“Dove stiamo andando?”
Chiese la bambina, ormai
stanca di portare i piedi uno davanti all’altro, senza sosta da ore. Era
abituata a camminare e di solito non si lamentava, però ormai lei e l’amico del
padre erano in cammino da tre giorni, si fermavano solo per mangiare e dormire,
l’asinello che li seguiva era carico di bisacce e non poteva essere cavalcato,
mentre lei sentiva i piedi doloranti e pieni di vesciche.
Non ne poteva più!
Sì, era stato suo padre a
dirle di seguire Hermanno che l’avrebbe portata a fare un bel viaggio e che lui
li avrebbe presto raggiunti, ma non sembrava affatto così. Finora avevano
vagato per boschi, evitando il più possibile i campi aperti e lei aveva la
netta impressione che l’amico del genitore non avesse davvero idea di dove
andare.
“Resisti ancora un poco, Hermeneia.” la esortò lui, voltandosi per sorriderle “Devo
solo trovare un posto per la notte.”
“Ieri abbiamo dormito nelle
amache, non possiamo farlo anche oggi? Io mi diverto.”
“Non ne dubito, ma
preferisco altre soluzioni. Qui vicino ci sono delle colline rocciose, forse
troviamo una grotta dove ripararci. Vedi le nuvole?” aggiunse indicando il
cielo, per quel poco che si intravedeva tra le fronde.
“Minacciano pioggia. Io
preferirei stare all’asciutto e tu?”
La piccola ammise che
l’uomo aveva ragione e continuò a camminare, pur controvoglia.
Gli alberi crescevano
piuttosto fitti e le chiome intrecciate lasciavano trapelare solo raggi di Sole
ormai tenui. Gli occhi dei due viaggiatori avevano dovuto abituarsi alla
penombra e spesso erano fissi sul terreno per accertarsi che nulla si
nascondesse in mezzo a quell’erba alta fino al ginocchio dell’uomo. Più di una
volta Hermanno aveva dovuto mettere mano al lungo coltellaccio che aveva appeso
al fianco destro (sul sinistro aveva la spada) per sfrondare un poco il
passaggio, non perché fosse ostruito ma per liberarlo dai rovi: non voleva che
la piccola si graffiasse le gambe.
In quei lunghi giorni di
viaggio avevano avuto la compagnia solo degli animaletti che popolavano il
bosco: erano rallegrati dal cinguettio di qualche crociere, oppure Hermeneia si distraeva, seguendo con lo sguardo il
rincorrersi degli scoiattoli tra i rami.
Una brezza di vento portò
il buon umore all’uomo che annunciò alla bambina che ormai erano arrivati e con
la mano la spronò a non fermarsi. L’aria attorno a loro si fece più luminosa,
sebbene la luce fosse quella rossiccia del tramonto. La vegetazione divenne più
rada fino ad interrompersi bruscamente a una manciata di metri da una parete di
pietra, così alta e vicina che, per vederne la cima, non bastava piegare del
tutto il collo all’indietro.
“Visto? Proprio come avevo
detto.” si compiacque Hermanno, sperando che ciò servisse a rincuorare la
bambina a cui poi domandò: “Mi aiuti a cercare una grotta? Facciamo una gara a
chi la trova per primo?”
Hermeneia annuì felice e cominciò subito a
scrutare la collina, in ogni direzione.
Camminarono rasenti alla
parete per diversi minuti, prima di imbattersi in una spaccatura. L’imboccatura
era bassa e stretta per una persona adulta ma immetteva in un antro ampio a
sufficienza per accogliere cinque o sei persone sdraiate, senza che sbattessero
la testa se decidevano di stare in piedi.
“Bene, io accendo il fuoco
con la legna avanzata, tu vanne a cercare dell’altra.” ordinò Hermanno,
iniziando a liberare l’asino da alcuni pesi “Non allontanarti troppo, mi
raccomando. Ogni due minuti fa un fischio, se senti il mio di risposta, bene,
altrimenti significa che devi tornare più vicina.”
