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Autore: fearlesslouis    25/04/2018    0 recensioni
Harry non resta mai nello stesso posto per più di nove mesi e Louis è esattamente il tipo di persona da cui sta tentando di scappare.
Niall cerca di capire e Liam e Zayn sembrano appena usciti dalla pubblicità di un profumo.

16!Harry; 20!Louis
Conteggio prime quattro parti: 21mila parole circa.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Cuore di farfalla



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Se c'è una cosa che Harry sa per certo, in mezzo a tutte le incertezze della sua vita, è che quando Anne entra nella sua stanza non porta mai buone notizie.

-Tuo padre ha chiesto di te- è, infatti, la prima cosa che gli dice.

Harry annuisce, la testa china su Cime Tempestose e lo sguardo puntato sulle righe che descrivono il grande ritorno di Heathcliff dalla sua Catherine.

-Gemma ha detto che ieri lo ha visto migliorato- continua però sua madre, sedendosi accanto a lui sul letto.

Harry chiude il libro con un sospiro, e solo quando la guarda si rende conto di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che si sono ritrovati così, l'uno di fronte all'altro, a comportarsi come madre e figlio. Harry non ha mai smesso di volerle bene, ma qualche volta pensa che siano rimasti solo ricordi, che il loro legame sia fatto di passato.

-Lo dice sempre- risponde atono.

Anne sospira leggera, le spalle curve e lo sguardo basso. E' stanca, nota Harry, di una stanchezza fisica e mentale che le si è dipinta addosso sottoforma di rughe e pallore.

-Devi provarci, Harry. Devi provare a perdonarlo- soffia infine. -Lo so che non se lo merita, e forse non me lo merito neanche io. Ma non fare come me, tesoro. Non scappare da ciò che ti fa paura, perché finirai per perderti.-

Si alza, poi, gli lascia una carezza tra i capelli e passa l'indice sulla sua guancia in un tocco lento e leggero, come se stesse cercando di riconoscerlo.

Quando la porta si chiude con un tonfo sordo, il profumo di Anne aleggia ancora nell'aria. Harry pensa di essersi perso prima ancora di cominciare a scappare.

 

 

 

*  *  *

 

 

 

-Potrei essermi innamorato di tua sorella, sai?-

E' così che Niall fa il suo ingresso nella stanza di Harry, un pacco enorme di patatine tra le mani e un sorriso ancora più grande a piegargli le labbra.

Il riccio ridacchia e sbarra gli occhi in un'espressione fintamente impaurita. -Beh, mi dispiace davvero tanto per te.-

-In realtà è molto più simpatica di te, stronzetto- borbotta con la bocca piena, prendendo posto sul letto. -Sei scappato di nuovo, l'altro giorno.-

-Sì, però questa volta sono passato a salutare.-

Niall poggia le spalle contro il muro e aggrotta le sopracciglia con curiosità. -Ma tu e Louis vi state sulle palle a vicenda o siete attratti l'uno dall'altro?- domanda infine con espressione solenne. -Perché ogni volta che parlate ne uscite entrambi sconvolti, ma comunque continuate a parlare.-

-Non mi sta antipatico né sono attratto da lui- chiarisce Harry. -E' solo – è complicato.-

L'amico annuisce lentamente, infilando la mano nel pacchetto per afferrare una manciata di patatine. -Lo dici spesso, che è complicato- mormora. -Secondo me potrebbe essere molto più facile, se solo lo volessi.-

Il riccio chiude gli occhi con un sospiro e butta la testa indietro, mentre la sedia girevole si sposta di qualche centimetro. Quel ragazzo gli è accanto da mesi, pensa, e non ha mai chiesto più di quanto lui fosse disposto a dargli. Harry ha come l'impressione di essere rimasto fermo, mentre Niall gli andava incontro.

-Mio padre è in carcere- sbotta quindi a quel punto, perché non ha intenzione di fargli fare un altro passo da solo. -Non so per cosa, in realtà. Forse spaccio di droga o furto, o comunque qualcosa del genere. E' tossicodipendente e alcolizzato. Non lo vedo da anni, ormai.-

Niall rimane in silenzio, immobile sul suo letto, l'espressione imperscutabile e le braccia incrociate al petto. Le patatine sono poggiate al suo fianco, e rischiano di cadere quando Harry le afferra e se ne porta un po' alla bocca.

Il biondo sembra riprendersi solo qualche secondo dopo. Scrolla le spalle e stringe le labbra, per poi trascinarsi fino al bordo del letto e poggiare i piedi a terra. -Quindi è per questo che ti ha sconvolto vedere Louis ridotto in quel modo.-

-Non lo so- soffia in risposta. -Credo – credo di sì.-

Niall annuisce, le labbra arricciate e lo sguardo fisso sul pavimento. -Devi stare alla larga da mio cugino, Harry- annuncia. -Ma questo già lo sai.-

-Sì, lo so.-

Gli porge il pacchetto di patatine, poi. Niall ne afferra una e sorride, ma i suoi occhi sono preoccupati.

