Sophie
Enys decise di nascere in una
splendida giornata di fine luglio, battezzata da un sole senza ombre
che
brillava nel cielo di mezzogiorno come il vessillo di una battaglia
appena
vinta. Nelle ultime settimane, Dwight intimò a Caroline di
ascoltarlo senza
fare tutto di testa sua, impedendole di prendersi delle
libertà rischiose sia
per la sua vita che per quella della bambina, proprio come quando era
andata a
trovare Ross e Demelza per puro spirito di contraddizione nei confronti
dei
limiti che le erano stati imposti a causa dell'eccessiva stravaganza dei
suoi
capricci. La nascita della piccola filò liscia grazie
all'assistenza del suo
papà che, dopo essersi liberato dei panni del medico
scrupoloso, fu molto
felice di poter recuperare la sua identità di uomo per
commuoversi alla vista
del miracolo che stringeva tra le mani: l'amore per Sophie aveva
finalmente
alleviato il dolore per la perdita di Sarah e gli aveva regalato la
promessa di
una vita più completa e felice.
E
se, raramente, Caroline si concedeva di
piangere, questa volta l’appagamento totale che
provò per l’arrivo di Sophie insieme
al privilegio di potersi considerare di nuovo madre, dopo ore di sforzo
fisico
estremo e mesi di paure, riuscirono a rilevare tutta la sua segreta
fragilità,
rendendola una donna dalle mille e inaspettate sfaccettature.
A
Nampara, Demelza ricevette la lieta
notizia in una lettera scritta dal pugno emozionato di Dwight e decise
subito
di pianificare una visita per conoscere la neonata con Jeremy e
Clowance, anche
loro smaniosi di incontrarla per la prima volta. Naturalmente avrebbe
aspettato
che Caroline si fosse ripresa dalla fatica del parto prima di andare a
Killewarren
e congratularsi con entrambi i genitori, ma stranamente questa volta
prestò ascolto
alla prudenza che le diceva di mettere da parte la testardaggine,
evitando di progettare
una lunga camminata sin lì e rischiare decisamente troppo al
nono mese di
gravidanza. Ross, infatti, non ne sarebbe stato per niente contento,
visti i
precedenti di Demelza, e forse non le avrebbe consentito nemmeno di
usare il
calesse, preferendo di gran lunga che rimandasse la visita a dopo la
nascita del
loro bambino. Ma come potevano lei e i piccoli perdersi un evento del
genere? E
dopotutto chi poteva informarlo di questa scappatella tutto sommato
priva di azzardi,
dal momento che Ross si trovava ancora a Londra e non sarebbe tornato
prima di
un paio di settimane?
In
realtà, Ross aveva già finito di adempiere
ai suoi doveri politici nella settimana della nascita di Sophie e,
ignaro della
situazione, aveva fissato un impegno molto importante per il giorno
precedente alla
sua ripartenza, più che convinto che il piccolo si sarebbe
degnato di aspettare
il suo ritorno per nascere. Fu così che si recò
presso la residenza londinese
dei Warleggan, dove sapeva di trovare Valentine, per accertarsi delle
sue
condizioni psicologiche e salutarlo semplicemente da amico, offrendogli
una
compagnia che sperava potesse fargli piacere.
“Il
padrone non comprende il motivo della
vostra visita, signore.” Fu questa la risposta che ottenne,
una volta
annunciato il suo nome, ma per fortuna Ross non specificò
chi desiderasse incontrare
come forma di precauzione, nonostante nella sua testa avesse dato per
scontato
che George non fosse presente.
“Può
comunicare al suo padrone che ho
sbagliato indirizzo. Generalmente non tratto con i villani travestiti
da
signori…”
George,
che si trovava nelle vicinanze,
ebbe modo di ascoltare tutto, ragion per cui decise di mettere da parte
il
valletto e presentarsi davanti a lui per sfidarlo personalmente ancora
una
volta.
Non
appena udì i suoi passi, Ross fece
una smorfia, come se fosse sicuro che gli sarebbe apparso davanti da un
momento
all’altro. L’orgoglio dei Warleggan non avrebbe
consentito che Ross se ne andasse
senza una sua replica.
