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Autore: _Noodle    22/04/2018    1 recensioni
Ballet!AU.
“Grantaire si era dimenticato che cosa si celasse dietro tutto quello, oltre quell’invalicabile barricata che separava lui stesso dal suo futuro. […] Tuttavia, la forza di poche parole era stata in grado di fargli tornare la voglia di salire sul palco. La forza di chi le aveva pronunciate lo aveva trascinato verso il suo vecchio ed eterno sogno dopo due anni in cui si era smarrito, in cui l’ago della bussola aveva puntato sempre verso ovest, dove il sole tramonta.”
Storia di un amore che spacca le ossa, ma che non lascia nessuna ferita.
[Pairings: E/R, Courfeyrac/Jehan, Joly/Bossuet, Combeferre/Eponine, Marius/Cosette]
Dedicata alle mie fonti di ispirazione costanti.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Courfeyrac, Enjolras, Grantaire, Jehan, Les Amis de l'ABC
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Bar(re) Exercises.

 

 

 

 

 

 

Courfeyrac, come ogni giorno, si era ripromesso di non cedere all’intramontabile fascino dell’alba. Si era ripromesso di abbassare la saracinesca del Café Chaché non appena la clientela si fosse esaurita e di ritornare a casa ad un orario rispettabile, vale a dire intorno alle due o alle tre del mattino. Come ogni giorno si era ripromesso di dormire almeno quattro ore, in modo da essere attivo (o quasi) alle sette in punto e di cominciare il servizio al Martini bar del Palais Garnier  in perfetto orario. Sarebbe stato fresco come una rosa, se avesse rispettato nel dettaglio i suoi piani.

Come ogni giorno se l’era ripromesso e come ogni giorno aveva fallito miseramente. Qualche serata interessante, qualche avventura di una notte, qualche partita alla playstation di troppo. La solita sveglia che rimane inascoltata, il suo coinquilino placidamente addormentato, le corse tra le vie della città e la metropolitana che non si decide a passare. La routine di Courfeyrac, barista affaccendato e giovane di larghe vedute, non si sarebbe di certo potuta definire abitudinaria. 

Courf, in ogni momento della sua vita, riusciva ad essere sempre e perennemente non in orario. Il fascino del suo ritardo, tuttavia, non era dettato da un eccesso di pigrizia, quanto da un eccesso di attività. Non stava mai fermo e non conosceva stasi, anche se, quando gli capitava di avere la mattinata libera, poteva definirsi uno spasmodico e viscerale amante del sonno. Ciò che riusciva a non fargli perdere il posto di lavoro erano la sua sagacia, il suo savoire faire e il suo instancabile affaccendarsi. Una volta pronto, svolgeva tutte le mansioni in modo impeccabile. Se non fosse stato così diligente, sarebbe stato licenziato già da chissà quanto tempo! 

La mattina del 20 agosto 2015, inizio del nuovo anno accademico e della nuova stagione di prove della compagnia dell’Opéra, Courfeyrac si era catapultato dietro il bancone del bar soltanto con dieci minuti di ritardo. Aveva incominciato a lavorare lì già da qualche settimana, riparandosi dal caldo soffocante in stanze arieggiate da efficienti condizionatori. Quella mattina, di considerevole importanza dato l’afflusso di gente, si era premurato di inventare la scusa più degna di nota mai esistita e l’aveva fatta franca per l’ennesima volta sotto il naso del suo capo, un uomo di circa cinquant’anni preciso e stacanovista, ma facilmente raggirabile. 

Dopo essersi scusato per il ritardo, aveva incominciato a servire i clienti con il solito affascinante sorriso e ad offrire stuzzicanti delizie alle giovani stagiste della compagnia, secondo i suoi canoni di benessere troppo magre per poter sopportare tutte quelle ore di lezione. 

 

Le classi sarebbero iniziate da lì ad una ventina di minuti (erano ormai le 9:40) e l’afflusso di ballerini stava decisamente diminuendo. Erano tutti impegnati in vigorosi  e necessari riscaldamenti fisici: farsi male il giorno della distribuzione delle parti per il balletto che sarebbe andato in scena da novembre a dicembre non era affatto indicato. Courfeyrac si premurò di dare un’ultima pulita al bancone per togliere gli aloni lasciati dai bicchieri e dalle tazze e, una volta libero dai clienti, riesumò il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni. Iniziò a curiosare su Facebook e su Instagram, finendo per postare una Instagram story con una sua foto in divisa da lavoro. Dopo alcuni minuti di intensa attività sui social, alzò la testa e il suo sguardo attento cadde su uno strano individuo seduto al limitare del bancone. 