“Sì, lo so.” sbuffò la
bambina “Me l’hai già detto.”
“Cosa devi fare se sei in
pericolo?” la mise alla prova lui.
“Gridare con tutta la voce,
così corri subito.”
“Brava. Va e torna presto!”
Hermeneia tornò tra gli alberi a cercare
bastoni secchi e rami spezzati. Pareva non sentire più male ai piedi: avere una
responsabilità la rendeva felice e ignorava tutto il resto. Avrebbe tanto
voluto avere braccia più lunghe, in modo da poter raccoglier più legna in una
sola volta e non essere costretta a fare avanti e indietro innumerevoli volte,
ma non se ne lamentava.
Più tardi, mangiando un po’
di pane ormai duro e carne secca, accompagnati da qualche frutto che Hermanno
aveva raccolto durante la giornata, la bambina dovette ammettere che dormire in
un luogo riparato, riscaldati dal fuoco, era un’ottima idea.
Sentiva la vampa della
fiamma davanti a lei che la riscaldava piacevolmente: non era una stagione
fredda, ma quel tepore era ugualmente un toccasana, dopo la lunga marcia.
“Scusa se sono stata brusca
con te.” mormorò Hermeneia, dopo cena, tenendo gli
occhi bassi per la vergogna.
“Ma cosa ti salta in
mente?” domandò l’uomo, dapprima sbigottito e poi divertito “Non c’è motivo per
cui tu ti debba scusare.”
“Sono stata nervosa, ho
dubitato di te e ti ho anche risposto male.” gli fece notare la bambina,
sorpresa da quella reazione.
“Non ci pensare. Vieni
qui.” replicò Hermanno, intenerito per quella dimostrazione di stima e
rispetto.
Sapeva che lei gli voleva
bene, lo conosceva da sempre, le era stato spesso vicino.
Hermeneia girò attorno al falò e si sedette
accanto all’uomo che l’abbracciò e la rassicurò: “Sei stanca, affaticata e
preoccupata per tuo padre. È naturale che tu non sia gentile e dolce come al
villaggio e non mi offendo.”
La piccola si strinse
maggiormente a lui. Tacque per lungo tempo, ripensò alla casa che aveva
lasciato in fretta e furia. Nessuno le aveva voluto dire perché, nessuno le
aveva voluto spiegare che cosa stesse accadendo.
Un viaggio, le avevano
detto, ma lei sapeva che era una bugia. Aveva visto alcune famiglie radunare
alla svelta le proprie cose e lasciare il villaggio a piedi o su carretti. Si
era accorta di come il clima, nelle ultime settimane, si era fatto sempre meno
sereno e più teso.
Pensavano di ingannarla
solo perché aveva dieci anni? Che assurdità!
Potevano tacerle la verità
ma non credere che lei non si fosse resa conto che qualche sventura li aveva
minacciati.
Non sapeva che cosa avesse
spaventato così tanto il suo villaggio, non era riuscita ad origliare le ultime
assemblee. Probabilmente era qualcosa legato al fatto che sempre più spesso
uomini e donne che partivano per misteriose missioni, ritornavano feriti o non
tornavano affatto.
Si sarebbe combattuto al
villaggio? Suo padre era rimasto per lottare e l’aveva allontanata?
Era ciò che la ragione le
suggeriva ma a cui lei non voleva credere.
Delle lacrime sgorgarono
dalle palpebre chiuse e con un filo di voce domandò: “Papà e Rask stanno bene?”
“Certo, perché non
dovrebbero?” rispose Hermanno, passandosi una mano sull’oblunga testa pelata,
poi sospirò e tra sé e sé pensò: Lo vorrei
tanto.
L’uomo cercò poi di
distrarre la bambina e le chiese se avesse vesciche nuove. Lei non se lo fece
ripetere: sfilò le scarpe di cuoio e indicò le bolle d’acqua.
