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Autore: WillofD_04    24/04/2018    2 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Prima che potessi accorgermene mi ritrovai in cucina, seduta su una sedia e circondata da pirati che battevano le posate sul tavolo in attesa di avere del cibo.
Avevamo navigato per un paio di ore prima di risalire in superficie e fermarci per festeggiare il mio ritorno. Il pensiero che si tenesse un banchetto in mio onore mi faceva sentire speciale, ma ciò che apprezzavo di più era che per quella sera, in quella particolare occasione, non eravamo obbligati a portare la divisa. Potevamo scegliere come vestirci. Io avevo optato per un semplice – ma sempiterno – tubino nero che mi ero casualmente ritrovata nell’armadio. Avevo preferito l’eleganza alla sensualità. Era un vestito classico e comodo, che per un banchetto da pirati era anche troppo raffinato. Non che mi importasse, ero contenta della mia scelta, e qualora si fosse sporcato avrei pur sempre potuto lavarlo. Ciò che mi aveva letteralmente lasciata a bocca aperta, però, era stato l’abbigliamento di Law. Sopra ai suoi pantaloni maculati spiccava una felpa color arancione pastello. La felpa che gli avevo regalato io per il suo compleanno, qualche mese prima. Quando lo avevo visto, dopo un primo momento di sbigottimento, gli avevo rivolto uno sguardo carico di gratitudine e commozione. Non sapevo perché, ma mi sembrava di stare vivendo un sogno. Oltretutto, era la prima volta che vedevo i due tavoli della sala da pranzo riuniti. L’atmosfera che c’era quella sera mi aveva scaldato il cuore. Erano tutti lì per me, e sembravano contenti di riavermi tra i piedi. Persino il capitano sembrava sereno. Non lo avevo mai visto così disteso e rilassato in tutta la mia vita.
«Ecco qui! Servitevi e mangiate in abbondanza!» gridò Ryu, mentre portava in tavola l’ultimo vassoio, come sempre aiutato dal grosso Jean Bart, ormai diventato il cameriere ufficiale della ciurma. Il menu prevedeva diverse squisitezze ed io già mi leccavo i baffi, pronta a divorare tutto quel ben di Dio. A parte la variegata sfilza di antipasti, non vedevo l’ora di mettere le mani sugli spaghetti ai frutti di mare e, più di ogni altra cosa, sul vino.
«Vino?» mi chiese Penguin, seduto alla mia destra. Lo guardai come se fosse ebete. In effetti, un po’ lo era se aveva bisogno di chiedermelo. Ghignai di soddisfazione nel momento in cui mi riempì il calice. Lo colmò quasi fino all’orlo, con mia somma gioia. Poco dopo, Shachi, seduto alla mia sinistra, mi versò nel piatto due cucchiate consistenti di spaghetti. Non mi feci pregare e – dopo che ebbi preso un paio di tartine al salmone – iniziai a bere e mangiare.
«Ehi!» ci richiamò Maya, ma nessuno le degnò un minimo di attenzione. Eravamo tutti troppo impegnati a ripulire le stoviglie. «Fermi, animali!» ci riprovò, stavolta con più convinzione. Il capitano sollevò una mano e stavolta ci fermammo tutti, tra lo stupore generale.
«Prima dobbiamo fare un brindisi in onore di Camilla» disse la mia amica, guardandomi con dolcezza.
«Giusto!» concordò Ryu, sbattendo una mano sul tavolo e facendo tremare tutte le vettovaglie. Si alzarono tutti in piedi e sollevarono i loro bicchieri. Persino il capitano lo fece.
«A Camilla!» esclamarono all’unisono. Poi fecero cozzare i calici uno contro l’altro, ma io, per tutta la durata del brindisi, guardai solo Law. Anche lui mi stava fissando. Mi sorrise ed io sorrisi a lui. In quel momento fu come se ci fossimo soltanto noi due in quella stanza. Stavamo facendo il nostro brindisi mancato, quello che aspettavamo di fare da tanto tempo. Quello che spettava ai sopravvissuti. Annuimmo entrambi impercettibilmente e sollevammo ulteriormente i bicchieri.
«Alla salute, capitano» mimai con le labbra. Lui ghignò, e per dimostrarmi quello che credevo fosse rispetto, bevve un sorso di vino. Non aspettai di certo un suo cenno per fare altrettanto, anche se la sorsata che ingollai io fu un po’ più generosa.
«Comunque, bel taglio di capelli» commentò uno dei medici mentre masticava una forchettata di spaghetti. A poco a poco, stavano iniziando a notare il mio cambiamento. «Questo caschetto ti dona. Ti fa sembrare più matura e anche più agguerrita» aggiunse. Gli sorrisi e lo ringraziai. Era quello che speravo che qualcuno mi dicesse, in realtà.
«È vero, stai divinamente» lo supportò Shachi.
