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Autore: Il_Signore_Oscuro    26/04/2018    2 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XXVII
Le opere e i giorni
(Carlo)

 
 
 
Le colonne dei due principi, di ritorno verso le rispettive città, si trovarono a incrociarsi quella mattina. Difatti il principe Stephanus, se per caso o volontà propria non era dato saperlo, aveva deciso di lasciare la Rocca Grigia nello stesso giorno e con qualche ora di distacco dall’Argona. Quando Carlo vide l’Orimberga accostarsi ad Alfonso, gli lanciò un’occhiata di sospetto, irritato da quel sorriso sempre sprezzante che Stephanus portava continuamente stampato in volto.
In quel momento Carlo rimpianse di non aver prolungato ulteriormente la sua sosta a casa, di esser stato troppo frettoloso nel suo congedo. Tuttavia l’esperienza gli aveva insegnato che a ritardare un’inevitabile addio non si faceva altro che accrescerne la pena. Ed era dunque meglio toglier via quel dente in un sol gesto, ancor prima di riabituarsi a una vita che, ahimè, ormai non gli apparteneva più.
«Principe Alfonso! Quale piacere rivederti…» disse l’Orimberga, con tono mellifluo.
«Stephanus» replicò lui, in un saluto lapidario e forzato.
L’altro principe sbuffò, in una nota acuta.
«Andiamo, non te la sarai presa per la scenetta dell’altra sera? Avevo forse alzato un poco il gomito e poi, sai com’è, la politica è una questione di facciata. Dobbiamo apparire alleati di malavoglia, perché questo paese rimanga unito».
Il discorso in cui Stephanus si stava addentrando parve stuzzicare la curiosità di Alfonso, che gli rivolse gli occhi senza però muovere il capo. Persino Carlo aguzzò le orecchie, avvicinandosi un poco.
«Non sono uno sciocco, mio caro Argona» sorrise l’Orimberga, in un ghigno freddo «So bene che non tutti apprezzano la mia famiglia e i nostri metodi. C’è sempre bisogno di un’alternativa che stuzzichi gli animi più… più ribelli, ecco. E voi, mio caro Alfonso, siete l’esempio perfetto del principe senza macchia e senza paura! L’uomo che tutti vorrebbero seguire. Il principe che non si ribella in nome della pace della nostra bella Clitalia.»
Una smorfia scompose il viso sino ad allora impassibile e distante di Alfonso.
«Non sono una marionetta, Orimberga. Se insultate ancora il mio onore ne avrete prova sulla punta della mia spada».
La faccia di Stephanus si tramutò in una maschera di accentuata mortificazione.
«Voi mi fraintendete, caro Alfonso. So bene quanto siano veritiere e oneste le vostre qualità, non le ho mai messe in dubbio. Come del resto non è mai stata in dubbio la vostra fedeltà» fece una breve pausa «per quanto a voi scomoda. Dico soltanto che il rapporto fra voi e la nostra famiglia è… complementare e funzionale a un clima di equilibrio . E per dimostrarvi la mia fiducia e il mio rammarico, dispongo ufficialmente che siate voi a raccogliere e guidare la flotta che porrà lo scacco all’Impero Manide. Le navi salperanno dal porto di Argonia e voi ne sarete alla testa! Come loro generale!»
L’espressione sul viso di Alfonso si addolcì in modo impercettibile, ma la sua voce rimase ruvida e velenosa.
«Mi pare più un onere che un onore, quello che mi proponete».
Stephanus fece spallucce.
«Certo comporterà delle responsabilità, amico mio. Ma vi invito a pensare alla gloria che ne otterrete» il Principe Orimberga sfoggiò un sorriso a trentadue denti «Adesso, però le nostre strade si dividono. Sono certo di lasciare il futuro di questa guerra e della nostra Clitalia in buone mani» e senza altro aggiungere Stephanus guidò la sua colonna di vessilli rossi e armature scintillanti verso ovest, dove la strada si inoltrava nell’entroterra, verso Arcadia e Utopia nelle Terre Centrali. “Può essere una buona occasione per calmare le acque” pensò Carlo “eppure… quel sorriso. Sì, Stephanus è il pescatore che sa sempre qual è l’esca giusta perché il pesce abbocchi con tutta la lenza e questa volta non poteva sceglierne una migliore”. E gli occhi del cavaliere si volsero ad Alfonso, che pure in un certo qual modo stranito, sembrava non troppo dispiaciuto dal colloquio con l’Orimberga. “Forse dovrei parlargli, ma dopo l’altra sera” sospirò Carlo “l’ultima cosa di cui ho voglia sono altre discussioni”.
E rinunciando a mettere a nudo i propri sospetti, così il cavaliere, il Principe e il suo seguito proseguirono lungo il cammino per la grande e potente Argonia, la Capitale dell’Est.
La traversata richiese alcuni giorni e non riservò avvenimenti degni di nota, se non l’assalto di alcuni briganti non troppo astuti, che avevano avuto l’infelice idea di attaccare la coda di una carovana con fin troppi armati fra le sue fila. Alfonso aveva avuto cura di occuparsi personalmente dei banditi, decapitando coloro che non erano riusciti a fuggire o che non erano periti durante il breve scontro.

