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Autore: Sunako_7    28/04/2018    2 recensioni
Sasuke e Gaara si frequentano da qualche mese, nonostante abbiano un dialogo quasi inesistente. Basterà questo per riuscire ad andare avanti o lo scontro con i problemi della vita e i fantasmi di un passato mai dimenticato li schiaccerà, costringendoli a separarsi? E se quel passato tornasse più reale che mai? E se altre persone entrassero nella vita dei due protagonisti? Un viaggio complicato e irto di ostacoli nella vita di questi due ragazzi chiusi, diffidenti, incapaci di comunicare eppure bisognosi di affetto e amore.
Questa ff è il continuo della mia one-shot "If I had a heart" anche se non è indispensabile leggerla per seguire questa long, ma alcuni dettagli potranno essere più chiari.
[GaaraxSasuke][Itachix?][accenni HidanxDeidara]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Itachi, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Il silenzio non è sempre d’oro

 

“Insomma, alla fine sono andato da mio padre e gli ho detto che mi rifiutavo di seguire il progetto per il nuovo grattacielo, una costruzione bellissima, ma un ammasso di cemento e lamiere che avrebbe distrutto l’armonia del quartiere con quel grande parco poco distante. E che se voleva che me ne occupassi, pretendevo di rifare daccapo tutto a modo mio.”
“E lui che ha risposto?”
“Ok. Mi ha risposto solo ok e di sbrigarmi.”
L’incredulità sul viso di Sasuke era ancora lampante, malgrado stesse raccontando un evento accaduto tre giorni prima. Eppure per lui era davvero difficile credere a ciò che era accaduto, nonostante lo avesse vissuto in prima persona e con la scrivania invasa dalle carte del suo nuovo progetto, a testimonianza della realtà dei fatti.
Lo psicologo si alzò e prese la scatola dei cioccolatini che tirava fuori ogni volta c’era qualcosa che valeva la pena festeggiare. La posò sul tavolino in mezzo a loro e, accomodandosi di nuovo sulla poltroncina, disse:
“Ottimo, direi che è veramente una gran cosa, proprio da festeggiare. Ho fatto il rifornimento di cioccolatini fondenti, prendi pure senza timore – lo informò – fino a un paio di mesi fa gli avresti mai imposto un simile ultimatum, o avresti seguito un progetto che andava contro i tuoi ideali?”
Sasuke frugò con lo sguardo nella scatola aperta davanti a sé, optando poi per prendere quello con la carta verde ripieno al caffè, il suo preferito. Ne aveva mangiato più di uno da quando aveva iniziato il suo percorso terapeutico.
“No, sarei stato zitto e avrei eseguito le direttive senza ribellarmi per paura di deluderlo” ammise rigirandosi tra le dita il cioccolatino, senza ancora scartarlo.
“Cos’è cambiato?”
Sasuke sospirò piano, guardando poi fuori dalla finestra.
“Io. Sono io ad essere cambiato.”
“Nel senso che non hai più paura di deluderlo o non ti importa se lo fai?”
Il ragazzo fece una smorfia che doveva essere un sorriso amaro e si mise in bocca il cioccolatino, sentì il gusto amarognolo stemperato dalla crema al caffè che gli invadeva il palato e chiuse gli occhi, godendosi quel momento.
Quando anche le ultime tracce di cioccolato si furono sciolte, guardò nuovamente l’uomo che gli sedeva di fronte e, con una calma che non avrebbe mai immaginato di possedere, rispose:
“Ancora non mi è del tutto chiaro. Credo che avrò sempre paura del suo giudizio, in fondo mio padre è la figura che ha sempre dominato la mia vita. Però, forse, inizio a contemplare l’idea che per renderlo felice non devo essere io infelice, posso trovare un compromesso e per farlo non posso continuare a soffocare le mie idee, le mie convinzioni e i miei desideri… sto sbagliando, forse?”
Era calmo, lui che in realtà era sempre nervoso e agitato, ma si nascondeva dietro alla maschera della compostezza e dell’imperturbabilità. Era evidente che quel percorso, fatto nel tentativo di accettarsi e capire chi fosse, gli stesse insegnando anche a venire a patti con l’ansia o perlomeno a gestirla, per non dover più ricorrere a ipocrisie e altre mistificazioni per non vedere verità scomode o difficili da accettare.
“No, se per te questo metodo sta funzionando, allora va bene – gli rispose lo psicologo – non esiste un unico modo per fare le cose nel modo giusto. L’unico modo giusto è quello che va bene per te e la tua situazione, perché come noi siamo tutti diversi l’uno dall’altro, lo sono anche le nostre vite. Non devi per forza spiattellare la verità in faccia a tutti se ciò ti fa sentire a disagio, anche se sono sicuro che i tuoi amici sarebbero felice di ascoltarti.”
Sasuke rifletté sulle sue parole e poi si allungò a prendere un altro cioccolatino, senza bisogno di sollecitazioni.
“Non è una cosa così grandiosa, eppure mi sento fiero di me stesso, molto più che per altri risultati prestigiosi che ho ottenuto… mi sa che mi sto rammollendo, specialmente se penso di raccontare a Naruto che sono gay” ironizzò, scartando e mettendosi in bocca l’altro dolce.