«Ma tu staresti bene anche calva» mi fece sapere Penguin. Lo sguardo di tutti i Pirati Heart si spostò automaticamente verso Ryu, che – inutile dirlo – fissava con aria minacciosa chiunque osasse guardarlo. Qualcuno si schiarì la voce, mentre io trattenni una risata.
«A dire la verità, staresti bene anche se non avessi le tette» commentò l'orca, ingurgitando una vongola.
«Per fortuna ce le hai» si espresse il pinguino con voluttà. I suoi occhi si posizionarono automaticamente sul mio décolleté e le sue dita iniziarono a muoversi con impazienza.
Sbuffai ed alzai gli occhi al cielo, poi feci strisciare indietro la sedia e cinsi le spalle dei due idioti che mi stavano accanto.
«I miei due piccoli ruffiani pervertiti» proclamai sarcastica, facendo cozzare le loro teste con forza l’una contro l’altra. Si lamentarono per un po’ mentre venivano derisi dal resto della ciurma. Erano molesti, era vero, ma tutto sommato ero felice di poter rivivere quei siparietti.
All’improvviso, qualcosa attirò la mia attenzione. Uno scintillio, più precisamente. Scostai Penguin con poca grazia e mi sporsi verso Maya, seduta ad appena un posto di distanza da me. Sul suo anulare sinistro, risplendeva un anello. Le presi la mano ed assottigliai gli occhi per osservarlo meglio. La fascia di metallo era composta da due fasce più piccole intarsiate di brillanti che si intrecciavano tra loro armoniosamente. La pietra al centro dell’anello doveva essere un diamante. Aveva una forma squadrata, e le proporzioni erano perfette. Non era microscopica, ma non era neanche troppo appariscente. In compenso, però, non si risparmiava sulla brillantezza. Quasi avrebbe potuto fare concorrenza ad un faro per le navi in una notte nebbiosa. Era bellissimo. Non sapevo che dire. Mi chiesi come accidenti avessi fatto a non notarlo prima. Forse, visto il valore che aveva, a Maya non piaceva portarlo in giro e se lo metteva solo nelle occasioni speciali. Come darle torto, se avessi avuto io al dito un brillocco del genere, lo avrei chiuso in cassaforte fino alla fine dei miei giorni.
«È quello che penso che sia?» chiesi alla mia amica, mentre l’eccitazione diventava sempre più palpabile da entrambe le parti. Il suo volto, dapprima titubante, si aprì in un sorriso radioso e lei annuì. I suoi occhi luccicavano. Non la avevo mai vista così contenta. Spostai il mio sguardo su Omen, come sempre accanto alla ragazza, che stava sorridendo fiero. Almeno per mangiare si toglieva la maschera.
Non potevo crederci. Si erano fidanzati ufficialmente e si sarebbero sposati. Ed io non ero stata presente al momento della proposta. Me l’ero persa.
«Quando... Quando è successo? Come? Ma soprattutto... Perché diavolo non me lo avete detto subito!?» domandai confusa, alzando il tono di voce ad ogni parola che pronunciavo. Nella stanza calò il silenzio. Maya sorrise debolmente.
«Te lo avremmo detto con calma. Stasera è la tua serata e non volevamo rovinartela» affermò, piegando la testa da un lato.
«Rovinarmi la serata? Pensavate davvero che una notizia così bella potesse rovinarmi la serata?» feci, leggermente delusa. Era assurdo che credessero ad una cosa del genere.
«Beh, ora lo sai. E ti spiegheremo tutto ciò che vuoi sapere, ma lo faremo con calma» tagliò corto Omen, per evitare una potenziale lite. Annuii, non potendo fare a meno di concordare con lui.
«Ti sei persa tante cose» disse Maya, abbassando lo sguardo.
Sospirai e sorrisi malinconicamente. Era vero, mi ero persa tante cose; e mi dispiaceva, ma che potevo farci? Non l’avevo chiesto io di ritrovarmi in fin di vita dopo essermi scontrata con Doflamingo, né avevo chiesto di passare quattro mesi assieme ai rivoluzionari. Le cose erano andate come erano andate, e per quanto avessi desiderato di ricongiungermi ai miei compagni, non mi dispiaceva che gli eventi avessero preso quella piega inaspettata. Era stata un’esperienza di vita che mi aveva insegnato tante cose e mi aveva fatto diventare più forte, in tutti i sensi.
Sospirai di nuovo e decisi di non stare a rimuginarci troppo. Sarebbe stato meglio riportare la conversazione su argomenti più allegri.
Attorcigliai il dito attorno ad una ciocca di capelli ed iniziai a giocherellarci.
«Se è per questo anche voi vi siete persi tante cose» dichiarai, cercando di rimanere vaga il più possibile. Volevo alimentare la loro curiosità, e anche la loro invidia. Se erano convinti che non sapessi come divertirmi senza di loro, si sbagliavano di grosso. Ma visto il modo in cui mi ero divertita, quella era una cosa che mi sarei tenuta volentieri per me.
«Oh, sì. Il capitano ce lo ha detto» iniziò Shachi, facendomi allarmare.