A pochi chilometri dalla meta, tuttavia, avvenne qualcosa che pur non avendo nulla di straordinario, lasciò dentro Carlo una traccia indelebile, fatta di amarezza e disgusto. Ai lati della strada, una donna avvolta di stracci si dirigeva verso un’altura, velata da un boschetto. Ad accompagnarla un vecchio che poteva essere suo padre. Fra le braccia magre della donna si agitava un piccolo fagottino, da cui provenivano piccoli versi acuti.
Quando la contadina passò vicino al principe, gli rivolse una piccola riverenza e così il suo genitore, ma Alfonso tirò dritto senza replicare, con un’espressione grave in viso.
Mentre Carlo, non altrettanto stoico in quell’occasione, tirava le redini della sua cavalcatura e lanciava alla donna e al vecchio una voce.
«Voi!» disse, richiamando l’umile coppia «Dove portate quel bambino?!»
La contadina si irrigidì sul posto e rivolse al cavaliere una lunga occhiata rossa. Con un breve gesto rivelò i ciuffi bianchi raccolti sul capo del suo bambino e senza aggiungere altro proseguì per la sua strada. Carlo fece per seguirla, ma la voce cupa di Alfonso lo richiamò nelle fila.
«Rimettiti in marcia, cavaliere.»
Carlo si voltò incredulo, dischiudendo lievemente le labbra «Vuoi davvero lasciarglielo fare?! Cazzo, si tratta di un bambino!» protestò, guardando la donna e il vecchio sparire fra le fronde degli alberi.
Alfonso replicò, in un filo di voce «Dovresti saperlo, è una tradizione antica. Più antica del Culto stesso e neanche un monarca vi si può opporre».
Carlo si scoprì a non aver parole per replicare, mentre nella sua mente venivano alla luce ricordi opachi e lontani.

