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Autore: Ksyl    29/04/2018    6 recensioni
FF che apre un varco temporale AU tra il litigio di Always e il finale di Always per come lo abbiamo sempre conosciuto. Cioè come se non fosse avvenuto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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Lo scovò seduto a un tavolino del pub, all'aperto. Era da solo, il locale era deserto e quella era esattamente la situazione che si era augurata. Sospirò. Andava tutto bene. Sarebbe andato tutto bene.
Non si erano accordati per vedersi, anche se nell'ultimo periodo si erano incontrati spesso, per caso o dandosi degli appuntamenti informali, senza pensarci troppo, vivendosi il loro rapporto così come veniva, in modo rilassato.
Ma sempre con quel pudore, quel bisogno sotterraneo di tenersi alla giusta distanza per non starsi troppo vicini, pur essendolo, forse. O forse temendolo. Era una situazione che non poteva durare per sempre, ma se l'erano goduta per quello che era, una preziosa tregua, una sorta di ristoro dell'anima, prima che succedesse qualcosa che avvertiva nell'aria. E che la spaventava ed eccitava insieme.

Era uscita da casa mossa dal forte impulso di andare a cercarlo. Subito. Senza indugiare o perdere altro tempo a fissare l'orizzonte dalla finestra del salottino sul retro, il suo rifugio privato, sorseggiando l'ennesima tazza di tè.
L'idea era sbocciata chissà dove, in quel luogo ben nascosto della coscienza, che si era palesato all'improvviso, senza darle scampo. Ne aveva avvertito la spinta sempre più pressante, un invito a prendere le chiavi e precipitarsi fuori, senza sprecare un minuto di più. E così aveva fatto, aveva dato retta a quell'ispirazione. Aveva puntato decisa verso la piazza del villaggio poco gremita a quell'ora, dove sperava di incontrarlo, secondo la logica e qualche calcolo approssimativo. Era stata fortunata. Eccolo lì, proprio davanti a lei.

Parcheggiò e si concesse qualche minuto per osservarlo attraverso il finestrino. Era assorto, impegnato a sfogliare quello che doveva essere il giornale locale che veniva pubblicato a giorni alterni, ma più spesso a casaccio, con un'espressione concentrata sul viso.
Solo lui poteva trovare interessanti le notizie di fiere di bestiame o i pettegolezzi locali, e quell'atteggiamento era fonte di continui dibattiti scherzosi tra loro. Lo aveva accusato di farlo solo per curiosare tra nascite e matrimoni di gente perlopiù sconosciuta e lui aveva prontamente negato le accuse, con troppa enfasi.
Erano stati giorni di grande leggerezza, di meraviglia e stupore e di assoluto agio. Non voleva rovinare tutto. Non voleva modificare nemmeno un minuscolo pezzetto del quadro felice che stavano vivendo. Eppure quel pungolo dentro di sé la spronava ad andare avanti, con sempre maggiore insistenza. Chissà dove sarebbero finiti, dove li avrebbe portati.
Quando fu pronta – o le sembrò almeno di avere un minimo di solidità interiore - fece un altro respiro profondo, scese dall'auto e si avviò nella sua direzione.

Castle si accorse subito della sua presenza, prima ancora di riuscire a vederla chiaramente, essendo seduto a sfavore di sole. Usò una mano per farsi ombra, abbandonando le sue letture senza rimpianto e sorridendole festoso. Un sorriso largo e avvolgente, che era in grado far sentire chiunque accolto, benvenuto. Era uno dei suoi tanti doni, che generosamente diffondeva nel mondo, senza calcolo, senza aspettarsi niente in cambio. Castle rendeva il mondo un posto bello da abitare. Un posto allegro e solidale, dove sperava ci fosse posto anche per lei. Un posto diverso da quello che aveva sempre occupato. All'improvviso voleva di più, voleva tutto quello che poteva avere, tutta quella pienezza che aveva sempre desiderato e tenuto lontano, e che mai come ora le era sembrata tanto a portata di mano. Ci voleva solo un minuscolo atto di fede.

