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Autore: evilqueen82    29/04/2018    1 recensioni
Ginny Weasley è una giovane donna in carriera.
Fa la giornalista a Londra e convive da nove anni con la sua compagna.
Ma un incontro inaspettato con un fantasma del passato, stravolge il suo presente.
Perde il lavoro, l'amore ed è costretta a ritornare a Little Hangleton, suo paese natio, dal quale otto anni prima era fuggita.
come se non bastasse è incinta e a molti la cosa non piacerà. A qualcuno meno ancora che ad altri.
I guai per lei sono appena iniziati....
AVVISO AI LETTORI.
tutti i capitoli sono stati revisionati.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Narcissa Malfoy | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Prologo

18 settembre 2013.

Nonostante la data sul calendario non avesse ancora siglato l'arrivo ufficiale dell'autunno, faceva già un freddo insopportabile. Quell’anno a Londra l’inverno era arrivato in anticipo, a causa di forti correnti fredde provenienti dai Balcani.

Anche quella mattina mi ero alzata prestissimo. Mi ero coperta come meglio potevo ed ero uscita ad affrontare una nuova giornata. O meglio dire l’inferno.

Di giorno costretta e correre su e giù per la città per distribuire volantini che la gente si degnava a malapena di leggere e la sera ridotta a lavare i piatti in un modesto pub in periferia.

E quella non era neanche la parte peggiore. Ciò che mi faceva star male era il pensiero che quella vita che stavo vivendo non mi apparteneva, ma che era colpa mia e solo mia se attualmente mi trovavo in quella situazione.

Non riuscivo neanche a guardarmi allo specchio e quando lo facevo non riconoscevo più la mia immagine. Che fine aveva fatto Miss Weasley? Dov'era finito quel peperino dai capelli rossi, gli occhi azzurri e lo sguardo vivace ? Che ne era stato di quella giovane donna piena di passione che amava la vita e il suo lavoro di foto reporter? Se n'era andata? Era sparita per sempre? Probabilmente sì. Al suo posto c'ero solamente io, Ginny1: provinciale di ventisei anni, sola e piena di rimpianti. Lavoratrice precaria, sottopagata, ridotta a vivere in uno squallido residence a basto costo di cui, nonostante ciò, riuscivo a malapena a pagarne vitto e alloggio.

Non potevo tornare dai miei, nove anni prima avevo dato scandalo dichiarando la mia omosessualità ed ero fuggita dal mio paese con Emma2 la mia migliore amica e compagna. Era stata lei a convincermi a scappare: voleva che vivessimo in una grande metropoli.
Una giovane ambiziosa con tanti progetti e determinata a realizzarli. Una ragazza raffinata, dalla classe innata, con dei vaporosi capelli castano chiaro3 e occhi di egual colore che parevano leggerti dentro. Follemente innamorata di lei, non c'avevo pensato due volte a seguirla, rinunciando a tutto e a tutti e troncando ogni legame.


 

All’inizio era stato molto difficile per noi: sole e in una grande città come Londra, non avevamo niente a parte il nostro amore e una valigia piena di sogni. Per cinque anni avevamo dovuto fare i salti mortali: svolto i lavori più umili per pagarci gli studi e l'affitto dell'appartamento in periferia dove vivevamo. Entrambe eravamo riuscite, infine, a laurearci con successo e, dopo vari tentativi, fummo assunte in due giornali importanti. Con uno stipendio decente avevamo potuto finalmente iniziare a risparmiare per comprarci una vera casa.
I quattro anni successivi erano stati lieti: avevamo fatto tanta gavetta ed eravamo avanzate di grado. Io mi occupavo di scattare le foto e scrivere gli articoli di cronaca per una nota testata. Emma invece era diventata un’inviata speciale per una famosa emittente televisiva: tutte le sere la sua faccia appariva in TV, ed era ormai famosa. Ciò non ne aveva cambiato l’indole, ed osservarne il viso di fronte ai riflettori di tutto il paese mi riempiva di orgoglio. Tutti conoscevano la giornalista professionale ed affascinante che incantava il mirino della telecamera ma, tra quelle mura rassicuranti di casa, sarebbe sempre stata la mia Emma .

Ma le cose belle, si sa... sono destinate a finire.

Accadde alla fine di Marzo. Un uggioso e freddo pomeriggio come tanti altri, almeno all’apparenza. Erano appena passate le 15, quando il mio capo ci comunicò che dovevamo andare all’aeroporto di Buckbeak4. In redazione era giunta la notizia che il Presidente della Repubblica Bulgara, Igor Karkaroff5, sarebbe giunto a Londra per partecipare a un summit sul turismo e sull’economia che si sarebbe svolto tra il Primo Ministro inglese e altri importanti esponenti dei vertici europei.

Era la prima volta che quest'uomo partecipava a questo genere di incontri e, soprattutto che fosse disposto a venire in Inghilterra. Si diceva fosse molto riservato e restio alle interviste. E ciò faceva di lui una preda ambita per la stampa.

Io e il mio assistente avevamo il compito di documentare il suo arrivo e le varie tappe della sua permanenza, rubare quanti più scatti possibili, e tentare di ricavargli almeno una breve dichiarazione. Giunti sul posto, vedemmo una moltitudine di fotografi ed emittenti televisive. Tutti aspettavano l'arrivo di Karkaroff. “A quanto pare la voce si è sparsa in fretta”. Mormorai poco entusiasta .

