Il
silenzio non è sempre d’oro
“Insomma,
alla fine sono andato da mio padre e gli ho detto che mi rifiutavo di
seguire
il progetto per il nuovo grattacielo, una costruzione bellissima, ma un
ammasso
di cemento e lamiere che avrebbe distrutto l’armonia del
quartiere con quel
grande parco poco distante. E che se voleva che me ne occupassi,
pretendevo di
rifare daccapo tutto a modo mio.”
“E lui
che ha risposto?”
“Ok. Mi
ha risposto solo ok e di sbrigarmi.”
L’incredulità
sul viso di Sasuke era ancora lampante, malgrado stesse raccontando un
evento
accaduto tre giorni prima. Eppure per lui era davvero difficile credere
a ciò
che era accaduto, nonostante lo avesse vissuto in prima persona e con
la
scrivania invasa dalle carte del suo nuovo progetto, a testimonianza
della
realtà dei fatti.
Lo
psicologo si alzò e prese la scatola dei cioccolatini che
tirava fuori ogni
volta c’era qualcosa che valeva la pena festeggiare. La
posò sul tavolino in
mezzo a loro e, accomodandosi di nuovo sulla poltroncina, disse:
“Ottimo,
direi che è veramente una gran cosa, proprio da festeggiare.
Ho fatto il
rifornimento di cioccolatini fondenti, prendi pure senza timore
– lo informò –
fino a un paio di mesi fa gli avresti mai imposto un simile ultimatum,
o
avresti seguito un progetto che andava contro i tuoi ideali?”
Sasuke frugò
con lo sguardo nella scatola aperta davanti a sé, optando
poi per prendere
quello con la carta verde ripieno al caffè, il suo
preferito. Ne aveva mangiato
più di uno da quando aveva iniziato il suo percorso
terapeutico.
“No,
sarei stato zitto e avrei eseguito le direttive senza ribellarmi per
paura di
deluderlo” ammise rigirandosi tra le dita il cioccolatino,
senza ancora
scartarlo.
“Cos’è
cambiato?”
Sasuke
sospirò piano, guardando poi fuori dalla finestra.
“Io. Sono
io ad essere cambiato.”
“Nel
senso che non hai più paura di deluderlo o non ti importa se
lo fai?”
Il
ragazzo fece una smorfia che doveva essere un sorriso amaro e si mise
in bocca
il cioccolatino, sentì il gusto amarognolo stemperato dalla
crema al caffè che
gli invadeva il palato e chiuse gli occhi, godendosi quel momento.
Quando
anche le ultime tracce di cioccolato si furono sciolte,
guardò nuovamente
l’uomo che gli sedeva di fronte e, con una calma che non
avrebbe mai immaginato
di possedere, rispose:
“Ancora
non mi è del tutto chiaro. Credo che avrò sempre
paura del suo giudizio, in
fondo mio padre è la figura che ha sempre dominato la mia
vita. Però, forse,
inizio a contemplare l’idea che per renderlo felice non devo
essere io
infelice, posso trovare un compromesso e per farlo non posso continuare
a
soffocare le mie idee, le mie convinzioni e i miei desideri…
sto sbagliando,
forse?”
Era
calmo, lui che in realtà era sempre nervoso e agitato, ma si
nascondeva dietro
alla maschera della compostezza e
dell’imperturbabilità. Era evidente che quel
percorso, fatto nel tentativo di accettarsi e capire chi fosse, gli
stesse
insegnando anche a venire a patti con l’ansia o perlomeno a
gestirla, per non
dover più ricorrere a ipocrisie e altre mistificazioni per
non vedere verità
scomode o difficili da accettare.
“No, se
per te questo metodo sta funzionando, allora va bene – gli
rispose lo psicologo
– non esiste un unico modo per fare le cose nel modo giusto.
L’unico modo
giusto è quello che va bene per te e la tua situazione,
perché come noi siamo
tutti diversi l’uno dall’altro, lo sono anche le
nostre vite. Non devi per
forza spiattellare la verità in faccia a tutti se
ciò ti fa sentire a disagio,
anche se sono sicuro che i tuoi amici sarebbero felice di
ascoltarti.”
Sasuke
rifletté sulle sue parole e poi si allungò a
prendere un altro cioccolatino,
senza bisogno di sollecitazioni.
“Non è
una cosa così grandiosa, eppure mi sento fiero di me stesso,
molto più che per
altri risultati prestigiosi che ho ottenuto… mi sa che mi
sto rammollendo,
specialmente se penso di raccontare a Naruto che sono gay”
ironizzò, scartando
e mettendosi in bocca l’altro dolce.
“No,
semplicemente hai fatto qualcosa per te stesso, per difendere qualcosa
in cui
credi veramente. Hai lottato per le tue idee, Sasuke, e hai anche
vinto;
onestamente io riesco a immaginare pochissime cose più
soddisfacenti di questa.
E nemmeno il tuo amico penserebbe che tu sia un rammollito –
gli diede qualche
istante per metabolizzare quello parole, poi cambiò discorso
e chiese – quindi
ora ti occuperai solo di questo progetto?”
Il
ragazzo scosse la testa:
“No, o
lei si occupa solo di un paziente alla volta? –
ironizzò, ma senza la voglia di
pungolarlo usata nei primi tempi – Questo è il
più grosso al momento, ma ne
seguo altri, ad esempio la ristrutturazione per l’ampliamento
dello studio di
avvocati dove lavora mio fratello.”