Suo padre aveva il viso rivolto verso l’esterno, oltre le sbarre della finestra. Le mani incrociate dietro la schiena e le spalle diritte. I capelli più scuri di quanto non lo fossero ora.
«Risale a un’età in cui i Rimli erano ancora Elleni. A mio dire lo strascico di tempi arcaici e poco civilizzati. Il mito narrava che quando al mondo fossero nati bambini con addosso i segni di un’età più avanzata, questo sarebbe stato il segno che la furia degli dei era in procinto di abbattersi sul mondo, mettendo fine a tutto ciò che conosciamo» suo padre aveva deglutito, rimanendo in silenzio per qualche istante «Dunque, per placare l’ira degli dei, questi poveri infanti dovevano essere sacrificati alle divinità stesse, rimandando così la fine dell’uomo ad un altro giorno, più lontano. Questa tradizione, dagli Elleni è passata ai Rimli e ancora oggi è radicata a Clitalia… sempre più salda secolo dopo secolo. Evidentemente avranno pensato che doveva funzionare».
Carlo aveva storto la bocca, non era stato sicuro di cosa significasse «Come può un bambino nascere già vecchio, padre?».
Suo padre aveva sorriso, con amarezza «Dipende dalle interpretazioni, figlio mio. Dimmi, qual è la prima cosa che associ a un uomo di una certa età?».
Carlo ci aveva pensato un poco prima di rispondere nel più scontato dei modi «I capelli bianchi…».
«Esattamente» aveva replicato Severo «può capitare che alcuni bambini nascano con la pelle e i capelli candidi come neve. Secondo alcuni saggi dell’Impero Manide è una cosa riscontrabile anche in alcuni animali, un evento in armonia con la Natura e i suoi decorsi. Ma noi, qui nell’ovest, vi abbiamo dato un’interpretazione differente» aveva abbassato lo sguardo, per poi rialzarlo verso il panorama offerto dalla finestra: il sole che sprofondava nel tramonto.
«M-ma, padre, non esistono più gli dei… ora ce n’è solo uno. Il Redivivo!».
«Già,» aveva risposto il Conte «ma le tradizioni hanno il potere di mutare forma e nome. La furia di molti dei diventa quella di uno solo, e le storie e le ragioni per cui esiste il mondo cambiano di popolo in popolo, di secolo in secolo. Difficile dire quale sia vera e quale no» solo a quel punto si era voltato per guardarlo dritto negli occhi «Credi pure in ciò che più ti aggrada figlio mio, ma non lasciare mai che la tua fede ti freni dal fare ciò che ritieni sia giusto o che diventi un’imposizione per fare ciò che invece ritieni sbagliato. Questo non permetterlo mai».


Carlo non aveva saputo che rispondere a suo padre quella volta, troppo piccolo per capire il senso profondo delle sue parole, ma adesso gli era chiaro. “Una magra consolazione” pensò, voltandosi un’ultima volta indietro, prima di proseguire. Nelle fronde degli alberi contemplava la sua impotenza, l’inutilità che avrebbe seguito ogni suo ipotetico intervento. Si sarebbe potuto distaccare e correre fra gli alberi, magari per rapire e portare via il bambino… certo, ma alla fine qualcuno l’avrebbe trovato e la sorte di quella creatura sarebbe stata solo rimandata. “Già, padre” pensò “non lasciare che la tua fede ti ostacoli… ma con tutto il resto?”
  



NdA: Ciao, ragazzi. Rieccomi con un nuovo capitolo ahimè piuttosto breve... quest'oggi voglio prendermi un po' più di spazio a fine capitolo per parlarvi un po' di me.
Il mio nome è Marco, ho 23 anni e sono uno studente di Lettere. Scrivo su EFP ormai da qualche anno e come molti di voi avranno notato ultimamente sto bazzicando davvero poco sul sito e gli aggiornamenti e le risposte alle recensioni avvengono con molta più lentezza rispetto a qualche mese fa. Il fatto è che, beh, sono fatto in un certo modo... lasciatemi spiegare. Mi capita spesso di appassionarmi a qualcosa, metterci dell'impegno nel farla con risultati alle volte discreti, altre volte piuttosto mediocri. Questo è il caso delle Cronache, quando ho iniziato a scriverle ero carico di una passione che ad oggi mi accorgo non essere più così intensa e questo, ne sono certo, finisce per riflettersi sul mio lavoro.
Nonostante ciò, queste Cronache non voglio lasciarle andare, voglio portarle a compimento e quei capitoli  un po' a una gamba mi prefiggo di rivederli e rimpinguarli quando la passione iniziale sarà tornata a ricaricarmi. Perchè mi conosco e so che i miei interessi sono ciclici: vanno, vengono, ritornano. E credo di averci messo fin troppo sangu e sudore nella storia dei nostri Cangramo per mollare...
Sì, forse per una questione di rispetto, visto come sono fatto, sarebbe meglio che attendessi di terminare una storia prima di cominciare a pubblicarla, ma la verità è che voi lettoria sapete darmi un punto di vista che non riuscirei ad avere altrimenti. Per questo e per il vostro sostegno vi ringrazio tutti dal profondo del mio cuore.

Un abbraccio,
Marco




 
   
 
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