Era stata un po' nervosa, se ne accorse quando venne invasa dalla dolcezza che l'accoglienza solare di Castle produsse in lei.
"Ehi, Beckett. Che ci fai da queste parti? Qualche consulenza? Vuoi il mio aiuto per risolvere un caso difficile?", la salutò con gentilezza affettuosa, autentica. Era davvero felice di vederla. La cosa non mancava mai di stupirla, nonostante dovesse esserne in qualche modo abituata. Non lo era, perché non voleva farlo. Abituarsi. Non c'era parola peggiore di quella.
Prese posto davanti a lui, su una sedia di ferro battuto che aveva visto epoche migliori, un po' traballante. Proprio come si sentiva lei.
"No, ho la giornata libera", lo informò sfilandosi gli occhiali da sole, posizionandoli sulla testa per tenere lontane dal viso alcune ciocche di capelli.
Castle si fece subito più interessato, ma si limitò a chiudere il giornale e posizionarlo accanto a sé con cura affettata. Gli sembrò un grosso felino in procinto di fare la sua mossa, dopo aver studiato la sua preda. Una versione su grande scala di Gatto, che aveva lasciato a dormicchiare beata in una pozza di sole nel giardino sul retro.
"È passata l'influenza? Intendo, passata del tutto?", si informò interessato, congiungendo le mani davanti a sé con fare distratto e avvolgendola con quel suo sguardo aperto e fiducioso che la fece rabbrividire, nonostante la giornata soleggiata, che aveva quasi fatto dimenticare il primo crudo assaggio d'inverno di qualche tempo prima.
"Sì, Castle. Me lo chiedi tutte le volte che ci vediamo", lo canzonò.
"Perché mi preoccupo per te".
"Lo so", rispose sorridendogli grata, mollando per un istante quell'istintiva resistenza che la teneva sempre in guardia, pronta a schivare il prossimo colpo, la prossima ferita.

Il mondo non meritava che lei gli si rapportasse con tanta sfiducia, tanta amara diffidenza. Che era acquisita, non naturale e questa era la cosa peggiore per tutti, lei per prima. Lo sapeva come si sanno tante cose di sé, come qualcosa di indistinto che si ha paura di guardare in faccia e di affrontare, perché troppo aspro.
Soprattutto non lo meritava Castle. Non era stato facile arrivarci, ma aveva finalmente raggiunto quel preciso traguardo in quello che era stato un lungo percorso verso la destinazione finale – che non era più un miraggio - della pace interiore. Quella voglia di tornare a sorridere, di essere felice e basta. Di farsi inondare dalla luce, dopo aver vagato in zone oscure fredde e inaccessibile. Dannatamente solitarie.

Lui le prese una mano, forse aveva letto nei suoi gesti una maggiore apertura, forse sapeva che non si sarebbe ritratta. Forse era solo Castle. Un uomo che non aveva paura di niente, soprattutto non del buio, dell'ombra, che invece spaventavano lei così tanto.
"Hai le mani fredde", finse di rimproverarla. "E sei vestita troppo leggera per il clima di oggi, anche se sembra una giornata estiva. Non lo senti il vento che soffia da nord? Spero tu ti sia messa almeno la maglietta di lana. Non si scherza con le ricadute".
"Sì, Castle. L'ho messa. E indosso anche i mutandoni fino al ginocchio, sempre di lana, quella grezza che punge. Sei contento adesso?".
Le fece l'occhiolino. "Sai davvero come incoraggiare le fantasie erotiche di un uomo", la provocò, sempre tenendole una mano, accarezzandole il dorso con movimenti così lievi e impercettibili, che potevano davvero essere scambiati per quella brezza del nord che lui doveva essersi senz'altro inventato.
Prese fiato. E coraggio.

"Stavo pensando... se anche tu non hai impegni per oggi...".
"Sì", la interruppe lui, recuperando le sue cose disseminate sul tavolino, che si mosse sotto l'urto con uno stridio sgradevole. "Accetto. Andiamo".
"Non sai nemmeno che cosa stavo per proporre", lo fermò, spiazzata.
"Non fa niente. Vuoi invitarmi da qualche parte, giusto? E mi sta bene tutto, anche seppellire un cadavere o fare un corso di botanica che, tra parentesi, potrebbe tornarci utile il prossimo anno al concorso di giardinaggio".
La risposta la turbò e le fece perdere il filo del discorso.
"Progetti di essere ancora qui il prossimo anno?", non poté fare a meno di chiedergli, prima di rendersi conto delle implicazioni di una domanda del genere che, per niente al mondo, avrebbe dovuto essere posta.
"E tu?", la interrogò a sua volta. Lei non rispose. Che cosa poteva dire per fermarne la deriva illogica e potenzialmente distruttiva? Niente. Se ne stette zitta.
"Io sarò dove sarai tu, Beckett, sperando che la prossima volta si tratti di una zona caraibica. Non hai voglia di palme, spiagge deserte, mare cristallino e noi che giriamo per l'isola scalzi e abbronzati? Non faccio che sognarlo da settimane", concluse con gli occhi persi in altri mondi. Soprattutto mondi non fisici.
"So che vorresti farla sembrare un'immagine irresistibile, ma la verità è che detta così ti fa apparire un individuo socialmente pericoloso e un potenziale stalker".

