ragazzo, sospingendo sia lui che Alexander verso la ripida vallata creata dal fiume. Senza lasciare a nessuno il tempo di fermarlo, Tito si divincolò, facendo saettare la mano che stringeva il coltello e ferendo il braccio di Alexander che, di riflesso, lasciò la presa. Con un unico, rapido movimento, il giovane colpì di nuovo Karl, facendolo vacillare, mentre una macchia scura si allargava sui suoi vestiti attorno al punto in cui era affondata la lama.

L’uomo cadde a terra, ma, così facendo, afferrò gli abiti del ragazzo e lo trascinò con sé. Tito urtò violentemente il terreno umido con una spalla e perse la presa sull’arma che ancora stringeva in mano. I movimenti dei due si fecero confusi e la fanciulla, il cui sguardo si faceva via via sempre più appannato a causa delle lacrime e del terrore che le annebbiava i sensi, non riuscì più a scorgere quello che stava accadendo: sentì solo il grido di Alexander e poi, senza nemmeno accorgersene, si ritrovò a volare verso il germanico.

Quando lo raggiunse, vide che l’uomo era inginocchiato a terra molto più vicino al dirupo di quanto si sarebbe aspettata. Tenendosi ancorato al terreno con una mano, Alexander stringeva con l’altra il polso di Tito, impedendogli di scivolare giù per la ripida scarpata. Senza pensarci due volte, la ragazza si lasciò cadere a terra accanto a lui: ignorando il dolore al ginocchio, si sporse a sua volta in direzione del giovane romano, stringendo tra i pungi la stoffa della sua maglia e aiutandolo a issarsi in una posizione più sicura. Quando Tito non si trovò più in pericolo di scivolare di sotto, la fanciulla si guardò attorno. Dov’è Karl?

In preda a uno strano senso di estraniamento, la giovane si sporse verso il fiume che scorreva in fondo al burrone, quasi senza sentire le mani di Alexander che la afferravano per le spalle e la costringevano a ritrarsi: diverse decine di metri più in basso, dopo un piccolo salto di roccia, Lidia scorse il corpo immobile dell’uomo. «No!» esclamò, in preda all’orrore. «Dobbiamo aiutarlo!»

«Lidia», la richiamò Alexander, con voce morbida, «non c’è niente che possiamo fare, per aiutarlo.» La fanciulla si voltò verso di lui con gli occhi sgranati, rifiutandosi di accettare l’evidenza che il germanico le stava presentando. «Non è vero» lo contraddisse, con voce strozzata. «Possiamo… possiamo scendere, un po’più avanti! Non possiamo lasciarlo lì, ha bisogno di essere aiutato, curato!»

Le labbra di Alexander si piegarono in una curva amara, mentre l’uomo scuoteva mestamente la testa. «Ha fatto un volo di più di dieci metri ed è finito sulle rocce: se non è morto, lo sarà presto. Perdeva parecchio sangue» aggiunse, lanciando un’occhiata di soppiatto a Tito, che sembrava come congelato nella posizione in cui l’avevano lasciato.

Lidia guardò ancora verso il punto in cui Karl era caduto, seguendo con gli occhi i contorni del suo corpo in una sorta di macabra fascinazione. Anche se la parte più razionale della sua mente le sussurrava che Alexander aveva ragione e che non c’era assolutamente modo che il cognato potesse sopravvivere a una caduta del genere, c’era qualcosa, nel profondo del suo animo, che si ribellava alla prospettiva di abbandonarlo lì, sulla roccia fredda. Vivo o morto che fosse. «Non fa niente» insistette, cercando di ingoiare il nodo che aveva preso a stringerle la gola. «Voglio scendere comunque. Non possiamo lasciarlo lì.»

Con quelle parole, Lidia fece per dirigersi verso il punto in cui le pareva che la scarpata fosse meno impervia, ma le mani di Alexander strinsero la presa sulle sue spalle. «Non possiamo scendere senza attrezzatura. Ci servirebbe una corda, come minimo. Dei rinvii.» La ragazza lo guardò boccheggiando, troppo scioccata per capire quello che l’uomo stava dicendo, e lui ne approfittò per trascinarla via dall’orlo del precipizio. «Mi dispiace, ma non possiamo rischiare di romperci l’osso del collo. Un morto basta e avanza. So che non è facile, ma devi andare avanti.»

