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Autore: Manto    27/04/2018    1 recensioni
❤ Quarta classificata al contest “Giochi di carte” indetto da missredlights e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP
Dal testo: «Nella prima discesa nelle tenebre, hai ucciso il mostro e salvato la sua vittima più grande; nella seconda discesa nelle tenebre, ho ucciso io il mostro e salvato l’eroe.
E sì, presto avremo tanto di cui parlare; ma non di come salvare una vita.
Quello lo sappiamo già fare, semplicemente vivendo.»
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Metal Bat, Nuovo personaggio, Zenko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III Sogni nell’Alba





Verrà la notte che riconosceremo solo noi, quella che non farà così paura, che ci suggerirà la strada di casa.
Il cielo era privo di luna, ma ricolmo di stelle quasi quanto la città di luci; e c’era calma, leggermente surreale per quella metropoli ma più che gradito per la sua mente.
Non è rimasto nessuno laggiù; li abbiamo salvati tutti — tu lo hai fatto.
Respirava a pieni polmoni, non era più
; inspirava, ed era sempre , insieme alle ore che scorrevano sempre più velocemente, e alle sue speranze che cavalcavano con esse. Era con tutti quelli a cui aveva teso una mano e spinto a rialzarsi, a seguirlo e a non perdersi di nuovo; ogni volta che chiudeva gli occhi, era la tenebra ciò che vedeva — e infine, il lume sempre più flebile della torcia spegnersi davanti a quello più forte del sole quando, improvvisamente, si era ritrovato al punto di partenza; sfinito dalla tensione, il corpo dolorante dalla spasmodica ricerca e dal peso di chi si era sorretto a lui per riuscire a rivedere il giorno insieme a lui, ma vivo.
Sono tutti salvi.
Era ancora primo pomeriggio quando era collassato sull’asfalto della Città S, e qualcuno lo aveva stretto a sé bagnandogli il viso con acqua e carezze; in molti avevano pianto, allora, sussurrandogli parole che non aveva compreso
⸺ ma che avevano lo stesso significato, ed erano le uniche che si era atteso e che avrebbero ricompensato ogni suo sforzo.
Sono tutti qui con noi.
Un sospiro; il sonno non sarebbe giunto ancora per parecchio, nonostante la prova passata, perché tra i pensieri che lo impedivano, uno aveva un’insistenza tutta sua.
Era più una sensazione, un pungolo che era nato nel ventre delle tenebre e lo aveva seguito per l’intero giorno, fino a quell’istante; e sarebbe andato avanti ancora per molto, fino al momento in cui non avrebbe staccato lo sguardo da quella foto.
La
foto: l’unica di Hana, e sua.
Il fioco lume della lampada notturna sembrò intensificarsi quando il sorriso della ragazza venne liberato dalla polvere non più presente; e il giovane si perse nuovamente a fissare come la macchina fotografica fosse riuscita a intrappolare la morbidezza dei lunghi capelli di lei e la spensieratezza negli occhi di entrambi.
Accarezzò con un dito il viso dell’amica, e come un’esplosione al centro esatto del cuore rivide ancora una volta la scena di quel pomeriggio,
il volto così simile al suo, confuso e al medesimo tempo ben visibile tra la gente che lo aveva circondato; aveva incontrato i suoi occhi solo per pochi secondi, due stelle ferme nel mutarsi di voci e colori, ma era stato come osservarli da sempre, come se il tempo non fosse mai passato né finito, né distrutto. Anche se nel volto di una sconosciuta, quello era il suo sguardo.
La veglia venne prolungata fino all’alba; ma nemmeno allora l’eroe volle riporre la foto nel cassetto a doppio fondo che la teneva imprigionata da due anni, posandola invece nell’angolo di letto più vicino al lato in cui dormiva.
Sarebbe
dovuto andare il prima possibile alla ricerca di un portafoto; di qualcosa capace di mantenere la luce di quel passato, qualcosa di cui non avere più paura.





❁❁❁





Verrà il giorno che attendevamo, l’ora di ritrovarci.
Chi può fermare il viaggio di un cuore che conosce il proprio destino?