«E siamo gelosi» continuò Penguin, con la bocca piena. Mi ero dimenticata che l’uno completava le frasi dell’altro. Spalancai gli occhi, terrorizzata. Che cosa volevano insinuare? Lo sapevano? Sapevano come avevo passato la maggior parte del tempo in quei mesi? Law era stato così bastardo da spifferare tutto? Spostai lo sguardo su di lui.
«C-che vi ha... che vi ha detto?» balbettai, per poi assottigliare gli occhi e rivolgere uno sguardo truce al chirurgo. Lui sorrise compiaciuto ed io deglutii sonoramente.
«Ci ha detto che la base dei rivoluzionari pullula di belle donne» mi spiegò Shachi, afflitto. Il mio cuore riprese a battere.
«Oh. Oh, certo. Certo. Già. Ovvio! La base dei rivoluzionari... pullula di belle donne» ripetei, tirando un sospiro di sollievo tra me e me. Rivolsi uno sguardo grato al capitano, seguito poi da uno di ammonimento. Avrebbe fatto meglio a tenere la sua boccuccia chiusa, o gliel’avrei chiusa io stessa. Il pensiero che avesse del materiale con cui ricattarmi mi metteva i brividi. Era un uomo d’onore, che non faceva questo tipo di cose – almeno, non con i suoi sottoposti – ma con lui non si poteva mai sapere.
«Allora, non ci vuoi dire che cosa hai fatto in questi mesi?» tornò alla carica l’orca.
«Scommetto che ti siamo mancati molto» ipotizzò Penguin, sghignazzando ed avventandosi su un povero gamberetto. Ci riflettei bene prima di rispondere.
«Sì, mi siete mancati, ma devo dire che non vi ho pensato molto. Mi sono tenuta piuttosto impegnata» replicai sogghignando.
«A fare cosa?» chiese Bepo, sinceramente curioso.
Mi schiarii la voce e notai con la coda dell’occhio che Law aveva iniziato a ghignare. Voleva vedere quale bugia avrei tirato fuori.
Posai lo sguardo sugli spaghetti che avevo sul piatto. Gli spaghetti erano cibo, quindi non c’era pericolo che ghignassero, facessero domande scomode ed allusioni di qualsiasi tipo. Anche se non potei non ripensare all’ultima volta che li avevo mangiati. Quella era un’allusione grossa come una casa. Era tardi, erano all’incirca le undici di sera, e io e Sabo ci eravamo casualmente persi la cena, così avevamo deciso di passare in sala mensa per spizzicare qualcosa prima di andare a dormire. Era semi-deserta, c’erano solo un paio di inservienti che stavano finendo di pulire. Erano rimasti solo due piatti, che io ed il biondo avremmo dovuto condividere: uno con gli spaghetti al sugo di pomodoro e l’altro con le polpette. Non sapevo come, ma alla fine, invece di mangiare il cibo, ci eravamo ritrovati a tirarcelo. Ad un certo punto, il fratello di Rufy mi aveva tirato una polpetta proprio in mezzo alla scollatura, ed io per vendicarmi gli avevo disegnato una forma fallica sulla guancia con il sugo degli spaghetti. Quanto avevamo riso. Se ci ripensavo, ancora mi veniva da ridere. Per un breve momento mi era sembrato di essere ritornata ai tempi in cui ero un'innocente adolescente. Poi, però, la battaglia si era spostata sotto al tavolo, e ciò che era avvenuto lì... non era tanto da innocenti adolescenti.
Gli inservienti a quel punto se ne erano andati da un pezzo. Eravamo rimasti soli. E là sotto, lontano da occhi indiscreti e con il sugo nei capelli, era avvenuta una delle tante magie che avevamo fatto io ed il rivoluzionario. Quella di quella sera era stata una ricetta perfetta: spaghetti, sugo e polpette. Mancava solo un po’ di pepe per condire il tutto, ma a quello avevamo pensato noi.
Me ne ero dimenticata, ma anche quella era stata una performance degna di nota, nonché la nostra prima volta fuori dalla camera da letto. La nostra prima volta fuori da quella bolla sicura che ci eravamo creati; che mi ero creata. Non mi sarebbe dovuto piacere così tanto, perché eravamo più esposti che mai, eppure era stato elettrizzante. Sabo mi aveva detto che era perché, in fondo, mi piaceva il brivido che mi procurava il rischio di poter essere scoperti. Aveva ragione. Di tanto in tanto, mi piaceva rischiare. Del resto, ero pur sempre un pirata.
Iniziai ad arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta, poi appoggiai il gomito dell’altro braccio sul tavolo ed infine affondai la mano tra i capelli con aria sognante. Risposi di getto e senza pensarci minimamente, tanto ero persa nei ricordi.
«Sess...» spalancai gli occhi e mi bloccai appena in tempo, mentre iniziavano a piovermi addosso gli sguardi interrogativi e perplessi di tutti «...ioni. Sessioni» cercai di correggermi, nella speranza che non avessero capito l’allusione, che più che allusione era un enorme cartello autostradale le cui lettere erano state scritte a caratteri cubitali.