“E Gaara
– aggiunse lo psicologo – non mi hai più
detto nulla di lui, ti va di
parlarmene?”
Non
forzava mai nessun argomento, negli ultimi incontri Sasuke non aveva
mai
nominato l’altro ragazzo e lui aveva rispettato la sua
volontà, ma giudicava
che quel giorno fosse una buona occasione per domandare. Decidere se
rispondere
toccava a Sasuke, come per ogni altra cosa.
“Non c’è
molto da dire – ammise l’architetto – ci
siamo rivisti ai primi di gennaio come
le avevo detto, abbiamo parlato e lui ha accettato di uscire una sera
per una
birra e parlare un po’. Però in questo periodo
è molto impegnato tra studio ed
esami, si è iscritto all’università
come studente lavoratore, sa? Quindi non ho
insistito, ma ci siamo sentiti per messaggio, gli ho augurato buona
fortuna
prima di un esame che aveva ieri e lui mi ha fatto sapere come era
andato. Ci
siamo visti brevemente un paio di volte perché i lavori di
ristrutturazione
sono iniziati, ma abbiamo discusso solo di questo.”
Lo
psicologo lo osservò giocherellare con le cartine vuote dei
cioccolatini,
guardare fuori dalla finestra e infine fissarsi le mani alla fine del
racconto.
“E come
stai vivendo la cosa? Mi sembra un ragazzo molto impegnato”
commentò solamente.
“Già, lo
è. Sinceramente non so se al posto suo sarei riuscito a fare
le stesse cose, io
ho solo studiato senza lavorare, eppure ricordo che in alcuni periodi
mi
chiudevo addirittura in casa per preparare un esame e non riuscivo a
fare
altro. Per questo motivo non sto insistendo, anche
se…” si morse un labbro.
“Se?” lo
incoraggiò.
Sasuke
strinse con forza le labbra e le sue orecchie divennero rosse, come se
fosse
stato una pentola a pressione che però si rifiutava di
lasciar uscire il
vapore.
“Ho
voglia di vederlo – sbottò infine –
vorrei riprendere i discorsi lasciati in
sospeso, ma non posso pretendere che lui segua i miei desideri e basta,
credo
di volere qualcosa di più di una scopata da lui. Anche se
all’epoca non me ne sono
reso conto, avevamo iniziato a costruire quel qualcosa: mi fermavo a
dormire da
lui, a poco a poco avevamo iniziato a parlare di altro oltre al sesso o
alle
frecciatine ironiche, ma poi è andato tutto a puttane, anzi,
ce l’ho mandato io.”
Sospirò e
poggiò la nuca contro lo schienale imbottito, fissando il
soffitto. Non era
affatto piacevole ammettere i propri sbagli, assumersi le proprie
responsabilità, ma lo faceva, non si nascondeva
più dietro ad un dito.
Probabilmente gli sarebbe venuta una gastrite come conseguenza, ma lo
trovava
un giusto compromesso.
“Pensi di
essere innamorato?”
Sasuke
rifletté a lungo, sempre con lo sguardo puntato sul soffitto
bianco,
distinguendo anche una piccola ragnatela in un angolo e chiedendosi se
il
proprietario non si stesse facendo grasse risate sentendo tutti i
giorni casi
umani come lui.
“Non
credo di aver ben chiaro cosa sia l’amore, a parte
l’affetto che provo per la
mia famiglia o i miei amici, quindi penso di no. Semplicemente mi
piace, mi
trovo a pensare a lui, a quanto sia piacevole stare in sua compagnia e
a
desiderare passare più tempo con lui – lo
guardò – è amore questo?”
“Lo
scoprirai – sorrise ambiguo lo psicologo – come
scoprirai tante altre cose. Per
il momento va anche bene che prendiate le cose con calma, in fondo hai
altre
cose a cui dedicarti, altri progetti.”
Sasuke
sbuffò perché trovava irritante la mancanza di
risposte dirette dell’uomo,
d’altra parte era stato chiaro: lui non forniva risposte, era
Sasuke a doverle
trovare.
“E quali
progetti? Sentiamo.”
“Dobbiamo
ancora finire di pulire quel bel teatro, togliere di mezzo alcuni
vecchi
scatoloni polverosi e fare gli inviti, il primo è stato per
tuo fratello, non
pensi che anche il tuo amico Naruto se ne meriterebbe uno?”
Sasuke lo
guardò con un evidente disgusto e storse le belle labbra
come se avesse
addentato un frutto acerbo:
“Lei fa
veramente schifo con le metafore, lo sa?”
“Forse,
ma quella del teatro non è mia, lo sappiamo
entrambi.”
Sasuke
ripensò a quella volta in cui quelle parole assurde gli
erano sfuggite di
bocca, un paragone davvero poetico e improbabile detto da lui.
“Fanculo”
sospirò soltanto, tornando a fissare il soffitto e gli
sembrò che la ragnatela
vibrasse, evidentemente quello stronzo di ragno si stava veramente
ammazzando
dalle risate.
***
Gaara
guardò il liquido ambrato che aveva nel bicchiere e
annusò discretamente quel
superbo whisky, distinguendo il delicato aroma di miele avvolto da un
sottofondo legnoso discreto. Deidara e Hidan gli avevano insegnato a
distinguere un liquore di qualità o anche un cocktail degno
di quel nome da uno
scadente; erano strambi e con qualche rotella fuori posto, ma nel loro
lavoro
erano dei professionisti. Anche il sapore del whisky era altrettanto
eccellente
e lui centellinò ogni sorso mentre discorreva con chi lo
circondava.