Aveva aperto gli occhi piano, con timore; ma il dolore era già svanito.
Le sue dita erano ancora chiuse intorno a schegge di metallo e brandelli di stoffa; il corpo interamente nudo, il vento aveva giocato con la pelle facendola rabbrividire.
Si era alzata piano, senza riconoscere il luogo in cui doveva essere stata gettata dai suoi stessi poteri; ma il sapore del sangue sulle labbra, il solletico causato dai capelli che erano ricaduti lungo schiena e braccia appena si era messa a sedere li aveva percepiti immediatamente come
umani. Allora aveva aperto una mano, nonostante il cielo già scuro si era specchiata nel pezzo di lama che vi aveva trovato; e l’oscurità non era riuscita a nascondere occhi neri come frammenti d’ossidiana e pelle pallida, un ematoma violaceo sulla tempia ⸺ dove lui aveva colpito con tutta la sua disperazione ⸺ e la cicatrice all’interno del collo, eredità dell’infanzia.
Parte delle sue abilità le era rimasta: grazie a queste era potuta sgusciare dall’edificio in cui si era svegliata e trovare vestiti e cibo, correre nell’ombra delle strade e degli alberi; ma nel giro di qualche ora
anno, mese, minuto? Quanto tempo è passato? era ritornata a respirare senza sentire l’anelito al massacro nella gola, a desiderare il gusto di ogni pietanza ma non quello sporco e ferroso del sangue, a sentire la tristezza.
Il vuoto.
La colpa.
La colpa
.
Che cosa aveva fatto? Ucciso, separato.
Che cosa aveva fatto? Aveva massacrato, aveva riso delle preghiere di chi,
come lei, aveva avuto paura di morire; aveva punito chi non aveva mai avuto colpa ma ai suo occhi sì, sì che l’aveva avuta, aveva lottato con altri mostri per tenere intatto il suo regno di terrore, aveva portato la paura.
Hana… cos’era diventata? Non
chi, cosa: non si sarebbe più dovuta definire nemmeno umana.
E che cosa avrebbe continuato a vivere al riparo dell’incoscienza? Quali crimini la mente aveva sotterrato per non farla impazzire, di quante tombe e lacrime era stata la responsabile?
Una caduta nelle tenebre era bastata per renderla un incubo, un animale, un cuore di pietra?
Per iniziare a comprendere, a ricostruire le sue stesse tracce, appena era stata certa di aver ripreso totalmente la propria umanità senza pericolose ricadute
e poter gestire ciò che di mostruoso le era rimasto era ritornata alla sua vecchia casa e famiglia; o meglio, a ciò che di entrambe era rimasto, in quanto i suoi passi esitanti si erano fatti largo nell’assenza: di mobili, di voci, di vita. Non era rimasto nessuno tra le mura spogliate di ogni cosa; probabilmente, troppo colpiti dalla sua tragedia, i suoi genitori se ne erano andati per sempre… li aveva persi.
Non li avrebbe più potuti rivedere, se non scatenando una reazione di spiegazioni che avrebbe solo peggiorato la situazione; oppure cercarli, e rimanere a guardare la loro vita senza di lei.
No; meglio lasciare la realtà così com’è. Evito solo un dolore ancora più grande… a me, e a voi.
Eccola, la seconda realizzazione: dopo il risveglio che l’aveva privata della morte e del suo oblio, gettandola nella sommaria consapevolezza delle proprie azioni, era giunta la colpa più lucida.
Perché non si era lasciata semplicemente andare?
Con quale sfrontatezza aveva creduto di poter continuare a vivere?
Come aveva potuto anche solo pensare di meritarselo?
Tra vicoli fumosi aveva cercato davvero il coraggio di darsi la fine; ma come
qualcuno le aveva detto, in fondo era sempre stata una codarda, ed era finita per gridare di terrore e repulsione davanti a quella scelta, terrorizzando chi si era trovato a passare vicino alla sua invisibilità.
La morte era giunta per guardarla un solo, maledetto istante durante una di quelle notti insonni senza soluzioni; in un sogno, incombendo su di lei ma senza toccarla,
troppo sporca anche per le sue mani.
Il mattino successivo, tutto e niente era mutato; ma era stato ormai accertato che il suo viaggio
— qualunque fosse stato — non era ancora cessato. Se solo sapessi dove conduce…
Se solo nulla, Hana. Ora ci sei solo tu, e tutto quello che sei.
Tutto quello che sei.

E cos’è che non sono mai stata?
Alla fine, le risposte avevano trovato il loro modo per raggiungerla.



«I fiori che vendete sono sempre stati i più belli della città, ma da quando sei arrivata tu, questo posto è ancora più luminoso. Il tuo nome ti ha davvero portato fortuna!»
Sorrideva a tutti, aveva una parola per chiunque; difficile riconoscere in lei la ragazza riservata che era stata, semplice vederle sul volto una pacata gentilezza.
«Questi sono un regalo. Quando viene a farmi visita, poi potrei chiudere il negozio per esaurimento scorte… quindi li prenda senza problemi!»
In tutti quei giorni passati china tra libri di musica e spartiti, accordi e composizioni, non avrebbe mai pensato di trovare una sintonia con i fiori; eppure, da quasi un anno ne curava di ogni tipo nel cuore della Città S, dove il sole le era sembrato subito più benevolo e nessuno avrebbe potuto riconoscerla.
Lei era proprio come quelle piante: aveva iniziato a crescere nuovamente, si stava avvalendo del tempo, della pazienza, delle proprie cure e anche dell’altrui calore per sbocciare e dare il meglio di sé.
Quel lavoro si era dimostrato l’occasione migliore per ricominciare: proteggere e amare le forme di vita più indifese, per riprendere sé stessa.
«Sei sempre allegra, tu!»
Ricordo quando non lo ero, e non vedevo più la strada dei sogni.
Sorrido anche per quella che ero allora.