“No, semplicemente hai fatto qualcosa per te stesso, per difendere qualcosa in cui credi veramente. Hai lottato per le tue idee, Sasuke, e hai anche vinto; onestamente io riesco a immaginare pochissime cose più soddisfacenti di questa. E nemmeno il tuo amico penserebbe che tu sia un rammollito – gli diede qualche istante per metabolizzare quello parole, poi cambiò discorso e chiese – quindi ora ti occuperai solo di questo progetto?”
Il ragazzo scosse la testa:
“No, o lei si occupa solo di un paziente alla volta? – ironizzò, ma senza la voglia di pungolarlo usata nei primi tempi – Questo è il più grosso al momento, ma ne seguo altri, ad esempio la ristrutturazione per l’ampliamento dello studio di avvocati dove lavora mio fratello.”
“E Gaara – aggiunse lo psicologo – non mi hai più detto nulla di lui, ti va di parlarmene?”
Non forzava mai nessun argomento, negli ultimi incontri Sasuke non aveva mai nominato l’altro ragazzo e lui aveva rispettato la sua volontà, ma giudicava che quel giorno fosse una buona occasione per domandare. Decidere se rispondere toccava a Sasuke, come per ogni altra cosa.
“Non c’è molto da dire – ammise l’architetto – ci siamo rivisti ai primi di gennaio come le avevo detto, abbiamo parlato e lui ha accettato di uscire una sera per una birra e parlare un po’. Però in questo periodo è molto impegnato tra studio ed esami, si è iscritto all’università come studente lavoratore, sa? Quindi non ho insistito, ma ci siamo sentiti per messaggio, gli ho augurato buona fortuna prima di un esame che aveva ieri e lui mi ha fatto sapere come era andato. Ci siamo visti brevemente un paio di volte perché i lavori di ristrutturazione sono iniziati, ma abbiamo discusso solo di questo.”
Lo psicologo lo osservò giocherellare con le cartine vuote dei cioccolatini, guardare fuori dalla finestra e infine fissarsi le mani alla fine del racconto.
“E come stai vivendo la cosa? Mi sembra un ragazzo molto impegnato” commentò solamente.
“Già, lo è. Sinceramente non so se al posto suo sarei riuscito a fare le stesse cose, io ho solo studiato senza lavorare, eppure ricordo che in alcuni periodi mi chiudevo addirittura in casa per preparare un esame e non riuscivo a fare altro. Per questo motivo non sto insistendo, anche se…” si morse un labbro.
“Se?” lo incoraggiò.
Sasuke strinse con forza le labbra e le sue orecchie divennero rosse, come se fosse stato una pentola a pressione che però si rifiutava di lasciar uscire il vapore.
“Ho voglia di vederlo – sbottò infine – vorrei riprendere i discorsi lasciati in sospeso, ma non posso pretendere che lui segua i miei desideri e basta, credo di volere qualcosa di più di una scopata da lui. Anche se all’epoca non me ne sono reso conto, avevamo iniziato a costruire quel qualcosa: mi fermavo a dormire da lui, a poco a poco avevamo iniziato a parlare di altro oltre al sesso o alle frecciatine ironiche, ma poi è andato tutto a puttane, anzi, ce l’ho mandato io.”
Sospirò e poggiò la nuca contro lo schienale imbottito, fissando il soffitto. Non era affatto piacevole ammettere i propri sbagli, assumersi le proprie responsabilità, ma lo faceva, non si nascondeva più dietro ad un dito. Probabilmente gli sarebbe venuta una gastrite come conseguenza, ma lo trovava un giusto compromesso.
“Pensi di essere innamorato?”
Sasuke rifletté a lungo, sempre con lo sguardo puntato sul soffitto bianco, distinguendo anche una piccola ragnatela in un angolo e chiedendosi se il proprietario non si stesse facendo grasse risate sentendo tutti i giorni casi umani come lui.
“Non credo di aver ben chiaro cosa sia l’amore, a parte l’affetto che provo per la mia famiglia o i miei amici, quindi penso di no. Semplicemente mi piace, mi trovo a pensare a lui, a quanto sia piacevole stare in sua compagnia e a desiderare passare più tempo con lui – lo guardò – è amore questo?”
“Lo scoprirai – sorrise ambiguo lo psicologo – come scoprirai tante altre cose. Per il momento va anche bene che prendiate le cose con calma, in fondo hai altre cose a cui dedicarti, altri progetti.”
Sasuke sbuffò perché trovava irritante la mancanza di risposte dirette dell’uomo, d’altra parte era stato chiaro: lui non forniva risposte, era Sasuke a doverle trovare.
“E quali progetti? Sentiamo.”
“Dobbiamo ancora finire di pulire quel bel teatro, togliere di mezzo alcuni vecchi scatoloni polverosi e fare gli inviti, il primo è stato per tuo fratello, non pensi che anche il tuo amico Naruto se ne meriterebbe uno?”
Sasuke lo guardò con un evidente disgusto e storse le belle labbra come se avesse addentato un frutto acerbo:
“Lei fa veramente schifo con le metafore, lo sa?”
“Forse, ma quella del teatro non è mia, lo sappiamo entrambi.”
Sasuke ripensò a quella volta in cui quelle parole assurde gli erano sfuggite di bocca, un paragone davvero poetico e improbabile detto da lui.
“Fanculo” sospirò soltanto, tornando a fissare il soffitto e gli sembrò che la ragnatela vibrasse, evidentemente quello stronzo di ragno si stava veramente ammazzando dalle risate.