“Sai
benissimo che questa è casa mia, che
cosa ci fai qui? Credevo che avessimo chiarito tutto qualche mese
fa.”
“Infatti,
sei tu a non essere ancora
abbastanza chiaro in quello che fai. Circolano delle voci sul tuo
rapporto con
Valentine che faresti bene a smentire e tu sai bene quanto alla gente
piaccia
ricamare su certe cose…”
George
capì immediatamente a cosa si
riferiva, “Quello che si dice in giro è
completamente falso, quindi, se sei
venuto per ascoltare una smentita ufficiale eccoti accontentato!
Valentine è il
mio erede a tutti gli effetti, poi se questo ti faccia piacere o meno
non
saprei dirlo con esattezza...Anzi, spero proprio che ti roda.”
Ross
lo squadrò con disprezzo e fece per
andarsene, quando George lo trattenne per chiedergli
un’ultima cosa, “Tu cosa
avresti fatto al posto mio, Ross?”
Ross si girò per poterlo guardare dritto negli occhi,
“In questo caso non tocca
a me rispondere a questa domanda. Tu hai già dimostrato di
sapere quale fosse
la cosa più giusta da fare, ma hai sbagliato il metodo e
continui ad applicarlo
nella peggiore maniera possibile. Chiediti piuttosto cosa penserebbe
Elizabeth
di come ti stai comportando con suo figlio, lasciandolo crescere
lontano dall’unico
genitore vivente che gli sia rimasto, sempre se scegli di continuare a credere in
questa
verità, e forse troverai la soluzione. Addio,
George.”
Il
piccolo Valentine, completamente all’oscuro di
quanto fosse accaduto una settimana prima a kilometri di distanza da
dove si
trovava ormai da tempo, aveva convinto la sua governante a lasciarlo
correre in
giardino per giocare con qualche ramoscello secco a modi spada, mentre
intorno
lui vibrava una leggerezza che però non sembrava
rispecchiare per nulla la sua
vita. Da quando aveva fatto ritorno a Trenwith le lunghe giornate
estive scorrevano
tutte uguali, tranne che per qualche sporadico momento in cui poteva
evadere
dalle letture e dagli esercizi di scrittura per respirare un
po’ di libertà.
Quella domenica rappresentò un’eccezione davvero
straordinaria, siccome il
cancello era rimasto aperto e in quel momento nessuno si stava
occupando di
lui, Valentine ne approfittò per spingersi oltre e sfidare
le regole.
Cercò
di ricordarsi la strada che portava
a quella proprietà dal nome buffo in cui aveva trascorso un
paio di notti dopo
l’incidente di gennaio, ma dovette fare molta attenzione a
non scegliere il
sentiero sbagliato per non perdersi, dal momento che l’aveva
sempre percorsa
in carrozza o sulla sella del cavallo di Ross, quell’ultima
volta in cui lo
aveva visto prima che lo riportasse da suo padre. Camminando lungo il
sentiero,
Valentine sorrise al pensiero che presto avrebbe potuto trovarsi di
nuovo lì a
parlare con Jeremy, rincorrere Garrick, sentire il calore di una vera
famiglia
e ovviamente provare quel bellissimo senso di semplicità e
confidenza che la
sola vicinanza di Ross e Demelza gli procurava.
La
sua memoria non lo tradì, infatti non
tardò ad arrivare a destinazione ma la timidezza lo
frenò dal presentarsi
immediatamente alla porta, rendendolo un lontano spettatore di quella
meravigliosa immagine che aveva davanti. Garrick avvertì la
sua presenza e
iniziò a scodinzolare senza muoversi dall’angolino
fresco di erba che con tanta
fatica era riuscito a scovarsi. Valentine lo salutò con la
mano e il desiderio
di accarezzarlo gli diede il coraggio di avvicinarsi pian piano a lui
anche perché,
nel punto in cui il cane si trovava, non rischiava di essere visto con
troppa
facilità. Tuttavia, a un certo punto, l’ombra di
tre viaggiatori che si
preparavano a montare su un calesse per andare chissà dove
sbucò improvvisa da
un’uscita laterale della casa, un fatto questo che Valentine
non aveva messo in
conto, perciò il suo primo istinto fu di scappare e
nascondersi dietro un
albero.
