Senza bisogno di
parole
She won’t
go
Where I
I would go for you
I’d curse my heart
For you
Purple –Skin -
And I’m
shaken then I’m still
When your
eyes meet mine
I lose
simple skills
Like to
tell you
All I want
is now
Set down
your glass – Snow Patrol –
Eccola lì, la stessa maniglia davanti alla quale aveva
indugiato al mattino, la stessa porta, la stessa paura.
La mano tremante, sospesa a mezz’aria, il respiro corto.
La sensazione di dejà-vu fortissima nella sua testa.
Hermione sapeva già cosa sarebbe successo dopo: avrebbe
lasciato ricadere il braccio lungo il fianco, si sarebbe voltata e, scappando,
sarebbe andata a rinchiudersi nel bagno in preda ad una nuova crisi di pianto. Patetica.
Le ci era voluta tutta la giornata per decidersi a salire
di nuovo quelle scale e raggiungere l’infermeria; il problema era che, più ci
pensava, più si sforzava, una parte di lei continuava a ripeterle che non ce
l’avrebbe fatta, che non doveva attraversare quella porta, che ormai le cose
erano cambiate e questo non le
avrebbe riportate indietro, che era inutile provarci.
A poco servivano le parole rassicuranti di Ginny, lei non
poteva capire. Non era mai riuscita a comprendere perché le cose fossero così
difficili quando si trattava di loro due.
Ma la realtà era che la situazione si presentava davvero complicata.
Insomma, loro erano amici, eppure non lo erano. Hermione
lo sapeva, Ginny lo sapeva, Harry lo sapeva, e forse lo sapeva anche lui, ma nessuno riusciva a parlare
chiaro, o magari nessuno voleva
parlare chiaro.
Ed allora perché adesso proprio Hermione doveva spezzare
quella catena? Perché avrebbe dovuto esporsi per qualcosa che andava benissimo
così? Ok, magari non benissimo, però in qualche modo funzionava, in qualche
modo tutto si teneva in equilibrio, traballando, ma senza crollare.
No, non sarebbe stata lei a fare quel passo. In fondo non
era così Grifondoro come gli altri credevano… e poi cosa le importava
di quello che pensava l’altra gente? Nessuno avrebbe mai saputo che non aveva
avuto il coraggio di varcare quella soglia.
Col tempo le cose si sarebbero sistemate da sole, forse
non sarebbero state esattamente come prima, ma si sarebbero aggiustate, in
qualche maniera…
Hermione si era convinta. Non avrebbe neanche pianto.
Sarebbe rimasta in disparte ad aspettare lo scorrere degli eventi e si sarebbe
adeguata alla nuova situazione.
Sì, sembrava proprio un bel piano.
Accettò la sconfitta con un sospiro, ed era già pronta a
voltarsi ed andarsene, quando la maniglia che stava fissando da un quarto d’ora,
si abbassò.
Per un folle momento, immaginò di essere stata lei a muoverla
con la magia, come quando era piccola e non controllava i suoi poteri.
Invece la porta si spalancò e dall’infermeria uscì Madama Chips.
Sembrava piuttosto di fretta,
tanto che per poco non travolse Hermione, si bloccò appena in tempo, “Signorina
Granger, cosa ci fai qui? È ora di cena, perché non sei con gli altri studenti?”
Hermione, un po’ scossa, rispose la prima cosa che le
venne in mente, “Ehm, io… io ho già mangiato.”
La donna le rivolse la solita occhiata sospettosa, “Sei
venuta per il signor Weasley, immagino…”
“Eh? Sì. No, io no… non…” farfugliò lei
presa alla sprovvista.
Madama Chips non la lasciò finire
di parlare, la spinse dentro brutalmente, “Beh, sbrigati, non voglio vederti ancora
qui quando avrò finito di cenare!” e chiuse la porta.
Hermione si ritrovò all’interno dell’infermeria quasi
senza accorgersene; tutto era immerso nel silenzio e la luce fioca di poche
candele accese rischiaravano l’ambiente, mentre il sole tramontava dietro le
ampie finestre.
Il suo sguardo si diresse, dispettoso, nell’unico punto in
cui si era riproposta di non guardare: sul solo letto occupato della stanza
c’era lui, le braccia conserte sul
petto, l’espressione annoiata, esaminava il vuoto con aria indifferente.