Quell’ultima osservazione suscitò nella ragazza un moto di ribellione. È appena morto! Pensò confusamente, mentre la rabbia le infiammava lo stomaco. Come fa a dire che devo andare avanti? È troppo presto! Lidia si voltò verso il germanico, intenzionata a controbattere, ma qualcosa, nella sua espressione distante e stanca, dissolse la sua rabbia: al suo posto, la giovane avvertì soltanto smarrimento, angoscia e un’intuizione che scivolò via prima che lei potesse afferrarla. «Cosa dirò a sua moglie?» pigolò allora, a corto di parole. «Cosa dirò a Ulf?»

Alexander fece per rispondere, ma le parole sembrarono morirgli in gola, mentre l’uomo abbassava gli occhi a terra. «Non lo so» ammise cupamente. «È stato un incidente.»

Non è vero che è stato un incidente, pensò la fanciulla, mentre lo stomaco le si contraeva in una stretta dolorosa. Se era vero che era stata la fatalità a far sì che Karl scivolasse giù dalla scarpata e cadesse nel canyon creato dal fiume, era altrettanto vero che era stato Tito, ad attaccarlo per primo. Ad accoltellarlo.

Spostando la sua attenzione sul giovane romano, Lidia avvertì una nuova preoccupazione nascere in lei. Malgrado tutto – malgrado la sua volontà di allontanarla da Erding e malgrado quello che aveva appena fatto – lei continuava a voler bene a Tito. Con una punta di stupore, si rese conto di sentirsi persino responsabile per lui, forse perché, se non fosse stato per lei, il ragazzo non avrebbe mai abbandonato Roma per recarsi in Germanica. Se già prima le speranze che il giovane fosse ben accetto dalla sua nuova famiglia erano estremamente esili, dopo la morte di Karl esse erano assolutamente inesistenti.

Non posso non raccontare a Unna e a Ulf quello che è successo. Hanno il diritto di sapere. Soprattutto Unna… e il bambino. Anche se il solo pensiero di raccontare ai gemelli – e a Gefrid! – la dinamica dei fatti le faceva tremare le gambe, Lidia era terribilmente consapevole di non poter fare altrimenti. E allora, chi può dire come reagiranno?

Tito sarebbe stato al sicuro, una volta che la sua responsabilità nella morte di Karl fosse stata chiara a tutti? Be’, immagino che lui possa sempre chiedere protezione all’accampamento militare: scommetto che Caleno sarebbe ben felice di concedergliela. Improvvisamente, un altro pensiero le balenò in testa. E io? Sarò al sicuro, io? L’espressione gelida di Unna le si presentò davanti agli occhi e Lidia sentì il proprio cuore mancare un battito, mentre una sincera preoccupazione per la reazione della cognata le mozzava il fiato.

Fu la voce di Alexander a riscuoterla da quei pensieri e a riportarla al presente. «Dov’è finito il ragazzo?»

Quale ragazzo? Fu la prima domanda che attraversò la mente di Lidia, ma, una frazione di secondo più tardi, la giovane si riscosse. Rolf! Comprese, improvvisamente consapevole che era da parecchio tempo che aveva perso di vista il nipote di Karl. Dov’è sparito?

«Non lo so» replicò, incerta. Lidia fece saettare lo sguardo tutto attorno a sé, alla ricerca di un qualche segnale che potesse rivelare la posizione del ragazzino, ma Rolf sembrava essere scomparso nel nulla. «È scappato, presumo» concluse, poi, stringendosi nelle spalle in preda allo sconforto.

Alexander espirò lentamente dal naso. «Preferirei ritrovarlo» mormorò, con una smorfia preoccupata. «Ha visto chiaramente quello che è successo: il fatto che sia in giro a piede libero mi piace poco.» Lidia aggrottò la fronte, turbata. «Perché?» indagò, con un tremito quasi impercettibile nella voce. «Che cosa vorresti fargli?»

Il germanico le rivolse uno sguardo teso. «Niente di male, ovviamente. Io non me la prendo di certo con i bambini. È solo che preferirei tenerlo d’occhio per un po’: è spaventato; e non vorrei che andasse a parlare con le persone sbagliate.»

Lidia annuì in silenzio. L’adrenalina che l’aveva sostenuta fino a quel momento stava rapidamente scemando, lasciando il posto a un sentimento opprimente e appiccicoso che la faceva annaspare alla ricerca di ossigeno. Quando spostò il peso sul ginocchio destro, la ragazza sussultò mentre il dolore dovuto alla caduta, dimenticato per qualche tempo, tornava a farsi sentire. La sua smorfia non sfuggì ad Alexander, che le si avvicinò di un passo. «Sei ferita?» le chiese. Dalla sua espressione preoccupata, Lidia comprese che il germanico temeva che, in un modo o nell’altro, lei si fosse fatta male durante la colluttazione di poco prima, quindi scosse la testa. «È solo una storta. O una botta. Sono scivolata lungo il sentiero.»