Castle mise da parte a malincuore le sue fantasticherie e tornò sul pianeta Terra.
"Pensavo di convincerti a venire con me fin dall'inizio, invece che doverti scovare con ogni mezzo possibile e seguirti chissà dove. Risparmieremmo in tempo, non credi? O forse preferiresti Bora Bora? Le isole Andamane? Fammi controllare qual è il periodo migliore...". Era tornato sul pianeta delle meraviglie dove loro si concedevano lunghe vacanze lussuose in terre disabitate – non lo aveva specificato, ma era certa che avrebbe affittato un'intera isola solo per loro.
Il solo generarsi nella mente di un minuscolo frammento di quell'immagine utopica e desiderabile che lui aveva prodotto con tanta facilità, la mise a disagio. E non perché credeva che, tutto sommato, si sarebbero potuti forse annoiare in un atollo privato lontani da qualsiasi civiltà, ma perché era certa che non si sarebbero annoiati affatto.
Represse la tentazione di portarsi le mani strette a pugno sulle tempie per stropicciarle con forza.
Castle non la stava aiutando a mantenersi fedele al compito che si era prefissata, distraendola con chimere irrealizzabili e facendole quasi venire voglia di abbandonarlo in mezzo alla brughiera a vagare da solo.
"Mi piacerebbe portarti in un posto", annunciò tagliando corto su palme e capanne caraibiche.
Finalmente attrasse la sua attenzione.
"È una delle tue proposte indecenti o hai scovato qualcosa di misterioso, forse un forziere segreto? C'entrano i templari? Ti serve il mio aiuto per nasconderlo?".
Sorrise suo malgrado. "Puoi stare in silenzio per un minuto, invece di essere tanto rumoroso e precipitoso?".
Si sedette composto, le mani sulle ginocchia, trattenendo a stento l'entusiasmo e pronto a seguirla in qualsiasi avventura avesse avuto l'ardire di trascinarlo.
"Voglio solo che tu venga con me in un posto. Senza tesori, Santo Graal, spade nella roccia, creme solari o fiori di ibisco tra i capelli. Una cosa normalissima non lontana da qui, inglese al cento per cento".
La fissò trasognato. "Ho perso il filo perché ti sto immaginando con un fiore vermiglio tra i capelli sciolti sulla schiena e schiariti dal sole dei tropici".

Non lo sopportava già più e si stava pentendo di aver avuto l'idea di fargli quella proposta. Anzi, di essersi alzata dal letto. Doveva capirlo da subito, Mercurio era retrogrado da qualche giorno, e le influenze astrali lo stava facendo diventare irrequieto.
"Frena la tua fantasia", lo rimproverò con un sospiro esausto dopo soli cinque minuti di conversazione.
"Quale delle tante?".
Lo ignorò. Non doveva assecondarlo. Lo sapeva. Primo comandamento, non dare mai corda alle eccentricità di Castle, quando si presentano particolarmente ispirate, nei giorni di plenilunio.
Tornò in sé così rapidamente che non avrebbe creduto a una tale trasformazione se non se la fosse trovata davanti.
"Sto scherzando, Beckett", spiegò divertito. "Mi piace quando riesco a far pulsare quella vena che minaccia tempesta sulla tua fronte, mentre valuti in che modo farmi fuori e nascondere i pezzi del mio cadavere. Certo che voglio venire con te. Portami dove vuoi. Sarò felice di vedere un posto a cui tieni tanto".
"Come fai a saperlo? Non ho detto mai di tenerci in modo particolare", si lasciò sfuggire.
"Io so sempre tutto. È uno dei miei doni".

Per una volta sperò davvero che sapesse tutto. Che potesse magicamente interpretare e conoscere meglio di quanto non fosse chiaro a lei quello che intendeva dirgli. Che magari capisse quanto fosse sull'orlo di trovare una scusa, fuggire di nuovo, zittirsi, chiudersi, tergiversare. E fermarla prima che lo facesse. Ma non solo era chiedere troppo, perché non lo era, non per Castle, che aveva sempre avuto un sesto senso per quanto la riguardava. Non era soprattutto giusto, nella sua visione di correttezza, di giustizia umana, lasciare a lui il compito di scovarla nel punto in cui si era nascosta un po' tremante, chiedendosi dove se ne fosse andato tutto quel coraggio che si era sempre pregiata di avere. E lo aveva avuto spesso, riconobbe. Ma questa volta era diverso. Ci voleva qualcosa di più, qualcosa che si avvicinava alla temerarietà.