«Sessioni?» si incuriosì ancora l’orso polare.
«E di cosa?» volle sapere Maya con un’alzata di sopracciglia. Quella maledetta ne sapeva una più del diavolo. Forse aveva intuito tutto. Dannazione.
«Di allenamento. Sessioni di allenamento. Di cosa, sennò?» mi affrettai a replicare, tentando di nascondere il panico crescente che si stava impossessando di me.
«Quindi hai faticato parecchio» rifletté Penguin. Rivolsi uno sguardo disperato al capitano, in cerca di aiuto, ma lui stava sogghignando bellamente. Non aveva intenzione di darmi una mano, avrei dovuto cavarmela da sola. Come biasimarlo, però, ero stata io stessa a mettermi nei casini.
«Ma ti hanno dato da mangiare, vero?» per fortuna intervenne Ryu, che con la sua inconsapevole intromissione mi salvò dall’imbarazzo «Perché se così non fosse...».
«Immagino siano stati allenamenti intensi» commentò Law, cercando di trattenere il pericolosissimo ghigno che stava per spuntargli sulla faccia. Alzai un sopracciglio e lo guardai male, posando la forchetta e tenendomi pronta a scattare qualora avesse rivelato troppo. Sì, aveva decisamente capito cosa c’era sotto. Con lui non si poteva sperare di passarla liscia. Mi era mancato, ma non avrei esitato a tappargli la bocca, se avesse osato accennare anche al più piccolo dei particolari. Quando fu di nuovo sul punto di parlare, trattenni il fiato e mi aggrappai al tavolo stringendolo con le dita e sgualcendo malamente la tovaglia.
«E dicci, ti è piaciuto tirare di spada?» chiese, sogghignando malignamente. Lo fissai per qualche secondo, assumendo un’espressione stupita. Mi ripresi quasi subito ed iniziai a ridere sommessamente e scuotere la testa.
“Che impertinente” gli comunicai implicitamente con lo sguardo che gli lanciai.
«Sì, molto» risposi, cercando di rimanere il più seria possibile «Sai, dovresti provarci anche tu. Distende i nervi e libera la mente. Anche se forse preferisci il tiro al bersaglio» continuai, guardandolo dritto nelle pupille con un luccichio malizioso negli occhi.
«Capitano, non sapevo che giocassi a freccette» si intromise Bepo, che fortunatamente non era bravo a cogliere i riferimenti. Nel frattempo, il resto della ciurma aveva iniziato a squadrare prima me e poi il chirurgo a ripetizione, come se stessero osservando un’accesa e movimentata partita di tennis.
«Non ci gioca, infatti» dissi io, tenendo lo sguardo, ormai ermetico, su Law e facendo una rapida alzata di sopracciglia. Ero sicura che gli occhi mi brillassero e non potei trattenermi dallo sfoggiare uno sfrontato ghigno sulle labbra. «Dovrebbe, però. Gli farebbe bene un po’ di movimento».
«Sono sicuro che in questi mesi tu abbia fatto abbastanza movimento per tutti» mi incalzò. La sua espressione era impenetrabile e ferma, attendeva che ribattessi alle sue provocazioni. Non gli avrei dato questa soddisfazione, però. Sapevo di non poter vincere. Nella sala da pranzo era calato il silenzio. Sospettavo, per mia fortuna, che nessuno avesse idea di cosa stessimo parlando io ed il chirurgo. Ormai la conversazione era diventata un passo a due sapientemente studiato per non far capire al pubblico la storia che c’era dietro.
«Io giocavo a freccette» annunciò Kenji ad un certo punto, per smorzare il silenzio «È tutta una questione di baricentro».
Lo disse con una convinzione, ma allo stesso tempo con un’innocenza tali che non potei fare a meno di scoppiare fragorosamente a ridere. Risi così tanto che rischiai seriamente di strozzarmi con il cibo. E anche Law fece lo stesso, sebbene cercasse di trattenersi il più possibile. Fu quando lo vidi ridere così che mi balenò un’idea in testa. Forse, il fatto che lui sapesse, non lo rendeva automaticamente un pericolo, ma anzi, poteva essere addirittura un mio complice in questa faccenda, e chissà che dopo qualche tempo non ci avremmo riso insieme.
«Allora, a quando il lieto evento?» chiesi, rivolgendomi ai due fidanzatini. Dovevo sviare la conversazione in qualche modo, iniziavano ad esserci un po’ troppi doppi sensi per i miei gusti.
I due si scambiarono un’occhiata complice – che solo gli innamorati sono capaci di fare – e poi congiunsero le mani, intrecciando le dita con quelle dell’altro. La maggior parte dei presenti si finse nauseata.
«Non abbiamo una data precisa, ma contiamo di fare le cose con calma» mi spiegò Maya, accarezzando il dorso della mano di Omen «Crediamo che sia meglio aspettare che il conflitto con Kaido si sia risolto».