 

 

*  *  *

 

 

Harry è abbastanza sicuro del fatto che con “Devi stare alla larga da mio cugino”, Niall non

intendesse assolutamente “Sei invitato alla festa di Louis e Zayn”. E quindi non saprebbe proprio dire in che modo sia arrivato qui, con la spalla poggiata contro l'arco che divide la cucina dal salotto pieno di gente sudata ed ubriaca. L'appartamento che Liam e Zayn condividono non è troppo grande, e sinceramente Harry non ha la minima idea di come abbiano fatto tutte quelle persone ad incastrarsi in uno spazio così ristretto. Cosa non si farebbe per un po' di alcol gratuito, pensa distrattamente.

Niall ricompare qualche secondo dopo, le guance chiazzate di rosso e lo sguardo sconvolto di chi ha visto più di quanto non volesse.

-Non andare in camera da letto, Harry- lo avverte infatti. -Non aprire quella porta.-

Il riccio è leggermente preoccupato per il fatto che la sua giacca si trovi proprio in quella stanza, proprio sul letto, ma cerca di non pensarci. Ridacchia, invece, e lascia una pacca sulle spalle dell'amico.

-Sembra tu abbia bisogno di un lavaggio del cervello.-

Niall annuisce freneticamente. -Oh, lo vorrei tanto- borbotta, per poi dirigersi a passo spedito verso la cucina.

Zayn fuma indisturbato, la schiena leggermente inarcata e la testa poggiata contro il frigorifero, mentre Liam si destreggia tra bottiglie di birra e bicchieri di plastica, affiancato da una ragazza che Harry non pensa di aver mai incontrato prima.

-Hey, ragazzi- esclama appena li vede.

-Ti improvvisi barista?- scherza Niall, per poi prendere posto su uno degli sgabelli che circondano il ripiano e sventolare la mano verso la ragazza dai capelli stravaganti. -Ciao Perrie.-

Lei sorride e gli arruffa i capelli con fare affettuoso. -Ciao biondino.-

Se il rosso intenso che gli colora le guance è di qualche indicazione, il riccio può facilmente appurare che Niall abbia una cotta per Perrie.

-Tu sei Harry, giusto?- domanda spostando lo sguardo su di lui. -Ormai sei famoso da queste parti. Per via delle fossette e tutto il resto.-

Harry ridacchia leggero ed annuisce, borbottando un timido -Piacere di conoscerti.- La voce gli esce talmente stridula da fargli pensare che sì, deve assolutamente cercare di migliorare il suo modo di approcciarsi agli altri. Perrie non sembra farci caso, però, perché torna alla sua postazione iniziale e continua a versare birra nei bicchieri di plastica rossa, in modo che chiunque voglia bere possa entrare in cucina quel tanto che basta ad afferrare un drink, senza toccare più del necessario.

-Dovreste chiudere a chiave la camera da letto quando date una festa, ragazzi. Oppure chiamare un disinfestatore dopo che tutti se ne sono andati- riprende Niall con espressione divertita. -A pensarci bene, forse è meglio se chiamate un prete.-

Zayn spegne la sigaretta nel posacenere e mormora qualche imprecazione sottovoce, prima di immergersi nella mischia e marciare verso la sua stanza.

-Non voglio sapere cosa hai visto- biascica Liam -Altrimenti non riuscirò più a dormire nel mio stesso letto.-

Niall nasconde una risata dietro il bicchiere, le gambe accavallate e lo sguardo compiaciuto. -Allora non ti dirò quante persone ci ho contato, sul tuo letto.-

-Quindi ti sei anche fermato a contare?- domanda Harry con ironia, portando la spalla sinistra a sbattere scherzosamente contro quella dell'amico.

-Sei.- Zayn torna nella cucina con un'espressione che oscilla tra rabbia e noia, un'altra sigaretta tra le labbra e la fronte leggermente imperlata di sudore. -Erano sei persone.-

Liam si sbatte il palmo della mano sul volto con disperazione, e solo in quel momento Harry nota Louis, a qualche passo di distanza da Zayn, la camicia slacciata sul petto tatuato e gli occhi lucidi. E' ubriaco, Harry può affermarlo con assoluta certezza.

-Non guardarmi così, riccio- lo sente borbottare. -Se te lo stessi chiedendo, non ero tra quelle sei persone. Ho solo caldo- spiega poi, alludendo evidentemente allo stato sconvolto e semi-nudo in cui riversa al momento.

-Non mi stavo chiedendo nulla- ribatte sicuro -E la camera da letto non è mia, in ogni caso.-

La cucina cade in un improvviso stato di quiete. Nessuno si muove, nessuno parla, come se tutti stessero aspettando qualcosa. Harry è abbastanza sicuro che Liam avrebbe la stessa espressione interessata che ha ora se, per esempio, si trovasse in un cinema con una scatola di pop corn sulle gambe. Può quasi sentirsi addosso lo sguardo bruciante e preoccupato di Niall, mentre quello di Zayn non sembra troppo diverso dal solito, intenso ed attento. Persino Perrie ha smesso di fare ciò che stava facendo, ed ora è poggiata contro il piano cottura con le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto.