Il dolore acuto che ancora si riverberava nella sua gamba ebbe l’effetto di distoglierla dalle preoccupazioni che non riguardavano l’immediata contingenza in cui si trovava. In particolare, si rese conto che Tito era ancora nella stessa identica posizione in cui lei e Alexander l’avevano lasciato ormai diversi minuti prima. Non sarà mica ferito, vero? Si chiese la fanciulla, mentre una preoccupazione improvvisa la assaliva.

Anche se la morte del cognato la turbava – e la spaventava – più di quanto avrebbe potuto immaginare fino al giorno prima, doveva riconoscere che non c’era più nulla che potesse fare per lui: ora non le restava che prendersi cura di Tito. Se da un lato il suo subconscio continuava a ripeterle che il giovane romano si trovava dalla parte del torto ­– era stato lui a uccidere Karl – Lidia doveva riconoscere che il ragazzo era anch’esso una vittima, a modo suo. L’ha fatto solo per difendersi. Per difendermi.

Avvicinandosi a Tito quasi in punta di piedi, la fanciulla si accovacciò accanto a lui, stringendo i denti contro il dolore che le si irradiò dal ginocchio. «Ehi. Stai bene?» gli chiese, cercando di adottare il tono più morbido che le riuscisse in quelle circostanze. Quando un’ombra calò su di lei, Lidia scoccò un’occhiata alle proprie spalle e vide che Alexander le si era avvicinato in silenzio e restava fermo a poco più di un metro di distanza da lei, quasi volesse concederle una certa privacy, ma, allo stesso tempo, volesse essere certo di potere intervenire in tempo nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.

La ragazza quasi sorrise, di fronte alla premura del germanico. Come se ci fosse il bisogno di difendermi da Tito! Pensò, con una punta di amaro divertimento. Il ragazzo non sarebbe mai stato capace di farle del male, di questo ne era certa. Però eri anche certa che non avrebbe mai portato con sé un coltello, né, tanto meno, che sarebbe stato capace di usarlo per uccidere una persona… non è così? Le sibilò la sua coscienza, facendole trattenere il respiro per una frazione di secondo.

Ma no. Conosceva Tito e sapeva che da lui non aveva nulla da temere. Non in quelle circostanze, quantomeno. «Tito?» ripeté, quando vide che il giovane non dava cenno di aver sentito la sua prima domanda. Nell’udire il proprio nome, il ragazzo si riscosse e alzò su di lei due grandi occhi scuri insolitamente vuoti. Sul suo viso, Lidia lesse una tale disperazione e un tale senso di smarrimento che gli occhi le si riempirono di lacrime e la gola le si serrò. Impulsivamente, la ragazza fu tentata di abbracciarlo per dargli conforto, ma si impedì di farlo: anche se confusamente, avvertiva di dover dosare con attenzione le proprie reazioni. Doveva evitare di fare dei gesti che, a caldo, le sarebbero potuti sembrare giusti e sensati, ma di cui si sarebbe poi pentita in un secondo momento.

Davanti allo sguardo del ragazzo, la fanciulla si sentì allora indifesa e impacciata, incerta su come comportarsi e accolse con sollievo l’inaspettato intervento di Alexander. Avvertendo forse l’imbarazzo della giovane, l’uomo la raggiunse e si chinò su Tito, passandogli un braccio attorno alle spalle. «Ce la fai ad alzarti?» gli chiese, con un tono più spiccio di quello che Lidia si sarebbe aspettata.

Il giovane romano sbatté più volte le palpebre, come ridestandosi da un sogno – o da un’allucinazione – poi annuì. «Sì» fece, con voce un po’ roca. «Sei ferito?» lo interrogò ancora Alexander. «Ti fa male qualcosa?»

Il ragazzo si portò una mano alla tempia. «La testa» mormorò, quasi in trance. Lidia gli si avvicinò di un passo, passando rapidamente in rassegna al suo capo alla ricerca di tracce di sangue. «L’hai battuta?» indagò, preoccupata. Tito fece un cenno di diniego. «No. Mi fa male la testa» ripeté, senza incontrare lo sguardo della ragazza.

Lidia aggrottò la fronte, confusa, ma Alexander mosse una mano come per chiederle di non insistere. «Credo che sia sotto shock. La cosa migliore è riportarlo a casa mia, almeno per stanotte: ha bisogno di riposarsi; e tu devi mettere qualcosa su quel ginocchio, a giudicare da come zoppichi.»