 

***

 

Gaara guardò il liquido ambrato che aveva nel bicchiere e annusò discretamente quel superbo whisky, distinguendo il delicato aroma di miele avvolto da un sottofondo legnoso discreto. Deidara e Hidan gli avevano insegnato a distinguere un liquore di qualità o anche un cocktail degno di quel nome da uno scadente; erano strambi e con qualche rotella fuori posto, ma nel loro lavoro erano dei professionisti. Anche il sapore del whisky era altrettanto eccellente e lui centellinò ogni sorso mentre discorreva con chi lo circondava.
Quel giorno Itachi e Neji Hyuga, il nipote di Hiashi e figlio di Hizashi, erano diventati a tutti gli effetti soci dello studio, era ufficiale. Per quel motivo, una volta usciti dall’ufficio, erano andati a bere qualcosa per festeggiare e Gaara era stato incluso nell’invito per l’insistenza di Itachi e Hinata. Aveva accettato anche se un po’ titubante, inoltre l’espressione arcigna di Neji faceva capire chiaramente quanto detestasse la sua presenza lì. Gli altri avvocati erano più tranquilli, non lo riconoscevano come un loro pari, ma lo trattavano con la solita familiarità, a volte condita anche da un velo di condiscendenza che il segretario mal sopportava. Stringeva i denti e faceva finta di niente, dicendosi che era solo questione di tempo prima che potesse fregiarsi del loro titolo e smettere di essere trattato con quella gentile indifferenza.
Il lounge bar dove si trovavano era piuttosto lussuoso coi suoi divani bianchi e i lampadari di cristallo che scendevano dal soffitto, inondando la sala con le loro gocce di luce; nemmeno il locale dove lavorava Hidan era tanto pretenzioso e per Gaara era la prima volta in un posto del genere. Non dimostrò il suo disagio, mascherandolo sotto il solito velo di imperturbabilità, si limitava a intervenire nella conversazione se interpellato e a godersi il suo drink, amando la sensazione di leggerezza alla testa che gli stava regalando. Fino a nemmeno mezz’ora prima aveva avuto la certezza che non sarebbe mai più riuscito a rilassarsi, o a non essere tormentato da miliardi di preoccupazioni diverse.
Una volta finito quel piccolo intermezzo di festeggiamenti, ognuno andò nella propria direzione: i vari avvocati avevano le loro famiglie ad attenderli, in particolar modo quella sera gli Hyuga si sarebbero riuniti per una cena formale per festeggiare il giovane Neji. Alla fine Gaara si ritrovò da solo con Itachi e rimasero un istante in silenzio a guardarsi, senza sapere bene come dissipare quel velo di tensione tra di loro, mentre la gente attorno a loro continuava a camminare, incurante dei loro turbamenti.
Erano passate due settimane da quanto accaduto a capodanno e i due avevano ripreso a lavorare come sempre, a volte si trovavano persino a chiacchierare come se niente fosse successo tra di loro, come se quei baci e le emozioni che li avevano accompagnati non fossero mai esistiti. Per Gaara era stato strano, ma si era adeguato e poi aveva veramente troppe cose a cui badare per andarsi a cercare anche altre preoccupazioni.
“Beh, ancora congratulazioni. Immagino che stasera festeggerai anche tu” si decise finalmente a dire il segretario, spezzando quel silenzio teso.
Itachi fissò il suo naso rosso al pari delle guance e sorrise, pensando che il freddo stava sicuramente giocando lo stesso scherzetto anche al suo viso.
“No, in realtà no. Non ho detto a nessuno che oggi sarei diventato associato – gli rivelò – abbiamo una bevuta in sospeso noi due, vuoi farmi compagnia?”
Gaara lo fissò perplesso e strinse più forte con la mano una cinghia dello zaino che teneva in spalla. Gli eventi avevano dimostrato che loro due più l’alcool potevano essere una combinazione pericolosa, ma non credeva che l’Uchiha avesse chissà cosa in mente, probabilmente voleva solo parlare. Forse non era una cattiva idea, almeno avrebbero potuto chiarire meglio la situazione tra di loro, invece di fare finta di niente.
“Basta che mangiamo anche qualcosa o dovrai portarmi a casa in spalla” scherzò, sebbene quel whisky a stomaco vuoto gli aveva già fatto girare la testa.
“Penso che pur di vederti mangiare sarei disposto a qualsiasi cosa” sorrise Itachi, incamminandosi.
“Esagerato” sbuffò Gaara seguendolo, pensando però che in effetti l’altro gli allungava sempre un cioccolatino quando ne prendeva uno per sé.
Itachi avanzò sul marciapiede gelato in silenzio, con le mani affondate nelle tasche del cappotto, ma dopo un paio di passi girò la testa verso di lui, verso quella chioma esuberante che nemmeno le luci fioche dei lampioni riuscivano a smorzare.
“Un po’ scherzavo, ma ero anche serio. Ti trovo sempre molto magro, quasi troppo. Il maglione che ti ho regalato a natale ti va ancora piuttosto morbido. Non voglio essere ficcanaso o presuntuoso, mi preme solo che tu stia bene.”