Louis gli si avvicina, nel frattempo, ed Harry sente l'improvviso ed immediato bisogno di allontanarsi da lui il più possibile; perché riesce a vederlo anche da lì, anche se si conoscono da soli tre mesi e non hanno parlato più di qualche volta, che Louis non può fargli bene. Che quella dentro i suoi occhi annebbiati dall'alcol è una storia già vissuta, destinata a finire terribilmente male.

Per questo scatta all'indietro quando il più grande gli sfiora i capelli con la punta dell'indice.

Louis arriccia le labbra con fare perplesso, ma non indietreggia. -Non pensavo di farti così schifo.-

Nessuno ha ancora proferito parola, neanche i tre o quattro ragazzi che sono entrati per fare rifornimento di birra, e ad Harry sembra che tutti si stiano muovendo in punta di piedi attorno a loro due, con attenzione e cautela. Forse quasi con paura.

-Stammi lontano, Louis- afferma, e vorrebbe sembrare determinato e sicuro, ma il suo tono di voce vacilla notevolmente. -Per favore.-

La mano di Niall gli sfiora il braccio, Liam sospira e Zayn si accende un'altra sigaretta.

Louis ridacchia con scherno e poggia il gomito sul ripiano, il volto a pochi centimetri dal suo. -Il ragazzino ha gli artigli- soffia infine, il respiro caldo si abbatte contro la sua guancia ed Harry avverte una puzza che è un misto di tabacco e alcol.

Fastidio è ciò che gli brucia lo stomaco non appena il più grande allunga di nuovo la mano verso di lui, con la chiara intenzione di toccare quel riccio che gli ricade sulla fronte. Quando sarà sobrio, pensa Harry in un attimo di lucidità, quando sarà sobrio dovrò chiedergli di questa sua fissa per i miei capelli.

Per ora, però, tutto ciò che riesce a fare è sforzarsi di trattenere le lacrime e alzarsi velocemente dallo sgabello. Poggia una mano sul petto scoperto di Louis per tenerlo lontano, ascolta per qualche attimo il battito accelerato del suo cuore e poi lo spinge leggermente all'indietro. Lui barcolla, troppo provato dai litri di alcol che deve aver ingerito per poter riuscire a reggersi in piedi.

-Stammi lontano, Louis- ripete Harry a quel punto, senza mai distogliere lo sguardo da quello blu e lucido dell'altro. Puro disprezzo è quello che gli impregna la voce. -Non voglio avere niente a che fare con quelli come te. Ne ho avuto abbastanza.-

Louis aggrotta le sopracciglia in un gesto di confusione, arriccia le labbra e piega leggermente la testa. -Quelli come m–

-Quelli che a colazione bevono tequila invece che latte e che non sono medici ma sanno perfettamente come si usa un fottuto ago- lo interrompe Harry, e si chiede da dove provenga tutta quella cattiveria, come sia possibile che Louis riesca ogni volta a tirare fuori il peggio di lui. Non si ferma, però. Non ci riesce. -Quelli come te, Louis: tossici. In tutti i sensi.-

Riesce quasi a vederlo, il dolore nei suoi occhi. Quella patina di sofferenza che gli annebbia la vista, la tristezza che offusca completamente il blu brillante che ad Harry piace tanto.

Louis non fa una piega, però. Annuisce lento e stringe le labbra, e sembra più lucido di quanto non sia in realtà. -Perfetto- annuncia quindi, prima di voltarsi ed uscire dalla cucina.

Liam cerca di fermarlo, ma lui continua a camminare senza guardare in faccia nessuno. Scansa con un gesto di stizza il braccio dell'amico e sparisce in mezzo alla folla che riempie il perimetro del salone. Harry guarda il punto in cui la sua schiena è scomparsa per quelle che sembrano ore, ed è la carezza che Niall gli lascia sulle scapole a risvegliarlo da quella specie di trance in cui è caduto.

Niall che in questo momento dovrebbe odiarlo, perché è suo cugino quello che lui ha appena calpestato senza ritegno, e invece lo guarda con espressione preoccupata.

-Merda. Merdamerdamerda- soffia Harry.

Liam e Zayn sembrano affranti, come se volessero risolvere la situazione ma sapessero di non poter fare nulla.

Liam lo osserva per pochi secondi senza nessuna traccia di rimprovero o rabbia, piega le labbra in un sorriso che sa di comprensione, poi poggia una mano sulla spalla del suo ragazzo. -Zayn, forse dovres-

-No- lo interrompe Harry. -Vado io- annuncia poi con un sospiro.

Niall gli afferra il braccio con l'intenzione di fermarlo. -Haz- pronuncia, ma già lo sa che Harry non gli darà ascolto.

-Vado io, Niall- ripete infatti il riccio, più deciso e sicuro di quanto non sia stato appena due secondi fa.

Chiude gli occhi, poi, e prendendo un respiro profondo si rende conto che la prospettiva di non uscire vivo da quell'ammasso di corpi sudati lo spaventa meno di Louis.