Hermanno prese un ago e lo
passò qualche istante sulle fiamme per sterilizzarlo, poi vi inserì un filo. Si
accinse infine a bucare le vesciche, lasciando al loro interno la cordicella,
sporgente, in modo che tutta l’acqua fosse drenata.
Invitò poi la piccola a
coricarsi: anche il giorno dopo avrebbero marciato e le sarebbe convenuto
riposare!
Lui sarebbe rimasto a
vegliare per un po’. Non era contento di passare, ogni notte, diverse ore a
dormire, senza nessuno che controllasse che non sorgessero pericoli ma, d’altra
parte, non voleva neppure far fare la guardia alla bambina.
Hermeneia non se lo fece ripetere e si sistemò
sul pagliericcio, coperto da un telo, che si erano portati dietro, stando
sempre ben attenti che l’asinello non finisse col mangiare quel giaciglio.
Prese dalla propria
bisaccia un velo azzurro, lo avvolse attorno alla mano e l’avambraccio destro e
si addormentò tenendolo vicino al volto: era la caliptra di sua madre, morta
già da diversi anni, era l’unico ricordo di lei che era riuscita a portare via
dal villaggio. Un dolce ricordo.
Il padre, invece, le aveva
dato il proprio cappotto, chiedendole di custodirlo finché lui non fosse
tornato a riprenderlo.
Un’altra bugia dettale per
confortarla.
Passò la notte e, poiché
pioveva, rimasero nella grotta tutto il giorno. Uscì solo Hermanno, nel
pomeriggio, quando il Sole era tornato a splendere, per cacciare con la
balestra e procurare della carne fresca per avere un pasto migliore per la
cena.
Il mattino seguente il
tempo era migliore e si rimisero in cammino, decidendo di continuare a
costeggiare le colline rocciose.
Dopo alcune ore di marcia,
giunsero in vista di una strada: larga e ben battuta, nonostante non fosse
lastricata. Era alla destra della cresta di pietra.
Hermeneia si meravigliò non appena la
intravide, corse verso di essa per guardarla meglio, nonostante i richiami
dell’uomo.
“Non sapevo ci fossero
strade come questa, fuori dal villaggio!” esclamò la bambina, girando su se
stessa per non perdere nessun dettaglio “È grande almeno il doppio della nostra
principale, vero?”
“Sì, sì.” concordò
Hermanno, distrattamente.
Anche lui si guardava
attorno, ma non era la curiosità a guidarlo, bensì il timore. Sembra tutto
deserto, quindi l’uomo tirò un sospiro di sollievo.
“Dai, torniamo nel bosco.”
ordinò, secco, Hermanno.
“No, camminiamo qui: è
molto più comodo e non rischiamo di prendere le zecche! Ieri me ne hai dovute
togliere quattro, nonostante porti pantaloni lunghi!”
L’uomo ragionò, si grattò
la testa e infine acconsentì a percorrere una breve parte del tragitto su
quella strada, almeno finché non avessero incontrato una locanda dove comprare
acqua potabile: le loro scorte non erano abbondanti.
La sua intenzione era
quella di lasciar entrare la bambina a concludere l’acquisto, mentre lui se ne
sarebbe rimasto in attesa, poco lontano: era sicuro che nel locale fosse appeso
un manifesto con il suo volto e una grossa taglia, quindi preferiva non farsi
vedere.
Certo, una bambina da sola
avrebbe potuto suscitare qualche perplessità, ma i locandieri non facevano
troppe domande, se vedevano il denaro.
Per sicurezza, però,
Hermanno alzò il cappuccio del mantello che lo copriva, sperando lo aiutasse a
passare inosservato e non che lo facesse notare maggiormente.
Un grosso sasso posizionato
a lato della strada avvisava i viaggiatori che la prossima locanda era ormai
vicina.
Poco più avanti, Hermanno
scorse due sagome in lontananza. Sembravano uomini a cavallo su destrieri molto
più grossi del normale. Ebbe un sospetto e avrebbe tanto voluto lasciare la
strada e nascondersi nel bosco ma ciò sarebbe risultato sospetto: se quegli
uomini erano soldati, allora sicuramente si erano già accorti di loro e,
vedendo la deviazione, avrebbero fatto alzare in volo i loro drachi per
inseguirli.