Non l’aveva mai visto prima. Poteva essere uno stagista, un nuovo ballerino della compagnia, un giovane coreografo, o più semplicemente un ragazzo mattiniero amante delle caffetterie prestigiose. Aveva i capelli di un rosso-arancione scintillante e la pelle sottile e trasparente, diafana. Un orecchino di cocco appeso al lobo sinistro e un tatuaggio dietro lo stesso orecchio lo rendevano stravagante per quel tipo di luogo, frequentato da ragazze e ragazzi tutti acqua e sapone, felpe di pile e scaldacuori. Gli occhi erano lunari, pieni di polvere e di crateri, grigi quanto la nebbia, intensi quanto il suo diradarsi.  La bocca era candida e pulita, innocente, macchiata da piccole efelidi. Al collo portava una collana con uno strano totem, che forse serviva a proteggerlo da qualche cosa. La sua maglia verde, strappata qua e là in più punti, presentava una stampa composta da un ammasso di cerchi, linee e curve. Quel ragazzo pareva un Kandinsky intrappolato in un Seurat. Un devastante profumo di miele proveniva dai suoi indumenti, e una piccola gardenia faceva capolino dal quaderno che aveva appoggiato sul bancone. Courfeyrac rimase affascinato da quella presenza poco invadente, giunta nel suo regno di rumori e di parole con passo silenzioso. 

<< Buongiorno! Che cosa posso portarti? >> gli chiese avvicinandosi, abbassandosi leggermente per intercettare il suo sguardo. Alla domanda di Courfeyrac il ragazzo dagli abiti insoliti alzò la testa e sobbalzò, avvampando violentemente, quasi non si aspettasse che il barista potesse domandargli qualcosa. 

<< Un ginseng in tazza grande, per favore >> rispose infine, chiudendo il quaderno arancione. 

<< Arriva subito >> esclamò Courf sorridendo incuriosito, lasciando che le sopracciglia si aggrottassero leggermente e che l’angolo sinistro della bocca si sollevasse lentamente. Trafficò con la macchinetta senza staccare lo sguardo da quel nuovo curioso personaggio, in grado di interessarlo come mai nessun estraneo era stato in grado di fare. 

<< Ecco a te >> disse, porgendogli la tazza. 

<< Grazie mille. >>

Il ragazzo cominciò a bere lentamente. Prima di una lezione era quello che gli ci voleva. Courfeyrac, che continuava a fissarlo in modo indiscreto, appoggiò i gomiti sul bancone e incominciò a discorrere con la sua solita loquace parlantina. 

<< Allora, fai parte della compagnia? >> domandò sorridendo, osservando le sottili dita dell’altro tamburellare sulla tazza. 

<< Sì, sono nuovo. Sono riuscito a superare le audizioni di luglio, fortunatamente. >>

Il ballerino assunse un’espressione stranita, quasi dubitasse della sua presenza lì. Il suo eccentrico modo di presentarsi urtava incredibilmente con la sua timidezza. 

<< Bhe, complimenti! Mi sembri stupito >> azzardò Courfeyrac scuotendo la testa. 

<< Sono reduce da un periodo di pausa piuttosto lungo, non pensavo di averne ancora le capacità >> ridacchiò, tenendo gli occhi bassi. Scostò la tazza da davanti a sé e cominciò a frugare nel borsone nero alla ricerca di spiccioli. 

<< E che cosa leggi, ballerino? >> incalzò nuovamente Courfeyrac, non preoccupandosi minimamente di risultare invadente o di distrarlo da ciò che stava facendo. Non si poneva mai di questi problemi, quando si trattava di conoscere qualcuno di interessante.

<< Oh, non leggo, scrivo. >>

Il ragazzo dai capelli rossi svelò un sorriso smagliante, alzando per la prima volta gli occhi. Courfeyrac ebbe la tentazione di afferrare il quaderno e di leggere ogni singola parola impressa lì sopra, ma decise che era arrivato il momento di darsi un contegno. Se quel quaderno era interessante quanto il proprietario, allora avrebbe dovuto prima fare amicizia con quest’ultimo. Si stupì di quanto quel ballerino fosse così intrigante e allo stesso tempo così diverso dalle persone che era abituato a frequentare. Più che di lui, si stupì di se stesso. 