Ma non c'era solo la stampa. Con non poco stupore notai la presenza di alcuni agenti, compresi i cinofili con pastori tedeschi al seguito. Mi domandai cosa stesse succedendo. Potevo capire la sicurezza ma cosa centravano le unità cinofile con il presidente bulgaro? Che stesse accadendo anche qualcos'altro? Provai a chiedere a dei colleghi e mi dissero che doveva essere in corso un blitz antidroga, anche se la notizia non era stata confermata ufficialmente per via del riserbo degli agenti a parlare con la stampa.

Guardai l'orologio, era passata più di mezz'ora e dell'aereo non c'era ancora traccia. Per ingannare l'attesa iniziai a chiacchierare con alcuni colleghi di altre redazioni, fin quando non mi sentii chiamare a gran voce. Mi voltai e vidi Emma che mi sorrideva tra la folla.

Ne fui molto felice, le andai incontro e la baciai. Smettemmo solo quando il mio assistente, al limite dell'imbarazzo, si schiarì la voce. Soffocando qualche risatina, ci ricomponemmo in fretta, dopodiché le domandai cosa ci facesse li6.

Mi disse che anche alla sua sede era arrivata l'informazione e il suo principale l'aveva mandata insieme al cameraman per fare la telecronaca del caso.

Ne fui entusiasta, Londra era molto grande e le emittenti numerose, quindi accadeva assai di rado di incontrarci sul luogo di lavoro. Ulteriore modo per stare assieme. Restammo vicine finché la voce dall’altoparlante ci informò che l’aereo stava per atterrare. A quel punto ci dividemmo tornando alle nostre rispettive postazioni in attesa di vedere il Presidente.

Qualche minuto più tardi, un folto gruppo di passeggeri si recò al nastro trasportatore per ritirare le valigie. Dopo aver preso i bagagli, stavano per uscire ma i cani, che fino a quel momento erano rimasti tranquilli, iniziarono ad abbaiare e ad agitarsi, gettandosi verso una comitiva di cinque ragazzi. Questi, consci di esser stati scoperti, lasciarono in fretta e furia le borse incriminate e si diedero alla fuga. La polizia e i segugi si lanciarono immediatamente al loro inseguimento.

Fu il panico generale: sembrava una scena da film. I cinque braccati correvano a più non posso, facendosi largo a spinte tra la folla incredula e infastidita. Io e la mia troupe, assieme ai giornalisti di altre enti (compresa Emma e il suo cameraman), ci impegnammo a documentare quanto stava accadendo in diretta. Molti altri fotografi, venuti a loro volta per Karkaroff, seguirono il suo esempio e iniziarono a scattare foto a più non posso.

Io e il mio collega, invece, ci distanziammo: volevamo approfittare di quell'occasione per intercettare per primi il Presidente ma di lui e della sua scorta non c'era traccia. Mentre eravamo presi dalla nostra ricerca, uno dei ragazzi inseguiti per poco non ci venne addosso, ci evitò per un soffio, ma dopo averci sorpassati di qualche metro, inciampò e finì per ruzzolare a terra.

Prima ancora di rialzarsi il malvivente fu raggiunto da due poliziotti che gli misero le manette e lo trascinarono via. Rimasi allibita.

Il ragazzo che aveva tentato la fuga era niente meno che Tom Felton7 .

Si trattava di un mio ex compaesano. Uno sbruffone odioso che si dava un sacco di arie solo perché apparteneva a una famiglia ricca e influente. Un vigliacco, un bullo e un prepotente che se la prendeva sempre coi più deboli e i meno abbienti, me compresa.

Non credevo ai miei occhi: che cavolo ci faceva li? Per lo shock di averlo rivisto, rimasi imbambolata, dimenticando persino la mia missione. Fu solo quando il mio collaboratore iniziò a strattonarmi in modo insistente che tornai in me. Ancora scossa gli domandai cosa volesse. Con voce concitata rispose che il Presidente era arrivato. Era appena sbarcato con un aereo privato e stava scendendo dalle scalette, circondato da tutto il suo staff e dalla scorta. Me lo indicò da una delle finestre laterali che davano sulle piste. Mi esortò a sbrigarci: avremmo potuto raggiungerlo prima degli altri fotografi che erano tuttora impegnati a documentare il blitz antidroga.

Io però rimasi impietrita, continuando a guardare in direzione di Tom indecisa sul da farsi. In passato mi aveva spesso umiliata e quella era la mia occasione per fargliela pagare. Potevo raggiungere il Presidente, come mi era stato ordinato, oppure inseguire lui, approfittare del fatto che non mi avesse vista per prenderlo di sorpresa e fargli qualche scatto che avrei sbattuto in prima pagina.

Avrei dato ai miei compaesani qualcos'altro di cui (s)parlare. Inoltre, il fatto che fosse il rampollo dei Felton (proprietari nonché fondatori della Gringott Bank8) giocava a mio favore. Guardai di nuovo in direzione del ragazzo e sorrisi determinata.

Avevo preso la mia decisione. Che gli altri perdessero pure tempo con quei quattro o con il Presidente. Io avevo tra le mani lo scoop dell’anno. Informai il mio assistente ma senza svelargli troppi dettagli. Quest’ultimo mi chiese se fossi impazzita, cercò di farmi cambiare idea ma io fui irremovibile.

Lo pregai di andare da Karkaroff da solo, spronandolo e dicendogli che era abbastanza bravo e che se la sarebbe cavata perfettamente da solo. Non ci sarebbe voluto molto tempo, dopotutto, e lo avrei raggiunto il prima possibile.