Forse l’aperitivo aveva sciolto anche a lui la mente e la lingua, la verità era che avrebbe voluto dirgli quelle cose da parecchio, ma si era sempre tirato indietro per rispettare la sua privacy; quella sera però le parole erano scivolate fuori di bocca con naturalezza, così come la proposta di continuare la serata assieme.
Gaara non rispose e continuò a camminare con la testa chinata, il viso quasi completamente nascosto dalla morbida sciarpa di Hinata. Entrò nel locale, rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura, e continuò a seguire l’avvocato fino a un tavolo libero a cui si accomodarono. Il locale era un pub piuttosto informale, con della musica che risuonava dalle casse disposte strategicamente qua e là, un posto ben diverso da quello in cui erano stati prima. Gaara lesse il menù e, vedendo la vasta scelta di cibo, sospirò per poi alzare lo sguardo su Itachi e finalmente rispondere:
“Sto bene, Itachi. Nei mesi passati la mia vita ha subito qualche grosso scossone e ne ho risentito, adesso va meglio, ma io ho un sacco di cose di cui occuparmi. Mi sembra che in ufficio la mole di lavoro sia aumentata e questo è periodo di esami all’università, a volte la sera sono così stanco che non ho nemmeno voglia di mangiare. Devo solo tenere duro, finito il periodo di esami, andrà meglio e riuscirò a rilassarmi, non serve che ti preoccupi, ma… grazie per l’interessamento.”
Aveva atteso per rispondergli perché si vergognava ad ammettere le sue debolezze, ma di fronte alla sua genuina preoccupazione espressa in modo così accorto non era riuscito a fare finta di nulla.
I suoi problemi economici non erano finiti, doveva ancora restituire una certa somma a Hidan, ma il periodo critico era passato, ora poteva tornare a fare una spesa adeguata, peccato che gli mancassero le forze e la voglia di cucinare, limitandosi ad aprire una scatoletta o due. Poi studiava finché non crollava dal sonno e il giorno seguente era identico al precedente.
Aveva così tante cose a cui badare che non era nemmeno più uscito con Sasuke nonostante se lo fossero ripromessi, si sentiva lievemente in difetto ad averlo fatto prima con Itachi, ma era un caso che quella sera fossero lì insieme, non era stato pianificato nulla.
“Ogni tanto potresti venire a fare la pausa pranzo con me, così risolveresti il problema” gli propose Itachi, affabile.
Gaara scosse la testa:
“Scusa, ma quelle due ore sono veramente preziose. A volte riesco a studiare più durante la pausa che non la sera. Magari dopo che sarà finita la sessione.”
“Ma certo, scusa ancora se mi sono intromesso, sono solo felice che le cose ti vadano meglio – fece una pausa e si umettò le labbra prima di chiedere – anche Sasuke c’entra qualcosa coi problemi che ti hanno travolto?”
Gaara sospirò riaprendo il menù per scegliere e decise di non mentire, pur non scendendo nei particolari:
“In pratica è iniziato tutto da quando abbiamo rotto, da lì in poi è stato un continuo, una serie di sfortunate coincidenze.”
Era la pura verità, non portava nemmeno più rancore a Sasuke per quanto successo, se ne era reso conto dopo aver ricominciato a rivederlo per via del lavoro. D’altra parte, se così non fosse stato, non avrebbe mai accettato di uscire di nuovo con lui. Si sentì strano a parlarne con Itachi, suo fratello, ma in un certo senso era liberatorio.
Arrivò un cameriere a prendere le ordinazioni, costringendoli a interrompere la conversazione e, solo quando furono nuovamente soli, con le birre davanti, Itachi parlò nuovamente:
“Mi spiace che mio fratello sia stato il principio di un periodo tanto difficile per te, ora come va tra di voi?”
Gaara scrollò le spalle per minimizzare le sue parole:
“Te l’ho detto è stata solo una serie di pessime e sfortunate coincidenze – tacque un attimo – non so bene. Avevamo detto di uscire, ma sono così impegnato che sinceramente non ho avuto neanche modo per pensarci. Ci siamo visti solo brevemente per lavoro e ogni tanto ci scambiamo dei messaggi, ma non so bene cosa significhi tutto ciò, è ancora tutto molto confuso.” Lo guardò negli occhi, serio “Ti ha detto qualcosa su di me?”
Itachi bevve un sorso della sua birra, nascondendo le labbra dietro al bicchiere assieme al sorriso spontaneo che le aveva piegate: Gaara era interessato alla sua risposta, si preoccupava di ciò che pensava Sasuke.
“No, solo che vi sentite – rispose – ammetto di aver sentito poco mio fratello ultimamente, anche lui è molto impegnato con un grosso progetto.”
“Il grattacielo giusto?” intervenne Gaara.
Itachi inarcò appena le sopracciglia:
“Già, il grattacielo” sorrise. A quanto pareva Sasuke aveva raccontato all’altro più cose di quanto gli avesse fatto intendere, forse il momento del loro appuntamento era più vicino di quanto entrambi pensassero.
“Posso chiederti come mai non hai detto niente alla tua famiglia della promozione?” si arrischiò a chiedere Gaara, bevendo un sorso di birra e prendendo una manciata di noccioline mentre attendeva la cena.
