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Autore: Heihei    01/05/2018    2 recensioni
Della vita che ha lasciato, a Beth non resta nient'altro che un buco in testa e qualche incubo. Quindi cerca di tornare indietro, seguendone le tracce.
Nel frattempo, le certezze di Daryl vacillano e ritorna su ciò che ha lasciato, seguendone la luce.
Questa storia NON mi appartiene; mi sono limitata a tradurla con il consenso dell'autrice, che è Alfsigesey. Potete trovare la storia originale su fanfiction.net
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A place to start.

 

E se il mondo ci avesse semplicemente lasciati qui, da soli?
Daryl non riesce ancora a mettere insieme le parole, a dar voce a quel milione di domande che ha da farle. Per il momento, però, non gli importa.
Sono impazzito? Me ne farò una ragione.
Com’è possibile? A chi diavolo importa.
Dov’è stata fino a questo momento? Lei è qui, adesso.
Sono morto? Ok.

Tutte queste domande sono seppellite dallo stupore. Se fosse per lui, potrebbe continuare a starsene lì a toccarle il viso un altro migliaio di volte, sentirne ogni centimetro, non dire mai una parola, apprezzare ogni sua cellula.
Potrebbe anche non chiedere mai.
Lei piange ancora, ma sono lacrime di gioia. I suoi occhi blu brillano nella luce dorata filtrata dalle finestre rotte. Schiude la bocca come se volesse dire qualcosa, ma tutto ciò che ne viene fuori è qualche singhiozzo soffocato e un accenno di risata mentre nasconde il volto nella sua spalla. Fa scorrere i capelli tra i suoi palmi, raccogliendoli nella parte posteriore della sua testa. Tocca con le punte delle dita la sua pelle nuda, sfiorando il foro d’uscita.
Porca puttana.
È lì che realizza il primo fatto concreto e tutta quell’euforia si spezza, lasciando spazio alla profondità di tutto ciò che è successo e aggiungendo al suo sollievo un pizzico di dolore. Non è mai morta. L’ha pianta per otto mesi, pensando di averla persa, ma era solo ferita. È persino guarita. E lui l’ha lasciata in un bagagliaio.
“Questo è fottutamente impossibile.”
Come se avesse avvertito una frustata sulla spalla, Daryl si volta di scatto, stringendola con una presa sicura sotto il suo braccio e cingendole i fianchi. Aaron e Licari devono averli sentiti. Del resto, come non avrebbero potuto? Non sono stati esattamente silenziosi. Certo, non hanno parlato, ma hanno pianto e devono averla sentita gridare il suo nome.
I due uomini sono in piedi sul ciglio del corridoio, con delle espressioni di totale incredulità sui loro volti. È stato Licari a parlare, ed ora è a bocca aperta, la stretta sul pugnale allentata. Aaron, invece, è il primo a tornare in sé. Gli angoli della bocca si curvano lentamente in un sorriso mentre sembra realizzare quello che è davvero successo.
“Tu devi essere Beth, giusto? Sei… la sorella di Maggie?”, domanda, mettendosi davanti a Licari, che d’altra parte sembra quasi sul punto di sbattere a terra e morire sul colpo.
“Maggie sta bene?”
La sua voce è venuta fuori con un forte tremore e Daryl sente un’altra ondata di sollievo schiantarglisi contro quando lo stringe più forte, sistemandosi nella curva del suo corpo. Non riesce a crederci. Non ha più controllo sulle sue mani, che le si allungano sulla schiena, tastandola centimetro per centimetro attraverso la maglietta. Sente il calore del suo corpo, il ritmo e la forza del suo respiro. Il battito è rapido e affannato mentre rimbomba attraverso il suo corpo.
“I-io… non me lo ricordo. Ho difficoltà a ricordare le cose”, confessa poi velocemente.
Aaron incontra gli occhi di Daryl, con una smorfia che presto cede a trasformarsi in un altro sorriso. “Non volevo metterti in testa false speranze, ma quando abbiamo raggiunto la macchina il sedile era abbassato… come se qualcuno fosse uscito dal bagagliaio.” Il suo sguardo si fissa su Beth. “Io sono Aaron. È incredibile conoscerti, Beth Greene.”