Quel
giorno Itachi e Neji Hyuga, il nipote di Hiashi e figlio di Hizashi,
erano
diventati a tutti gli effetti soci dello studio, era ufficiale. Per
quel motivo,
una volta usciti dall’ufficio, erano andati a bere qualcosa
per festeggiare e
Gaara era stato incluso nell’invito per
l’insistenza di Itachi e Hinata. Aveva
accettato anche se un po’ titubante, inoltre
l’espressione arcigna di Neji
faceva capire chiaramente quanto detestasse la sua presenza
lì. Gli altri
avvocati erano più tranquilli, non lo riconoscevano come un
loro pari, ma lo
trattavano con la solita familiarità, a volte condita anche
da un velo di
condiscendenza che il segretario mal sopportava. Stringeva i denti e
faceva
finta di niente, dicendosi che era solo questione di tempo prima che
potesse
fregiarsi del loro titolo e smettere di essere trattato con quella
gentile
indifferenza.
Il lounge
bar dove si trovavano era piuttosto lussuoso coi suoi divani bianchi e
i
lampadari di cristallo che scendevano dal soffitto, inondando la sala
con le
loro gocce di luce; nemmeno il locale dove lavorava Hidan era tanto
pretenzioso
e per Gaara era la prima volta in un posto del genere. Non
dimostrò il suo
disagio, mascherandolo sotto il solito velo di
imperturbabilità, si limitava a
intervenire nella conversazione se interpellato e a godersi il suo
drink,
amando la sensazione di leggerezza alla testa che gli stava regalando.
Fino a
nemmeno mezz’ora prima aveva avuto la certezza che non
sarebbe mai più riuscito
a rilassarsi, o a non essere tormentato da miliardi di preoccupazioni
diverse.
Una volta
finito quel piccolo intermezzo di festeggiamenti, ognuno
andò nella propria
direzione: i vari avvocati avevano le loro famiglie ad attenderli, in
particolar modo quella sera gli Hyuga si sarebbero riuniti per una cena
formale
per festeggiare il giovane Neji. Alla fine Gaara si ritrovò
da solo con Itachi
e rimasero un istante in silenzio a guardarsi, senza sapere bene come
dissipare
quel velo di tensione tra di loro, mentre la gente attorno a loro
continuava a
camminare, incurante dei loro turbamenti.
Erano
passate due settimane da quanto accaduto a capodanno e i due avevano
ripreso a
lavorare come sempre, a volte si trovavano persino a chiacchierare come
se
niente fosse successo tra di loro, come se quei baci e le emozioni che
li
avevano accompagnati non fossero mai esistiti. Per Gaara era stato
strano, ma
si era adeguato e poi aveva veramente troppe cose a cui badare per
andarsi a
cercare anche altre preoccupazioni.
“Beh,
ancora congratulazioni. Immagino che stasera festeggerai anche
tu” si decise
finalmente a dire il segretario, spezzando quel silenzio teso.
Itachi fissò
il suo naso rosso al pari delle guance e sorrise, pensando che il
freddo stava
sicuramente giocando lo stesso scherzetto anche al suo viso.
“No, in
realtà no. Non ho detto a nessuno che oggi sarei diventato
associato – gli
rivelò – abbiamo una bevuta in sospeso noi due,
vuoi farmi compagnia?”
Gaara lo
fissò perplesso e strinse più forte con la mano
una cinghia dello zaino che
teneva in spalla. Gli eventi avevano dimostrato che loro due
più l’alcool
potevano essere una combinazione pericolosa, ma non credeva che
l’Uchiha avesse
chissà cosa in mente, probabilmente voleva solo parlare.
Forse non era una
cattiva idea, almeno avrebbero potuto chiarire meglio la situazione tra
di
loro, invece di fare finta di niente.
“Basta
che mangiamo anche qualcosa o dovrai portarmi a casa in
spalla” scherzò,
sebbene quel whisky a stomaco vuoto gli aveva già fatto
girare la testa.
“Penso
che pur di vederti mangiare sarei disposto a qualsiasi cosa”
sorrise Itachi,
incamminandosi.
“Esagerato”
sbuffò Gaara seguendolo, pensando però che in
effetti l’altro gli allungava
sempre un cioccolatino quando ne prendeva uno per sé.
Itachi
avanzò sul marciapiede gelato in silenzio, con le mani
affondate nelle tasche
del cappotto, ma dopo un paio di passi girò la testa verso
di lui, verso quella
chioma esuberante che nemmeno le luci fioche dei lampioni riuscivano a
smorzare.
“Un po’
scherzavo, ma ero anche serio. Ti trovo sempre molto magro, quasi
troppo. Il
maglione che ti ho regalato a natale ti va ancora piuttosto morbido.
Non voglio
essere ficcanaso o presuntuoso, mi preme solo che tu stia
bene.”
Forse
l’aperitivo aveva sciolto anche a lui la mente e la lingua,
la verità era che
avrebbe voluto dirgli quelle cose da parecchio, ma si era sempre tirato
indietro per rispettare la sua privacy; quella sera però le
parole erano
scivolate fuori di bocca con naturalezza, così come la
proposta di continuare
la serata assieme.
Gaara non
rispose e continuò a camminare con la testa chinata, il viso
quasi
completamente nascosto dalla morbida sciarpa di Hinata.