«Ciò che sta tentando di dire la mia fidanzata è che abbiamo deciso di sposarci dopo che l’Imperatore sarà caduto» chiarì il ragazzo.
«Per mano nostra, ovviamente» si intromise Penguin, che doveva sempre dire la sua.
«Così avremo modo di pianificare e organizzare il tutto e convolare a nozze con più spensieratezza» riprese la mia amica, con un gran sorriso sulle labbra.
Rimasi un po’ perplessa dalla risposta che mi diedero. Stavano dando per scontato che la guerra che ci sarebbe stata a Wa filasse liscia come l’olio. Trattenni una risata nel pensarlo. Non potevano sbagliarsi di più. Avevo imparato bene che quando c’era una battaglia di mezzo tutte le certezze andavano in frantumi, e questo valeva anche per i vincitori. Uno scontro è sempre uno scontro, e in quanto tale non risparmia nessuno. Se avessimo davvero combattuto contro Kaido al fianco di Rufy e fossimo sopravvissuti, la spensieratezza sarebbe stata solo un lontano ricordo, almeno per i primi tempi. Si poteva guarire, ma era un procedimento duro e faticoso. Magari loro ne erano consapevoli ed erano convinti che l’amore che provavano l’uno per l’altra potesse salvarli. Chi poteva saperlo. Nel dubbio, mi versai il terzo bicchiere di vino della serata.
«Comunque, sappiate che mi sono offesa. Avreste dovuto aspettare che tornassi per fidanzarvi ufficialmente. Volevo esserci anche io» dichiarai, appoggiando la schiena allo schienale della sedia e portandomi il calice alla bocca.
«È stato proprio perché non c’eri che ci siamo fidanzati» ribatté la mia amica, con una punta di saccenteria. Corrugai la fronte. Non riuscivo a capire cosa c’entrasse la mia assenza con il loro fidanzamento. Bevvi il vino tutto in un sorso. Ero troppo sobria per poterci capire qualcosa.
«In che senso?» volli sapere, riempiendo di nuovo il bicchiere e buttando giù un’altra sorsata di alcol.
«Quando abbiamo saputo del...» Maya si fermò, incapace di continuare, o forse di trovare le parole appropriate.
«Dell’aggressione di Doflamingo» il suo fidanzato parlò per lei.
«Tutti noi siamo precipitati in uno stato di totale angoscia» continuò la donna «Non sapevamo niente delle vostre condizioni. Non potevamo fare nulla, se non sperare che steste bene».
«Io sono stato sveglio tutte le notti per due mesi» confessò Bepo, per poi abbassare il capo subito dopo «Non potevamo contattarvi, non sapevamo dove eravate, non sapevamo nulla!» proseguì l’orso. La voce gli si increspava di più ad ogni parola che pronunciava.
«Ci sembrava di andare alla deriva. Siamo rimasti per mesi senza il nostro capitano e senza il medico migliore che abbiamo. Abbiamo brancolato nel buio in quel periodo, non avevamo una guida, né un punto di riferimento» disse Kenji. Il mio sguardo si spostò automaticamente su Law, che era immobile, le iridi puntate fisse davanti a sé e l’espressione imperscrutabile. Non mi ero resa conto di quanto potesse essere stato difficile per i miei compagni, né avevo mai pensato ai sensi di colpa che poteva avere il chirurgo per la situazione che si era venuta a creare. Ero sicura che quelle parole gli facessero male. Non lo aveva mai dato a vedere, ma adesso capivo quanta angoscia si era portato dentro. Strinsi la tovaglia tra le dita fino a far diventare bianche le nocche.
«Mi dispiace» mi rammaricai, distogliendo lo sguardo. Non potevo sostenere il peso delle occhiate di tutti i Pirati Heart.
«Non dirlo neanche per scherzo! Non è colpa tua!» urlò Ryu con enfasi. Lo guardai con gratitudine e gli sorrisi. Apprezzavo che fosse proprio lui a dirmelo.
«Avevamo bisogno di un po’ di positività» affermò Maya dopo qualche attimo di silenzio.
«E così, un giorno mi sono inginocchiato di fronte a lei, le ho dato l’anello, le ho chiesto se mi volesse sposare e lei ha risposto di sì» continuò Omen, scrollando le spalle.
«Ci dispiace di non averti reso partecipe dell’evento. Ma, per farci per farci perdonare, vorremmo che ci aiutassi ad organizzare il matrimonio» annunciò la sua fidanzata, sorridendomi materna. Rimasi interdetta per un attimo ed aggrottai la fronte.
«Volete che io vi aiuti ad organizzare il vostro matrimonio?» domandai, ripetendo le parole di Maya. I due innamorati annuirono con decisione. «Potete stare certi che lo farò!» esclamai presa dall’eccitazione. Poi, come per brindare, mi versai un altro po’ di vino nel bicchiere. Tutti i Pirati Heart batterono le mani e si scatenarono con grida di giubilo. Non ero sicura che affidarmi l’organizzazione di un matrimonio fosse la scelta migliore, dato che non ne sapevo niente, ma avrei fatto del mio meglio per organizzare il miglior matrimonio del secolo.