Anche Daryl aveva notato il sedile abbassato, ma non l’avrebbe mai collegato a un’ipotesi del genere. Non riusciva a immaginarsela mentre si arrampicava fuori dal cofano, non allora. Ma adesso tutte le prove sembrano confermare quella tesi. Effettivamente, l’auto non era stata perquisita o svuotata, il sedile era abbassato appena e il bagagliaio ancora chiuso a chiave.
“Sei tornato indietro...”, sussurra lei, ma la sua flebile voce viene subito sovrastata da quella di Licari.
Noi...”, dice infatti ad alta voce, indicando se stesso e Daryl, “...noi l’abbiamo visto. Ti abbiamo vista morire.”
“Avete visto che mi hanno sparato in testa”, risponde lei. “È ovvio che abbiate pensato che fossi morta.”
“Io… devo vederlo.” Licari scuote la testa e comincia ad avvicinarsi, ma, quasi in automatico, come se si fosse attivato premendo un pulsante, Daryl si frappone immediatamente tra loro, alzando il pugnale.
“Woah!”, Licari alza entrambe le mani, mantenendo a stento la presa sulla sua, di arma.
“Va tutto bene.” La mano di Beth premuta contro il suo petto lo riporta alla realtà, ma solo per qualche secondo, giusto il tempo di fargli salire un enorme groppo in gola. Deve mettere subito in chiaro che Licari e tutti gli altri devono tenersi lontani da lei.
“Va tutto bene”, gli ripete, voltandosi e dividendosi le ciocche di capelli in modo da mostrare a tutti la piccola chiazza calva dietro la sua testa.
La ferita lasciata dal foro d’uscita è così piccola. Per qualche strana ragione, nei suoi ricordi era più grande; forse perché quando l’avevano lasciata nel bagagliaio c’era più sangue. La chiazza ha quasi la forma di una moneta da venti centesimi, mentre la minuscola ferita lasciatole dal foro d’entrata sulla fronte è già sbiadita, così come gli altri segni. Le cicatrici, ormai bianche, paradossalmente rovinano e perfezionano il suo viso allo stesso tempo. È comunque bella come ricordava, se non di più.
“Credo che abbia colpito il cervello, ma non in profondità. Suppongo che deve averlo solo sfiorato”, dice, tracciando una linea immaginaria con il dito dal foro d’entrata e quello d’uscita, per permettere loro di capire.
“Hai detto di avere problemi a ricordare le cose.” Ora è Aaron ad avvicinarsi, ma ciò non lo rende nervoso. Piuttosto, continua a concentrarsi sullo sguardo sbalordito di Licari, ancora fisso su di lei.
“Mi sono svegliata in quel bagagliaio e all’inizio non ricordavo nulla di tutto questo, della fine del mondo, dei vaganti. Quando mi sono alzata avevo ancora sedici anni e le mie preoccupazioni erano ancora… futili.” Ride, ma è una risata isterica. Poi deglutisce, ricomponendosi un secondo. Gira la testa sul suo petto e, quando la sente respirare profondamente, avverte nuovamente quella vampata di gioia e sollievo. “Poi mi sono tornate in mente delle immagini, e lo stanno ancora facendo. Potrei anche non ricordare più nulla… del resto, come potrei saperlo?”
“Ma… ricordi quello che è successo?”, la incalza Aaron con un cipiglio preoccupato.
“Ricordo l’ospedale.” I suoi occhi si socchiudono leggermente mentre lancia una rapida occhiata a Licari.
Con un lampo di sospetto, Daryl si chiede cosa si ricordi di lui, di loro e di tutto il gruppo.
“Ricordo di aver provato a scappare con Noah”, aggiunge con tranquillità. “Poi hanno preso Carol. Era gravemente ferita e non volevano curarla, quindi ho rubato dell’epinefrina. Ricordo di aver sentito che stavate venendo a prenderci, ma Dawn non voleva lasciare andare Noah. Il resto non è molto chiaro… so di averla affrontata e che mi ha sparato, ma non ha molto senso.”
“Ho bisogno di sedermi.” Licari li supera e raggiunge la cucina, dove mette alla prova la forza di una delle sedie di legno con un bel calcio, prima di accomodarsi. “Non posso crederci”, aggiunge, facendosi cadere la testa tra le mani.