Entrò nel locale,
rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura, e continuò a
seguire l’avvocato
fino a un tavolo libero a cui si accomodarono. Il locale era un pub
piuttosto
informale, con della musica che risuonava dalle casse disposte
strategicamente
qua e là, un posto ben diverso da quello in cui erano stati
prima. Gaara lesse
il menù e, vedendo la vasta scelta di cibo,
sospirò per poi alzare lo sguardo
su Itachi e finalmente rispondere:
“Sto
bene, Itachi. Nei mesi passati la mia vita ha subito qualche grosso
scossone e
ne ho risentito, adesso va meglio, ma io ho un sacco di cose di cui
occuparmi. Mi
sembra che in ufficio la mole di lavoro sia aumentata e questo
è periodo di
esami all’università, a volte la sera sono
così stanco che non ho nemmeno
voglia di mangiare. Devo solo tenere duro, finito il periodo di esami,
andrà
meglio e riuscirò a rilassarmi, non serve che ti preoccupi,
ma… grazie per
l’interessamento.”
Aveva
atteso per rispondergli perché si vergognava ad ammettere le
sue debolezze, ma
di fronte alla sua genuina preoccupazione espressa in modo
così accorto non era
riuscito a fare finta di nulla.
I suoi
problemi economici non erano finiti, doveva ancora restituire una certa
somma a
Hidan, ma il periodo critico era passato, ora poteva tornare a fare una
spesa
adeguata, peccato che gli mancassero le forze e la voglia di cucinare,
limitandosi ad aprire una scatoletta o due. Poi studiava
finché non crollava
dal sonno e il giorno seguente era identico al precedente.
Aveva
così tante cose a cui badare che non era nemmeno
più uscito con Sasuke nonostante
se lo fossero ripromessi, si sentiva lievemente in difetto ad averlo
fatto
prima con Itachi, ma era un caso che quella sera fossero lì
insieme, non era
stato pianificato nulla.
“Ogni
tanto potresti venire a fare la pausa pranzo con me, così
risolveresti il
problema” gli propose Itachi, affabile.
Gaara
scosse la testa:
“Scusa,
ma quelle due ore sono veramente preziose. A volte riesco a studiare
più
durante la pausa che non la sera. Magari dopo che sarà
finita la sessione.”
“Ma
certo, scusa ancora se mi sono intromesso, sono solo felice che le cose
ti
vadano meglio – fece una pausa e si umettò le
labbra prima di chiedere – anche
Sasuke c’entra qualcosa coi problemi che ti hanno
travolto?”
Gaara
sospirò riaprendo il menù per scegliere e decise
di non mentire, pur non
scendendo nei particolari:
“In
pratica è iniziato tutto da quando abbiamo rotto, da
lì in poi è stato un
continuo, una serie di sfortunate coincidenze.”
Era la
pura verità, non portava nemmeno più rancore a
Sasuke per quanto successo, se
ne era reso conto dopo aver ricominciato a rivederlo per via del
lavoro.
D’altra parte, se così non fosse stato, non
avrebbe mai accettato di uscire di
nuovo con lui. Si sentì strano a parlarne con Itachi, suo
fratello, ma in un
certo senso era liberatorio.
Arrivò un
cameriere a prendere le ordinazioni, costringendoli a interrompere la
conversazione e, solo quando furono nuovamente soli, con le birre
davanti,
Itachi parlò nuovamente:
“Mi
spiace che mio fratello sia stato il principio di un periodo tanto
difficile
per te, ora come va tra di voi?”
Gaara
scrollò le spalle per minimizzare le sue parole:
“Te l’ho
detto è stata solo una serie di pessime e sfortunate
coincidenze – tacque un
attimo – non so bene. Avevamo detto di uscire, ma sono
così impegnato che
sinceramente non ho avuto neanche modo per pensarci. Ci siamo visti
solo
brevemente per lavoro e ogni tanto ci scambiamo dei messaggi, ma non so
bene
cosa significhi tutto ciò, è ancora tutto molto
confuso.” Lo guardò negli
occhi, serio “Ti ha detto qualcosa su di me?”
Itachi
bevve un sorso della sua birra, nascondendo le labbra dietro al
bicchiere
assieme al sorriso spontaneo che le aveva piegate: Gaara era
interessato alla
sua risposta, si preoccupava di ciò che pensava Sasuke.
“No, solo
che vi sentite – rispose – ammetto di aver sentito
poco mio fratello
ultimamente, anche lui è molto impegnato con un grosso
progetto.”
“Il
grattacielo giusto?” intervenne Gaara.
Itachi
inarcò appena le sopracciglia:
“Già, il
grattacielo” sorrise. A quanto pareva Sasuke aveva raccontato
all’altro più
cose di quanto gli avesse fatto intendere, forse il momento del loro
appuntamento era più vicino di quanto entrambi pensassero.
“Posso
chiederti come mai non hai detto niente alla tua famiglia della
promozione?” si
arrischiò a chiedere Gaara, bevendo un sorso di birra e
prendendo una manciata
di noccioline mentre attendeva la cena.
“Mi
sembra giusto, finora ho fatto io le domande indiscrete –
replicò Itachi con
leggerezza – forse mi andava solo di tenere la cosa per me
per qualche tempo.
Faccio fatica a raccontare quello che mi riguarda, anche le cose belle,
ma
glielo dirò, non temere.”