Sì, scappare li avrebbe
messi nei guai. Avrebbero dovuto continuare dritto per la strada. Calò ancor di
più il cappuccio sulla propria testa.
Non disse nulla alla
piccola: l’informarla del pericolo l’avrebbe potuta innervosire, facendole fare
qualcosa che avrebbe attirato l’attenzione delle guardie.
L’avvicinarsi tra le due
coppie di viaggiatori era molto rapido.
Hermeneia si meravigliò nel vedere due uomini
cavalcare dei lucertoloni giganti con ali piumate: che animali strani!
La intimorivano, eppure non
riusciva a staccare lo sguardo da loro.
I soldati stavano parlando
ad alta voce tra di loro. Sembravano ubriachi e infatti ondeggiavano un poco
sulle selle.
“Ehi voi, chi siete?”
domandò un militare, vedendo i due viandanti con l’asino.
“Oh, nessuno.” si affrettò
a rispondere Hermanno, guardando a terra e tenendo d’occhio le ombre degli
interlocutori “Non siamo uomini delle polis, ma nemmeno banditi, viaggiamo alla
ricerca di …”
“Taci!” lo interruppe il
soldato, scendendo dal draco e sforzandosi di non barcollare “Questa regione è
infestata da sofisti e sicofanti. Mostrami il tuo volto.”
L’uomo trattenne
un’imprecazione, con la sinistra si tolse il cappuccio, mentre tenne la destra
pronta a sfoderare la spada.
Il soldato si avvicinò di
qualche passo e poi trasalì: “È lui! È lui l’autore dell’eccidio di Aleajakt.”
“Arrenditi!” intimò il
secondo, mentre l’altro stringeva la lancia.
“Giammai!” esclamò
Hermanno, sguainando la lama.
Ormai era un decennio che
aveva imparato a maneggiare le armi, aveva acquisito tecnica e agilità.
Sfoderare l’arma e conficcarla nella gola dell’uomo davanti a lui fu l’affare
di pochi istanti.
Il secondo soldato,
furioso, spronò il draco contro il ricercato: le zampe del lucertolone lo
atterrarono senza fatica.
Nel cadere, ad Hermanno la
spada si sfilò tra le mani e volò all’indietro.
Schiacciato a terra
dall’animale, urlò alla bambina di fuggire.
“Scappa! Vattene!” erano le
grida soffocate che uscivano dalla sua gola, strozzate dal peso che gli
opprimeva il petto.
Il soldato smontò,
determinato a finirlo.
Hermeneia era rimasta impietrita. Vedere
l’amico del padre squarciare la gola di un uomo l’aveva paralizzata. Non
immaginava che il suo animo fosse tale da permettergli di uccidere a sangue
freddo. Sì, l’aveva visto esercitarsi con le armi al villaggio, le aveva anche
insegnato qualche posizione di guardia e di difesa, ma per lei non si era
tratto d’altro che di un gioco. Ora, lì, c’era del sangue!
Certo, aveva già visto persone
ferite, aveva anche assistito alla lotta tra la vita e la morte a cui Hermanno
era scampato un paio di anni prima, ne aveva osservato il corpo piagato dalle
ferite.
Adesso, però, era diverso.
La violenza non era più un mero racconto, né testimoniata solo da tagli. Aveva
assistito a un assassinio. Aveva visto un volto sbiancare per la mancanza di
sangue, le ginocchia di un uomo cedere, non riuscendo più a sostenere il peso
di quel corpo che era caduto, privo di vita.
L’esortazione alla fuga non
fu che una vaga eco nella sua testa.
Vedeva solo Hermanno,
l’unico amico che le era rimasto, bloccato a terra dal draco e che cercava
inutilmente di divincolarsi.
Sì, lo aveva appena visto
togliere una vita, ma sarebbe stato ben peggio che qualcuno gli prendesse la
sua.
