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Autore: KH4    21/04/2018    1 recensioni
- Noise è un bel ragazzo. - Ma pur dicendoselo, accostando la lignea rigidità del proprio raziocinio, era come se la sacralità dei suoi impalpabili confini gli si abbandonasse in grembo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Nobiltà di colui
che non deduce dai lampi
la vanità delle cose.
Matsuo Basho.

- Dunque? -
- Dunque cosa? -

Lo sentì sospirare. Lo vide sospirare, in nome di una ragionevolezza prossima ad assopirsi che Noise sapeva di star snocciolando, accostando alla sua divertita sorpresa il rumoroso succhiare del cocktail incastrato nei cubetti di ghiaccio.
- Ti pregherei di non trascinarmi in una conversazione senza senso e dirmi cosa vuoi -, precisò Silver.
- Perché pensi che questa sia una conversazione senza senso? - E Noise corrucciò la fronte non comprendendo per davvero la questione per come la ravvisava l’albino.
- Forse perché ritengo che tutta questa faccenda non abbia un senso, comprese le tue incursioni durante il mio orario di lavoro e il mio ruolo in tutto ciò. Se è un gioco posso ammettere tranquillamente di non averne afferrato la motivazione, ma ti sarei grato di finirla qui. -
- Non lo è -
Noise comprimette tutta la sua anima affinchè la negazione scorresse limpida e incontestabile, come la bellezza dei diamanti intersecati nei capelli di Silver - Se lo fosse, un gioco intendo, avrei fatto e finito senza sprecarmi più di tanto. -

Non sussistevano radici che sporgessero al dì fuori del viluppo creatosi fra loro e le mura ramate del Rainbow. 
Il bisogno di un accordo era scemato nella naturalezza con il quale entrambi si distaccavano dalla luce del sole, come se questa, in qualche modo, potesse corrompere la riserbatezza di ciò che condividevano.
Scoprendo l’orecchio, Noise fu in grado di presagire lo stroboscopico rimbombo del club che avviluppava la notte; la sua inopportunità sapeva solleticarne le viscere con lo stesso fastidio di un liquido vischioso che correva sulla pelle, ma lasciò che filasse indisturbata poiché non era mai stato il tipo di persona pronto a spellarsi per un briciolo di sonno.
Oramai poteva affermare che quel privè fosse suo e fintanto che la fedeltà di Beast possedeva come base il futile denaro, ogni sua nottata con Silver non sarebbe incorsa verso una qualche forma di consunzione.
Il visetto pallido di quest’ultimo, adagiato fra guanciali serici, gli dormiva a fianco con il fioco riverbero della bajour a ronzare sul viso; Noise fu grato alle ombre circostanti per la loro totale incapacità di esprimere rumore alcuno che potesse spezzarne l’incanto.
Quell’attimo che durava tutta la notte era in realtà fragile e traballante.
Egli stesso temeva l’aridità di un simile circolo ripetitivo, ma una volta riuscito a ottenere il beneplacito dell’albino, discettando che nella sua ottica non scorgeva alcun tipo di male a dormire insieme - dormire e basta -, l’universo intero era passato in secondo piano.
- Ehi, fiocchetto. Il tuo principe è venuto a prenderti. -
Ogni volta non gli riusciva di spianare i tratti del suo volto in un sorriso deliziato d’innanzi al roseo aspergersi che accaldava le guance del cameriere quando uno zufolìo contrariato ne aggrottava la fronte. La voce di Beast lo annunciava stentoreo e sullo strascico si lasciava facilmente carpire una nota sardonica.
Così aveva iniziato a cogliere il levigato rifulgere del suo silenzioso osservatore.
Silver era il genere di ragazzo nato senza alcun riguardo per la propria salute e qualora ne prendeva coscienza le sorrideva con garbato diniego, conformandosi a una creatura vergata dell’incondizionata e perfetta solitudine che discioglie l’anima in pioggia; Noise lo aveva realizzato al ritagliarne il profilo nel semplice sistemarsi la targhetta metallizzata quando le braccia non erano occupate dal vassoio, nell’inarcarsi della bocca in un espressione soppesata davanti allo specchio, il luccichio negli occhi per un qualche detto che il biondo voleva possedere per esserne a sua volta artefice.
Gesti intrappolati nella mascella delicata, una moltitudine verso cui era nato spontaneo domandarsi se qualcuno avesse mai detenuto il privilegio di vederne la camicia slacciata o ne avesse carpito i pensieri immersi in una trama di ossequiosi silenzi.
Quanto più egli corrompeva d’ossessione la curiosità di Noise, tanto più quest’ultimo lo carezzava, lisciando con polpastrelli furtivi l’avorio corrotto della sua pelle laddove il gambo sforbiciato della lunga cicatrice ne ingabbiava il lato destro del collo. Il tocco poi si spostava ai capelli, a cui ogni tanto strappava, infingardo e con bacio recondito, il sapore della luna, solleticando le ciglia ricamante di neve che fungevano da serti filiformi agli occhi di limpida giada.
Sarebbe esistito un nome per eternizzare quella cosa? Magari con quella inattuabilità che egli serbava dietro l’argentea rinomanza?
Dio solo sapeva quanto si fosse fatta doviziosa la voglia di dissotterrare dal tessuto cicatrizzato quel segreto, quel nome che si lasciava presagire sotto una spuma sempre più bollente.
- C’è solo una ragione se qualcuno preferisce nascondersi dietro uno pseudonimo: il suo vero nome deve fare schifo. -
Roy che masticava la cicca della sigaretta con la chiostra dei denti a balenare fra i minuscoli nembi della nicotina era prassi fondata quanto la scontatezza delle sue risposte gettate al vento.
Gli occhietti nocciolati svettavano su connotati che si inasprivano al minimo contrarsi della fronte, quel cipiglio sfrontato e spigoloso che dava l’impressione che un’emicrania perenne si stesse divertendo a fare dei suoi neuroni una poltiglia ributtante.