 

"Sono l'elefante 
e non ci passo 
mi trascino lento 
il peso addosso
vivo la vergogna 
e mangio da solo e non sai 
che dolore sognare per chi non può mai."

 

 

Harry impiega venti minuti per trovarlo. Innanzi tutto passa in camera da letto a prendere la sua giacca, estremamente attento a non toccare le lenzuola sporche e disordinate. Poi fa una scappatina in bagno, ma tutto ciò che trova sono due ragazze che ci danno dentro contro il lavandino. E' quando apre la porta dello sgabuzzino e sorprende un tizio a fare pipì in un contenitore, evidentemente troppo ubriaco per saperlo distinguere dal water, che si rende conto di star rimandando l'inevitabile. Louis non si sarebbe mai rintanato nella camera da letto in cui poco fa è stata consumata un'orgia, né nel bagno in cui tutti si rifugiano per pomiciare, e neanche in uno sgabuzzino angusto e maleodorante come quello.

Non è troppo stupito, quindi, quando lo trova poggiato contro la ringhiera del piccolo balconcino di casa Payne-Malik. C'è solo lui, lì fuori, perché è il dodici gennaio e Doncaster è estremamente fredda, e quindi la birra gratis è molto più invitante dell'aria gelida che si respira all'esterno. Harry non se ne cura più di tanto, però – non gli è mai piaciuta la birra, in ogni caso. Si stringe nella giacca ed esce, ignorando il piccolo brivido che gli percuote la schiena non appena chiude la portafinestra alle sue spalle. Louis deve aver capito che qualcuno l'ha raggiunto, ma non accenna a muoversi. Rimane completamente immobile, i gomiti poggiati sul davanzale e gli occhi fissi sul palazzo di fronte.

Harry gli si avvicina cauto e si sistema con la schiena contro la ringhiera, in modo da poterlo guardare meglio. Louis si limita a lanciargli un'occhiata impassibile e sospira, prima di distogliere nuovamente lo sguardo.

-Mi dispiace tanto- sussurra a quel punto Harry, le braccia ancora strette al petto e le gambe che tremano leggermente – se per il freddo o per l'espressione ferita di Louis, questo non lo sa.

Il più grande scrolla le spalle con un sorriso amaro a piegargli le labbra. -Tranquillo- soffia. -In fondo avevi ragione, no?-

Il riccio scuote la testa e gli si avvicina ancora un po', fino a far entrare in contatto le loro braccia. -Non avrei mai dovuto dire una cosa del genere, Louis.-

-È per tuo padre?- chiede lui, ma più che una domanda ad Harry sembra semplicemente un modo per sviare il discorso.

E' ben visibile il dolore negli occhi di Louis, il senso di colpa che si porta addosso. Sembra quasi che pensi di non valerne la pena, come se si stesse semplicemente e consapevolmente buttando via.

Harry si limita ad annuire. -Io credo – credo di sì- ammette.
-Ti manca?- continua l'altro, e quella nel suo tono di voce è sincera curiosità.

Se il più piccolo ha capito qualcosa di lui in questi pochi mesi di conoscenza, è proprio il suo essere estremamente schietto, senza alcun pelo sulla lingua. Se vuole sapere qualcosa, domanda. Se pensa che una persona sia un'idiota, oltre a dirglielo esplicitamente e senza troppi giri di parole, si assicura anche di farglielo capire in ogni modo possibile.
Forse è proprio per questo che Harry non si sente in difficoltà quando è con lui. Per la sincerità che traspare dai suoi occhi, o per la genuinità che legge sul suo volto.

Scrolla le spalle, quindi, e prende a fissare le sagome che si muovono oltre il vetro della portafinestra. -Ha passato più tempo in carcere che con me e Gemma- sibila. -Non sono neanche sicuro di quale sia stata l'ultima cazzata che gli è costata altri tre anni di galera. Forse spaccio, o qualcosa del genere.-

Louis annuisce ma per un po' rimane in silenzio. Gratta con l'unghia consunta dell'indice la superficie rovinata del davanzale, le labbra strette e le sopracciglia corrucciate a formare delle piccole rughe sulla fronte ampia. Pare quasi che stia cercando di combattere contro qualcosa di più grande di lui, e sembra infinitamente piccolo. -Mio padre è morto- confessa infine, ed Harry può quasi sentire il suo cuore perdere un battito, mentre una lacrima solca la guancia ruvida di barba di Louis. -Era una delle persone che amavo di più al mondo, ed è morto. E io non ho potuto fare niente per evitarlo. Tu puoi, Harry.- Il più piccolo si stringe un altro po' nella giacca, ma è quasi sicuro che a farlo rabbrividire non sia stato il freddo, bensì il dolore che impregna la voce spezzata del ragazzo al suo fianco. Però Louis sposta per un attimo lo sguardo su di lui, e tutto ciò che fa è sorridere. Sorride in modo così sincero, che Harry pensa di non aver mai visto niente di più bello. -Non ti sto dicendo che essere arrabbiato non sia giusto, perché lo è – ma credo che te ne pentirai se non cercherai di aiutarlo- continua infine, pressando leggermente la spalla contro la sua in un gesto di conforto.
Harry lo guarda dall'alto, quasi compiaciuto dalla piccola differenza d'altezza nonostante i quattro anni d'età che li separano, poi stringe le labbra in quello che dovrebbe sembrare un sorriso ma somiglia di più ad una smorfia. Si volta, a quel punto, e imita la posizione di Louis, i gomiti a gravare sul davanzale bianco e il volto poggiato sul palmo della mano destra.