Gli girò le spalle e lo lasciò a bearsi dei propri doni, mentre lo precedeva nella propria auto. Quando si mise al volante e se lo trovò posizionato accanto, stranamente silenzioso, non furono i ricordi delle loro passate scorribande alla ricerca di criminali a farle visita, ma immagini molto più recenti e conturbanti, quelle della serata che avevano trascorso insieme per la presentazione del suo romanzo, un evento che si era trasformato in un trionfo di cui lui era stato il protagonista indiscusso. Dopo la loro chiacchierata nel corridoio, che aveva continuato a turbarla, nonostante avesse cercato di simulare un atteggiamento rilassato – era una celebrazione della carriera di Castle, non c'era spazio per le sue inopportune paturnie -, si era abbandonata non senza un po' di apprensione alla scaletta di eventi attentamente organizzati. Aveva pensato che il suo ruolo sarebbe stato quello di mettersi in disparte e lasciare che il talento creativo di Castle venisse celebrato, come giustamente doveva essere. Ma lui l'aveva stupita ringraziandola pubblicamente, dandole molto più credito di quanto meritasse e lasciando che la gente venisse a complimentarsi con lei, che gli elogi di Castle avevano trasformato in una sorta di eroina dai poteri quasi sovrannaturali impegnata a combattere il crimine. Lo aveva fatto con tanto rispetto e premura che non aveva potuto rimproverarlo di aver attirato su di lei le luci della ribalta. Era rimasta piacevolmente sorpresa, e commossa. E anche molto orgogliosa di lui, quando aveva ricevuto l'onorificenza che il comitato dal nome pomposo – non ricordava quale fosse - gli aveva donato sotto un applauso scrosciante. Gli aveva stretto affettuosamente la mano e gli aveva sorriso felice per lui ed era stata certa che lui avrebbe colto l'occasione di un gesto plateale, per esempio baciarla davanti a tutti. Invece si era alzato e aveva ringraziato tutti, lei per prima, che si era data della sciocca per essersi immaginata chissà che cosa.

Avevano ballato. Lui l'aveva invitata con un gesto d'altri tempi e lei aveva riso e aveva accettato. Forse aveva bevuto troppo. Era senz'altro quello il motivo per cui la leggerezza un po' brilla che l'aveva fin lì sostenuta aveva lasciato il posto a sensazioni travolgenti, suscitate dalla mano ferma di Castle appoggiata sulla schiena lasciata scoperta dalla scollatura dell'abito. Lui non aveva fatto niente che potesse essere interpretato in modo diverso dalla semplice conduzione nella danza, ma lei ne era rimasta così turbata che aveva faticato a tenersi in piedi, sotto quel tocco. Non l'aveva stretta troppo, non oltre i limiti consentiti dal decoro, ma lei aveva avvertito la vicinanza fisica tra loro con una violenza che l'aveva lasciata senza fiato. Soprattutto perché era stato tanto difficile resistergli, resistere al desiderio di osare qualcosa di più e dar spazio a quella naturale progressione degli eventi che le sembrava la più ovvia e naturale. Istintiva.

Si era sforzata di controllarsi, contenersi, reprimere l'istinto, che mai aveva provato con tanta intensità, prima. Ovviamente era stata consapevole di provare per lui una non così sottile attrazione fisica, che era stata una compagna non sempre gradita nei loro anni di lavoro insieme. Ma non era mai stata necessaria la forza per rimanere ferma, non alzare le braccia, non accarezzargli i capelli, proporgli di fuggire lontano, strappargli i vestiti. Non le aveva mai nemmeno pensate certe cose. D'accordo, pensate forse sì. Immaginate, magari. Lo aveva fatto anche lui, nei suoi romanzi, non era una cosa così straordinaria che la rendesse immediatamente colpevole. E forse il lavoro e il suo senso del dovere avevano funzionato come deterrente, per fortuna sua e del distretto.
O forse aveva bevuto troppo, era stanca, la giornata era stata lunga e la generale euforia che proveniva palpabile dalle persone lì riunite per conoscere finalmente l'autore preferito aveva contribuito ad allentare i freni inibitori. Si trattava di isteria di massa, ecco qual era la spiegazione scientifica. Tutti lo trovavano sexy e affascinante, un concentrato di virilità e cortesia, e lei si era fatta contagiare, perdendo il suo spirito critico.

Sapeva di averlo colto di sorpresa quando aveva tirato in ballo tutto quell'assurdo discorso sulle nobili e caste intenzioni e sulla gente del villaggio che fantasticava su di loro, quando si era presentato a casa sua per interpretare il ruolo dell'infermiere provetto. Ma si era sentita in pericolo. Non per colpa di lui. Per colpa di quello che sentiva per lui, nonostante la febbre, l'emicrania, le ossa dolenti e quel generale malessere che l'aveva abbattuta. Non era da lui che doveva difendersi, ma da quella parte di sé che tendeva a prendere sempre di più il sopravvento quando si trovava insieme a lui.
Ma prima di lasciarla agire, prima di arrendersi, era necessario fare qualcosa d'altro. Glielo doveva.

   
 
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