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Autore: Reginafenice    25/04/2018    1 recensioni
Ho immaginato come, qualche mese dopo la morte di Elizabeth, Ross avrebbe potuto reagire ad un incontro non pianificato con il frutto della suo adulterio, Valentine, e quali sentimenti avrebbe suscitato in lui l’avere a che fare concretamente con quel figlio mai riconosciuto una volta messo finalmente di fronte alla realtà che, per quanto dolorosa, lui non è mai stato in grado di accettare.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sophie Enys decise di nascere in una splendida giornata di fine luglio, battezzata da un sole senza ombre che brillava nel cielo di mezzogiorno come il vessillo di una battaglia appena vinta. Nelle ultime settimane, Dwight intimò a Caroline di ascoltarlo senza fare tutto di testa sua, impedendole di prendersi delle libertà rischiose sia per la sua vita che per quella della bambina, proprio come quando era andata a trovare Ross e Demelza per puro spirito di contraddizione nei confronti dei limiti che le erano stati imposti a causa dell'eccessiva stravaganza dei suoi capricci. La nascita della piccola filò liscia grazie all'assistenza del suo papà che, dopo essersi liberato dei panni del medico scrupoloso, fu molto felice di poter recuperare la sua identità di uomo per commuoversi alla vista del miracolo che stringeva tra le mani: l'amore per Sophie aveva finalmente alleviato il dolore per la perdita di Sarah e gli aveva regalato la promessa di una vita più completa e felice.

E se, raramente, Caroline si concedeva di piangere, questa volta l’appagamento totale che provò per l’arrivo di Sophie insieme al privilegio di potersi considerare di nuovo madre, dopo ore di sforzo fisico estremo e mesi di paure, riuscirono a rilevare tutta la sua segreta fragilità, rendendola una donna dalle mille e inaspettate sfaccettature.

A Nampara, Demelza ricevette la lieta notizia in una lettera scritta dal pugno emozionato di Dwight e decise subito di pianificare una visita per conoscere la neonata con Jeremy e Clowance, anche loro smaniosi di incontrarla per la prima volta. Naturalmente avrebbe aspettato che Caroline si fosse ripresa dalla fatica del parto prima di andare a Killewarren e congratularsi con entrambi i genitori, ma stranamente questa volta prestò ascolto alla prudenza che le diceva di mettere da parte la testardaggine, evitando di progettare una lunga camminata sin lì e rischiare decisamente troppo al nono mese di gravidanza. Ross, infatti, non ne sarebbe stato per niente contento, visti i precedenti di Demelza, e forse non le avrebbe consentito nemmeno di usare il calesse, preferendo di gran lunga che rimandasse la visita a dopo la nascita del loro bambino. Ma come potevano lei e i piccoli perdersi un evento del genere? E dopotutto chi poteva informarlo di questa scappatella tutto sommato priva di azzardi, dal momento che Ross si trovava ancora a Londra e non sarebbe tornato prima di un paio di settimane?

In realtà, Ross aveva già finito di adempiere ai suoi doveri politici nella settimana della nascita di Sophie e, ignaro della situazione, aveva fissato un impegno molto importante per il giorno precedente alla sua ripartenza, più che convinto che il piccolo si sarebbe degnato di aspettare il suo ritorno per nascere. Fu così che si recò presso la residenza londinese dei Warleggan, dove sapeva di trovare Valentine, per accertarsi delle sue condizioni psicologiche e salutarlo semplicemente da amico, offrendogli una compagnia che sperava potesse fargli piacere.

“Il padrone non comprende il motivo della vostra visita, signore.” Fu questa la risposta che ottenne, una volta annunciato il suo nome, ma per fortuna Ross non specificò chi desiderasse incontrare come forma di precauzione, nonostante nella sua testa avesse dato per scontato che George non fosse presente.