Mi allontanai mentre cercava ancora di farmi cambiare idea.

Corsi nella direzione scelta, sorridendo entusiasta di quell'occasione unica e irripetibile. Consapevole che, sì, avrei preso una strigliata per il mio colpo di testa, ma sicura che ne sarebbe valsa la pena.

Non avrei mai potuto immaginare quello che sarebbe successo dopo...

Capitolo 1

Non passa giorno nella mia vita attuale senza che io ripensi a quello che ho combinato. Sono passati diversi mesi ma è tutto ancora vivido in me. Ogni parola, ogni istante di quel giorno è inciso nella mia memoria e ogni notte continuo a riviverlo nei miei incubi.

Giunta all'aeroporto per fare un servizio sul Presidente della Repubblica Bulgara, ero incappata in un blitz antidroga. Nella confusione generale avevo riconosciuto uno narcotrafficanti: Tom Felton, un mio ex compaesano. Un tipo odioso e snob, di famiglia benestante.

Contro il parere del mio collega, avevo deciso di inseguirlo per fare il mio scoop e allo stesso tempo vendicarmi delle angherie a cui mi aveva sottoposta da piccola.

Ignara di ciò che mi aspettava, proseguii fino in fondo con la mia decisione.

Nel mentre, gli altri agenti continuavano a seguire il resto della comitiva. Vidi con la coda dell'occhio Emma che continuava a registrare e a commentare l'accaduto davanti alla telecamera. Mi allontanai di soppiatto: arretrai tra la folla di giornalisti e i flash degli altri reporter che continuavano a documentare l'inseguimento. La voce dell'arrivo di Karkaroff si stava spargendo e alcuni paparazzi si staccarono dalla ressa e corsero in sua direzione. Altri invece rimasero, smaniosi di accaparrarsi il primo scatto della cattura dei narcotrafficanti.

Io intanto proseguii per la mia strada e seguii da debita distanza Tom che veniva trascinato in uno stanzino da due energumeni. Pensai che volessero interrogarlo ed entrai di nascosto per assistere.

Era uno posto squallido, privo di finestre e malamente illuminato. Al centro vi era un tavolo quadrato e due sedie.

Ma io rimasi allibita da ciò che vidi: Tom era in piedi, girato verso il muro, con le mani sulla parete e le gambe divaricate. Si dibatteva a imprecava furiosamente mentre uno degli sbirri gli puntava la pistola contro e l'altro, grosso e muscoloso, gli toglieva la camicia e gli tastava i pantaloni, perquisendolo ovunque.

Gridai di impulso il suo nome. Si voltarono tutti e tre sorpresi. Specialmente lui.

Si sporse in avanti, poi strinse gli occhi e mi fissò intensamente finché, dopo quello che mi parve un secolo, non li spalancò per lo stupore. Mi aveva riconosciuta.

“Ma che diavolo?! Ginny?!” Domandò, in tono incerto, sollevando un sopracciglio. “Ginny Weasley?!”. Ripeté come per accertarsi di non aver preso un abbaglio.

“Proprio io”. Risposi, incrociando le braccia al petto e guardandolo seria.

“Cavoli! Sul serio?”. Ancora non credeva ai suoi occhi. Continuava a sbatterli come a voler esser sicuro che non fossi una visione.

Alzai gli occhi al cielo, già pentita di essere entrata. ”Sono davvero io”, ripetei per poi rilasciare un sospiro.

“WOW! Non ti avevo riconosciuta con quel look9: stai bene!”. Commentò con un sorriso.

Sì certo, come no! Dopo tutti quegli anni in cui mi aveva disprezzata, ora mi diceva che stavo bene? Ma chi credeva di prendere in giro?!

“Allora che ci fai da queste parti?”. Mi domandò continuando a sorridermi.

Un sorriso che non ricambiai. Mi limitai a fissarlo in silenzio.

Piantala di essere gentile, tanto non ci casco.

“Allora non rispondi?”. Insistette lui. “Che ci fai qui?”.

Continuai a tacere. Non potevo credere che fosse cambiato. Era passato oltre un decennio ma, nonostante ciò, aveva sempre la stessa faccia da schiaffi. Un viso pallido, appuntito e beffardo circondato da una chioma di capelli biondo miele, gli occhi azzurri striati di grigio e quel ghigno insopportabile. E se non era cambiato in quello, figuriamoci di carattere. No, stava senz'altro fingendo.

Avevo fatto queste considerazioni tra me e me, tuttavia dal modo in cui ora mi fissava, sembrava avermi letto nel pensiero. E quasi a voler confermare le mie congetture, se ne uscì con una frase che non lasciava adito a dubbi circa la sua vera indole.

“Ehi, sei non vuoi rispondere va bene, ma almeno non startene lì impalata, Godzilla! Piuttosto, già che si sei, vieni qui e dammi una mano con questi due”.

MA CHE CA…? Non credevo alle mie orecchie. Smessi i finti convenevoli per la shock di avermi rivista (tanto lo sapevo che stava fingendo) , aveva subito ripreso con le vecchie maniere. Era come se non fosse mai passato del tempo dal nostro ultimo alterco. Anzi, era persino peggio di allora. Non solo mi aveva apostrofato con uno dei peggiori nomignoli che mi avesse mai affibbiato, quando eravamo solo due ragazzini mai aveva appena parlato come faceva con i suoi amici leccapiedi: lo stesso tono perentorio con cui li comandava a bacchetta.