“Tesoro,
dove stai andando? Faremo tardi
per vedere la piccolina…” Demelza, pronta per
prendere il controllo delle
redini del calesse con Jeremy seduto al suo fianco, non
riuscì a frenare
Clowance e convincerla a unirsi a loro per partire subito per
Killewarren.
“Ho
pensato, mamma, che a zia Caroline
farebbe piacere mangiare qualcuna delle nostre mele.” Corse
ancora più veloce
verso il meleto, “Spero che Sophie sia dolce e succosa
proprio come loro!”
Gridò affinché potesse sentirla, inconsapevole
che Valentine si trovasse
proprio dietro l’albero a cui aveva mirato.
Clowance
si fermò di colpo per prendere
fiato, ma era ormai troppo vicina per non accorgersi di lui.
“Oh…”
Lo vide rigirarsi tra le mani il
ramoscello di legno che aveva portato con sé da Trenwith,
con lo sguardo timido
ma non eccessivamente spaventato.
“Tu
sei Valentine, vero? Perché ti sei
nascosto?”
Il
piccolo si finse sicuro di sé, “Non mi
sono nascosto. Avevo soltanto voglia di stare qui per un
po’.”
Clowance
inclinò il viso e sorrise, “Non
c’è bisogno di inventarsi scuse. Per me puoi anche
uscire allo scoperto se ti
va…”
Aveva
già avuto modo di conoscere quella
capricciosa ma graziosa bambina dagli occhi blu, quindi
decise di fidarsi di lei. Lentamente si espose all’attenzione
degli altri due, continuando
a osservare Clowance che racimolava da terra le mele migliori da
portare alla
puerpera.
Distratta
da altro, Demelza non notò subito
Valentine, al contrario di Jeremy che, impaziente di raggiungere sua
sorella
per scoprire chi fosse quel bambino che riusciva a scorgere da lontano,
provò a
liberarsi dal posto in cui era seduto ma, prima che potesse mettere il piede sul
suolo reso
secco dal sole, sua madre lo invitò a restare lì
dov’era.
“Ma
non hai visto chi c’è con Clowance?
Potrebbe essere spaventata…”
Dopo
aver messo a fuoco l’immagine di Clowance china a raccogliere
le mele, Demelza dubitò che sua figlia potesse essere
spaventata da come si stava comportando data la stessa allegria e
naturalezza di
sempre. Eppure quel bambino che le stava affianco, indeciso se aiutarla
o meno,
aveva l’aria di essere il figlio di un nobile e non di un
semplice minatore o
contadino che viveva da quelle parti.
“Mi
aiuti a portarle fin lì, per favore?”
Indicò il calesse da dove la sua mamma la guardava
incuriosita, in attesa di
una spiegazione.
Valentine
annuì e insieme raggiunsero
Demelza e Jeremy, quest’ultimo piacevolmente colpito dal
fatto che si trattasse
di Valentine.
“Buongiorno
signora. Ciao Jeremy!”
Demelza
rimase a bocca aperta, poi
recuperò la facoltà di parola per chiedergli,
“Valentine, ti sei perso? Tuo
padre sa che sei qui?”
“Ho
fatto due passi e mi sono ritrovato
qui per caso. Mio padre è a Londra, quindi non lo
sa.”
Demelza
non sapeva cosa fare, non potendo
dargli un passaggio perché era già in ritardo per
l’appuntamento con
Dwight e Caroline. L’unica soluzione che le si
presentò in mente fu quella di prenderlo
con sé e portarlo a Killewarren, dopo aver detto a
Prudie di informare la
tata che Valentine era al sicuro con lei e poi, una volta finita la
visita,
sarebbe stata lei stessa a riportarlo a Trenwith.