Quel cambiamento dei piani – imprevisto, anche se forse inevitabile – mise immediatamente in allarme la ragazza. «No, io… io devo essere a Erding entro questa sera» protestò, inciampando nelle parole. Alexander le rivolse un’occhiata scettica. «Sì? E per fare cosa?» Lidia boccheggiò. «Per… per dire a Ulf quello che è successo. E anche a Unna, la moglie di Karl.»

Il germanico scosse la testa con decisione. «Non mi pare una buona idea» decretò. «Ovviamente dovremo spiegare a tutti quello che è successo, ma non oggi. Sei troppo scossa; e sei stanca: riposati, per questa notte, e domani affronteremo la faccenda a mente fresca.» La giovane corrugò la fronte. «Affronteremo?» ripeté, senza capire.

Alexander le rivolse un piccolo sorriso. «Be’, sì: non me la sento, di scaricarvi per strada come se nulla fosse. Mi siete capitati tra capo e collo, non dico di no, ma adesso mi sento responsabile per voi.» Davanti a quell’ammissione, Lidia si accigliò. «Non ce n’è alcun motivo. Non ho bisogno di un protettore… posso affrontare le conseguenze da sola» proclamò, anche se il solo pensiero le provocò un capogiro.

«Non lo metto in dubbio» replicò l’uomo, ancora con un mezzo sorriso. «Ma cosa mi dici di Tito? Credi davvero che possa percorrere da solo la strada che porta al tuo villaggio? Non sono sicuro che sia in grado di reggere i sensi di colpa.»

Lidia soppesò con lo sguardo il giovane romano. Il ragazzo era visibilmente scosso e provato, eppure, qualcosa nel fondo della sua mente, metteva in dubbio che Tito si sentisse veramente in colpa per avere ucciso Karl. Dopotutto, non sono convinta che l’abbia fatto apposta: l’ha attaccato per difendermi, non per ucciderlo… credo. E, soprattutto, non riusciva a togliersi dalla testa l’astio e il disprezzo con cui il giovane si era rivolto a Karl – un sentimento che forse il ragazzo provava per l’intero popolo germanico, se aveva interpretato correttamente i suoi discorsi.

Tuttavia, non sentendosi in grado di interpretare correttamente i pensieri che in quel momento stavano attraversando la testa di Tito, Lidia preferì soprassedere su quel particolare. «E allora cosa farai?» chiese, tornando a rivolgersi ad Alexander. «Ci accompagnerai a Erding, e poi? Farai avanti e indietro in giornata? Non è un viaggio troppo lungo?»

Il germanico esitò. «Credo che potrei approfittarne per scambiare due parole con Erin» mormorò. Lidia gli scoccò un’occhiata sorpresa: non era certamente la spiegazione che si era aspettata. «Erin? Intendi Donna Erin? Ovvero la nostra Sacerdotessa?»

Alexander si strinse nelle spalle. Forse era solo un’impressione, ma a Lidia quel gesto sembrò tradire un certo imbarazzo. «Sì, proprio lei» confermò però l’uomo, con voce neutrale. «Non ci vediamo spesso, ma ci conosciamo da diversi anni. È sempre bene informata su tutto quello che avviene nella regione e, visto tutto quello che sta succedendo, mi piacerebbe avere qualche aggiornamento.» Lidia si rigirò in testa quella spiegazione, pensando che aveva senso, ma, prima che potesse aggiungere altro, Alexander si chinò nuovamente su Tito e, afferrandolo saldamente per le spalle, lo esortò ad alzarsi. Il ragazzo sembrava leggermente più padrone di sé, adesso, e si sciolse dalla presa del germanico. «Ce la faccio» mormorò, senza alzare lo sguardo da terra.

«Va bene» annuì Alexander. «Allora andiamo. Salite pure sul carro automatico. Sai a chi appartiene quello su cui stavi viaggiando tu, Lidia?»

«Non lo so. Karl l’aveva… l’aveva rubato da qualche parte» replicò, con la bocca secca. Dunque lo stavano facendo veramente: stavano davvero andandosene via, abbandonando il corpo di Karl in fondo a una gola, alla mercé degli elementi e degli animali selvatici. Sebbene stesse cercando di convincersi del fatto che non avevano alternative, non poteva fare a meno di pensare che quella decisione fosse profondamente sbagliata.

«E allora lasceremo che il cavallo ritrovi il suo padrone» fece il germanico, ignorando – o scegliendo di ignorare – il turbamento della fanciulla. Così dicendo, sciolse i finimenti del cavallo ancora legato al vecchio carro sottratto a qualche contadino della zona; e a Lidia non rimase altra scelta che montare sul carro automatico al fianco di Tito.