“Perché sei tornato alla macchina?”, gli chiede Beth a bassa voce. Riesce a sentire una domanda non pronunciata, una domanda che non gli avrebbe mai posto davvero.
Perché mi hai lasciata lì?
Forse ha dato per scontato che qualcosa fosse andato storto; ormai sa di quelle eventualità. Ha dovuto abbandonare il corpo di suo padre, entrambi i suoi fidanzati sono morti; anche Otis e Patricia sono stati lasciati indietro. In evidente difficoltà, Daryl prova a immaginare quali, tra quegli eventi, lei possa riuscire a ricordare.
“Per venire a prenderti”, le confessa. “Sapevo dove ti avevo lasciata. Volevo farti riposare in pace, una volta mi hai detto che t’importava.”
Il più piccolo e triste sorriso che avesse mai potuto rivolgergli le curva gli angoli della bocca. “Sì, me lo ricordo.” Aggrotta le sopracciglia, facendole avvicinare ai suoi occhi bagnati. “Vi ho cercati ovunque. Dove siete andati?”
“In Virginia”, risponde senza pensare, dimenticandosi per un secondo di Licari e di tutta l’altra gente del Grady.
“Richmond?” Le si illuminano gli occhi e Daryl sente una stretta al cuore. Non sa della morte di Noah.
“Questo posto è in Virginia?!”, chiede Licari, incredulo.
Aaron annuisce, confermando tutto senza preoccuparsi troppo di aver infranto il segreto. Alla fine, il fatto che sappiano che siano diretti in Virginia non è poi così rilevante, soprattutto se Beth gli ha dato ragione di credere che Alexandria si trovi a circa cento miglia da dov’è in realtà.
“Beth...” Daryl non vuole spezzare la gioia che sta provando per aver ritrovato la sua gente dandole la brutta notizia, ma aspettare ancora non può che peggiorare le cose. È meglio che quella bomba sia sganciata il prima possibile.
“Non mi sorprende che non sia riuscita a trovarti.” Beth ride e una piccola lacrima le spunta all’angolo dell’occhio, ma non la lascia cadere. “Prima non ricordavo che fosse a Richmond. Noah mi aveva detto di avere ancora una famiglia, ma non ricordavo fosse in Virginia.”
“Noah non c’è più.”
Non è mai stato bravo in queste cose. Le nuvole nei suoi occhi cominciano a rovesciarsi e lui non può fare a meno di ricordare l’ultima volta che le ha annunciato la morte di qualcuno. Il modo in cui l’aveva fatto non era stato un granché, ma lei aveva capito. Alla fine, era stata lei a consolare lui.
“Oh.” Il suo sguardo s’incupisce lentamente.
“Era un bravo ragazzo.”
“È stato con noi per qualche mese. È successo durante una missione.” Questo è tutto ciò che Aaron riesce a offrirle sull’accaduto. Deglutisce profondamente; sembra stanco.
Licari alza lo sguardo su di loro, liberandolo dalle sue mani. “Noah è morto?”
Aaron annuisce ancora.
“Ti sei dimenticato di menzionarlo.”
“Avete trovato la sua famiglia? È riuscito a rivederli anco-”, Beth si blocca mentre incontra nuovamente gli occhi di Daryl. È stata in grado di intuire anche questa storia.
“Oh”, mormora di nuovo, sconfitta.
“Anche Tyreese è morto. È successo subito dopo aver lasciato Atlanta, prima d i incontrare Aaron e gli altri.”
Non è mai semplice. Il dolore è un peso gravoso e, a un certo punto, ti spezza la schiena. A guardarla negli occhi, però, anche se intuisce che non è ancora arrivata a quel limite, è ancora più difficile. È sempre lo stesso montante, dritto sulle budella; è sempre la stessa storia. E non c’è scampo.
Sono stanco di perdere le persone.
Prova di nuovo a confortarla, anche se è davvero una merda in certe situazioni, ma lei si conforta da sola, confortando anche lui. Gli stringe la mano e gli dice che le dispiace, accarezzandolo con quel suo solito tocco caldo e incerto, con quella sua solita pelle così delicata ma resistente. Sembra che non sia solo per Noah e Tyreese, ma anche per la sua presunta morte. Scrutando i suoi occhi blu, Daryl è consapevole che deve averlo capito.