<< Scrivi? E che cosa scrivi? >>

<< Pensieri, poesie, pagine di diario. Quello che la giornata mi porta a comporre. >> 

Courfeyrac era lucente e luminoso, come il sole a mezzogiorno. Eppure quella luna crescente l’aveva alterato, l’aveva oscurato come nelle migliori eclissi. 

Il ballerino riuscì finalmente a recuperare due euro e li appoggiò sul bancone. Alzandosi, salutò Courfeyrac.

<< Grazie del ginseng, ora scappo, la lezione attende… >>

Ma Courfeyrac non lo salutò, troppo concentrato ad ascoltare la sua voce che si appoggiava a dolci intonazioni. 

<< Senti scusa… >> esordì infine, rincorrendo il suo nuovo amico, già lontano. Quest’ultimo si voltò di scatto.

<< Io sono Courfeyrac. Non mi sono nemmeno presentato >> disse allungando la mano destra. 

<< Io mi chiamo Jehan, Jehan Prouvaire. >>

Dopo aver risposto alla stretta di mano, Jehan scivolò via di corsa, impaziente (o forse preoccupato) di iniziare la lezione, e Courfeyrac rimase lì, immobile, appiccicando il suo sguardo frizzante sul bizzarro tatuaggio di Prouvaire. 

Da quel giorno, promise a se stesso di impegnarsi di più per arrivare in orario sul posto di lavoro. 

 

Grantaire si sentiva estremamente e maldestramente fuori luogo. Essersi presentato a lezione dopo due anni di pausa non era stata per nulla una buona idea. Avrebbe dovuto rifiutare l’opportunità e restarsene a casa tra le sue belle tempere colorate, ne era certo. Come aveva fatto a credere che sarebbe stata una buona opportunità? Si sentiva incredibilmente a disagio. Seduto a terra, la testa appoggiata sulle ginocchia nel tentativo di allungare i bicipiti femorali, si chiedeva come avrebbe fatto a sopravvivere in quella compagnia per più di una settimana. Tutti i danzatori accanto a lui erano belli, profumati, motivati e accesi da uno strano e demoniaco furore. Avevano corpi dalla pelle liscia e perlacea, fisici smaglianti, bei vestiti e bei capelli. Lui, invece, indossava una semplice calzamaglia verde e una maglietta nera. I capelli castani costituivano una zazzera impossibile da acconciare e da districare e le mezze punte, usate anni prima, recavano ancora qualche ferita di guerra. Osservava i suoi colleghi con aria diffidente, anche se in un certo qual modo era incuriosito da tutti quegli spiriti assennati e determinati, strabordanti di passione e di ideali. 

La prima persona che notò, a causa del suo frenetico affaccendarsi, fu una biondina alta poco più di un metro e sessanta. I suoi lineamenti erano eterei, belli di una bellezza inquietante: pareva la ballerina di un carillon. Indossava un body color carta da zucchero e un gonnellino bianco. Pizzicato allo chinon portava un fermaglio luccicante. Sebbene si stesse soltanto riscaldando, si muoveva con una fluidità e con una precisione divine, invidiabili al primo sguardo. Grantaire, guardandola, ipotizzò che potesse essere la prima ballerina dell’Opéra, e che quindi il ruolo da protagonista sarebbe stato inevitabilmente suo.  Torceva la schiena come se fosse stata di creta, allungava la gambe con leggerezza e le sollevava con altrettanta eleganza. Di tanto in tanto sorrideva tra sé e sé, incurante degli sguardi che spesso le venivano rivolti. 

Qualche sbarra dopo la sua, una ragazza dai capelli corvini e dalla vita incredibilmente sottile saltellava da una parte all’altra dell’aula, gli occhi castani che saettavano a destra e a sinistra quasi a voler catturare ogni singolo dettaglio del mondo che la circondava. Le suscitò simpatia, e decise che si sarebbe spostato verso di lei, una volta cominciata la lezione. Ad un tratto, senza che se lo aspettasse, si sentì toccare la spalla destra, e in quel momento si ricordò il motivo per il quale aveva deciso di intraprendere quell’avventura: Jehan Prouvaire. Pensava che non si sarebbe mai più fatto vivo e che avesse rinunciato a fargli compagnia per quel suicidio di massa. 