Lei s’impose di non respirare, di evitare di fornire
qualsiasi segnale che potesse attirare l’attenzione su di sé. Lui non si era ancora reso conto di non
essere più solo.
Hermione valutò le alternative che aveva: poteva riaprire la
porta il più silenziosamente possibile e sgattaiolare fuori alla velocità della
luce, oppure poteva andare verso di lui,
dirgli quanto fosse dispiaciuta per tutta la faccenda ed implorarlo di tornare
amici…
Decisamente la prima opzione.
Per incoraggiarsi, strinse forte i libri che aveva portato
e si preparò alla fuga.
Molto lentamente fece due passi indietro e si accostò alla
porta; allungò una mano verso la maniglia, la sentì fredda sotto il suo palmo e
la premette in basso senza staccare gli occhi da lui, che seguitava, ignaro, a fissare il muro.
La barra di ottone ruotò di quasi novanta gradi, Hermione
udì un’impercettibile clack.
Era fatta.
Tirò adagio la maniglia, le sarebbe bastato un minuscolo
spiraglio per sgusciare fuori inosservata, ma proprio mentre già liberava un
sospiro di sollievo, la porta cigolò.
Un cigolio lungo e debole, che però nel silenzio della
stanza, sembrò stridere come le unghie su una lavagna.
Hermione imprecò sottovoce, Ron si voltò.
Nella visuale di lei ogni cosa si oscurò, tranne il suo viso, gl’occhi
di lui finalmente aperti che rispondevano al suo sguardo attonito.
Il castano incontrò l’azzurro in un abbraccio ideale. Ed
il tempo parve rallentare.
Con una calma esasperante, sul volto di lui si allargò un
sorriso radioso, uno di quelli che le regalava quando era veramente felice, uno
di quelli che le facevano tremare le gambe, uno di quelli che lei avrebbe
voluto vedere ogni giorno della sua vita.
Una nuova fitta le trapassò il petto; Hermione si chiese
quante volte ancora fosse possibile spezzare il cuore di una ragazza prima che
smettesse definitivamente di battere.
Sentì crescere in lei sentimenti contrastanti: la gioia di
vederlo vivo, l’ansia per ciò che le avrebbe detto, la speranza di quel sorriso
e la paura di aver ormai rovinato tutto. Quelle sensazioni la congelarono sul
posto, incapace di sorridergli a sua volta.
Lui notò la sua esitazione e nei suoi baluginò un lampo di
comprensione che lei poté vedere chiaramente, ed il sorriso estatico che l’aveva
accolta, si spense rapidamente lasciando spazio ad uno sguardo di severo
risentimento.
Hermione pensò che forse non era
troppo tardi… poteva girarsi e scappare fuori dall’infermeria ad una velocità
tale che, in futuro, lui si sarebbe chiesto se non l’avesse solo sognata. Ma i
piedi di Hermione, probabilmente, non erano collegati con il suo cervello,
perché, invece di tornare da dove erano arrivati, si diressero decisi verso il
letto occupato.
Percorse rapidamente i pochi metri che li separavano e si
ritrovò di fronte a lui.
Si guardarono a lungo, senza dirsi una parola, sul viso di
entrambi si consumava un tormento silenzioso.
Lei avrebbe voluto insultarlo e poi scusarsi, avrebbe
desiderato fargli sapere quanto l’aveva fatta soffrire e poi affermare che
sarebbero stati amici per sempre. Ma le parole si fermavano in gola e non
avevano nessuna intenzione di arrivare alla bocca.
Respirò rumorosamente, frustrata.
Ruppe il contatto visivo abbassando gli occhi sui libri;
magari avrebbe potuto cominciare da lì. Li sollevò leggermente perché lui
potesse vederli bene.
Ti ho portato i
compiti, così non rimani indietro.
Semplice e diretta. Solo compiti,
per iniziare.
Non sembrava così difficile, eppure neanche quella frase banale
si decideva a venir fuori.
Ispezionò con gli occhi lo spazio attorno per prendere
spunto, per cercare qualcosa che l’aiutasse ad attaccare il discorso,
ma nulla pareva ispirarla.
Guardò di nuovo lui;
devo sembrare veramente stupida in questo momento!
Hermione indicò i libri, fece spallucce ed accompagnò il
tutto con una smorfia sghemba che voleva essere un sorriso.
Lui annuì.