Brutto idiota presuntuoso. Lo sapevo che non era cambiato. Imbecille. Cretino degli abissi.

“Allora? Che fai: mi aiuti o no?”, mi domandò in tono persino più petulante.

Col cavolo!

Gli dissi che era impazzito, che non ero venuta a dargli una mano ma che, al contrario, volevo godermi lo spettacolo e documentarlo. E sorridendo malignamente gli sventolai davanti il mio pass da giornalista.

Sorriso che si ampliò quando vidi i suoi occhi divenire due fessure e il ghigno sparire. “Una giornalista, eh?”. Domandò con malcelato disprezzo.

“Fotoreporter – precisai in tono pomposo – coraggio, mettiti in posa che ti faccio il book”. Lo provocai per farlo irritare ancora di più. Simulai il gesto di mettere a fuoco la sua immagine con la macchina fotografica.

Non ero in me dalla gioia. Finalmente stavo avendo la mia riscossa.

Stavolta pagherai per tutte le cattiverie e le umiliazioni a cui mi hai sottoposto da ragazzina. Pensai senza staccargli gli occhi di dosso.

“Se è così, non dovrebbe neppure essere qui”. Intervenne uno degli sbirri, interrompendo le mie congetture mentali e quel gioco di sguardi.

Distolsi la visuale da Tom e la orientai verso il poliziotto. Era un tipo alto con un taglio di capelli a scodella e il collo taurino.

“Se ne vada: questo posto è riservato alla polizia!”. Mi ordinò minaccioso.

Probabilmente convinto che il tono severo e la divisa mi avrebbero intimorita e fatta desistere dai miei propositi, non sapeva ancora con chi aveva a che fare. Affatto spaventata risposi che intendevo rimanere e godermi lo spettacolo e, senza svelare l'identità di Tom, lo invitai a continuare la perquisizione. Io mi sarei limitata a scattare foto e ridere “in ricordo dei bei vecchi tempi!”. Pronunciai “vecchi tempi” con sottile ironia. Tom se ne accorse e mi lanciò un occhiataccia, sorridendo ne approfittai per scattargli la prima foto.

Infastidito si voltò bruscamente, rivolgendomi un insulto. Divertita gliene scattai delle altre e lui continuò a imprecare mentre cercava di evitare l'obiettivo. Il flash fece spazientire anche lo sbirro che m'intimo di smetterla e andarmene o mi avrebbe sbattuta fuori.

“Ci provi. Io non mi muovo di qui”. Lo sfidai, e nel mentre feci altri scatti.

Ero entusiasta e assai divertita nel vedere Tom cosi irritato. Sarebbe valsa la pena di un rimprovero dal mio direttore solo per quello. Senza contare le reazioni che avrei scatenato nel nostro paesino d’infanzia.

“ADESSO BASTA, DOVRÒ RICORRERE ALLE MANIERE FORTI”. Tuonò lo sbirro che ormai aveva perso le staffe. Si allontanò da Tom e mi prese per un braccio. L'altro, un tipo tarchiato, era un po' più basso del collega, aveva capelli ispidi e corti e lunghe braccia scimmiesche10.

Molto scioccamente, incuriosito dalla disputa, voltò le spalle a Tom per osservarci. Quest'ultimo approfittò della sua distrazione: lo disarmò e lo colpì alla nuca con il calcio della pistola, tramortendolo. Si avvicinò all'altro che ancora mi stringeva il braccio e lo colpì prima che potesse reagire.

“Tsk ,che idioti ! Non avreste mai dovuto togliermi le manette”. Commentò, scuotendo il capo e guardando schifato i loro corpi esanimi. Gettò l'arma ai loro piedi, dopodiché tornò verso il muro e raccolse la sua camicia dal pavimento.

“MA CHE CAVOLO HAI FATTO, SEI IMPAZZITO?”. Sbottai istericamente. Avevo gli occhi fuori dalle orbite per lo shock.

“Almeno non ci disturberanno”. Rispose tranquillo rivestendosi, mentre io, con le mani tra i capelli, guardavo atterrita i due agenti. Continuai a ripetergli che era un pazzo senza staccare gli occhi dai due. Il tono della mia voce era divenuto piagnucoloso. Se solo avessi dato retta la mio collega. Ero io la matta per essere entrata in quella stanza. Non avrei dovuto seguirlo... e ora cosa avrei fatto? Volevo divertirmi a sue spese e adesso invece rischiavo di finire nei guai non solo con la redazione, ma persino con la polizia.

Ero talmente incredula per la piega che avevano preso gli eventi che lì per lì non avevo badato alla sua risposta. Poi il senso di quelle parole mi riecheggiò nella testa come un urlo. Sbarrai gli occhi e mi volsi di scatto a guardarlo .

“Un momento! Non ci disturberanno per cosa?!”.

Sollevò il sopracciglio e mi lanciò un occhiata allusiva prima di scavalcare i due agenti e avanzare in mia direzione.

“EHI NON AVVICINARTI!”. Lo minacciai, puntandogli il dito contro, ma dalla mia voce trapelò una nota di panico. Arretrai istintivamente, pronta a colpirlo nelle parti basse e scappare se fosse stato necessario. Consapevole del mio disagio, proruppe nel suo solito ghigno e si avvicinò ulteriormente.

Non si fermò fin quando, costretta ad arretrare ancora, non mi ritrovai letteralmente con le spalle a muro. In trappola. Era spaventosamente vicino. Se avesse fatto un altro passo, il mio corpo sarebbe stato pressato tra la parete e il suo torace. Non era molto più alto di me, ma in quella situazione sembrava quasi che mi troneggiasse11.