<< Eccoti qui! >> Grantaire balzò in piedi e lo abbracciò, con tanto vigore ed entusiasmo che quasi temette di avergli incrinato un paio di costole. Jehan, cosparso di lentiggini e di imperfezioni, era ciò che più gli assomigliava all’interno di quel covo di marmorei adoni. 

<< Scusa per il ritardo >> disse Jehan con voce soffocata << mi dispiace di non essere riuscito ad avvisarti, ma ho dimenticato il cellulare a casa >> commentò Prouvaire, grattandosi la testa. 

<< Meno male che sei arrivato, qui sono tutti così incredibilmente silenziosi e… e… >> continuò Grantaire sottovoce, roteando gli occhi da una parte e dall’altra. Jehan era convinto che quella mattina fosse andato giù di Jack Daniels. 

<< Stai tranquillo Taire, una volta che diventeremo tutti amici non saremo più così tanto silenziosi! >> ridacchiò il poeta, guardandosi attorno e notando che tutti, chi più e chi meno, erano già sudati a causa del riscaldamento alla sbarra. 

<< Dobbiamo darci una mossa, amico, o finiranno per darci la parte della pianta o del sasso. >> 

Jehan si avvicinò ad una sbarra sulla destra, e si accaparrò un posto vicino alla biondina tutto pepe e zucchero filato. Grantaire lo seguì , lievemente più sollevato, sperando che decidesse di spostarsi da un’altra parte. 

<< Oh, ti ho portato una fascia per raccogliere i capelli >> esclamò ad un tratto il poeta, dopo aver frugato nella borsa ed aver estratto il suo bottino. Grantaire ridacchiò, poi afferrò la fascia e la indossò, cercando di dare un contegno ai suoi capelli indomabili. 

L’incredibile ottimismo di Prouvaire riusciva a lasciarlo sempre interdetto, ma come al solito, finiva per fidarsi di lui. Per certi aspetti le loro personalità erano in totale disaccordo: uno tentava di nascondersi dietro pesanti sciarpe di lana e cappelli dalla visiera abbassata, l’altro tendeva a vestirsi in modo istrionico e facilmente visibile; uno camminava con le spalle ricurve verso il basso e gli occhi rivolti verso il cielo, l’altro con le scapole distese e aperte e le iridi conficcate nel pavimento; uno era esponenzialmente scettico, l’altro un inguaribile sognatore pronto a tutto per realizzare ciò che aveva in mente. Tuttavia, avevano anche molto in comune. Grantaire e Jehan erano entrambi il contrario di loro stessi: tanto timido era Jehan, quanto senza freni era Grantaire, e il loro modo di apparire, tradiva completamente questi due aspetti. Pensavano molto, spesso passavano le serate ad affogare le proprie perplessità in qualcosa che potesse dar loro conforto, viaggiavano con la mente più di quanto potessero fare con un’auto nuova di zecca e si mordevano le unghie in preda ad ansia o a felicità estrema. Erano artisti e gli artisti, per quanto diversi, finivano per restare inevitabilmente vicini. Avevano condiviso il dolore e, nelle bottiglie di uno e nelle poesie dell’altro, emergeva il fatto che entrambi avessero lottato per restare in quel mondo che tutti definivano come meraviglioso. Jehan era diventato un paladino dell’ottimismo e Grantaire un animo cinico e diffidente. Erano grati l’uno all’altro per la loro amicizia e avrebbero fatto di tutto per conservarla in eterno. 

Mentre Grantaire aveva iniziato a praticare qualche equilibrio in arabesque, un ultimo ballerino entrò nella stanza, coperto da pesanti strati di vestiti nonostante il caldo torrido di agosto. Era biondo, glaciale, dolorosamente bello. Non salutò nessuno, non si avvicinò ad anima viva, posò la borsa in un angolo vicino alle belle finestre decorate e poi si posizionò nella sbarra della ragazza dai capelli corvini che Grantaire aveva notato qualche minuto prima. Se Taire era stato convinto fino a quel momento che tutti quei ballerini avessero potuto celare un demone dentro di loro e trasformarsi in esso da un momento all’altro, quel danzatore dai capelli dorati non avrebbe potuto essere nient’altro che un angelo. Lo fissò, perdendo l’equilibrio nella maniera più elementare che potesse esistere.

<< Ma non ha caldo? >> bisbigliò Jehan alle sue spalle. 

<< Non credo… ha il gelo negli occhi >> commentò Grantaire, suscitando l’ilarità dell’amico.