- Io invece dico che deve avere un bel suono. -
- Tsk! Sempre a sparare stronzate, tu. - Roy si staccò dal muro stiracchiandosi le braccia scoperte - Se ti ossessiona tanto, spiegami perché di punto in bianco hai smesso di indagare. Sappiamo entrambi che hai i mezzi di tutto questo fottuto mondo per aggiudicarti quello che ti passa per la testa. -
- Non ho smesso. - Noise sottolineò quella che per lui era un’evidenza sotto la quieta benevolenza delle nuvole - Ho soltanto deciso di non sciuparmi la sorpresa. -
Era sovente cingere i suoi interessi con sfumature che eliminassero il supplizio dell’ignoto, quasi l’esistenza di una sola membrana smorzata lo gambizzasse, ma quando aveva ammiccato alla rappresentante di classe per un piccolo aiuto - una tipina non troppo abituata a interagire con la gente per come mangiucchiava le parole -, il registro di classe aveva risposto alle sue speranze con le ormai già note sillabe fittizie.
Silver occupava le pareti del registro, l’intonaco incrostato delle aule, e il peso superficiale delle chiacchiere. La sua identità è la sbavatura che deturpa un quadro, polvere opaca che pizzica il naso.
La bocca degli insegnanti non scuciva null’altro che un cognome da cui, effettivamente, il biondo avrebbe potuto trarre la direzione giusta, ma si era fermato dall’infradiciare la muta richiesta già conquistatasi imparagonabili sottigliezze.
L’acqua, ad esempio. Silver non era in grado di destreggiarsi fra i suoi flutti.
I suoi stessi occhi si erano fatti testimoni di come egli sollevasse con i soli vestiti indosso una riguardevole distanza dal cloro che schizzava sulle piastrelle del bordo piscina, ma anche di una disponibilità delle gambe ad affondare languide appena al dì sotto delle ginocchia, i pantaloni arrotolati e il collo reclinato verso l’alto, sovente favoriti dall’impossibilità della biblioteca nell’accoglierlo.
La frangia esercitava una morbida violenza su di uno sguardo che oscillava fra due mondi, quello terreno e uno esule dagli ordinari principi cartacei.
Una scrupolosa concentrazione vergava la scelta del libro a partire dalla copertina stessa.
Gli piacevano gli Haiku. Basho, in particolar modo, la sua metrica poetica che catturava la vanità dell’attimo con parole che ne trascendevano l’immediatezza innalzata a eterno paesaggio.
Mai, inoltre, ne avrebbe immaginato la predilezione per i cornetti al pistacchio. La crema semplice era l’alternativa. Niente marmellata, integrali o vuote. Sul cioccolato non verteva un’opinione estremista.
Infine, il tabù che spandeva ferocia, sopra cui l’umanità ubriaca di curiosità di Noise era già trabboccata quel tanto che bastava per strapparne un frammento concupiscente.
Detestava, anzi, odiava come si poteva odiare qualcuno abbastanza da sbattergli il cranio contro il pavimento, chiunque provasse ad appropriarsi della tenerezza della cicatrice appena visibile oltre il colletto della camicia.
Ci aveva provato uno proprio quella sera, alticcio nell’umore voglioso e con i calli nascosti sotto i dorsi irti delle mani.
Noise ne aveva colto troppo tardi le dita tozze agguantare il collo di Silver - forse scambiandolo per quello della bottiglia finita sotto il tavolo - senza nemmeno ponderare sul disgusto della sua successiva lappata a danno della pelle del ragazzo; prima che lui o Beast intervenissero, era stato preso e sbattuto a terra con la mano dell’albino a farne rimbalzare la testa pelata al centro di una macchia sparsasi sul pavimento.
Soltanto bloccandone le braccia contro il petto, la schiena fissa sull'addome, il biondo si era reso cosciente di come quei pallidi arti non avrebbero mai potuto opporsi a tale maniera se non stimolati da un attacco isterico. Il velo lattiginoso riverberato fra le screziature marine che vivacizzavano gli smeraldi di Silver non era altro che puro panico che gli aveva fatto espellere una volta chiusisi nel privè
In tutto ciò, il nome continuava a rimanere secretato nella coerenza di scalfitture appena percepite.
La testa si appoggiò sull’avambraccio, a sua volta schiacciato contro il cuscino; non aveva paura che quanto venuto a galla svanisse con l’ingerenza del sonno, ma certamente non avrebbe negato a se stesso come l’inusualità di Silver, nell’azionare involontariamente i meccanismi del destino, fosse simile al digradarsi del suo ego a un soffuso empito.
- Mi accontenterei di un tuo sussurro se è tutto quello che puoi darmi*. -

Note di fine capitolo:
1*: Jason Walker, Echo.
E siamo quasi – e sottolineo quasi – giunti alla fine. Sono consapevole di impiegarci molto, quindi non sorvolo su quanto potrebbe occorrermi per l’ultimo capitolo e vi lascio a questo, sperando come sempre che sia di vostro gradimento. Alla prossima! (Come sempre mi auguro che non ci siano errori!)
  
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