«Cami» mi chiamò Kenji. Lo guardai ed il mio sorriso si spense in un attimo. Ci mise un secolo per riprendere a parlare. «Il capitano ci ha raccontato cosa è successo su Tekashi. Se non fossi intervenuta tu, lui sarebbe morto» affermò, con un tono che non riuscii a comprendere. Non sapevo se mi fosse grato o se invece il pensiero che Law potesse essere morto lo angosciasse. Ad ogni modo, non era andata esattamente così. Non avevo salvato il chirurgo. Anzi, a causa mia per poco non ci aveva rimesso le penne. Molto probabilmente i miei compagni avevano frainteso le parole del capitano. Feci per parlare, ma una voce ruvida me lo impedì.
«Hai messo a repentaglio la tua vita per il capitano. Hai il mio pieno rispetto» mi fece sapere Jean Bart, serio.
«Grazie per averlo salvato!» gridò Bepo subito dopo, alzandosi in piedi e chinando il capo in segno di rispetto. Le sue guance pelose iniziarono a bagnarsi per le lacrime che gli stavano scendendo dagli occhi. Nel vederlo così, il mio cuore sussultò. In un attimo, senza sapere perché, iniziai a piangere anche io. Guardai Law, che stava ghignando. Molto probabilmente si stava prendendo gioco della nostra emotività, ma non voleva rovinare quel momento. Avrei tanto voluto corrergli incontro ed abbracciarlo. Avrei voluto ringraziarlo, per essere vivo, per avermi preso con sé nella ciurma, per avermi insegnato le basi della medicina. Per tutto.
Il Visone, come se avesse colto i miei pensieri, mi raggiunse e mi rivolse uno sguardo colmo di gratitudine. Poi mi abbracciò stretta per un tempo indefinito. A poco a poco, all’abbraccio si unirono tutti i Pirati Heart, a parte il capitano, che era rimasto seduto a guardare quella scenetta che con molta probabilità riteneva patetica. Ma a me non importava. Io ero felice. E non riuscivo a smettere di piangere. In quel momento non potevo chiedere nulla di più. Ero circondata dalle persone che amavo, sentivo il calore dei loro corpi e anche quello dei loro cuori, ed era una sensazione stupenda, che non provavo da tantissimo tempo.
«Siete dei sottoposti deludenti» commentò Law ad un certo punto. Lo guardai male, nonostante non potesse vedermi, in mezzo a tutta quella gente. Non aveva il diritto di prendersi gioco di noi. Solo perché lui era un pezzo di ghiaccio, non significava che dovevano esserlo anche i suoi subordinati.
«Non è questa la serata per mettersi a frignare» ci rimproverò. Aveva le braccia incrociate e la schiena poggiata allo schienale della sedia. Vidi il suo volto aprirsi in un ghigno. «Siamo qui per festeggiare».
L’aria si riempì di esclamazioni di sorpresa, seguiti da urla di allegria e di incitamento a fare festa. L’abbraccio si sciolse e ciascuno ritornò al proprio posto, premurandosi di riempire il proprio bicchiere, o il proprio piatto, oppure entrambi, perché no.
Il capitano, in fondo, aveva ragione. La serata era ancora giovane. Non era il momento di lasciarsi andare ai sentimentalismi. Era il momento di festeggiare al meglio delle nostre possibilità.
 
Mi accarezzai la pancia, il corpo collassato sulla sedia. Tutti i potenziali chili che avevo presumibilmente perso in quei mesi, li avevo recuperati con quel banchetto. La mia unica consolazione era che non ero l’unica ad essere in quello stato. Anche il resto dei Pirati Heart sembrava versare nelle stesse condizioni in cui ero io. Qualcuno emetteva dei versi compiaciuti, qualcun altro, invece, si lamentava per il troppo cibo che aveva ingurgitato. Il banchetto ormai era finito, e si era concluso con il botto. Era all’incirca l’una di notte; non era tanto tardi, ma considerato che era dalle sei del pomeriggio che banchettavamo, la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Nella sala da pranzo, lamenti e versi compiaciuti a parte, regnava il silenzio. L’unico rumore di sottofondo che si udiva era la voce di uno dei medici che stava raccontando una barzelletta “da medico” – incomprensibile ai più – e le risate dei suoi colleghi.
Avevo mangiato, avevo bevuto, avevo riso e avevo pianto. Adesso volevo solo augurare la buonanotte ai miei compagni, tornare in camera e buttarmi sul letto. Socchiusi gli occhi e sorrisi beata, assaporando il momento in cui la mia guancia avrebbe toccato il cuscino.
«Insomma, non ce lo hai ancora detto» la voce di Shachi mi arrivò alle orecchie come se fosse un suono distante, come l’eco di una marea che risuonava in una conchiglia.