-Una sera, quando avevo dieci anni, ho messo qualche maglietta e due paia di pantaloni in uno zaino, e sono scappato di casa. Avevo sentito mia madre parlare di quanto Des– mio padre, di quanto mio padre stesse male, di quanto poco gli sarebbe rimasto da vivere se avesse continuato in quel modo- prende a raccontare, muovendo nervosamente le dita contro la guancia. Louis lo scruta rapito, ma Harry non ricambia lo sguardo. -Volevo salvarlo. Non volevo che morisse. L'ho cercato ovunque, e quando l'ho trovato l'ho implorato di tornare a casa con me, gli ho detto che l'avrei aiutato a guarire. Tutto ciò che ha fatto è stato – continuare a sistemarsi il laccio emostatico attorno al braccio. Ed è successo di nuovo quando avevo undici, dodici e tredici anni, finché non è finito in carcere- continua, e c'è un nodo enorme all'altezza della gola che per qualche secondo gli impedisce di parlare. I capelli disordinati di Louis gli solleticano dolcemente la tempia, ed Harry cerca di concentrarsi sulla leggera e piacevole pelle d'oca che gli provocano, prima di continuare. -Ci ho provato per tanto tempo, Louis, quando ero troppo piccolo anche solo per capire. Ma ora ho smesso di rincorrerlo.-

Dita piccole ed ossute vanno ad intrecciarsi alle sue e le lascia fare, perché le mani di Louis sono calde e forti ed Harry ha bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, in questo momento.

Il più grande annuisce piano e muove il pollice sulla sua pelle in movimenti circolari. -Hai detto una cosa, prima- sussurra poi dopo qualche secondo, la voce che quasi sparisce sotto la musica che proviene dall'interno.

-In mezzo alla marea di cattiverie che ti ho sputato addosso?- domanda ironico Harry, sbuffando una risata priva di divertimento.

Louis scrolla le spalle con un sorriso spento. -Era solo la verità e lo sai anche tu. Però c'è questa cosa che non credo di aver capito- ammette arricciando le labbra. -Tossico in tutti i sensi, hai detto. Cosa intendevi?-

Harry sospira profondamente, lancia uno sguardo al cielo pieno di nuvole sopra di loro e stringe un altro po' la presa sulla mano di Louis, prima di scioglierla. -Che sembri un ragazzo intelligente, Lou. Intelligente, simpatico, spontaneo, a volte anche molto dolce, e per quello che ho visto, sei un bravissimo fratello maggiore- confessa infine, le braccia intorpidite e le gambe che tremano per il freddo, mentre dissimulando cerca con tutto se stesso di non dare peso a ciò che ha appena detto. -E' meglio che rientri, sto gelando.-

Louis ha ancora gli occhi lucidi e la voce leggermente sporcata dall'alcol, quando -Io penso che rimarrò un altro po' qui fuori-, ribatte, l'aria provata come se avesse appena corso una maratona.

Anche Harry si sente così, con lo stomaco in subbuglio ed il cuore terribilmente pesante. Si limita ad annuire, però, si sfila la giacca e gliela poggia sulle spalle. -Okay, allora prendi questa.-

-Non c'è bis- protesta, ma il riccio lo interrompe immediatamente. -Fa freddo e tu hai solo una camicia, Louis. Tienila finché non rientrerai- lo rassicura, e lo guarda annuire con espressione riconoscente, prima di affrettarsi a rientrare.

Quando torna in cucina, tutto è come l'ha lasciato quasi un'ora fa. Zayn sta ancora fumando, Liam e Perrie riempiono i bicchieri di plastica e Niall sgranocchia quelle che sembrano pop-corn. Harry ignora i loro sguardi curiosi, mentre prende posto sul suo sgabello e infila la mano nell'enorme pacchetto di patatine fritte posto al centro del ripiano.

L'amico gli lascia una pacca affettuosa sulla spalla, Zayn spegne la sigaretta e Liam fa cadere un po' di birra sul tavolo, ma nessuno fa domande.