Spaventata, (ma decisa a conservare un briciolo di dignità) presi a minacciarlo di ritorsioni, a dirgli che avrei testimoniato contro di lui, se mi avesse alzato un dito contro.

Sembrò colpito dalla mia reazione ma la cosa parve stimolarlo oltremodo. Sollevò le braccia e posò le mani sulla parete appena sopra alle mie spalle, poi mi guardò come a voler dire: “E allora?”. Nonostante il terrore per ciò che poteva farmi, nonostante l'istinto mi suggerisse di fuggire e allontanarmi in fretta da quella situazione, rimasi immobile e lo guardai con astio.

“Sentiamo: che cosa vorresti farmi adesso?”. Lo sfidai a mia volta.

Si avvicinò ulteriormente e, chinandosi, mi sussurrò all’orecchio: “Non so, tu cosa vuoi che faccia?’”. Il tono basso appena sussurrato e gli occhi accesi di malizia.

“Puoi toglierti di mezzo e farmi passare”. Gli risposi con un sorriso forzato.

“Come, vuoi andartene? Proprio adesso che potevamo parlare indisturbati”.

Gli risposi che non avevo nulla da dirgli, che avevo già ottenuto quello che volevo e nel mentre sollevai la testa alla ricerca di un varco per oltrepassarlo e andare via.

Mi chiese se mi riferivo alle foto.

“Esatto”. Mormorai a denti stretti.

“Voglio proprio vedere come sono venute”. Commentò e, con gesto improvviso afferrò la macchina fotografica e iniziò ad esaminarla.

“EHI, MOLLA L'OSSO”. Gridai. Avevo paura che volesse rompermela. Con tutti i sacrifici che avevo fatto per acquistarla avrei preferito che mi uccidessero piuttosto che perderla. Ero già pronta a tirargli un calcio dove non batteva il sole e riprenderla, ma inaspettatamente me la restituì.

“Ottima marca: hai rapinato una banca per comprarla?”, mi domandò con aria incuriosita.

“Non sono affaracci tuoi!” Berciai offesa e la riposi al sicuro nella borsa. Ancora una volta aveva sottolineato il fatto che venissi da una famiglia di umili origini. Avevo ragione, non era cambiato affatto: stronzo era nato e tale era rimasto.

Cominciai ad averne abbastanza di quella situazione surreale. “FAMMI PASSARE!”. Tuonai ma lui sorrise e non si scostò di un millimetro. “TI HO DETTO DI SPOSTARTI”. Insistetti sempre più seccata e insofferente. Al suo ennesimo rifiuto, feci leva sulle braccia e gli diedi uno spintone tale da scostarlo di un metro, riuscendo così a oltrepassarlo e a mettermi a una certa distanza di sicurezza.

“Wow che grinta: sono colpito”. Commentò divertito e gli occhi parvero illuminarsi ancora di più.

Lo guardai con profondo disprezzo chiedendomi come al mondo potesse esistere un essere cosi spregevole. Non mancai di esprimergli il mio pensiero ad alta voce. “Non sei cambiato affatto, anzi se è possibile sei anche peggio di prima”. Lo apostrofai velenosa

Tornò serio. Incrociò le braccia al petto e mi fissò intensamente. “Interessante – mormorò – dai, continua”.

Non me lo lasciai ripetere due volte. “Sei un essere presuntuoso e pieno di boria ”.

“Ma va”. Si limitò a rispondere, scrollando le spalle come se nulla fosse. Doveva essere avvezzo agli epiteti e personalmente, in passato, gliene avevo detti parecchi. “Sei arrogante”. Proseguii, decisa comunque a non arrendermi e a fargli abbassare le penne. “Viziato”.

Si portò una mano alla bocca simulando il gesto di sbadigliare.

Prepotente”. Insistetti.

“Puoi fare di meglio - mormorò in tono strascicato – ti sei rammollita con gli anni”.

Maledetto spocchioso, ora ti faccio vedere io.

“Sei un poco di buono, lo sei sempre stato e sapevo che prima o poi saresti finito male!”. Lo dissi con tutta la cattiveria possibile, sperando di colpirlo nel vivo ma neanche stavolta fece una piega. Anzi sembrava quasi fosse lusingato. Più che mai indispettita, gli riferii che non solo i compagni di scuola, ma tutto il paese lo aveva sempre odiato e sperava che facesse una brutta fine.

Questo parve colpirlo. “Sul serio? – mi chiese con aria falsamente impressionata – ero davvero cosi terribile?”.

“Oh, sì! – riposi indignata – E oso dire che lo sei ancora. Ogni mio ricordo legato a te fa schifo, e ciò che hai fatto oggi, aggiunge solo altro risentimento. Ho fatto male a venire qui, Io ti odio Tom Felton e spero di non rivederti mai più”. Glielo dissi senza remore, guardandolo dritto negli occhi, in tono chiaro e risoluto.

Lui sembrò incassare il colpo, fece schioccare la lingua sul palato e rimase qualche istante in silenzio prima di chiedermi: “Quindi non mi crederesti se ti dicessi che invece sono cambiato?”.

“Se fossi una brava persona non ti troveresti qui, fermato per traffico di droga”. Gli feci notare.

”Touché”. Commentò con un alzata di spalle. Rimase di nuovo in silenzio poi disse: “Forse non posso provarti che non sono più lo stesso di un tempo, ma di sicuro tu non lo sei”.