La sagoma del soldato che
stava per abbattere la propria lancia sull’uomo fece scattare qualcosa nella
bambina.
Hermeneia non si accorse di ciò che fece, il
suo corpo si mosse d’istinto. Si chinò a raccogliere la spada e l’agitò davanti
a sé all’altezza dei polpacci indifesi del guerriero.
Il militare urlò per il
dolore e cadde sulle ginocchia. Si voltò, poi, fissando la piccola con sguardo
omicida e ruotò il bastone della lancia, pronto a cambiare obbiettivo.
La bambina si rese conto in
quel momento di ciò che aveva fatto. Il cuoricino cominciò a battere rapido
all’improvviso. Lei deglutì ed indietreggiò, senza mollare la spada, tenendola
con la lama verso l’alto, ricordando ciò che l’amico le aveva insegnato,
sperando di riuscire a difendersi.
Hermanno, rinvigorito dal
timore per lei, riuscì a rotolare su se stesso e liberarsi dalla presa del
draco. Preoccupato, non esitò a colpire con un calcio la schiena del saldato
che perse l’equilibrio in avanti. Il ricercato ne approfittò per calcarlo a
terra, poi gli afferrò l’elmo e lo tirò all’indietro finché la cinghia di cuoio
che lo teneva legato sotto il mento non lo strinse attorno al collo.
Hermanno non pensò che
ricorrere al coltellaccio avrebbe posto subito fine a quell’agonia e continuò a
tirare e tirare.
Il soldato era senza aria,
si agitò cercando di sfuggire, inutile.
Il corpo smise di
contorcersi. L’uomo continuò a tirare l’elmo per alcuni minuti: voleva essere
certo che fosse morto.
“Mi dispiace che tu abbia
dovuto vedere questo.” disse Hermanno alla bambina che lo guardava intimorita e
confusa “Purtroppo dovrai farci l’abitudine. Fuori dal villaggio, le cose vanno
così.”
Hermeneia non disse nulla: sapeva che il suo
villaggio aveva dei nemici, sapeva che molti dei suoi compaesani avevano
combattuto altrove per difenderli. Lo sapeva, nonostante i tentativi di tenerla
all’oscuro, ma c’era una netta differenza tra il sapere qualcosa a il viverlo.
Sentiva anche che quella era stata una scaramuccia e che situazioni ben
peggiori attendevano lei e il suo compagno di viaggio.
Guardò la lama, il sangue
del soldato era ancora lì. Era stata la prima volta in cui aveva ferito una
persona. Aveva avuto paura e anche ora che tutto era finito, non si sentiva
bene. Non si sentiva orgogliosa di quel che aveva fatto, né provava piacere.
L’unico pensiero che la confortava è che l’aveva fatto per proteggere Hermanno.
L’uomo aveva preso
confidenza coi drachi, ora ne teneva le redini. Li usò per trasportare i
cadaveri nel bosco, sperando che non fossero trovati in tempi brevi, meglio se
fossero scomparsi per sempre.
Fu indeciso se uccidere
anche i drachi: se l’esercito li avesse visti senza i proprietari, avrebbe
iniziato operazioni di ricerca. Alla fine decise di risparmiarli, tolse loro
ogni arma, bardatura e oggetto, tenendo da parte quel che sarebbe potuto
servire (compresi acqua e denaro), poi li lasciò volare via. Sarebbe bastato a
farli credere selvatici? Lo sperò.
“Vieni, proseguiamo nel
bosco. Sulla strada si fanno brutti incontri.”
Hermanno accompagnò
l’esortazione porgendo la mano alla piccola.
La bambina lo guardò e
tanto bastò per dirsi quello che non si erano detti prima, da quando avevano
lasciato il villaggio: da quel momento sarebbero stati loro due, da soli, ad
affrontare tutto ciò che la vita avrebbe posto sul loro tragitto.
Hermeneia prese la mano dell’uomo e insieme si
incamminarono.