 

 

*  *  *

 

 

Harry non è mai stato un tipo troppo dormiglione. Quando era piccolo e viveva a Liverpool, durante il weekend era sempre il primo ad alzarsi dal letto. La prima cosa che faceva era andare a svegliare sua madre per chiederle di preparare la colazione insieme a lui, ed Anne sbuffava un po' ma impiegava meno di due minuti ad accontentarlo e seguirlo in cucina. Quando c'era anche suo padre, poi, saltava poco delicatamente sulla sua schiena muscolosa, gli allacciava le braccia al collo e urlava "Buongiorno!". Lui sorrideva, gli infilava affettuosamente una mano tra i capelli, e con gli occhi ancora chiusi dal sonno gli lasciava un bacio delicato sulla fronte. Harry ricorda il profumo di vaniglia e tabacco che emanava, e ricorda anche quanto disperatamente lo cercasse, quel profumo, attaccato alle poche magliette che suo padre lasciava ogniqualvolta spariva dalla circolazione per qualche tempo.
L'ultima a svegliarsi era sempre Gemma, comunque. Non appena i pancakes erano pronti la sorella spuntava dalla porta della cucina, i capelli scompigliati e sul volto ancora presenti i segni del cuscino. Ad Harry piacevano i weekend in famiglia – anche quelli in cui suo padre non c'era.

Quando si sveglia quel sabato mattina, però, non c'è nessun odore di pancakes ad accoglierlo, sua madre è ormai uscita da un pezzo e sua sorella è stranamente già sveglia, appollaiata sul divano del salone con il telecomando in mano.

-Buongiorno, dormiglione- esclama non appena lo vede scendere le scale.

Harry passa una mano a strofinare energicamente sull'occhio e borbotta un -Ciao- in risposta. -Che ore sono?- domanda poi, dirigendosi verso la cucina per prepararsi una tazza di caffè.

-Le undici e mezzo- annuncia lei, per poi seguirlo saltellando fino al minuscolo bancone della loro cucina.

Harry conosce Gemma più di quanto non conosca se stesso, quindi lo capisce quando sta per dire qualcosa di scomodo. Lo capisce dalle due piccole rughe orizzontali che le solcano la fronte, e dal rumore delle unghie contro il tavolo, e anche da quella sua manìa di mordersi nervosamente il labbro, talmente forte che a volte arriva a sanguinare.

-Che devi dirmi, Gems?- sospira quindi, versando il caffè già pronto nella tazza di Minnie che si porta dietro da quando era piccolo. L'ha comprata a Disneyland, ricorda, insieme a sua madre e ad un paio di zii di cui non ricorda più nomi e lineamenti.
La sorella sorride mestamente e porta le braccia a circordarsi le gambe, raggomitolandosi sulla sedia come un gattino. -Vorrei che venissi con me la prossima volta, Haz.-

Harry non ha bisogno di chiederle a cosa si riferisca. I loro dialoghi sembrano sempre gli stessi da mesi, ormai. Gemma che cerca di convincerlo e lui che la liquida con qualche scusa di poco conto, e poi Gemma che riprova e lui che, invece, di provare non ne ha la minima intenzione.
-Sai già che il mio è un no.-

La bionda sbuffa e butta la testa all'indietro in un gesto di esasperazione. - Sì Harry, ovviamente so che il tuo è un no- lo scimmiotta.

-E allora perché continui a chiedermelo?-

-Perché è di tuo padre che stiamo parlando!- esclama furiosa, e il riccio non crede di averla mai vista così alterata in passato, neanche quando da piccolo tagliuzzava i vestitini delle sue bambole. -Perché prima di essere un alcolizzato o un tossicodipendente è tuo padre, Harry- ripete infine, alzandosi dalla sedia e parandoglisi di fronte.

Harry ha le braccia incrociate, lo sguardo basso e il cuore che quasi non batte più. Non riesce a sentirne il rumore neanche se si concentra.
-Lo so che è mio padre. È lui che se ne è dimenticato, Gemma, non io- sibila allora, con più disprezzo di quanto non volesse. -Credimi, io non l'ho mai dimenticato.-

La sorella sorride con amarezza e si allontana leggermente, fino a scontrarsi con il tavolo alle sue spalle. Ci poggia le mani, quindi, e con un sospiro torna a posare gli occhi in quelli del fratello.

-Pensi di essere l'unico a star male, non è così?- soffia arrabbiata.

-Non ho mai detto questo.-

-Pensi che la mamma stia scappando, pensi che io mi stia comportando da buonista, e pensi che tutto ricada sulle tue spalle- continua però lei, senza degnarlo di attenzione. -Beh, indovina un po'? Non sei tu la vittima Harry, non sei tu quello che è rimasto da solo con due figli da crescere e neanche un centesimo in tasca. Non sei tu il primo a cui papà dovrebbe chiedere scusa, e non sei neanche l'unico a cui perdonarlo risulta difficile, hai capito?-

Harry afferra la tazza e può sentire il palmo della sua mano bruciare contro il vetro, ma non la posa. Prende un sorso di caffè e pensa di meritarselo, in fondo, quel dolore. Perché sua sorella ha gli occhi lucidi di lacrime e lui ha passato gli ultimi anni della sua vita a cercare di costruirsi un muro tutt'attorno, senza pensare a chi lasciava fuori.