“I tuoi
amati segreti, giusto?” replicò Gaara ed entrambi
sorrisero, perché ne
condividevano uno. “Che tipi sono i tuoi genitori?
– domandò poi il segretario,
incuriosito – Di tua madre non so nulla, se non che
è molto bella, di tuo padre
so che è molto severo, o almeno così mi ha
accennato Sasuke una volta.”
“Stai
tentando di capire che razza di mostri devono essere per aver creato
due figli
come noi? – ironizzò Itachi – Mia madre
è piuttosto affettuosa e ironica, ma
non ha mai mancato di sgridarci se ce lo meritavamo, credo sia il
giusto grado
di dolcezza e severità. Mentre mio padre… beh,
diciamo che lui è un uomo
vecchio stampo, inflessibile. Non è semplice averci a che
fare, ci ha sempre
pungolati per non adagiarci sugli allori e dare il massimo,
è stato anche
crudele a volte. Non che intendesse farlo coscientemente, ma lo
è stato.”
Si sentì
un po’ in difficoltà a parlare così
apertamente dei propri genitori,
specialmente di Fugaku, ma forse ciò poteva aiutare Gaara a
capire meglio
alcune scelte di Sasuke. Avrebbe voluto chiedergli a sua volta dei
genitori, ma
scelse di non toccare un argomento così delicato
ricordandosi che l’altro era cresciuto
in orfanotrofio.
Gaara a
sua volta non gliene parlò spontaneamente, bensì
iniziò a mangiare lentamente
il piatto che gli avevano appena portato. Per un paio di minuti
rimasero in
silenzio, ma poi la curiosità di Itachi ebbe la meglio:
“Ho
notato che Neji non ti vede proprio di buon occhio, è
successo qualcosa in
passato?”
Gaara
mandò giù un boccone e si finse pensieroso:
“Evidentemente
ancora non ha superato il fatto di essere stato sedotto e
abbandonato.”
Scoppiò a
ridere di fronte alla faccia sbigottita di Itachi e il suo scherzo non
durò a
lungo, così si affrettò a chiarire con ancora il
sorriso sulle labbra “Scherzo
ovviamente, figurati se potrebbe mai succedere una cosa simile
– poi si fece
serio – all’inizio era normale. Non era certo
gentile come Hinata, ma era normale,
molto educato e formale. È cambiato quando ho annunciato la
mia intenzione di
iscrivermi all’università, un giorno
sbottò dicendo che stavo facendo una
stupidaggine, che ero in ritardo per gli studi e che era inutile. Per
quanti
sforzi avrei fatto non sarei mai riuscito a diventare niente
più che un segretario,
quello è il mio posto.”
Conoscendo
la persona in questione, Itachi non faticò a credere alle
sue parole e domandò:
“Tu cosa
hai risposto?”
“Gli ho
detto cortesemente di pensare ai suoi affari, io avrei pensato ai
miei.”
“Non ti
sei lasciato abbattere, continua così, diventerai un ottimo
avvocato.”
Era raro
che Itachi si complimentasse con qualcuno, ma più passava il
tempo più trovava
lati da ammirare in Gaara, dalla sua ironia affilata alla
serietà e all’impegno
che metteva in ogni cosa.
“Figurati
se le parole di un ragazzo come lui possono mai toccarmi. Dopo aver
vissuto per
strada ed essere arrivato fino qui da solo, nessun Neji al mondo
potrà mai
scoraggiarmi.”
Si rese
conto di aver rivelato un po’ troppo e si affrettò
a riempirsi la bocca per
evitare di dire cose di cui si sarebbe potuto pentire. Itachi in
effetti lo
guardò stranito e domandò:
“Hai
vissuto per strada?”
Attese
che l’altro mandasse giù il boccone e lo
guardò negli occhi chiari, finché
Gaara non si decise a parlare:
“A sedici
anni sono scappato dalla famiglia adottiva da cui stavo da qualche mese
e mi
sono arrangiato come ho potuto. Non è qualcosa di cui parlo
volentieri, scusa.”
Itachi
capì che non si sarebbe sbottonato più di
così e lo rispettò. Lo guardò con
rinnovata ammirazione, perché quel ragazzo aveva vissuto
qualcosa che lui non
riusciva nemmeno a concepire. Era fuggito dalla sicurezza di una casa,
provvedendo
poi a sostenersi quando non era nemmeno maggiorenne; una bella
differenza con
lui che era andato via di casa a diciannove anni, aiutato da una madre
che ogni
tanto gli passava del denaro all’insaputa del padre. Si era
addirittura creduto
tanto forte per essersi arrangiato solo con quei soldi e la borsa di
studio ma,
davanti a Gaara e alle sue esperienze, si rese conto di potersi
considerare
ancora un privilegiato.
“Sappi
che ti stimo ancora di più” disse per concludere
quel discorso e vide le guance
del ragazzo colorirsi, ma quella volta non era colpa del freddo.
“Sono
contento che la cena ti stia piacendo – cambiò
discorso – spero che tu abbia
spazio per il dolce, qui sono ottimi.”
“Conoscendoti
non ne avevo dubbi, Itachi” sorrise, ricambiato
dall’altro. Erano entrambi felici
di trovarsi lì e di essere riusciti a trovare una nuova
intesa.
***
Sasuke guardò la
distesa di roba che invadeva
il pavimento, tanto che, chi fosse entrato nella stanza, avrebbe potuto
pensare
che non esistevano mattonelle ma ogni cosa poggiava su cartacce
multicolor,
briciole e bottiglie vuote.