«Vivi da sola?»
Questa solitudine non è un problema.
«Hai tanti amici?»
Tra il battito calmo del cuore e una lieve nota di malinconia che addolciva ancora più lo sguardo, le mani accarezzavano petali e foglie con maggior lentezza. «Forse sì; ma solo di uno sono davvero certa.»



Solo quando l’aveva rivisto di nuovo aveva compreso quanto le fosse mancato; ma lui non l’aveva notata, e lei non aveva fatto nulla affinché riuscisse a farlo.
Bad non doveva rincontrarla nelle parole, ma nei fatti; per tale motivo,
quello stesso mattino l’aveva seguito.
Aveva sentito la scossa prima di tutti, quando era ancora lontana; aveva stretto il grembiule del negozio con tutte le forze, contando gli istanti mancanti al sisma e facendo lo stesso per tutta la sua durata… e subito dopo aveva infranto la promessa di non riprendere più le vesti di un’ombra, e ombra era divenuta.
Quando è impossibile dimenticare qualcosa, lo si può trasformare in forza o incubo; in quegli istanti, lei aveva scelto la prima opzione, raggiunto il centro della città e si era gettata nella voragine, alla ricerca di chi avrebbe potuto essere divorato dal suo stesso, orrendo cammino.
Aveva distrutto con i poteri residui parte delle macerie, liberato chi era rimasto ferito, accorso al pianto di chi non aveva visto nessuna via d’uscita; lo aveva fatto sempre mantenendosi celata nell’oscurità, perché quella parte era sua come ogni altra, e se avesse potuto impiegarla per aiutare gli altri, invece di ferirli, allora avrebbe vinto un’altra battaglia.
E lì, proprio nel cuore delle tenebre, lui era arrivato.
Il coraggio e la decisione con cui si era addentrato nel pulsare dell’ignoto le aveva fatto da faro; per l’ennesima volta, si era dimostrato più forte di lei, anche se ciò non le aveva lasciato nessun sentimento negativo
solo la consueta malinconia.
Era stata al suo fianco per tutto il tempo; lo aveva guidato a suo modo, attenta a non mostrarsi, accontentandosi solo di sfiorarlo.
L’occasione di aiutarlo concretamente si era rivelata solo alla fine, quando le forze di Bad avevano iniziato a diminuire e sia il ragazzo che i cittadini erano stati in grave pericolo; allora, ogni pensiero aveva lasciato spazio a qualcosa di più concreto. Nessuno, in seguito, sembrava essersi ricordato completamente quello che era accaduto laggiù; e questo era stato un bene, perché come avrebbero potuto spiegare la sensazione di essere stati
trascinati, trasportati, sostenuti?
Aveva rischiato molto più della perplessità generale, con Metal Bat presente; ma d’altra parte, non avrebbe mai potuto lasciare alle tenebre qualcuno di loro… come lei.
Non avrebbe potuto accettarlo, e ancor meno dopo aver avuto la sensazione che Bad fosse sceso laggiù proprio per lo stesso motivo.
Non sono completamente lontana da te, amico mio.



«E questa? Davvero conosci Metal Bat?»
«È… è stata solamente una gentilezza che mi ha concesso.»
«Ma è strappata!»
«Un piccolo incidente… per fortuna sono riuscita a riattaccarla.»
«Potresti sempre chiedergliene un’altra.»
Hana strinse la foto con delicatezza, seguendo la linea irregolare che erodeva la carta per un tratto, e accennò un sorriso. Gli occhi neri di Bad sembravano capaci di sciogliere la carta, e le grida di Zenko che coordinava i loro movimenti prima di scattare erano ancora vivi nelle orecchie. «Potrei», mormorò, accarezzando con un dito il volto dell’eroe.
«Faresti solo bene! Ma ora, mia cara, vai pure; è tempo di chiudere.»
La ragazza annuì e salutò, e ancor prima di potersene rendere conto percorreva le calme vie della città.
La foto che la collega di lavoro le aveva quasi tolto dalle mani era ancora tra le sue dita, a ballare per un bordo; la alzò davanti al volto, e sotto le luci di un tardo tramonto la fissò ancora. «Sì, forse è davvero ora di scattarne un’altra», mormorò, prima di riporla con cura nella tasca laterale della giacca, la più vicina al cuore.
Fece qualche passo nel vento della sera; poi si fermò, si lasciò abbracciare completamente da esso. «
Nella prima discesa nelle tenebre, hai ucciso il mostro e salvato la sua vittima più grande; nella seconda discesa nelle tenebre, ho ucciso io il mostro e salvato l’eroe.
E sì, presto avremo tanto di cui parlare; ma non di come salvare una vita.
Quello lo sappiamo già fare, semplicemente vivendo.»






We are all broken;
That’s how the light gets in

Ernest Hemingway



   
 
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