-Sono arrabbiata anche io, Harry. Non ho dimenticato niente di tutto ciò che abbiamo passato. Ma quello è nostro padre, e c'è stato un tempo in cui era anche papà, ricordi?-

Il riccio annuisce, a quel punto, perché che ricorda. Ricorda il sapore di ogni singolo bacio della buonanotte, il tono caldo della sua voce mentre leggeva quei vecchi libri di fiabe che avevano comprato insieme nell'edicola vicino casa, il calore delle sue mani grandi e callose che gli rimboccavano le coperte. Harry ricorda ogni cosa, anche se non vorrebbe. Ricorda com'è avere un papà, ma ricorda anche cosa significa capire di averlo perso.

-Perdonalo- soffia infine sua sorella. -Perché ogni volta che entro in quella sala è devastante vedere con quanta speranza i suoi occhi continuino a cercarti.-

Harry ripone il caffè sul piano cottura e fa per avvicinarsi a sua sorella, ma si blocca quando il campanello suona. Gemma si precipita verso la porta nelle sue pantofole a forma di coniglietto, evidentemente desiderosa di allontanarsi da lui per qualche minuto.

Quando torna in cucina, però, non è da sola. La sua espressione è sicuramente più cordiale e meno omicida, ma se Louis si concentrasse, potrebbe notare le lacrime che ancora le inumidiscono gli occhi. Louis. Louis che è in piedi nella sua cucina, a pochi passi da lui, con un sorriso imbarazzato ad illuminargli il volto e l'aria di chi vorrebbe farsi piccolo piccolo fino a scomparire del tutto.

-Louis, cosa– borbotta Harry incespicando un po', ancora leggermente frastornato. -Cosa ci fai qui?-

-Ho chiesto il tuo indirizzo a Niall per, sai – riportarti questa- risponde lui prontamente, alzando il braccio destro per indicare la giacca che ci è poggiata sopra.

Se ne era completamente dimenticato, in realtà. Tornare a casa con solo una maglia dei Rolling Stones indosso non è stato propriamente piacevole, ma è ormai passata una settimana da quando si è tenuta la festa, ed Harry non è famoso per la sua memoria a lungo termine.

In un'altra occasione Gemma avrebbe cominciato a fare domande imbarazzanti e lo avrebbe provocato fino allo sfinimento, ma tutto ciò che fa ora è borbottare a fatica un saluto, per poi andarsene con aria affranta. Harry sente un macigno depositarsi sul suo stomaco e Louis sembra quasi accorgersene, perché gli sorride incoraggiante mentre ripone la giacca sul tavolo.

-Mattinata difficile?- chiede.

Il riccio scrolla le spalle e forza un'espressione noncurante. -Diciamo che nessuno dei due ha dormito molto bene.-

-Forse avrei fatto meglio a passare in un altro momento.-

-E' tutto okay- lo rassicura, muovendo un paio di passi nella sua direzione. -Grazie per avermi riportato la giacca.-

Il maggiore scuote la testa e stringe le labbra. -Grazie a te per avermela prestata.-

Fa per voltarsi, poi, ma Harry lo blocca prima che possa uscire. Poggia una mano sul suo braccio, e non sa da dove provenga tutto quel coraggio, ma sente che al momento nessuno potrebbe capirlo come fa Louis.

Sono due fazioni completamente opposte ed in contrapposizione, ed Harry ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a scappare da tutto ciò che Louis rappresenta, ma mai gli è capitato di sentirsi così a suo agio in presenza di un'altra persona.

-Portami via- soffia quindi, gli occhi fissi in quelli estremamente blu dell'altro. -Portami via di qui, ti prego.-

Louis non esita neanche per un attimo. Si limita ad annuire, poi lo prende per mano e lo trascina fino alla sua macchina. Harry non presta la minima attenzione al freddo che gli colpisce le gambe coperte solo dal pigiama, né si preoccupa di star indossando delle pantofole pelose e terribilmente imbarazzanti. Si sistema sul sedile del passeggero e mentre Louis lo guarda di sottecchi come se fosse un pezzo di cristallo pronto a rompersi da un momento all'altro, pensa a sua sorella. Alle guance rosse di rabbia e frustrazione, agli occhi inondati di lacrime e tristezza, alle braccia strette attorno al corpo, a tutte le volte che ha tentato.

Mentre scappa, Harry pensa a sua sorella che non l'ha mai fatto.

 

 

 

Non vuole sapere in che modo sia possibile che Louis conosca un parco come quello in cui l'ha portato, completamente distrutto ed isolato dal resto della città. Dall'esterno, prima di entrare, Harry non l'aveva neanche notato, la visuale completamente occupata dalla fitta vegetazione che lo circonda.

No, Harry non vuole davvero sapere perché Louis lo conosca.

-So che non è il massimo- si affretta a spiegare il maggiore, accorgendosi forse del suo sguardo perplesso. -Ma è l'unico posto tranquillo che conosco.-

Harry annuisce e si stringe nella sua giacca, camminando cauto tra l'erba alta che arriva a toccargli i polpacci. Si fermano in prossimità di un'altalena in legno piena di scritte, e a Louis sembra non importare dell'aspetto estremamente pericolante in cui riversa, perché prende posto su uno dei due seggiolini senza la minima esitazione.