“Naruto,
la tua camera è davvero un porcile, lo sai vero?”
sbuffò, spostando un cartone
della pizza vuoto per potersi sedere più comodamente.
Stavano giocando assieme
alla playstation, dopo aver strappato con forza e ostinazione un
po’ di spazio
al mare di lerciume per poggiare dei cuscini a terra davanti alla
televisione.
“Quante
storie per due cartacce” mugugnò
l’altro, osservando una busta di patatine fare
capolino da sotto il letto.
“Mi
sorprende che Hinata non ti sgridi, lei è così
ordinata! Anzi, aspetta… mi
sorprendo che si sia messa con te, prima di tutto.”
“Ho molte
qualità nascoste” ridacchiò Naruto,
senza scomporsi minimamente di fronte alle
battute sarcastiche dell’amico.
“Ah,
quindi ha un animo da speleologo, perché queste
qualità sono nascoste davvero
in profondità – lo rimbeccò ancora
– vorrei proprio sapere quali sono.”
“Per
esempio il cazzo grosso” rispose Naruto in assoluta
serietà, con lo sguardo
concentratissimo sulla partita.
Sasuke
invece si voltò a fissarlo, senza parole, dimenticandosi di
ogni altra cosa che
stava facendo, permettendo addirittura all’amico di vincere
visto che in
pratica aveva smesso di giocare.
“Evvai,
ho vinto! Ti ho stracciato Sasuke puzzone!” esultò
euforico visto che non
succedeva spesso.
L’architetto,
leso nell’orgoglio, gli tirò quel cartone della
pizza, beccandolo con lo
spigolo in pieno stomaco.
“Idiota!
– esclamò – Mi ero distratto un attimo
per l’enorme cazzata che hai detto, non
esaltarti a questo modo.”
“Sei solo
invidioso perché sai che è vero” rise
Naruto, ignorando il reale turbamento
dell’amico.
Sasuke
infatti ripensò alle docce fatte insieme a scuola dopo gli
allenamenti e il
disagio provato, i suoi tentativi di non sbirciarlo, di ignorare le
sensazioni
nel vedere un altro corpo maschile nudo, la profonda vergogna e il
senso di
colpa che lo mangiavano vivo assieme alla testardaggine con cui negava
le
proprie inclinazioni. Si era persino fidanzato con una sua amica
d’infanzia che
era da sempre innamorata di lui, ma non aveva funzionato, dopo poco
l’aveva
lasciata, disgustato da se stesso e anche più spaventato.
Si alzò,
calciando via il cuscino su cui era seduto e si diresse verso la porta
senza
dire una parola. In quel momento delicato della sua vita sentiva di
essere
troppo esposto, che se avesse aperto la bocca anche solo per mandarlo a
fanculo
sarebbe stato troppo, non sarebbe più riuscito a
richiuderla, con conseguenze
disastrose.
Naruto
rimase interdetto, si aspettava qualche rispostaccia, un proseguo del
battibecco, come facevano sempre per poi scoppiare a ridere insieme.
Avrebbero
continuato a giocare, ordinato una pizza e chiacchierato fino a tardi.
Non
capiva proprio perché Sasuke all’improvviso stesse
reagendo in quella maniera,
ma non perse tempo e lo seguì, bloccandolo in corridoio.
“Ehi, che
c’è? Non è una tragedia avercelo
piccolo, dai. Sakura non se ne è mai
lamentata” gli disse, tentando ancora di scherzare, ma si
rese conto che non
era la strategia giusta. Aveva poggiato una mano sulla sua spalla e
guardava la
schiena e la nuca dai capelli scuri dell’amico, avvertendo
sotto al proprio
palmo quanto stesse fremendo, quasi fosse un animale pronto a spiccare
il salto
e sbranare la preda.
Sasuke
però non fece niente di tutto ciò, si
limitò a scrollarsi di dosso la mano e a
riprendere a camminare.
Naruto,
testardo come al solito, gli fece fare solo un paio di passi prima di
bloccarlo
di nuovo, ma stavolta lo spinse contro il muro costringendolo a
guardarlo in
faccia.
Osservò
la sua pelle ancora più pallida del solito, gli occhi duri e
le labbra tanto
compresse da diventare invisibili. Era accaduto qualcosa di grave che
non aveva
compreso, ma non avrebbe mai permesso che il suo migliore amico se ne
andasse
via in quelle condizioni: Sasuke nel suo incessante bisogno di
dimostrare di
essere autosufficiente, di non avere bisogno di niente e nessuno, aveva
provato
più volte in passato ad allontanarlo. In realtà
Naruto aveva sempre creduto che
l’altro lo stesse mettendo alla prova, testando se davvero il
loro legame fosse
così forte come il biondo esagitato proclamava. Naruto
però, in ogni occasione,
gli aveva sempre dimostrato che non lo avrebbe mai lasciato indietro,
non si
sarebbe svegliato una bella mattina decidendo di averne abbastanza di
quell’Uchiha borioso e acido. Era stato difficile rimanergli
accanto,
percorrere la strada di cocci che conduceva da Sasuke, ma lui ci era
riuscito,
coi piedi sanguinanti e il sorriso sulle labbra si era guadagnato la
sua
fiducia. Non aveva quindi intenzione di tollerare un simile
comportamento da
parte sua, non se lo sarebbe lasciato scappare come acqua tra le dita;
era
intollerabile capire di ignorare qualcosa su Sasuke, qualcosa che
l’altro non
gli aveva confidato.