“Cosa intendi?”. Non che mi interessasse la sua opinione: era semplice curiosità femminile.

“Sei migliorata – rispose senza mezzi termini – non sembri più un dinosauro....

sei quasi…. carina ”.

Quasi? Avrei dovuto sentirmi offesa, ma considerando che “insulsa” era il modo più gentile con cui mi aveva definita in passato, potevo sbilanciarmi e dire mi aveva appena fatto “quasi un complimento”. Mi portai le mani sul cuore in un gesto teatrale : “Oh, sono lusingata, prima mi dici che sto bene e ora addirittura che sono quasi carina. Troppo gentile”. Avevo usato un tono sarcastico, mimando il gesto delle virgolette per meglio enfatizzare l'avverbio.

“Guarda che sto parlando sul serio” insistette ma dal tono sembrava divertito.

“Sì, sì, ti credo. Anzi, se non ti conoscessi direi che ci stai provando con me”, risposi con evidente sarcasmo.

“Ti piacerebbe”. Fu il commento provocatorio. Sollevò il sopracciglio con fare ammiccante.

Alzai gli occhi al cielo. “Piantala idiota. So che mi stavi solo prendendo in giro e anche io. E comunque nonostante ciò che pensavi o puoi pensare ancora di me, si da il caso che io sia felicemente impegnata”.

Incrociò le braccia al petto e mi scrutò con sommo interesse per poi chiedermi se stavo ancora con Emma.

“Vedo che le chiacchiere sono arrivate anche ai piani alti”. Commentai un poco infastidita al ricordo di quanto accadde otto anni prima.

“Emma Watson– sorrise, evocandone il nome – ho sentito parlare di lei: la ragazza più intelligente della contea, nonché una secchiona dispotica e alquanto intrattabile” .

Lo disse senza mezzi termini, facendomi irritare. “Ma come ti permetti? Neanche la conoscevi! 12”. Ringhiai sdegnata, lanciandogli uno sguardo malevolo.

“Già non la conoscevo – convenne lui – però vi ho viste in giro qualche volta, so che eravate inseparabili”.

“Che strano: non ricordo di averti mai incontrato, quand’ero con lei”. Replicai.

“Tutto il paese credeva che foste come sorelle”. Dichiarò con una scrollata di spalle.

“Lo ricordo bene, è per questo che ce ne siamo andate”. Il tono basso e la mente a rievocare quei tempi lontani ma ancora dolorosi.

“Avete fatto bene. Anche io sono scappato alla fine”.

Sollevai di scatto la testa e lo guardai stupita. “Anche tu sei gay?”.

Sorrise beffardo. “Secondo te?”

“Non so, dimmelo tu”. Insistetti per prenderlo un po' in giro, ma gli ero intimamente grata per avermi riportato al presente.

“Che fai provochi? Se vuoi, te lo dimostro qui e adesso”. Rispose e mi guardò dall'alto in basso con fare lascivo.

“Ti piacerebbe”.

Sorrise per come gli avevo rigirato la sua stessa battuta. “Comunque per rispondere alla tua domanda – riprese, schiarendosi la voce dopo esser tornato serio – non sono gay, me ne sono andato per ribellarmi ad un destino già segnato”.

Sbarrai di nuovo gli occhi, stavolta ero davvero sorpresa. “Che cosa intendi?. Gli domandai mio malgrado. Ma me ne pentii subito dopo.

La sua espressione si era incupita e fui quasi certa che mi avrebbe mandata a quel paese per avergli chiesto qualcosa di così personale. Invece, dopo qualche istante di silenzio teso, in cui non aveva smesso di fissarmi, mi rispose. Usò un tono sommesso, quasi sussurrato nel raccontarmi di come a diciassette anni si fosse già iscritto all'università che aveva scelto suo padre e che, dopo la laurea in economia e commercio, aveva iniziato subito a lavorare nella sua azienda. “Ma non era quello che volevo – commentò in tono risoluto, fissandomi con occhi limpidi – come te desideravo trovare la mia strada da solo, senza dover seguire regole e render conto a qualcuno, volevo allargare i miei orizzonti e scoprire me stesso”.

Era la prima volta, da che lo conoscevo, che lo sentivo parlare così. Ciò mi lascio letteralmente senza parole. Avevo sempre pensato che il potere e il prestigio fossero le uniche cose che gli interessassero. Per anni me l'ero immaginato a ricoprire un ruolo importante nell'azienda della sua famiglia e invece era lì, in quell'aeroporto, arrestato per traffico di droga.

Possibile che al di la sue delle maniere piuttosto discutibili fosse cambiato davvero? Ma come potevo esserne sicura? Vista la sua situazione attuale e il fatto che proprio davanti ai miei occhi avesse steso quei due agenti, come potevo ritenerlo una persona per bene?

Eppure dopo ciò che mi aveva appena confidato non riuscivo più a vederlo coi stessi occhi. E ad un tratto mi sentii una vera sciocca per averlo giudicato a prescindere. Infondo erano passati molti anni da quando l'avevo visto l'ultima volta: in quel lasso di tempo poteva essergli successo qualcosa che l'aveva fatto maturare.

Mi schiarii la voce. “Sei meno stronzo di quanto ricordassi”. Gli concessi infine.

Un modo come un altro per rompere qual silenzio imbarazzato e soprattutto perché glielo dovevo.