“Mi sembra giusto, finora ho fatto io le domande indiscrete – replicò Itachi con leggerezza – forse mi andava solo di tenere la cosa per me per qualche tempo. Faccio fatica a raccontare quello che mi riguarda, anche le cose belle, ma glielo dirò, non temere.”
“I tuoi amati segreti, giusto?” replicò Gaara ed entrambi sorrisero, perché ne condividevano uno. “Che tipi sono i tuoi genitori? – domandò poi il segretario, incuriosito – Di tua madre non so nulla, se non che è molto bella, di tuo padre so che è molto severo, o almeno così mi ha accennato Sasuke una volta.”
“Stai tentando di capire che razza di mostri devono essere per aver creato due figli come noi? – ironizzò Itachi – Mia madre è piuttosto affettuosa e ironica, ma non ha mai mancato di sgridarci se ce lo meritavamo, credo sia il giusto grado di dolcezza e severità. Mentre mio padre… beh, diciamo che lui è un uomo vecchio stampo, inflessibile. Non è semplice averci a che fare, ci ha sempre pungolati per non adagiarci sugli allori e dare il massimo, è stato anche crudele a volte. Non che intendesse farlo coscientemente, ma lo è stato.”
Si sentì un po’ in difficoltà a parlare così apertamente dei propri genitori, specialmente di Fugaku, ma forse ciò poteva aiutare Gaara a capire meglio alcune scelte di Sasuke. Avrebbe voluto chiedergli a sua volta dei genitori, ma scelse di non toccare un argomento così delicato ricordandosi che l’altro era cresciuto in orfanotrofio.
Gaara a sua volta non gliene parlò spontaneamente, bensì iniziò a mangiare lentamente il piatto che gli avevano appena portato. Per un paio di minuti rimasero in silenzio, ma poi la curiosità di Itachi ebbe la meglio:
“Ho notato che Neji non ti vede proprio di buon occhio, è successo qualcosa in passato?”
Gaara mandò giù un boccone e si finse pensieroso:
“Evidentemente ancora non ha superato il fatto di essere stato sedotto e abbandonato.”
Scoppiò a ridere di fronte alla faccia sbigottita di Itachi e il suo scherzo non durò a lungo, così si affrettò a chiarire con ancora il sorriso sulle labbra “Scherzo ovviamente, figurati se potrebbe mai succedere una cosa simile – poi si fece serio – all’inizio era normale. Non era certo gentile come Hinata, ma era normale, molto educato e formale. È cambiato quando ho annunciato la mia intenzione di iscrivermi all’università, un giorno sbottò dicendo che stavo facendo una stupidaggine, che ero in ritardo per gli studi e che era inutile. Per quanti sforzi avrei fatto non sarei mai riuscito a diventare niente più che un segretario, quello è il mio posto.”
Conoscendo la persona in questione, Itachi non faticò a credere alle sue parole e domandò:
“Tu cosa hai risposto?”
“Gli ho detto cortesemente di pensare ai suoi affari, io avrei pensato ai miei.”
“Non ti sei lasciato abbattere, continua così, diventerai un ottimo avvocato.”
Era raro che Itachi si complimentasse con qualcuno, ma più passava il tempo più trovava lati da ammirare in Gaara, dalla sua ironia affilata alla serietà e all’impegno che metteva in ogni cosa.
“Figurati se le parole di un ragazzo come lui possono mai toccarmi. Dopo aver vissuto per strada ed essere arrivato fino qui da solo, nessun Neji al mondo potrà mai scoraggiarmi.”
Si rese conto di aver rivelato un po’ troppo e si affrettò a riempirsi la bocca per evitare di dire cose di cui si sarebbe potuto pentire. Itachi in effetti lo guardò stranito e domandò:
“Hai vissuto per strada?”
Attese che l’altro mandasse giù il boccone e lo guardò negli occhi chiari, finché Gaara non si decise a parlare:
“A sedici anni sono scappato dalla famiglia adottiva da cui stavo da qualche mese e mi sono arrangiato come ho potuto. Non è qualcosa di cui parlo volentieri, scusa.”
Itachi capì che non si sarebbe sbottonato più di così e lo rispettò. Lo guardò con rinnovata ammirazione, perché quel ragazzo aveva vissuto qualcosa che lui non riusciva nemmeno a concepire. Era fuggito dalla sicurezza di una casa, provvedendo poi a sostenersi quando non era nemmeno maggiorenne; una bella differenza con lui che era andato via di casa a diciannove anni, aiutato da una madre che ogni tanto gli passava del denaro all’insaputa del padre. Si era addirittura creduto tanto forte per essersi arrangiato solo con quei soldi e la borsa di studio ma, davanti a Gaara e alle sue esperienze, si rese conto di potersi considerare ancora un privilegiato.
“Sappi che ti stimo ancora di più” disse per concludere quel discorso e vide le guance del ragazzo colorirsi, ma quella volta non era colpa del freddo.
“Sono contento che la cena ti stia piacendo – cambiò discorso – spero che tu abbia spazio per il dolce, qui sono ottimi.”
“Conoscendoti non ne avevo dubbi, Itachi” sorrise, ricambiato dall’altro. Erano entrambi felici di trovarsi lì e di essere riusciti a trovare una nuova intesa.