“Adesso
ti calmi e mi dici che cazzo ti è preso – gli
disse serio, col volto vicino al
suo – che c’è? Ti è
già arrivato il ciclo questo mese? O hai bisogno di una
scazzottata?”
Sasuke
fissò quegli occhi azzurri tanto sinceri che non
nascondevano l’irritazione,
così come erano incapaci di celare qualsiasi altro
sentimento. Naruto era così:
non aveva paura di esporsi, non era come lui e lo odiò per
questo. Un fiotto
improvviso di odio gli salì da dentro e gli corrose la gola,
perché in quel
momento si sentiva braccato e ferito come una gazzella inseguita da un
ghepardo. Odiava sentirsi così fragile, si era riscoperto
sensibile alle
opinioni delle poche persone a cui teneva, in quel momento odiava
Naruto perché
lo stava costringendo a rivelare qualcosa che avrebbe distrutto il
rapporto tra
di loro. Ma era troppo per Sasuke, troppo odio da contenere, gli
scivolava
dalle labbra, colava dal naso, dalle orecchie, creava rivoli sulla sua
pelle,
giù per il collo, impregnando i suoi abiti, il petto, tutto
il suo corpo fino a
rivestirlo.
“Sono
gay, Naruto. Un fottuto frocio che sa bene quanto hai grosso il cazzo
perché te
lo guardavo.”
Vide la sorpresa
sbocciare nei suoi occhi azzurri, lasciando poi il passo alla
comprensione, era
certo che il disgusto sarebbe arrivato di lì a poco.
Chissà cosa avrebbe detto
il suo psicologo, se sarebbe stato fiero del suo modo di fare gli
inviti,
probabilmente no, gli avrebbe detto che aveva ancora molta strada da
fare e non
gli avrebbe offerto nessun cioccolatino.
Chi
se ne frega, tanto nessuno entrerà mai in
quel fottuto teatro.
Sasuke
decise di andare fino in fondo, di lanciare le ultime bombe per rompere
del
tutto quel ponte, il legame che aveva resistito per tanti anni; era
doloroso, ma
lui era deciso ad andare fino in fondo, perché non vedeva
proprio come la loro
amicizia potesse sopravvivere dopo la sua rivelazione.
“Levati
di torno e fammi andare” disse ancora, sempre con la voce
grondante veleno.
Naruto
però non sembrava intenzionato a spostarsi, gli stava ancora
di fronte, troppo
vicino e con le braccia distese lungo il corpo. Il disgusto ancora non
gli
aveva distorto i lineamenti, né gli occhi e Sasuke ne rimase
interdetto, perché
l’amico sembrava più che altro confuso
e… dispiaciuto. Aprì di nuovo la bocca
per intimargli nuovamente di levarsi, ma Naruto lo precedette e lo
abbracciò
con forza.
“Scusascusascusascusascusa
– sciorinò tutto d’un fiato –
è colpa mia, tutta colpa mia che sono troppo
bello. Potrai mai perdonarmi?”
Sasuke era
immobile tra le sue braccia, sembrava una statua di marmo incapace di
muoversi,
per qualche istante non respirò nemmeno.
Prese poi
un respiro profondo e alzò lo sguardo al soffitto, mentre
sentiva la testa
dell’amico posarsi sulla sua spalla, i capelli biondi che gli
solleticavano il
collo e la sua stretta ferrea, perché Naruto non lo avrebbe
mai lasciato
andare. Gli parve di vedere un po’ sfocato, sicuramente gli
era entrata un po’
di polvere negli occhi e glieli stava facendo lacrimare, con quella
camera
sporca in cui era stato non c’era da stupirsene.
“Sei un
idiota di proporzioni olimpioniche” mormorò con
voce stranamente nasale.
“Vero?”
replicò Naruto e Sasuke sentì che sulle sue
labbra c’era un sorriso.
Sasuke
guardò la pizza fumante nel cartone davanti a lui. Alla fine
Naruto aveva
decretato che davanti a del cibo ogni cosa sarebbe stata più
semplice e aveva
ordinato la pizza condita con ogni cosa, se avesse potuto ci avrebbe
fatto
mettere anche il cuoco.
Mentre
aspettavano, avevano dato una ripulita a quella che Naruto continuava a
chiamare
camera e Sasuke porcile, così alla fine si erano sistemati
sul letto rifatto
con lenzuola pulite e col cartone tra di loro.
“Allora,
raccontami” lo incoraggiò Naruto senza guardarlo,
perché impegnato a seguire i
filamenti di mozzarella e gli altri condimenti che minacciavano di
strabordare
dalla fetta.
Sasuke
non aveva molta fame, anzi aveva proprio lo stomaco chiuso, ma prese lo
stesso
un pezzo consapevole che l’amico altrimenti lo avrebbe
assillato, come anche se
non avesse parlato.
“Non c’è
molto da dire, sono gay ma non ho mai avuto il coraggio di ammetterlo e
solo
adesso ci sto riuscendo… più o meno.”
Naruto lo
fissò, pensoso mentre masticava velocemente e innaffiava i
bocconi con qualche
sorso di coca-cola.
“Quel più
o meno che vuol dire? A Itachi lo hai detto?”
“Sì, solo
a lui” confermò Sasuke, dando un piccolo morso
alla fetta e rigirandoselo tra
la bocca senza voglia.