Per otto lunghi mesi ho pensato di averti persa.
È troppo presto per far svanire l’euforia, troppo presto per sentire qualcosa di diverso dall’intensità che gli trasmette la sua presenza, ma allo stesso tempo una voce nella sua testa non può fare a meno di metterlo in guardia: Non permettere che accada di nuovo, Dixon.
Infatti, è assolutamente determinato a non perderla una terza volta in quell’inferno. Non lo permetterà.
“Ti sei unito alla mia gente?” Beth osserva Licari con attenzione. Sembra sia molto cauta nell’affrontare l’argomento. Si volta di nuovo verso Daryl, in cerca di risposte.
“Questo è uno sviluppo recente”, ammette Aaron. “Alexandria ha bisogno di un dottore.”
“Rick ha ucciso quello vecchio”, aggiunge Daryl borbottando.
Beth solleva le sopracciglia. “Beh, avrà avuto le sue ragioni.”
“Se l’è cercata.”
“E tutti gli altri?”
Il suo cuore accelera; la lista è lunga. La caduta della prigione ha significato la perdita di molti di loro, e poi è andata anche peggio. Magari, in un altro momento, le parlerà di quello che è successo a Bob.
“Sasha, tua sorella, Glenn, Michonne, Carol, Rick, Carl e Judith...”
Judith!” grida senza mezze misure, coprendosi la bocca con le mani. Lacrime di gioia cominciano a inumidirle gli occhi. “Judith ce l’ha fatta?”
“Sì. Merito di Carol e Tyreese. Sta bene, cammina anche.”
Daryl le sorride leggermente e le lacrime cominciano a scorrerle sul viso. Non riesce neanche a parlare, quindi si ripiega nel suo petto. Appena l’ha vista ha seguito l’impulso di stringerla, senza pensarci molto. Sembrava giusto, sembrava l’unica cosa da fare, a vederla di nuovo lì. Ora riesce a vedere tutta la situazione per quella che è. È come quando sono stati in quel cesso dove hanno trovato il moonshine. Come quando lui era uscito fuori e se ne stava in piedi, anche se dentro di sé stava collassando su se stesso. Lei si era appoggiata sulla sua schiena come un paio di ali, pronte a impedirgli di cadere. L’aveva sentita sciogliersi su di lui e aveva pensato che poi sarebbe arrivato anche il suo turno; che sarebbe stato la sua spina dorsale quando le sue gambe avrebbero ceduto. Era stata dura da accettare, si era sentito così male che riusciva a malapena a tenersi in piedi. Ora lei sta sperimentando qualcosa di simile, ma dal sorriso che le piega la bocca mentre si schiaccia contro il suo petto gli suggerisce che il sentimento che le sta togliendo la forza non è altro che pura gioia. Rabbrividisce, quasi isterica, mentre alza la testa per respirare meglio.
Daryl dovrebbe pensare a dove sia giusto metterle le mani per tirarla su; ha bisogno di aria, ma per come la stringe, se non mette da parte le emozioni, potrebbe soffocarla.
Chiaramente ansioso, a dispetto di se stesso, Licari scatta in piedi. “Non dovremmo stare qui troppo a lungo. Dovremmo andare.”
Ha ragione, ma tutti lo ignorano per alcuni secondi, almeno finché Aaron non si volta e gli rivolge un cenno di assenso, curvando la testa in direzione delle scale.
Ancora con un leggero pizzico di shock a scorrergli nelle vene, Beth e Daryl si alzano e cominciano a spogliare la casa, insieme. Non ne hanno neanche dovuto parlare, lei sa già qual è il piano. Andrà con loro e ciò significherà abbandonare la fattoria, forse, quella volta, per sempre.
Non c’è fretta. Persino il suo battito ha cominciato a rallentare. I loro respiri seguono lo stesso ritmo e si chiede se l’abbia fatto inconsciamente, o se sia qualcosa che viene in automatico concentrandosi sull’aria che entra ed esce dal suo corpo, lenta, regolare, perfetta. È un insieme di piccoli sospiri, così vivi, che si ripetono ad ogni boccata, ancora e ancora.