«Cosa?» chiesi, leggermente infastidita. Non avevo voglia di mettermi a chiacchierare. Improvvisamente sentivo addosso la stanchezza di tutti quei mesi, sia il corpo che la testa pesavano come macigni.
«Perché sei rimasta per quattro mesi con i rivoluzionari?» mi chiese, allungando svogliatamente il braccio per recuperare il suo bicchiere.
«Mi dispiace, ma non ve ne posso parlare. Mi è stato chiesto di mantenere assoluto riserbo sulla questione» tagliai corto. Non era un modo per liquidarlo, Dragon mi aveva davvero chiesto di non rivelare il motivo per cui aveva richiesto la mia presenza alla Base. Da bravo leader di un’organizzazione criminale, aveva preso le sue precauzioni, e dal momento che l’argomento in questione era delicato, preferivo seguire le sue direttive. Nessuno doveva sapere quello che ci eravamo detti, né perché il Capo dell’Armata Rivoluzionaria fosse interessato ad una ragazzina sconosciuta come me. Avevamo entrambi troppo da perdere.
«Ma noi siamo i tuoi compagni!» esclamò Penguin, risentito, ridestandosi dal suo stato catatonico.
«Scommetto che con un altro po’ di vino ti si scioglierà la lingua» fece Shachi sogghignando pericolosamente e arraffando la bottiglia accanto a sé. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa. Non avrei di certo rifiutato il quinto – o sesto – bicchiere di vino della serata, ma se sperava che quel trucchetto mi avrebbe fatto parlare, si sarebbe dovuto ricredere. Dalla mia bocca non sarebbe uscita neanche una parola sull’argomento, che fossi ubriaca o meno.
Quando fui sul punto di bere il contenuto del mio calice, delle dita affusolate mi strapparono il bicchiere dalle mani. Mi girai verso la figura che stava in piedi accanto a me e la fissai con sguardo sorpreso. Non riuscivo a capire il perché di quel gesto.
«Per questa sera basta bere» disse. Sul suo volto c’era un piccolo ghigno, ma il suo tono celava una punta di rimprovero.
«Perché?» gli chiesi atona. Non sapevo come comportarmi, dato che non era mai successo che il capitano mi negasse l’alcol. Eppure, adesso le sue dita tatuate stavano stringendo il bicchiere di vino che avrei voluto bere. «Non sono ubriaca, e non rivelerei nulla comunque!» esclamai, nell’ultimo tentativo di convincerlo a ridarmi il calice. Forse teneva alla mia incolumità e non voleva che rivelassi troppo. Sapeva di non potersi fidare della me ubriaca; e già faceva fatica a fidarsi della me sobria. Qualunque ragione ci fosse dietro alle sue azioni, non riuscivo a comprenderla. Non aveva mai fatto così, non mi aveva mai tolto il bicchiere dalle mani neanche quando non mi reggevo in piedi, neanche quando rischiavo il coma etilico.
«Capitano, questa è una festa tra pirati! Non può mancare l’alcol!» intervenne concitatamente il pinguino, supportato anche dal cetaceo spiaggiato accanto a me, che annuì vigorosamente.
«Ti prego, capitano, concedimi l’ultimo bicchiere» lo implorai «Non saranno di certo tre dita di vino a farmi ubriacare» tentai di convincerlo, ovviamente inutilmente. Aveva preso la sua decisione, senza che mi lasciasse intendere il perché.
«Andate a riposare. La festa termina qui» decretò il chirurgo, assicurandosi che tutti potessero sentirlo.
«Ma, capitano...» provò a protestare qualcuno, tuttavia Law gli rivolse uno sguardo che non ammetteva repliche. Sospirai e mi alzai dalla sedia. Supponevo che la serata di giubilo si fosse conclusa lì.
 
Mi richiusi la porta della mia cabina alle spalle, appoggiandomi contro la sua superficie liscia. La prima cosa che feci fu togliermi quelle trappole mortali che avevo al posto delle scarpe e gettarle in un angolo non ben definito della stanza. Anche se ero stata seduta per la maggior parte della serata, i piedi mi facevano comunque male. Perché accidenti mi ero messa i tacchi?
Gettai la testa all’indietro e risi. Era stata una serata ricca di emozioni. No, era stata l’intera giornata ad essere ricca di emozioni. Prima la doccia bollente, poi l’aver rimesso piede dopo tanto tempo sul sottomarino, il malinteso con Law, l’addio a Sabo siglato da un ultimo bacio, i vari saluti con i miei compagni e infine il banchetto, con le sue rivelazioni inaspettate. Per tutto il giorno mi era sembrato di stare sulle montagne russe, e adesso l’eccitazione aveva lasciato il posto alla stanchezza. Avevo salutato e ringraziato tutti, e andavo a dormire con il cuore leggero, consapevole che l’indomani avrei rivisto i miei compagni. Andava tutto bene.