“Può comunicare al suo padrone che ho sbagliato indirizzo. Generalmente non tratto con i villani travestiti da signori…”

George, che si trovava nelle vicinanze, ebbe modo di ascoltare tutto, ragion per cui decise di mettere da parte il valletto e presentarsi davanti a lui per sfidarlo personalmente ancora una volta.

Non appena udì i suoi passi, Ross fece una smorfia, come se fosse sicuro che gli sarebbe apparso davanti da un momento all’altro. L’orgoglio dei Warleggan non avrebbe consentito che Ross se ne andasse senza una sua replica.

“Sai benissimo che questa è casa mia, che cosa ci fai qui? Credevo che avessimo chiarito tutto qualche mese fa.”

“Infatti, sei tu a non essere ancora abbastanza chiaro in quello che fai. Circolano delle voci sul tuo rapporto con Valentine che faresti bene a smentire e tu sai bene quanto alla gente piaccia ricamare su certe cose…”

George capì immediatamente a cosa si riferiva, “Quello che si dice in giro è completamente falso, quindi, se sei venuto per ascoltare una smentita ufficiale eccoti accontentato! Valentine è il mio erede a tutti gli effetti, poi se questo ti faccia piacere o meno non saprei dirlo con esattezza...Anzi, spero proprio che ti roda.”

Ross lo squadrò con disprezzo e fece per andarsene, quando George lo trattenne per chiedergli un’ultima cosa, “Tu cosa avresti fatto al posto mio, Ross?”
Ross si girò per poterlo guardare dritto negli occhi, “In questo caso non tocca a me rispondere a questa domanda. Tu hai già dimostrato di sapere quale fosse la cosa più giusta da fare, ma hai sbagliato il metodo e continui ad applicarlo nella peggiore maniera possibile. Chiediti piuttosto cosa penserebbe Elizabeth di come ti stai comportando con suo figlio, lasciandolo crescere lontano dall’unico genitore vivente che gli sia rimasto, sempre se scegli di continuare a credere in questa verità, e forse troverai la soluzione. Addio, George.”

Il piccolo Valentine, completamente all’oscuro di quanto fosse accaduto una settimana prima a kilometri di distanza da dove si trovava ormai da tempo, aveva convinto la sua governante a lasciarlo correre in giardino per giocare con qualche ramoscello secco a modi spada, mentre intorno lui vibrava una leggerezza che però non sembrava rispecchiare per nulla la sua vita. Da quando aveva fatto ritorno a Trenwith le lunghe giornate estive scorrevano tutte uguali, tranne che per qualche sporadico momento in cui poteva evadere dalle letture e dagli esercizi di scrittura per respirare un po’ di libertà. Quella domenica rappresentò un’eccezione davvero straordinaria, siccome il cancello era rimasto aperto e in quel momento nessuno si stava occupando di lui, Valentine ne approfittò per spingersi oltre e sfidare le regole.

Cercò di ricordarsi la strada che portava a quella proprietà dal nome buffo in cui aveva trascorso un paio di notti dopo l’incidente di gennaio, ma dovette fare molta attenzione a non scegliere il sentiero sbagliato per non perdersi, dal momento che l’aveva sempre percorsa in carrozza o sulla sella del cavallo di Ross, quell’ultima volta in cui lo aveva visto prima che lo riportasse da suo padre. Camminando lungo il sentiero, Valentine sorrise al pensiero che presto avrebbe potuto trovarsi di nuovo lì a parlare con Jeremy, rincorrere Garrick, sentire il calore di una vera famiglia e ovviamente provare quel bellissimo senso di semplicità e confidenza che la sola vicinanza di Ross e Demelza gli procurava.

La sua memoria non lo tradì, infatti non tardò ad arrivare a destinazione ma la timidezza lo frenò dal presentarsi immediatamente alla porta, rendendolo un lontano spettatore di quella meravigliosa immagine che aveva davanti. Garrick avvertì la sua presenza e iniziò a scodinzolare senza muoversi dall’angolino fresco di erba che con tanta fatica era riuscito a scovarsi. Valentine lo salutò con la mano e il desiderio di accarezzarlo gli diede il coraggio di avvicinarsi pian piano a lui anche perché, nel punto in cui il cane si trovava, non rischiava di essere visto con troppa facilità. Tuttavia, a un certo punto, l’ombra di tre viaggiatori che si preparavano a montare su un calesse per andare chissà dove sbucò improvvisa da un’uscita laterale della casa, un fatto questo che Valentine non aveva messo in conto, perciò il suo primo istinto fu di scappare e nascondersi dietro un albero.