Quando, dopo qualche istante, la macchina si mise in marcia, il suo stomaco era talmente contratto dallo smarrimento e dai sensi di colpa che la giovane si credette sul punto di vomitare.

***

Germanica Inferiore, 342 a.U.c., 18 Luglio

Quando il profilo ormai famigliare della miniera d’argento si stagliò davanti a lei, Lidia affondò nervosamente le unghie nella gommapiuma che rivestiva i sedili del carro automatico. Non era stata tanto in ansia nemmeno il giorno in cui era giunta per la prima volta a Erding accompagnata dai suoi genitori: all’epoca, infatti, sapeva di non avere nulla di cui rimproverarsi. A differenza di adesso. Adesso ci sono un sacco di cose che, volendo ben vedere, si potrebbe dire che siano successe per colpa mia…

Inspirando a fondo e poi rilasciando l’aria in un sospiro tremulo, la fanciulla notò che i suoi compagni non sembravano condividere del tutto la sua inquietudine. Anche se non lo conosceva abbastanza bene per giudicare i suoi stati d’animo, Alexander pareva piuttosto tranquillo. Anzi, a giudicare dall’espressione del suo volto, il germanico sembrava quasi annoiato, come se l’imminente incontro con Donna Erin non lo preoccupasse minimamente. Il che è abbastanza strano: a parte Caleno, mi sembra che la gente sia sempre abbastanza tesa, quando deve trattare con lei.

Quel particolare la incuriosiva: la sera prima, Lidia aveva cercato di indagare e capire meglio quale tipo di rapporto esistesse tra Alexander e la Sacerdotessa, ma lui era stato molto vago, facendole chiaramente capire di non gradire la conversazione. Il che, probabilmente, dovrebbe farmi dubitare della sua affidabilità, pensò la ragazza, osservandolo con la coda dell’occhio. Anche se gli avvenimenti del giorno prima avevano fatto passare in secondo piano tutto il resto, ora che era a un passo dal rimettere piede al villaggio, Lidia vedeva riemergere tutti gli antichi sospetti che aveva nutrito – incoraggiata da Ulf, naturalmente – a proposito delle intenzioni di Donna Erin e dei Sacerdoti in generale.

La questione più importante, comunque non è quello che ha in mente Alexander: mi preme più capire cosa ha intenzione di fare Tito…

Quasi le avesse letto nel pensiero, il ragazzo si voltò a guardarla. «Io rimango dell’idea che sarebbe meglio andare al campo militare» disse, incrociando le braccia davanti al petto. «No» fu l’immediata replica di Alexander. «Ne abbiamo già parlato: prima di tutto, andremo da Erin e sentire cosa ha da dirci. Poi, se vorrete e se non ci saranno controindicazioni, potrete anche andare dal Prefetto.»

Lidia alzò gli occhi al cielo, pregando ferventemente che i due uomini non riprendessero a discutere come avevano fatto per ore la sera prima. «Fate come volete» sbuffò. «Andiamo dalla Sacerdotessa, se proprio dobbiamo: poi, però, io vado a casa. Mio marito dovrebbe essere già tornato e non mi sembra proprio il caso di perdere dell’altro tempo. Devo andare da lui.»

Tito le lanciò un’occhiata truce, ma non replicò. Inconsciamente, Lidia si morse le labbra, mentre un nuovo brivido di apprensione le scivolava lungo la schiena. Le cose erano già abbastanza complicate così com’erano e lei non aveva assolutamente bisogno che il giovane romano ricominciasse ad avanzare pretese sul suo futuro.

Il giorno prima, mentre Alexander li riaccompagnava alla sua casa in mezzo ai boschi, il ragazzo era stato estremamente silenzioso. Aveva percorso l’intero viaggio chiuso in se stesso – quasi ripiegato su se stesso, anche fisicamente. Anche se Lidia aveva rispettato e compreso il suo bisogno di venire a patti con quello che aveva fatto, era stata sinceramente preoccupata per l’ostinato mutismo del giovane. Si era sentita inutile, senza alcuna idea di cosa fare, né di quali cupi pensieri stessero attraversando la mente di Tito in quel momento.

Era stato solo durante la cena, diverse ore dopo, che il ragazzo aveva iniziato a dare segni di ripresa. Poco alla volta, si era fatto più loquace e aveva preso a porre domande e a chiedere ad Alexander come intendeva muoversi, il che aveva poi condotto alla discussione circa l’opportunità di recarsi da Erin piuttosto che dal Prefetto.