<< Sarà… >> concluse il poeta, ritornando ad eseguire qualche battement tendu. 

 

L’orologio scoccò le ore 10:00. Con estrema precisione, quasi avesse aspettato dietro la porta per entrare al secondo spaccato, Madame Fantine, Maitre de Ballet dell’Opéra de Paris, entrò nell’aula con un ticchettio di scarpette leggero, seguita da due assistenti e dal pianista. Aveva il volto minuto e delicato, i capelli cortissimi e due occhi grandi come due astri. Camminava in maniera vivace e dinamica, sorrideva teneramente, e dalla sua espressione risoluta traspariva un carisma proprio di chi nella propria vita ha dovuto affrontare le più disparate vicende e ne è uscito vincitore. Dopo aver fatto un rapido appello, permettendo così a Grantaire e a Jehan di scoprire i nomi dei loro compagni di corso, Madame Fantine si diresse verso il centro della sala, facendo cenno agli assistenti di accomodarsi sulle seggiole adiacenti al pianoforte. 

<< Buongiorno a tutti. Ben trovati per la prima lezione dell’anno accademico. Per i nuovi arrivati, io sono Madame Fantine, il vostro Maitre de Ballet, ma penso che questo lo sapeste già. Prima di incominciare con la lezione, volevo ricordarvi che oggi pomeriggio, alle ore 15:00, si terranno le audizioni per il balletto che andrà in scena dal 17 novembre al 31 dicembre 2015: “La Bayadère”. Presentatevi con la vostra variazione di repertorio e provvederemo a comunicare le parti tra domani e dopodomani, lasciando un foglio attaccato alla bacheca appena fuori dall’aula. Tutto chiaro? >> 

I ragazzi annuirono, emozionati e determinati ad affrontare la lunga ed impegnativa giornata di lavoro. Taire e Jehan si scambiarono un rapido sguardo, evidente segno di sostegno reciproco. 

<< Allora possiamo incominciare! >> esclamò Madame Fantine, avvicinandosi alla sbarra centrale per marcare il primo esercizio. Le sequenze proposte erano piuttosto complesse, ma i ragazzi erano sicuri che ci avrebbero fatto l’abitudine una volta acquisito il ritmo delle lezioni. Per essere un buon ballerino si doveva, ahime, essere anche un ottimo atleta, oltre che un artista, e le classi della Fantine, non risparmiavano nessuno. 

<< Molto bene, Cosette, cerca di rendere più fluido il passaggio dal plié, prima di fare il fouetté >> disse la maestra alla ragazza dai capelli biondi, indicando le sue gambe con un rapido gesto della mano. Si spostava, aiutata dai suoi assistenti, in giro per l’aula per correggere e dispensare consigli, suscitando non poca agitazione nei nuovi arrivati. 

<< Tallone sinistro verso l’interno, una prima posizione così aperta non ti assicura troppa stabilità >> disse a Grantaire, mentre il ragazzo stava effettuando un port de bras alla seconda verso l’esterno della sbarra. Provvide subito a correggersi senza alterare la propria espressione, che varcava il limite tra il concentrato e il confuso. 

<< Usa l’adduttore per sollevare questa gamba, Enjolras, non puoi permetterti altre contratture come quelle dell’anno scorso. Joly che cosa ti ha detto? >> Madame Fantine, aveva raggiunto il ragazzo dai capelli dorati. Si chiamava Enjolras e, a quanto pare, era reduce da qualche faticosa seduta di fisioterapia (Joly, infatti, era uno dei fisioterapisti dell’Opéra). 

<< Mi ha detto di andarci piano. Mi ha anche applicato alcuni Tape per rilassare le zone contratte >> rispose, mentre continuava ad eseguire l’esercizio nella maniera più naturale possibile. A quanto pareva, lui e Madame Fantine si conoscevano già, probabilmente perché Enjolras aveva già fatto parte della compagnia l’anno precedente. Se la maestra non avesse fatto notare alla classe questo problema, nessun ballerino si sarebbe accorto che Enjolras avesse dovuto combattere contro delle contratture. La sua espressione era così fiera e determinata, che nessuno avrebbe potuto sospettare che nascondesse qualche debolezza. Pareva una statua scolpita nel marmo e sebbene i molteplici strati di vestiti non rivelassero le perfette forme del suo corpo, era facilmente immaginabile che fosse un fascio di muscoli dalla testa ai piedi. Madame Fantine, si spostò poco più indietro. 