-Non crollerà, se è quello che ti stai chiedendo- lo rassicura. -Resiste da quando avevo la veneranda età di cinque anni, quindi puoi fidarti.-

-Vivevi qui vicino?- domanda Harry, sistemandosi accanto a lui.

-Sì, insieme a Lottie, Fizzy e i miei genitori, ma eravamo tanti e lo spazio era poco- spiega dondolando lentamente, i piedi puntati a terra e le mani strette attorno alle catene cigolanti. -Quindi quando sono nate Phoebe e Daisy abbiamo deciso di trasferirci ad Hyde Park.-

Quando Harry chiede: -Chi è Daisy?- sa già di star ponendo una domanda scomoda, perché lo sguardo di Louis vacilla visibilmente, fisso su qualcosa che Harry non riesce ad afferrare.

-Mia sorella- sussurra quasi a fatica, per poi voltarsi e forzare un sorriso nella sua direzione.

Harry non domanda altro. Lascia che il silenzio li avvolga completamente, e per la prima volta non si sente a disagio. E' accogliente, pieno delle cose che nessuno dei due ha il coraggio di dire o fare, ma comunque sicuro di non essere giudicato.

-Hai fatto arrabbiare tua sorella questa mattina?- scherza Louis dopo qualche minuto, mentre continua a dondolare pigramente.

-Arrabbiare è un eufemismo- ribatte il riccio con una risata amara.

-Vuoi parlarne?-

Harry scrolla le spalle e sospira, alza gli occhi verso il cielo e poi li chiude. Rimane così per un po', il collo piegato all'indietro comincia a protestare per la posizione scomoda, ma non se ne cura.

-Vuole che la accompagni, la prossima volta che andrà a trovare Des.-

-Tuo padre?- chiede in conferma.

Harry annuisce, poi torna a guardarlo. Louis è ancora triste, mentre cerca di concentrarsi su di lui.

-E tu non vuoi andarci- afferma, ed Harry non può fare altro che annuire di nuovo, puntando gli occhi sull'asfalto.

I suoi piedi sono gelidi, coperti da un misero paio di pantofole, e le gambe tremano impercettibilmente sotto la stoffa troppo sottile del pigiama.

-No- conferma infine.

Louis arriccia le labbra e muove il capo in segno d'assenso, a dispetto dell'espressione leggermente contrariata che gli dipinge il volto. Harry sa che non è d'accordo. -Avanti- lo sprona infatti, senza alcuna traccia di risentimento nella voce -Dillo.-

Il liscio aggrotta le sopracciglia in un'espressione pensierosa e sbuffa una risata, portando le dita a strofinare sugli occhi. -Non lo so, Harry – ho paura che te ne pentirai amaramente, in futuro- sospira. -E' tuo padre, capisci? E arriverà un momento nella tua vita in cui tutto ciò che vorrai sarà poter tornare indietro e scegliere diversamente, ma non sarà possibile.-

-Ma perché vi ostinate tutti a sottolineare che Des è mio padre?- sbuffa Harry a quel punto, leggermente alterato. Dà una spinta un po' più forte con i piedi e quasi cade dall'altalena, ma fa in tempo a stringere le mani attorno alle catene con più vigore. -Fino a prova contraria, è stato lui a dimenticarsi di avere dei figli che lo aspettavano a casa ogni sera.-

Louis stringe le labbra, le sue palpebre si abbassano e per un attimo Harry si perde a fissare le lunghe ciglia che ricadono morbide sugli zigomi pronunciati. Sopprime l'istinto di avvicinarsi per poterle guardare più da vicino e sospira, poggiando la tempia sinistra sulla catena arrugginita e ruvida.

-E tutte le volte che sei rimasto vicino a quella porta ad aspettarlo- ricomincia Louis dopo un po', piegando la gamba destra e voltandosi per metà sul seggiolino. L'altalena cigola al minimo movimento, ma entrambi la ignorano. -Tutte le volte che gli hai dato un'altra possibilità e lui se ne è fregato, come ti sei sentito?-

-Come se non fossi abbastanza- risponde prontamente, il tono di voce talmente basso che per un attimo lui stesso crede di averlo solo pensato.

Louis annuisce, inclina leggermente il volto e sorride comprensivo. -Adesso è lui che sta aspettando te- soffia. -È lui che si sta dando un'altra possibilità.-
Harry non ragiona, mentre poggia la mano su quella dell'altro, facendo in modo che le loro dita si intreccino contro la superficie fredda della catena. Cede al bisogno di sentire il calore della sua pelle, si aggrappa a quel contatto come fosse l'unica cosa capace di ancorarlo alla realtà.

E non sa se sia per il fatto che molto probabilmente rivedrà suo padre molto presto, o per il pollice di Louis che gli carezza dolcemente il dorso della mano, o per i suoi occhi blu che lo comprendono meglio di quanto abbia mai fatto chiunque altro – Harry non sa quale sia il fattore scatenante, ma capisce in questo momento di essersi definitivamente perso.

   
 
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