 

***

 

 Sasuke guardò la distesa di roba che invadeva il pavimento, tanto che, chi fosse entrato nella stanza, avrebbe potuto pensare che non esistevano mattonelle ma ogni cosa poggiava su cartacce multicolor, briciole e bottiglie vuote.
“Naruto, la tua camera è davvero un porcile, lo sai vero?” sbuffò, spostando un cartone della pizza vuoto per potersi sedere più comodamente. Stavano giocando assieme alla playstation, dopo aver strappato con forza e ostinazione un po’ di spazio al mare di lerciume per poggiare dei cuscini a terra davanti alla televisione.
“Quante storie per due cartacce” mugugnò l’altro, osservando una busta di patatine fare capolino da sotto il letto.
“Mi sorprende che Hinata non ti sgridi, lei è così ordinata! Anzi, aspetta… mi sorprendo che si sia messa con te, prima di tutto.”
“Ho molte qualità nascoste” ridacchiò Naruto, senza scomporsi minimamente di fronte alle battute sarcastiche dell’amico.
“Ah, quindi ha un animo da speleologo, perché queste qualità sono nascoste davvero in profondità – lo rimbeccò ancora – vorrei proprio sapere quali sono.”
“Per esempio il cazzo grosso” rispose Naruto in assoluta serietà, con lo sguardo concentratissimo sulla partita.
Sasuke invece si voltò a fissarlo, senza parole, dimenticandosi di ogni altra cosa che stava facendo, permettendo addirittura all’amico di vincere visto che in pratica aveva smesso di giocare.
“Evvai, ho vinto! Ti ho stracciato Sasuke puzzone!” esultò euforico visto che non succedeva spesso.
L’architetto, leso nell’orgoglio, gli tirò quel cartone della pizza, beccandolo con lo spigolo in pieno stomaco.
“Idiota! – esclamò – Mi ero distratto un attimo per l’enorme cazzata che hai detto, non esaltarti a questo modo.”
“Sei solo invidioso perché sai che è vero” rise Naruto, ignorando il reale turbamento dell’amico.
Sasuke infatti ripensò alle docce fatte insieme a scuola dopo gli allenamenti e il disagio provato, i suoi tentativi di non sbirciarlo, di ignorare le sensazioni nel vedere un altro corpo maschile nudo, la profonda vergogna e il senso di colpa che lo mangiavano vivo assieme alla testardaggine con cui negava le proprie inclinazioni. Si era persino fidanzato con una sua amica d’infanzia che era da sempre innamorata di lui, ma non aveva funzionato, dopo poco l’aveva lasciata, disgustato da se stesso e anche più spaventato.
Si alzò, calciando via il cuscino su cui era seduto e si diresse verso la porta senza dire una parola. In quel momento delicato della sua vita sentiva di essere troppo esposto, che se avesse aperto la bocca anche solo per mandarlo a fanculo sarebbe stato troppo, non sarebbe più riuscito a richiuderla, con conseguenze disastrose.
Naruto rimase interdetto, si aspettava qualche rispostaccia, un proseguo del battibecco, come facevano sempre per poi scoppiare a ridere insieme. Avrebbero continuato a giocare, ordinato una pizza e chiacchierato fino a tardi. Non capiva proprio perché Sasuke all’improvviso stesse reagendo in quella maniera, ma non perse tempo e lo seguì, bloccandolo in corridoio.
“Ehi, che c’è? Non è una tragedia avercelo piccolo, dai. Sakura non se ne è mai lamentata” gli disse, tentando ancora di scherzare, ma si rese conto che non era la strategia giusta. Aveva poggiato una mano sulla sua spalla e guardava la schiena e la nuca dai capelli scuri dell’amico, avvertendo sotto al proprio palmo quanto stesse fremendo, quasi fosse un animale pronto a spiccare il salto e sbranare la preda.
Sasuke però non fece niente di tutto ciò, si limitò a scrollarsi di dosso la mano e a riprendere a camminare.
Naruto, testardo come al solito, gli fece fare solo un paio di passi prima di bloccarlo di nuovo, ma stavolta lo spinse contro il muro costringendolo a guardarlo in faccia.
Osservò la sua pelle ancora più pallida del solito, gli occhi duri e le labbra tanto compresse da diventare invisibili. Era accaduto qualcosa di grave che non aveva compreso, ma non avrebbe mai permesso che il suo migliore amico se ne andasse via in quelle condizioni: Sasuke nel suo incessante bisogno di dimostrare di essere autosufficiente, di non avere bisogno di niente e nessuno, aveva provato più volte in passato ad allontanarlo. In realtà Naruto aveva sempre creduto che l’altro lo stesse mettendo alla prova, testando se davvero il loro legame fosse così forte come il biondo esagitato proclamava. Naruto però, in ogni occasione, gli aveva sempre dimostrato che non lo avrebbe mai lasciato indietro, non si sarebbe svegliato una bella mattina decidendo di averne abbastanza di quell’Uchiha borioso e acido. Era stato difficile rimanergli accanto, percorrere la strada di cocci che conduceva da Sasuke, ma lui ci era riuscito, coi piedi sanguinanti e il sorriso sulle labbra si era guadagnato la sua fiducia. Non aveva quindi intenzione di tollerare un simile comportamento da parte sua, non se lo sarebbe lasciato scappare come acqua tra le dita; era intollerabile capire di ignorare qualcosa su Sasuke, qualcosa che l’altro non gli aveva confidato.
“Adesso ti calmi e mi dici che cazzo ti è preso – gli disse serio, col volto vicino al suo – che c’è? Ti è già arrivato il ciclo questo mese? O hai bisogno di una scazzottata?”
Sasuke fissò quegli occhi azzurri tanto sinceri che non nascondevano l’irritazione, così come erano incapaci di celare qualsiasi altro sentimento. Naruto era così: non aveva paura di esporsi, non era come lui e lo odiò per questo. Un fiotto improvviso di odio gli salì da dentro e gli corrose la gola, perché in quel momento si sentiva braccato e ferito come una gazzella inseguita da un ghepardo. Odiava sentirsi così fragile, si era riscoperto sensibile alle opinioni delle poche persone a cui teneva, in quel momento odiava Naruto perché lo stava costringendo a rivelare qualcosa che avrebbe distrutto il rapporto tra di loro. Ma era troppo per Sasuke, troppo odio da contenere, gli scivolava dalle labbra, colava dal naso, dalle orecchie, creava rivoli sulla sua pelle, giù per il collo, impregnando i suoi abiti, il petto, tutto il suo corpo fino a rivestirlo.
“Sono gay, Naruto. Un fottuto frocio che sa bene quanto hai grosso il cazzo perché te lo guardavo.”
Vide la sorpresa sbocciare nei suoi occhi azzurri, lasciando poi il passo alla comprensione, era certo che il disgusto sarebbe arrivato di lì a poco. Chissà cosa avrebbe detto il suo psicologo, se sarebbe stato fiero del suo modo di fare gli inviti, probabilmente no, gli avrebbe detto che aveva ancora molta strada da fare e non gli avrebbe offerto nessun cioccolatino.