“Tesoro, dove stai andando? Faremo tardi per vedere la piccolina…” Demelza, pronta per prendere il controllo delle redini del calesse con Jeremy seduto al suo fianco, non riuscì a frenare Clowance e convincerla a unirsi a loro per partire subito per Killewarren.

“Ho pensato, mamma, che a zia Caroline farebbe piacere mangiare qualcuna delle nostre mele.” Corse ancora più veloce verso il meleto, “Spero che Sophie sia dolce e succosa proprio come loro!” Gridò affinché potesse sentirla, inconsapevole che Valentine si trovasse proprio dietro l’albero a cui aveva mirato.

Clowance si fermò di colpo per prendere fiato, ma era ormai troppo vicina per non accorgersi di lui.

“Oh…” Lo vide rigirarsi tra le mani il ramoscello di legno che aveva portato con sé da Trenwith, con lo sguardo timido ma non eccessivamente spaventato.

“Tu sei Valentine, vero? Perché ti sei nascosto?”

Il piccolo si finse sicuro di sé, “Non mi sono nascosto. Avevo soltanto voglia di stare qui per un po’.”

Clowance inclinò il viso e sorrise, “Non c’è bisogno di inventarsi scuse. Per me puoi anche uscire allo scoperto se ti va…”

Aveva già avuto modo di conoscere quella capricciosa ma graziosa bambina dagli occhi blu, quindi decise di fidarsi di lei. Lentamente si espose all’attenzione degli altri due, continuando a osservare Clowance che racimolava da terra le mele migliori da portare alla puerpera.

Distratta da altro, Demelza non notò subito Valentine, al contrario di Jeremy che, impaziente di raggiungere sua sorella per scoprire chi fosse quel bambino che riusciva a scorgere da lontano, provò a liberarsi dal posto in cui era seduto ma, prima che potesse mettere il piede sul suolo reso secco dal sole, sua madre lo invitò a restare lì dov’era.

“Ma non hai visto chi c’è con Clowance? Potrebbe essere spaventata…”

Dopo aver messo a fuoco l’immagine di Clowance china a raccogliere le mele, Demelza dubitò che sua figlia potesse essere spaventata da come si stava comportando data la stessa allegria e naturalezza di sempre. Eppure quel bambino che le stava affianco, indeciso se aiutarla o meno, aveva l’aria di essere il figlio di un nobile e non di un semplice minatore o contadino che viveva da quelle parti.

“Mi aiuti a portarle fin lì, per favore?” Indicò il calesse da dove la sua mamma la guardava incuriosita, in attesa di una spiegazione.

Valentine annuì e insieme raggiunsero Demelza e Jeremy, quest’ultimo piacevolmente colpito dal fatto che si trattasse di Valentine.

“Buongiorno signora. Ciao Jeremy!”

Demelza rimase a bocca aperta, poi recuperò la facoltà di parola per chiedergli, “Valentine, ti sei perso? Tuo padre sa che sei qui?”

“Ho fatto due passi e mi sono ritrovato qui per caso. Mio padre è a Londra, quindi non lo sa.”

Demelza non sapeva cosa fare, non potendo dargli un passaggio perché era già in ritardo per l’appuntamento con Dwight e Caroline. L’unica soluzione che le si presentò in mente fu quella di prenderlo con sé e portarlo a Killewarren, dopo aver detto a Prudie di informare la tata che Valentine era al sicuro con lei e poi, una volta finita la visita, sarebbe stata lei stessa a riportarlo a Trenwith.

   
 
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