Però non ha mai detto nulla a proposito da Karl, ricordò Lidia, con una smorfia. Se lo guardava attentamente, vedeva che Tito non era ancora veramente se stesso, capiva che c’era ancora qualcosa che lo turbava: cionondimeno, le pareva che il ragazzo si stesse lasciando alle spalle la morte di Karl fin troppo velocemente… cosa che lei non riusciva a fare.

Quando lo shock iniziale si era un po’ affievolito, Lidia aveva passato una notte insonne, cercando di mettere le cose in prospettiva. Anche se il cognato si era rivelato un alleato inaspettato, la sua mente aveva iniziato a ricordarle tutti i motivi per cui lei e Karl non erano mai andati d’accordo. Lui odiava i romani, si era detta, ricordando tutte le occasioni in cui l’uomo aveva dato sfoggio dell’insofferenza che provava nei confronti della sua gente. Non mi ha mai vista per quello che sono veramente: mi ha sempre odiata solo perché sono nata a Roma. Come se questa fosse una colpa; o una cosa che ho scelto.

Aveva suggerito a Ulf di uccidermi, aveva ricordato, ancora. Non mi conosceva nemmeno e già pensava a un modo per farmi fuori. E scommetto che non ha mai cambiato veramente idea. L’altro giorno mi ha spaventata, e mi ha fatto male.

Non era un mio amico. Non lo sarebbe mai stato.

Erano stati quei pensieri, la sera prima, a farle capire una cosa: il trauma che aveva avvertito non era legato tanto alla morte di Karl in sé, quanto piuttosto a tutte le ripercussioni che quella vicenda avrebbe avuto sul suo futuro e sui rapporti con le persone a cui voleva bene. Karl non mi è mai piaciuto ed è probabile che in futuro mi avrebbe dato un mucchio di problemi. Però ho paura che i problemi che mi causerà da morto saranno ben peggiori di quelli che mi avrebbe potuto causare da vivo.

Unna, per prima cosa, non l’avrebbe mai perdonata. Su questo non ci sono dubbi. Anche se non era mai riuscita a capire quanto profondo fosse l’amore tra la cognata e suo marito, era evidente che i due fossero fortemente legati e che, in un certo senso, Unna trovasse in Karl un appoggio, un punto di riferimento. Senza contare il fatto che tra poco nascerà il loro bambino, ovviamente. Un bambino che ora Unna avrebbe dovuto crescere da sola, senza un padre.

E nemmeno Ulf mi perdonerà facilmente. Perché Karl era il suo migliore amico sin dall’infanzia e perché i due avevano condiviso più di una semplice amicizia. Come mi sentirei se lui avesse provocato la morte di Lucilla? Sarebbe una cosa che riuscirei a superare?

Lidia non riusciva a figurarsi le reazioni di Gefrid, di Donna Edda, di Hermann, ma era certa che non sarebbero state particolarmente morbide. Se non con me, quantomeno con Tito. Il ragazzo correva veramente qualche pericolo? Oh, forse sarebbe davvero meglio accompagnarlo dal Prefetto Caleno. Il militare aveva a cuore il benessere dei suoi concittadini e, con lui, Tito sarebbe probabilmente stato più al sicuro che non con la Sacerdotessa.

Era comunque ormai troppo tardi per un cambio di rotta: mentre era immersa in quei pensieri, il carro automatico aveva raggiunto il villaggio e, borbottando, aveva imboccato la strada che conduceva all’abitazione di Donna Erin. Con una morsa allo stomaco, Lidia osservò le abitazioni famigliari e vide qui e là qualche viso noto. Istintivamente, di allontanò un po’ dal finestrino nel timore di incrociare lo sguardo di Ulf o di qualche altro membro della sua famiglia. Non voglio che mi vedano qui, in compagnia di Tito e di Alexander. Voglio potergli parlare: non voglio che si facciano idee strane.

Dopo pochi minuti, il carro si fermò davanti alla casetta bianca che Lidia stava ormai imparando a conoscere bene. «Erin abita ancora qui, giusto?» si informò Alexander, percorrendo con gli occhi i muri immacolati. Lidia annuì. «Sì» confermò. «Ci ha convocati qui giusto un paio di giorni fa…» La ragazza lasciò sfumare la frase, mentre, improvvisamente, si accorgeva di non aver parlato di un particolare forse importante. In occasione della sua ultima visita, Donna Erin non era stata sola: con lei c’era Fratello Kay.