Chi se ne frega, tanto nessuno entrerà mai in quel fottuto teatro.
Sasuke decise di andare fino in fondo, di lanciare le ultime bombe per rompere del tutto quel ponte, il legame che aveva resistito per tanti anni; era doloroso, ma lui era deciso ad andare fino in fondo, perché non vedeva proprio come la loro amicizia potesse sopravvivere dopo la sua rivelazione.
“Levati di torno e fammi andare” disse ancora, sempre con la voce grondante veleno.
Naruto però non sembrava intenzionato a spostarsi, gli stava ancora di fronte, troppo vicino e con le braccia distese lungo il corpo. Il disgusto ancora non gli aveva distorto i lineamenti, né gli occhi e Sasuke ne rimase interdetto, perché l’amico sembrava più che altro confuso e… dispiaciuto. Aprì di nuovo la bocca per intimargli nuovamente di levarsi, ma Naruto lo precedette e lo abbracciò con forza.
“Scusascusascusascusascusa – sciorinò tutto d’un fiato – è colpa mia, tutta colpa mia che sono troppo bello. Potrai mai perdonarmi?”
Sasuke era immobile tra le sue braccia, sembrava una statua di marmo incapace di muoversi, per qualche istante non respirò nemmeno.
Prese poi un respiro profondo e alzò lo sguardo al soffitto, mentre sentiva la testa dell’amico posarsi sulla sua spalla, i capelli biondi che gli solleticavano il collo e la sua stretta ferrea, perché Naruto non lo avrebbe
mai lasciato andare. Gli parve di vedere un po’ sfocato, sicuramente gli era entrata un po’ di polvere negli occhi e glieli stava facendo lacrimare, con quella camera sporca in cui era stato non c’era da stupirsene.
“Sei un idiota di proporzioni olimpioniche” mormorò con voce stranamente nasale.
“Vero?” replicò Naruto e Sasuke sentì che sulle sue labbra c’era un sorriso.

 