Marciai a passo svelto verso il letto, poi mi ci buttai sopra e finalmente affondai la faccia nel cuscino, lasciandomi scappare un piccolo gemito di piacere. Sorrisi e strofinai la guancia contro la superficie morbida del guanciale. Che bella sensazione. Gli occhi mi si chiusero automaticamente, e mi resi conto di non avere la forza neanche di togliermi il vestito. Stavo valutando di mettermi a dormire con addosso il tubino nero. Non c’era bisogno di scostare le coperte, ero così stanca che non sentivo nemmeno il freddo.
Qualcuno bussò flebilmente alla porta.
«No...» piagnucolai, affondando ancora di più la testa nel cuscino. Volevo solo addormentarmi in pace. Era chiedere troppo? A quanto pareva, sì, dato che colui che aveva bussato entrò comunque. Ma perché non chiudevo mai a chiave, accidenti a me? E perché, in quel dannatissimo universo, se la persona che bussava non riceveva risposta, si sentiva libera di entrare lo stesso?
Mi tirai su controvoglia e mi sistemai il vestito in modo da coprire gli slip. Era abbastanza corto, e dopo la figuraccia di quel pomeriggio sarebbe stato meglio prevenire, piuttosto che curare. Avevo imparato la lezione.
Il mio interlocutore era in piedi, a pochi passi da me, immobile e con le braccia conserte. La sua espressione era impenetrabile. Sbuffai una risata. In qualche modo mi aspettavo la sua visita. Sperai che almeno mi avesse portato il bicchiere di vino che mi aveva tolto dalle mani qualche minuto prima.
Lo squadrai da capo a piedi per poi storcere la bocca. Niente vino.
«Cosa desideri, capitano?» chiesi, con un finto sorriso cordiale. Per un breve secondo, il suo sguardo si spostò alla mia sinistra, probabilmente alla ricerca di qualcosa che giaceva sul mio comodino.
«Ti ricordi che cosa ti ho detto su Tekashi?» mi domandò Law, fissandomi con un’espressione indecifrabile, che tuttavia non era severa, ma quasi di scherno.
«Beh, mi hai detto diverse cose e non me le ricordo tutte. Sai, per la maggior parte del tempo sono stata impegnata a cercare di evitare di morire» risposi sarcastica. Se era venuto per parlare di quella giornata infernale, lo avrei cacciato dalla stanza a calci nel sedere. Non era il momento, e non avevo proprio voglia di rivangare il passato.
«Ti rinfresco la memoria. Prima che ci raggiungesse Doflamingo, ti ho detto che se ti fossi ubriacata di meno avresti finito di leggere quel libro molto prima e saresti potuta tornare a casa» disse. Il suo sguardo si posò di nuovo su un punto alla mia sinistra. Schiusi la bocca e spalancai appena gli occhi. Il libro. Le avventure di Peter Pan. Con tutto quello che era successo, me ne ero completamente dimenticata. Trattenni il respiro.
«E avevi ragione?» chiesi, con il cuore in gola. Il suo volto si distese e le sue labbra si piegarono per formare un piccolo sorriso.
«Perché non lo scopri tu stessa» mi sollecitò, appoggiandosi ad un’anta dell’armadio. Deglutii sonoramente. Ero abbastanza sicura che in quei secondi il cuore si fosse fermato e fosse ripartito al triplo della velocità. Batteva così velocemente che mi sembrava di avere la vista appannata e sentivo le orecchie fischiare. Mi girava la testa, e non era solo per la stanchezza. Per fortuna ero seduta sul bordo del letto; se fossi stata in piedi molto probabilmente sarei svenuta miseramente.
Allungai il braccio e lo presi tra le mani, che tremavano pericolosamente. Solo in quel momento notai che il segnalibro era stato spostato più avanti rispetto al punto in cui lo avevo lasciato. Guardai il chirurgo, come a chiedergli se fosse il caso di aprirlo. Lui fece un cenno del capo e una piccola ruga di angoscia si formò sulla mia fronte. Alla fine, mi feci coraggio, presi un respiro profondo e lo aprii. Fissai la pagina che avevo davanti per qualche secondo, poi spalancai la bocca. Un velo di lacrime coprì la superficie dei miei occhi. Alzai lo sguardo e fissai il capitano, che aveva un’espressione soddisfatta.
«Oh, mio Dio. Tu...» provai a dire, senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto «Oh, mio Dio» ripetei scuotendo la testa. In un attimo, tutta la stanchezza era sparita e aveva lasciato il posto alla confusione e all’incredulità.
Appoggiai il libro sulle ginocchia e mi portai entrambe le mani alla bocca, per poi passarmele su tutto il viso. Non riuscivo a crederci. Mi sembrava impossibile, inverosimile. Nonostante la confusione del momento, però, mi era tutto più chiaro. Ecco perché non mi aveva fatto bere troppo. Perché dovevo essere lucida, quella sera. Era sempre stato lì, sotto al mio naso. Ed io non lo avevo visto. Non ci avevo neanche mai pensato. Ero stata proprio stupida e negligente. Eppure adesso non importava, perché lo avevo trovato. Anzi, Law lo aveva trovato. Aveva trovato un modo per farmi tornare a casa.
   
 
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