La fanciulla socchiuse le labbra, tentata di informare Alexander della visita del giovane sacerdote dalla pelle scura, ma il germanico era già sceso dal carro e si stava dirigendo verso la porta. «Voi restate qui» disse, rivolgendosi ai due romani. «Preferisco avvertire Erin della nostra visita, poi vi farò entrare.» Lidia e Tito si scambiarono un’occhiata perplessa, ma non commentarono.

Meno di un minuto più tardi, Alexander fece ritorno, la fronte contratta in un’espressione confusa. «Siete sicuri che abiti ancora qui?» chiese. «La porta è aperta, ma in casa sembra non esserci nessuno.»

Scesa dal carro, Lidia si strinse nelle spalle. «Be’… sarà uscita. Non c’è nemmeno Susi? La ragazzina che abita con lei?» L’uomo scosse il capo. «Ho provato a chiamare, ma non è comparso nessuno. E… la casa è spoglia. Non mi pare di aver visto alcun oggetto che possa appartenere a lei.»

Per qualche motivo, quell’informazione fece comparire un piccolo nodo di paura nel petto di Lidia. Donna Erin c’era sempre. Era ovunque, all’interno del villaggio. Sapeva tutto, era sempre presente: non poteva essere sparita nel nulla, nel giro di un paio di giorno. «Forse… forse potremmo controllare un po’ meglio?» Alexander sollevò le spalle. «Controlliamo un po’ meglio» acconsentì, in tono poco convinto.

Quando anche Tito li ebbe raggiunti a terra, i tre si diressero nuovamente verso l’abitazione e, una volta che vi furono entrati, Lidia vide che il germanico aveva ragione. Era cambiato tutto. La casa non era esattamente vuota, non sembrava disabitata, ma pareva che tutte le suppellettili inutili fossero state rimosse, lasciando soltanto lo stretto necessario.

«Dove sono finiti i soldati?»

Lidia inspirò bruscamente. Era stato Tito a parlare e a farle notare un’altra enorme differenza rispetto all’ultima occasione in cui aveva messo piede in quel luogo: non vi era più alcuna traccia dei numerosi legionari che avevano affollato quei locali in occasione del suo colloquio con Fratello Kay. Lidia boccheggiò. «Ah… non lo so.»

«C’erano dei soldati, qui?» li interrogò Alexander, cercando i loro occhi. Tito annuì. «Sì. Suppongo che la Sacerdotessa li avesse raccolti per garantire la propria sicurezza. Pare che ci sia molto malcontento, in paese, e non escludo che si sentisse minacciata da qualcuno…»

Il germanico sospirò e lasciò scorrere lo sguardo tutto intorno a sé. «Non vorrei che fosse successo qualcosa di brutto, qui…» mormorò.

«Non è successo nulla di brutto, ma voi non dovreste essere qui.»

Lidia sobbalzò e, voltandosi di scatto, si trovò davanti a Fratello Kay, fermo ai piedi delle scale che conducevano al piano superiore. Il Sacerdote, impassibile come suo solito, li fissava con i suoi occhi neri, aspettando una loro reazione. Il primo a riprendersi fu Alexander. «E tu chi sei?» chiese, assottigliando gli occhi.

«Kay, confratello dell’ordine degli Alti Sacerdoti germanici.» Alexander sollevò elegantemente un sopracciglio. «Kay… cosa?» insistette, attirandosi l’occhiata confusa di Lidia.

«Jonathan Kay» replicò il Sacerdote, in tono basso, sostenendo lo sguardo del germanico. Quello spalancò gli occhi, come se, improvvisamente, la situazione gli fosse divenuta più chiara. «Oh! Capisco. Io sono Alexander…» «Sì, sì, lo so chi sei» tagliò corto Kay. «Posso immaginarlo, per lo meno. Quello che mi sfugge, è perché sei qui. E perché hai portato con te queste persone.»

Alexander si passò stancamente una mano sul viso. Lidia notò che le sue spalle sembravano essersi irrigidite e, quando parlò, c’era una tensione nuova anche nella sua voce. «C’è stato un incidente. Volevo confrontarmi con Erin per capire come procedere: non sono certo che il ragazzo sia al sicuro, qui.»

«Chi è il ragazzo?» si informò il Sacerdote. «Mi chiamo Tito Fabio Fusco» si inserì Tito. «Sono un cittadino di Roma.» «Ma non sei un soldato» affermò, più che domandare, il giovane dalla pelle scura. Quando Tito scosse il capo, Kay si rivolse ancora ad Alexander. «Cos’è successo?»