Lei prese quel gesto come un tacito ringraziamento. Si
accostò al comodino accanto al letto e vi posò sopra i libri.
Ora che le aveva libere, Hermione si rese conto di avere
delle mani e che non sapeva dove metterle. Le strinse dietro la schiena, ma
pensò di assomigliare ad una bambina che aspetta la punizione dopo un
pasticcio; allora le congiunse sul grembo, ma dava troppo l’impressione che
stesse pregando; le lasciò inerti lungo i fianchi per un secondo e, alla fine,
optò per le braccia incrociate sul petto. Forse non era il ritratto
dell’espansività, ma almeno evitava di mostrarsi impacciata.
Incontrò di nuovo i suoi
occhi che non avevano smesso di osservarla e si obbligò a cercare nella sua
mente, brillante a detta di tutti, qualcosa, qualsiasi cosa, in grado di
rompere il silenzio opprimente.
Vuoto.
Come era possibile? Lei non era mai a corto di frasi,
c’era sempre qualcosa di cui discutere; lei conosceva tanti di quegli argomenti
che avrebbe potuto discorrere per ore.
Si chiese da quando era diventato così difficile parlare
con… lui.
Probabilmente da quando aveva smesso di pronunciare il suo nome
persino nella propria testa.
Eppure, non era lei che diceva: la paura di un nome non fa altro che alimentare la paura della cosa
stessa? E quindi? Cos’era ciò di cui aveva tanto timore?
Non era forse… poteva essere…
No, che idiozia, adesso si era davvero spinta troppo
oltre… arrivare a pensare che quello che provava
fosse… no, no, no, aveva decisamente esagerato!
Hermione si riscosse dallo stato di trance in cui era
caduta con un sobbalzo, per quanto tempo si era persa nei suoi viaggi mentali?
Lui seguitava a guardarla.
Lei si morse un labbro ancora incerta
sul da farsi. Aprì la bocca sperando di riuscire a tirar fuori qualche sillaba, ma ancora niente. La situazione cominciava ad
apparire ridicola.
E poi lui fece
un gesto che mai, Hermione, si sarebbe aspettata: allungò una mano e batté due
volte il palmo contro il materasso su cui era disteso, in un chiaro invito ad
accomodarsi.
Lei fissò la mano ferma sulle lenzuola e di nuovo lui, serio, che attendeva.
E senza distogliere lo sguardo dal suo viso, si sedette.
Hermione considerò che erano mesi
che non stavano così vicini e si rese conto solo allora di quanto le fosse
mancato il suo odore, l’azzurro
intenso degl’occhi di lui che cercavano i suoi e la sensazione di calore che
avvertiva sempre in sua presenza.
Ron…
Il suo nome le risuonò nella testa come il rintocco di una
campana, Ron… come se qualcuno le
dicesse “Svegliati!”, Ron… si lasciò
invadere da quella parola, allontanata dalla memoria per così tanto tempo, Ron… e dalla tenerezza dei suoi occhi… Ron…
Quando, in futuro, avrebbero chiesto loro chi si fosse
mosso per primo, nessuno dei due avrebbe saputo dare la risposta con certezza.
Entrambi avrebbero ricordato che erano lì a fissarsi immobili, silenziosi ed
imbarazzati, domandandosi chi avrebbe avuto il coraggio di rischiare, ognuno
aspettando che fosse l’altro a dare il via alla riconciliazione, e un attimo
dopo Hermione piangeva contro il petto di Ron e lui le carezzava i capelli,
mentre la cingeva saldamente.
Lei non si curò di non riuscire a parlare, non avevano
bisogno di chiedersi scusa con la voce o di dirsi quanto erano stati sciocchi e
quanto avevano sofferto per la mancanza dell’altro, perché quell’abbraccio
parlava da solo.
Si erano ritrovati.
Uscì dall’infermeria in tempo per non incontrare Madama Chips di ritorno dalla cena. Andare via da quella stanza
era risultato più difficile che entrarci.
Erano rimasti abbracciati fino a che Hermione aveva
esaurito tutte le lacrime, finché il battito del cuore di Ron sotto l’orecchio
di lei non aveva completamente soggiogato i suoi pensieri, finché le loro
braccia avevano cominciato a dolere per la stretta.
Ron le aveva asciugato le guance con i pollici, lei aveva
sorriso.