Tom, che dopo aver finito di parlare, aveva rivolto il suo sguardo in un punto indefinito, si riscosse dai sui pensieri, e lo riportò su di me. “Grazie, sono lusingato” il tono era ironico ma dal sorriso intuii che era sincero. Un sorriso diverso, non il solito ghigno: aveva un che di nostalgico. Un lieve sprazzo di dolcezza che fino ad allora non gli avevo mai visto. E mai gli avrei attribuito. Quasi lo ritenessi incapace di provare emozioni positive.

E mi sentii ancora più stupida per questo. Abbassai gli o occhi, improvvisamente incapace di sostenere il suo sguardo. Provavo vergogna per il mio comportamento sciocco e infantile.

Imprecai mentalmente contro me stessa, chiedendomi di nuovo perché non avevo dato retta al mio collega. Avrei potuto essere con lui, alle calcagna del Presidente Karkaroff invece di andarmi a ficcare in una situazione cosi assurda e ridicola. Pensai che era meglio filarsela prima che le cose si facessero ancora più imbarazzanti. “Devo andare adesso. Si è fatto tardi” Gli annunciai, costringendomi a guardarlo nuovamente, sperando che dal mio viso non trasparisse alcuna emozione.

“Verrai a trovarmi in carcere?”. Chiese all'improvviso, mentre mi apprestavo a raggiungere l'uscita, dopo essermi congedata.

Mi voltai di scatto: “Cosa?”.

“Vorrei che venissi a farmi visita. Saresti l'unica faccia amica che vedrei”.

Scossi la testa, ma parlai in tono composto. “Solo perché abbiamo parlato negli ultimi dieci minuti senza scannarci, non vuol dire che siamo amici”.

“Per me lo sei: sono contento di averti rivisto, dico sul serio”. Infatti non c'era traccia di ilarità sul suo volto. Era sincero come poco prima.

Tuttavia la sua richiesta mi pareva assurda e fuori luogo. Gli rammentai che non ero sua amica e che, al contrario, ero andata lì per rovinarlo e, nonostante la breve tregua, ero pronta a pubblicare i mie scatti.

“Quelle foto non sono niente, la mia faccia sarebbe apparsa comunque sul giornale”, replicò con uno scrollo di spalle.

“Non credo. Al massimo sarebbe apparso il tuo nome su un trafiletto, qui nessuno sa chi sei, ma con le mie foto invece lo sapranno tutti”.

“E’ questo che vuoi, la vendetta?”. Non sembrava arrabbiato, piuttosto deluso.

Replicai che non si trattava solo di una questione personale ma che, come giornalista, gli scoop erano la mia priorità. Tuttavia gli promisi, senza che lui me lo chiedesse, che ciò che mi aveva confidato poco prima sulla sua fuga dal padre, non sarebbe stato divulgato.

Scrollò le spalle: “Fa come vuoi”. Il tono rassegnato mentre mi voltava le spalle senza neanche salutarmi.

Sentirgli pronunciare quelle parole fu come ricevere un pugno nello stomaco. Non mi ero mai sentita tanto un verme in vita mia.

Lo vidi dirigersi verso uno dei due sbirri e colpirlo piano con un piede con l'intento di risvegliarlo. Una volta che i due agenti avessero ripreso i sensi per Tom sarebbe stati guai seri. Probabilmente l’aggressione avrebbe comportato un aumento della pena prevista per il traffico di droga.

E all'improvviso mi sentii invadere dall'angoscia e da un profondo senso di tristezza e pietà. Era vero che, soltanto fino a qualche minuto prima, lo consideravo la mia nemesi, ma dopo averlo sentito parlarmi con quella fiducia e confidenza, qualcosa era cambiato in me. Non ero diventata la sua fan numero uno, ma almeno avevo smesso di disprezzarlo e di certo non gli auguravo di finire in manette.

E a quel punto feci qualcosa che non mi sarei mai sognata di fare. Tornai verso di lui e gli afferrai un braccio. “Fermo, aspetta”.

Si voltò sorpreso. “Cosa c'è?”.

Non mi feci scoraggiare da quei modi bruschi. Mi allungai verso l'alto e gli bisbigliai vicino all'orecchio: “Sei ancora in tempo per fuggire: io non ti ho visto e tu non hai visto me”.

Mi sarei aspetta che mi ridesse in faccia, che facesse qualche battutina su una nostra improbabile fuga romantica. Che mi scacciasse in malo modo o cogliesse al volo l'occasione che gli stavo offrendo. Invece la sua reazione mi spiazzò totalmente.

Dopo avermi guardata per qualche istante senza dire nulla, si chinò, mi prese il viso tra le mani e mi baciò sulle labbra. Un bacio intenso da lasciarmi senza fiato e che mi sconvolse totalmente.

Col viso in fiamme, il fiato corto e il cuore che sembrava scoppiarmi nel petto, lo guardai come non avevo mai guardato nessun uomo in tutta la mia vita.

Non mi importava più di tutto quello che mi aveva fatto in passato.

Non mi importava che era un trafficante, che era stato arrestato, che aveva appena aggredito due poliziotti. Non mi importava se ero entrata per vendetta. Non mi importava più di niente e di nessuno.

Riuscivo a pensare solo a ciò che sentivo in quel preciso istante. Con lui.

Gli gettai le braccia al collo, attirandolo verso di me e, dopo averlo baciato a mia volta con un ardore che non sapevo di avere, lasciai che mi afferrasse per la vita e mi prendesse in braccio. Gli circondai il torace con le gambe per non cadere e poi, dopo esserci distesi sul tavolo dell'interrogatorio, ci abbandonammo completamente alla passione13.