«È morto un germanico» replicò, senza scendere nei particolari. «E l’ha ucciso lui?» insistette il sacerdote, subodorando ciò che l’altro uomo stava cercando di tacere. Alexander esitò. «Diciamo che… è stato più che altro un incidente. Potrebbe averlo ucciso lui, ma si è trattato di autodifesa.» Lidia storse il naso davanti a quella ricostruzione dei fatti: in tutta onestà, non era certa che si potesse dire che Tito avesse ucciso Karl per difendersi da lui. Quando Kay non disse altro, Alexander proseguì: «Si trattava di un minatore.»

Il Sacerdote annuì. «Ah. Questo potrebbe essere un problema. Porta il ragazzo dai suoi conterranei: al campo militare sarà ragionevolmente al sicuro, suppongo.» Quando Alexander annuì, Kay spostò la sua attenzione su Lida. «Lidia» la apostrofò, riconoscendola. «Tu hai una casa. Torna da tuo marito ed evita di metterti nei guai.»

«Certamente» replicò in fretta lei, ignorando lo sguardo di disapprovazione di Tito che le gravava sulle spalle.

«Molto bene» riprese il giovane sacerdote. «Se non c’è altro, potete andare.» Sorpresa dalla rapidità con cui l’uomo li stava liquidando, Lidia cercò lo sguardo di Alexander, ma questo era concentrato sul sacerdote. «Solo una cosa: dov’è Erin?» chiese, rivolto a Fratello Kay.

«Se n’è dovuta andare: ora ci sono io, al suo posto.»

Lidia inspirò bruscamente, sorpresa da quella notizia, e sul volto di Alexander passò un’espressione che la giovane non riuscì a interpretare, ma che smosse qualcosa di estremamente sgradevole nel suo animo. «Se n’è andata di sua spontanea volontà?» chiese, in un tono che alla ragazza parve quasi cauto.

Il Sacerdote scosse appena il capo. «No, naturalmente: è stata richiamata dall’Alto Concilio.» Alexander gli si avvicinò di un passo. «Ma…» Fratello Kay levò una mano come per chiedergli di non avvicinarsi ulteriormente. «È così: sono decisioni prese ad alto livello. Vanno accettate e basta.»

Retrocedendo inconsciamente di un passo, Lidia spostò lo sguardo da un uomo all’altro, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Era assolutamente sicura che ci fosse tutto un dialogo silenzioso, dietro alle parole che lei e Tito riuscivano a sentire. Riusciva a intravvedere un discorso sottointeso, forse segreto, ma non riusciva a intuirne il contenuto – e la cosa la inquietava. Più di tutto, però, ad allarmarla era la rigidità che riusciva a scorgere nella postura di Alexander, la scintilla di allarme – forse anche di rabbia – che si era accesa nei suoi occhi.

«C’è qualche problema?» chiese Tito, interrompendo le riflessioni della fanciulla. Deglutendo vistosamente, Alexander distolse lo sguardo da Kay e si voltò verso i due giovani. «Forse» ammise, a mezza voce, ma senza preoccuparsi di non farsi sentire dal Sacerdote. «Ora però andiamo» aggiunse, poi, posando le mani sulle spalle dei due ragazzi e sospingendoli gentilmente verso la porta.

Lidia esitò e Alexander strinse le dita sulla stoffa dei suoi abiti. «Andiamo, Lidia» le sussurrò. Confusa e un po’ spaesata, la giovane smise di opporre resistenza e permise al germanico di guidarla verso la porta. Quando stavano per varcarla, vennero raggiunti dalla voce del Sacerdote. Il tono era calmo, ma le parole erano completamente sconosciute, incomprensibili. La ragazza fece per voltarsi, ma il sibilo di disprezzo che uscì dalle labbra di Alexander – e lo spasmo che percorse fulmineo le sue dita – la convinsero a non farlo.

Quando si trovò di nuovo in strada, davanti al carro automatico, Lidia ebbe la netta impressione che qualcosa fosse cambiato; e che il cambiamento non fosse stato per il meglio.

***

Bando alle ciance, che sono già in ritardo. Entriamo ora nella fase finale della storia che, da scaletta, dovrebbe durare 13 capitoli più epilogo. Vediamo se riuscirò a rispettare i miei stessi piani. Nella prima stesura aveva previsto più di 20 capitoli, quindi direi che ho tagliato un bel po’ di porcheria inutile.

A parte questo, settimana prossima sarò piuttosto impegnata e poi me ne andrò un paio di giorni a Napoli, quindi, salvo miracoli o sere particolarmente ispirate, il prossimo capitolo andrà a dopo il 25 aprile.

Alla prossima!

   
 
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