Naruto ne
prese un’altra e la attaccò con molto
più entusiasmo:
“Beh, in
effetti non ti ci vedo a parlarne con Fugaku –
affermò – ad ogni modo sono solo
fatti tuoi chi ti piace portarti a letto, la tua vita sessuale non
riguarda gli
altri.”
Notò
l’occhiata sbalordita dell’amico e, ridacchiando,
aggiunse “Cosa
c’è? Ti aspettavi che ti dicessi che
dovevi sbandierarlo al mondo, comprare un’inserzione suo
giornale e cose
simili? Naaa, queste cose potrebbero funzionare con me,
perché non me ne frega
niente, non per te, non hai il mio carattere per tua
sfortuna.”
“Punti di
vista” replicò Sasuke, ma senza essere caustico
come al solito, era ancora
troppo impressionato dall’accortezza mostrata
dall’altro.
Rimasero
in silenzio un po’, mangiando e basta finché
Naruto, arrivato a più di metà
pizza e altrettanta bibita, si voltò a guardarlo con
un’espressione strana,
divertita e quasi compiaciuta:
“Quindi
Gaara non era un tuo amico.”
Sasuke
posò la fetta che teneva ancora in mano e si pulì
con un tovagliolo le dita un
po’ unte, chiedendosi chi avesse rapito quel tonto del suo
migliore amico,
sostituendolo con quel ragazzo perspicace e profondo.
“No, non
era un amico” confermò a fatica, quasi
ringhiandole quelle parole.
“E non vi
siete lasciati molto bene, immagino” continuò
Naruto nel suo sfoggio intuitivo.
“No,
infatti – rispose Sasuke per poi guardarlo – come
l’hai capito?”
Naruto si
grattò la punta del naso e poi si pulì la faccia
sporca col tovagliolo prima di
rispondere:
“Beh,
sai… stavo facendo vagare la mente tra i ricordi –
disse ignorando l’altro
borbottare qualcosa a proposito di viaggi corti – ora che mi hai detto che ti
piacciono gli
uomini, alcune cose mi sono risultate più chiare e mi sono
ricordato di Gaara.
La sua faccia era molto simile alla mia ogni volta che Sakura mi dava
un due di
picche, almeno prima che mi arrendessi con lei e ti ci mettessi tu. Tra
l’altro
non deve essere stato facile per te, fidanzarti con lei
intendo.”
Dimostrò
di comprendere persino i motivi che avevano spinto Sasuke a quella
decisione,
benché l’altro non
avesse detto una sola
parola a riguardo.
L’Uchiha
si vergognò di fronte a quell’ennesima
dimostrazione di affetto e comprensione,
pur sapendo che Naruto aveva un sacco di qualità, non lo
credeva capace di
parlare con tanto tatto, visto che solitamente apriva la bocca e diceva
quello
che gli passava per la testa senza alcun filtro.
Chinò la
testa, osservando quella pizza invitante che proprio non riusciva a
mandare
giù, era quasi difficile quanto parlare e dire finalmente la
verità.
“No, non
è stato facile, ma stavo cercando di ingannare me stesso e
di negare quello che
provavo. Sono stato stronzo – ammise con molta fatica
– e anche con Gaara, però
lo sto sentendo di nuovo e vorrei provare a sistemare le
cose.”
“No non
sei stronzo, sei solo un idiota – Naruto gli
restituì l’insulto che l’altro
solitamente riservava a lui – dovevi parlarmene tempo fa, che
senso ha avere un
amico fantastico come me se poi non mi parli. Ti avrei anche concesso
di
guardarmi il pene da vicino.”
“A chi cazzo
vuoi che interessi il tuo pene? – scattò Sasuke
inviperito – E non gongolare
così tanto o ti prendo a pugni.”
Naruto
rise, prendendo un’altra fetta di pizza:
“In
futuro vedi di venirmi a raccontare come va e soprattutto di chiedermi
consigli, sei un disastro in questioni amorose o relazionali.”
“Ha
parlato l’esperto” borbottò Sasuke.
“Io
intanto sono fidanzato – gli fece notare – mangia o
la finisco tutto io.”
Sasuke
sospirò e prese una fetta, forse iniziava ad avere fame, in
fondo dopo essersi
svuotato di quei pesi aveva un certo vuoto da colmare.
Mangiarono
in silenzio un altro po’, almeno fino all’ennesima
folgorazione di Naruto.
“Sasuke?”
“Che
c’è?”
“Ma com’è
il sesso tra uomini?”
Il
ragazzo quasi si strozzò con il boccone e si
attaccò alla bottiglia di
coca-cola per mandarlo giù, guardandolo con la faccia rossa
per lo sforzo.
“Ma sei
scemo? Che diavolo vai a chiedere?” disse tra un colpo di
tosse e l’altro.
“Eddaiiii!
Sono curioso!” esclamò invece Naruto col suo
solito sorriso.
“Scordati
che io parli di sesso con te” disse lapidario, alzandosi.
“Su dai,
non essere timido. Sasuke? Sasuke dove vai? Ehi, riporta le tue pallide
chiappe
Uchiha qui, non ti lascerò andare finché non mi
avrai raccontato tutto, Sasuke
non scappare via! Sasuke!”
Lo
inseguì ridendo e braccandolo per riportarlo in camera di
peso, perché Naruto
non aveva nessuna intenzione di lasciare andare via l’amico
per alcuna ragione
al mondo, sarebbe sempre stato al suo fianco, che Sasuke lo volesse o
meno.