“Devo andare.” aveva biascicato alla fine con voce ancora
leggermente incrinata.
Lui aveva coperto la mano di lei con la sua, “Tornerai
domani?” aveva chiesto speranzoso mentre le orecchie si coloravano di rosso.
Lei aveva percepito l’improvviso risanarsi della ferita che
le lesionava il petto ed un senso di ritrovata serenità farsi largo nel suo
animo. Aveva annuito.
Lui aveva accarezzato la mano di lei con le dita.
Hermione aveva lasciato vagare lo sguardo sul volto di lui
concentrato sulle loro mani e si era chiesta come l’avrebbe presa Ron se lei l’avesse
baciato in quell’istante…
Stava di nuovo viaggiando con la sua immaginazione…
Con uno scatto repentino era tornata in sé, si era alzata
dal letto, scottata dal timore che se fosse rimasta un minuto di più, avrebbe
messo in pratica la propria idea.
Aveva raggiunto la porta con la consapevolezza degli occhi
di Ron che l’accompagnavano; sulla soglia si era voltata.
“Ci vediamo domani” aveva detto
lui per ribadire la promessa di poco prima.
Lei l’aveva salutato con ultimo cenno della testa ed era
uscita.
Hermione attraversò i corridoi lentamente, con addosso la sensazione di essere leggera, le pareva di
fluttuare sul pavimento di pietra.
Ora sapeva che non si sarebbe arresa, sapeva quanto lui
era diventato importante, quanto era sempre
stato importante.
Non le interessava di dover aspettare, che c’era un’altra con cui regolare i conti.
Avrebbe combattuto. E avrebbe vinto.
Dietro le finestre, la luna, le offriva una notte quieta
trapuntata di stelle; quella sera avrebbe finalmente dormito tranquilla,
cullata dal ricordo delle braccia di lui che la avvolgevano.
Persa nei propri pensieri si era ritrovata di fronte al ritratto
della Signora Grassa, che aveva superato ripetendo la parola d’ordine – Amortentia – ed era entrata nella Sala
Comune di Grifondoro.
Seduta sulla sua poltrona preferita, Ginny, sfogliava il Profeta. Quando udì il buco del ritratto
chiudersi, alzò lo sguardo ed incrociò gli occhi di Hermione.
Com’è andata? sembrava chiedere l’espressione di
Ginny.
Hermione arrossì e poi sorrise.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro.
Ginny abbandonò la lettura e la poltrona, le corse
incontro e l’abbracciò ridendo.
Hermione ricambiò la stretta, felice di aver dato ascolto
alle parole dell’amica, felice che per una volta qualcun altro avesse avuto
ragione e lei torto.
Mentre Ginny tentava di farsi raccontare i dettagli
dell’incontro, il buco del ritratto si aprì nuovamente, le due ragazze si
scostarono per lasciar entrare una Lavanda Brown
visibilmente irritata; tacquero, curiose di sapere il perché di quel
nervosismo.
La risposta non si lasciò attendere; Calì
Patil si avvicinò all’amica appena arrivata, “Sei già
tornata Lavanda?”
Lei emise uno sbuffo infastidito,
“Madama Chips mi ha mandato via, ha detto che Ron
dormiva. Come
può essere? È tutto il giorno che dorme!”
Hermione e Ginny si guardarono negli occhi prima di
scoppiare a ridere.
Lavanda riservò loro un’occhiata stizzita, prese Calì per un gomito e si allontanò.
Hermione osservò i suoi biondi capelli svolazzare fino
all’entrata del dormitorio femminile e sparire dietro la porta.
Un ghigno di sfida si disegnò sul suo volto.
Avrebbe combattuto.
E avrebbe vinto.
Finito! Sono stata abbastanza rapida, no?
Mi sono sempre domandata cosa avrebbero potuto dirsi questi due, per rimediare al casino che
avevano combinato… alla fine ho deciso: niente. A volte i silenzi sono più
loquaci di mille parole…
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, anche se credete
che sia una vera schifezza… sono aperta a qualsiasi critica!
Ascoltate la canzone degli Snow Patrol, è bellissima!
Infinite grazie a chi ha recensito ed a chi lo farà in
futuro; a chi ha messo la storia tra i preferiti; a chi semplicemente è
arrivato in fondo alla pagina.
Grazie.
Alla prossima.
Emmahp7