<< Molto bene Eponine, ma evita di contrarre le scapole in questo modo. Allontanale invece di avvicinarle >> consigliò la donna alla ragazza dai capelli corvini. Lei le rispose con un sorriso accondiscendente e con un leggero movimento della testa, probabilmente perché era consapevole del fatto che quello fosse il suo punto debole. 

<< Sostieni le braccia Prouvaire >> esclamò nei confronti di Jehan, che avvampò violentemente una volta appreso quell’errore così elementare. 

La lezione continuò con ritmo costante, pochi furono gli attimi di pausa. Finita la sbarra, si procedette con il centro e le ragazze che ancora non avevano indossato le punte si adoperarono ad infilarle. Giri, adagi, piccoli salti e grandi salti; diagonali complessissime e sequenze di movimenti che si alternavano tra la rapidità e il lento, lentissimo controllo. 

A mezzogiorno, quando la prima lezione dell’anno terminò, Grantaire e Jehan dovettero dissimulare un imminente mancamento e, per non lasciare che quella sensazione di spossatezza fisica affaticasse anche la loro mente, decisero di andare a pranzare al Martini Bar dell’Opéra. 

<< Che variazione hai preparato? >> chiese Jehan a Grantaire, mentre scendevano le scale. 

<< Quella dell’Idolo d’oro, l’avevo studiata parecchi anni fa >> biascicò, convinto in cuor suo che non avrebbe mai ottenuto quella parte. << E tu? >> continuò, rivolgendosi all’amico.

<< Io ho preparato la variazione di Solor del terzo atto, anche se so già chi otterrà la parte. Da quel poco che ho visto oggi a lezione, Enjolras è perfetto per quel ruolo >> disse Jehan sgranando gli occhi per il ricordo del ballerino con i capelli biondi. Era chiaro che per abilità, potenza e costituzione fisica la parte sarebbe stata sua. 

Giunsero al bar, ancora praticamente deserto. Era normale che i ballerini non accusassero i morsi della fame dopo aver sprecato tutte quelle energie?

<< Vieni, sediamoci qui. Che cosa vuoi mangiare? >> 

Grantaire scosse la testa, indeciso sul da farsi. 

<< Qualcosa che non costi un occhio della testa e che contenga una buona porzione di carne >> rispose alla fine, appoggiando le gambe sulla sedia di fronte a lui. 

<< Va bene, vado subito ad ordinare. Chiedo a Courfeyrac di realizzare un piatto apposta per te >> ridacchiò facendogli l’occhiolino e trotterellando verso il bancone. 

“Courfeyrac? E chi è Courfeyrac? Non è possibile che Jehan abbia già fatto amicizia il primo giorno di lavoro, non è da lui. Se così fosse, avrebbe dovuto presentarsi a lezione con un’ustione di terzo grado per l’imbarazzo!” pensò Grantaire mentre osservava il poeta rivolgere un cordiale saluto al barista. 

Nel frattempo giunsero al bar anche Cosette e Eponine e, dietro di loro, il tanto acclamato Enjolras. Grantaire non fece in tempo a togliere i piedi dalla sedia, che le due ragazze si accomodarono di fianco a lui. 

Sarebbe stato un pranzo molto lungo e complicato. 

 

 

 

 

 

 

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Ciao a tutti amici, lettori! <3 

Come promesso, ecco il secondo capitolo della storia. Che dire? Abbiamo scoperto l’arco temporale in cui è ambientata e anche che ruolo hanno gli altri personaggi all’interno della vicenda (o quasi, manca ancora qualcuno). È per caso trapelato quanto io tenga a Jehan e il fatto che sia il mio personaggio preferito? E quanto io lo ami con Courf? E quanto adori la sua amicizia con Grantaire? Spero di sì, perché ho cercato di sviluppare al meglio questi rapporti, anche soltanto se si tratta di primo incontro. Tra l’altro, per quanto riguarda l’amicizia tra Grantaire e Jehan, mi sono ispirata molto ad alcune canzoni di Caparezza, ad una in particolare, ma approfondiremo questa cosa più avanti, come del resto succederà con tutti i personaggi! (: 

Che capiterà dopo questo pranzo probabilmente indesiderato? Domenica prossima sarò pronta a dirvelo! 

Come al solito, se volete lasciare un commento è molto ben accetto, sono sempre curiosa di sapere che cosa i lettori pensano delle mie storie! Do un bacino danzante a tutti! <3

_Noodle

  
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