Dimenticai che ero una giornalista in servizio. Mi dimenticai di Emma e di tutti i sacrifici per il nostro amore. In quello stanzino c'eravamo solo io e Tom: il resto del mondo non esisteva più.

Fin quando lo stanzino non si aprì... e tutto il mondo non penetrò in quella stanza.

Lo scandalo che ne seguì fu di dimensioni bibliche.

Giornalista sorpresa a fare sesso con narcotrafficante nell'aeroporto di Londra. Il titolo fu riportato su tutte le testate cittadine e la notizia fu divulgata dai telegiornali. La cosa peggiore fu che quella circostanza aveva oscurato la notizia originale: l'arresto degli altri quattro detenuti e il blitz con sequestro di droga.

Fu aperta un'inchiesta. Non venni radiata ma persi credibilità e di conseguenza anche il capo mi licenziò.

Come se non bastasse Emma non volle più saperne nulla di me. Rea del tradimento, ebbi giusto il tempo di raccogliere le mie cose e prendere la metà dei risparmi della casa che avremmo dovuto comprare. Dopodiché fui cacciata dal nostro appartamento. A nulla valsero i miei tentativi di riappacificazione. Sia lei che i nostri amici in comune mi voltarono le spalle, così anche i miei ex colleghi.

Nessuno mi aiutò. Nessuno si offrì di ospitarmi, né di raccomandarmi per qualche lavoro. Ma soprattutto nessuno volle più assumermi. Né come giornalista, né come segretaria e neppure come call center. Sola e costretta a ricominciare letteralmente da zero. Inerme a dover affrontare mille ostacoli e difficoltà, triste e depressa.

Ma questo fino a ieri.

Perché da oggi sarebbe cambiato tutto.

22 settembre 2013.

Ero appena stata a trovare Tom e gli avevo fatto, a suo dire, “ il più bel regalo di compleanno che avessi mai potuto desiderare”.

Continua….


 

Salve gente. Questa che avete appena finito di leggere era la milionesima revisione, di un progetto iniziato nel 2010 concluso la primavera dell'anno seguente.

Un progetto che però non mi aveva mai convinta realmente e che nel corso degli anni ho cercato di aggiustare, modificare tra cambi di ambientazione, cast e via dicendo.

Sarebbe troppo lunga da raccontare e non voglio tediarvi: vi dico solo che alla fine ho deciso di fare un passo indietro e tornare alle origini. Mettendomi a lavorare seriamente per dare un po' più spessore a tutto e riscrivendo ex novo i capitoli che proprio non mi convincevano. Ma soprattutto ho voluto dare un volto nuovo (ma ben più noto ) alla protagonista.

E chi meglio di Ginny Weasley poteva calarsi in questo ruolo?

La mia amica Kiki 87, anche lei scrittrice in questo sito, e che ha seguito tutto l'iter e i sbattimenti per questa fan fiction, mi sta dando una mano, correggendo le bozze prima di pubblicarle.

Sappiate comunque che si tratta pur sempre di una storia leggera e senza pretese, e che i protagonisti (in questo frangente) non sono un modello da prendere ad esempio (a Beautiful mancano soltanto loro) quindi affezionatevi pure se volete ma non imitateli.

Non so ancora come finirà tutto ma vi prometto che farò il possibile per non annoiarvi e per finire soprattutto. Grazie di cuore a voi 3 o 4 persone che avete letto e che continuerete a leggere. Avete un coraggio da leoni. A presto
PS: Sappiate già da ora che prima e dopo i capitoli non vi risparmierò cazzate e commenti idioti su quanto ho scritto.

1 Ovviamente ha il volto di Bonnie Wright, l’attrice che l’ ha interpretata nei film . Ovviamente a lei soprattutto, ho voluto dare un carattere un po’ diverso e più complesso.  Ho pensato, inoltre che essendo l'ambientazione non magica, ad alcuni personaggi userò i nomi dei libri, per altri li cambierò con quelli dei loro interpreti. . Spero che non sia un problema.

2 Ginny ed Emma. Avevate mai pensato a loro come coppia? Io no, fino a questo momento.

3 Avevo scritto due capelli :D :D

4 Almeno anche qualcun altro potrà dire di aver volato su un ippogrifo. #lol

5 Il preside dell'Istituto di magia di Durmstrang, apparso in Harry Potter e il calice di fuoco.

6 Voleva controllare se sull'aereo ce stava pure Krum... oh Ginny, ma che domande fai?!

7 Cosa?! Dopo aver recitato in un paio di film e serie TV ti metti a fare lo spacciatore? Vergogna! Tuo padre lo verrà a sapere.

8 La banca dei maghi.

9 I due non si vedevano da 12 anni e all’epoca Ginny era un vero maschiaccio con la coda di cavallo e abiti sportivi, mentre ora esibiva un tailleur pantalone grigio chiaro e i capelli sciolti, tagliati sopra le spalle.

10 Per chi se lo fosse chiesto, i due sbirri non sono altro che quegli stupidi di Tiger e Goyle. Anche in versione sbirro sono due geni del male.

11 Tom è alto un metro e 75, Ginny uno e 68. sono entrambi nella media.

12 Infatti a quei tempi suo padre lo mandò a studiare in un collegio svizzero.

13 Alzino la mano, quelle che di voi avrebbero voluto questa scena..

   
 
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