Sasuke guardò la pizza fumante nel cartone davanti a lui. Alla fine Naruto aveva decretato che davanti a del cibo ogni cosa sarebbe stata più semplice e aveva ordinato la pizza condita con ogni cosa, se avesse potuto ci avrebbe fatto mettere anche il cuoco.
Mentre aspettavano, avevano dato una ripulita a quella che Naruto continuava a chiamare camera e Sasuke porcile, così alla fine si erano sistemati sul letto rifatto con lenzuola pulite e col cartone tra di loro.
“Allora, raccontami” lo incoraggiò Naruto senza guardarlo, perché impegnato a seguire i filamenti di mozzarella e gli altri condimenti che minacciavano di strabordare dalla fetta.
Sasuke non aveva molta fame, anzi aveva proprio lo stomaco chiuso, ma prese lo stesso un pezzo consapevole che l’amico altrimenti lo avrebbe assillato, come anche se non avesse parlato.
“Non c’è molto da dire, sono gay ma non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo e solo adesso ci sto riuscendo… più o meno.”
Naruto lo fissò, pensoso mentre masticava velocemente e innaffiava i bocconi con qualche sorso di coca-cola.
“Quel più o meno che vuol dire? A Itachi lo hai detto?”
“Sì, solo a lui” confermò Sasuke, dando un piccolo morso alla fetta e rigirandoselo tra la bocca senza voglia.
Naruto ne prese un’altra e la attaccò con molto più entusiasmo:
“Beh, in effetti non ti ci vedo a parlarne con Fugaku – affermò – ad ogni modo sono solo fatti tuoi chi ti piace portarti a letto, la tua vita sessuale non riguarda gli altri.”
Notò l’occhiata sbalordita dell’amico e, ridacchiando, aggiunse  “Cosa c’è? Ti aspettavi che ti dicessi che dovevi sbandierarlo al mondo, comprare un’inserzione suo giornale e cose simili? Naaa, queste cose potrebbero funzionare con me, perché non me ne frega niente, non per te, non hai il mio carattere per tua sfortuna.”
“Punti di vista” replicò Sasuke, ma senza essere caustico come al solito, era ancora troppo impressionato dall’accortezza mostrata dall’altro.
Rimasero in silenzio un po’, mangiando e basta finché Naruto, arrivato a più di metà pizza e altrettanta bibita, si voltò a guardarlo con un’espressione strana, divertita e quasi compiaciuta:
“Quindi Gaara non era un tuo amico.”
Sasuke posò la fetta che teneva ancora in mano e si pulì con un tovagliolo le dita un po’ unte, chiedendosi chi avesse rapito quel tonto del suo migliore amico, sostituendolo con quel ragazzo perspicace e profondo.
“No, non era un amico” confermò a fatica, quasi ringhiandole quelle parole.
“E non vi siete lasciati molto bene, immagino” continuò Naruto nel suo sfoggio intuitivo.
“No, infatti – rispose Sasuke per poi guardarlo – come l’hai capito?”
Naruto si grattò la punta del naso e poi si pulì la faccia sporca col tovagliolo prima di rispondere:
“Beh, sai… stavo facendo vagare la mente tra i ricordi – disse ignorando l’altro borbottare qualcosa a proposito di viaggi corti –  ora che mi hai detto che ti piacciono gli uomini, alcune cose mi sono risultate più chiare e mi sono ricordato di Gaara. La sua faccia era molto simile alla mia ogni volta che Sakura mi dava un due di picche, almeno prima che mi arrendessi con lei e ti ci mettessi tu. Tra l’altro non deve essere stato facile per te, fidanzarti con lei intendo.”
Dimostrò di comprendere persino i motivi che avevano spinto Sasuke a quella decisione, benché l’altro non  avesse detto una sola parola a riguardo.
L’Uchiha si vergognò di fronte a quell’ennesima dimostrazione di affetto e comprensione, pur sapendo che Naruto aveva un sacco di qualità, non lo credeva capace di parlare con tanto tatto, visto che solitamente apriva la bocca e diceva quello che gli passava per la testa senza alcun filtro.
Chinò la testa, osservando quella pizza invitante che proprio non riusciva a mandare giù, era quasi difficile quanto parlare e dire finalmente la verità.
“No, non è stato facile, ma stavo cercando di ingannare me stesso e di negare quello che provavo. Sono stato stronzo – ammise con molta fatica – e anche con Gaara, però lo sto sentendo di nuovo e vorrei provare a sistemare le cose.”
“No non sei stronzo, sei solo un idiota – Naruto gli restituì l’insulto che l’altro solitamente riservava a lui – dovevi parlarmene tempo fa, che senso ha avere un amico fantastico come me se poi non mi parli. Ti avrei anche concesso di guardarmi il pene da vicino.”
“A chi cazzo vuoi che interessi il tuo pene? – scattò Sasuke inviperito – E non gongolare così tanto o ti prendo a pugni.”
Naruto rise, prendendo un’altra fetta di pizza:
“In futuro vedi di venirmi a raccontare come va e soprattutto di chiedermi consigli, sei un disastro in questioni amorose o relazionali.”
“Ha parlato l’esperto” borbottò Sasuke.
“Io intanto sono fidanzato – gli fece notare – mangia o la finisco tutto io.”
Sasuke sospirò e prese una fetta, forse iniziava ad avere fame, in fondo dopo essersi svuotato di quei pesi aveva un certo vuoto da colmare.
Mangiarono in silenzio un altro po’, almeno fino all’ennesima folgorazione di Naruto.
“Sasuke?”
“Che c’è?”
“Ma com’è il sesso tra uomini?”
Il ragazzo quasi si strozzò con il boccone e si attaccò alla bottiglia di coca-cola per mandarlo giù, guardandolo con la faccia rossa per lo sforzo.
“Ma sei scemo? Che diavolo vai a chiedere?” disse tra un colpo di tosse e l’altro.
“Eddaiiii! Sono curioso!” esclamò invece Naruto col suo solito sorriso.
“Scordati che io parli di sesso con te” disse lapidario, alzandosi.
“Su dai, non essere timido. Sasuke? Sasuke dove vai? Ehi, riporta le tue pallide chiappe Uchiha qui, non ti lascerò andare finché non mi avrai raccontato tutto, Sasuke non scappare via! Sasuke!”
Lo inseguì ridendo e braccandolo per riportarlo in camera di peso, perché Naruto non aveva nessuna intenzione di lasciare andare via l’amico per alcuna ragione al mondo, sarebbe sempre stato al suo fianco, che Sasuke lo volesse o meno.

 

   
 
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