Abbracciandola, è diventato estremamente consapevole del suo corpo, tanto che si chiede come abbia fatto a non sentire il suo respiro e il suo battito quando l’ha portata in braccio per cinque rampe di scale. Quando un corpo viene colpito in quel modo, si dimentica di ogni funzione, riducendole al minimo indispensabile per sopravvivere. Forse non respirava bene, forse non faceva nient’altro che dormire, lottando per non scivolare nell’oscurità. Tra l’altro, anche se ribolliva dalla rabbia, lui si era sentito gelare nelle ossa, sentiva ogni sua fibra tremare e questo non aveva aiutato. Non poteva vedere, né sentire. Riusciva a malapena a muoversi, mentre il rumore stridulo dello sparo continuava a rimbombare nella sua testa.
Beth si allontana da lui per recuperare una scorta di cibo nascosta in un mobiletto della cucina, ma riesce ancora a sentire il suo cuore battere attraverso il suo corpo e la pelle gli brucia ancora nei punti dove l’ha accarezzato. La osserva mentre si aggira per la casa raccogliendo ciò che resta; ogni tanto si volta a guardarlo, con il viso ancora bagnato dalle lacrime e la bocca tremante. Si concentra sulle sue labbra; un paio di spasmi gli suggeriscono che vorrebbe dirgli qualcosa, ma che evidentemente ha il suo stesso problema: da dove dovrebbero iniziare?
“C’è dell’altro?” Aaron riappare e Licari si affaccia sulle scale. Continua a studiare la fattoria e a scrutare gli esterni visibili dalle finestre rotte, ma è ritornato più calmo e distaccato, esattamente come prima.
“Sì, c’è molto di più nella mia auto. Vi seguo?”, risponde Beth.
Aaron sembra anticipare il pensiero di Daryl, nella sua risposta. “Tu va’ con lei. Io e Licari vi aspetteremo alla fine del viale.”

 

∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂∂

 

Ero così vicina.
Mentre inizia a riconoscere la strada che porta al campo del Grady, Beth viene scossa da un brivido. Dal lato opposto, qualche giorno prima, aveva seguito quella donna tra gli alberi e li aveva spiati proprio da lì. Non riesce a fare a meno di pensare a quanto quella situazione sia stata diversa da quelle in cui si trova adesso. Era sola e stanca, e stava seguendo quella donna allo stesso modo in cui cacciava gli animali. Adesso è in gruppo e sente il corpo più leggero. Non aveva realizzato quanto fosse pensante la solitudine finché non le è scivolata addosso, così come non aveva realizzato quanto davvero le mancasse Daryl Dixon finché non si è gettato su di lei come una valanga. È stato assurdo.
Durante quel breve viaggio, le è sembrato che Daryl non avesse staccato gli occhi da lei neanche per un secondo, ma non le ha ancora detto nulla. Adesso che hanno seguito Aaron e Licari fino al punto in cui l’auto di Aaron e la moto di Daryl li stavano aspettando, dovrà essere Daryl a guidarli al campo, mettendosi in testa a quella fila di veicoli per verificare che la strada sia libera. Beth è proprio dietro di lui, seguita prima da Licari e poi da Aaron.
Prima di rincontrarlo, ha immaginato di dirgli così tante cose. Ha avuto le parole giuste inchiodate nella mente per tutti quei mesi in cui è stata da sola e non ha avuto nessuno a cui esternarle; le stesse parole che sono svanite nel nulla nel momento in cui l’ha rivisto, gli ha passato le dita tra i capelli e ha constatato di averlo veramente ritrovato. Seguendolo, alla vista di quelle ali che spiccano anche a distanza, cerca di ripescarle, ma sono sempre più confuse.
So che mi hai cercata.
So che mi hai persa.
So che fa male.
Fa male anche a me.
Abbiamo già perso così tanto tempo.

L’ha visto a malapena, prima di essere sparata. Non ha avuto il tempo di dirgli nulla di tutto questo, perché è andato tutto improvvisamente a monte. Prima di quell’evento, ricorda di essere stata con lui in una casa funeraria. Ricorda gli zamponi, i corpi vestiti nelle bare, l’eccitante prospettiva di avere un cane domestico; ricorda di aver cantato per lui e di aver sentito le sue guance bruciare mentre la guardava accarezzare i tasti di un pianoforte.
Fa caldissimo in Georgia. Anche con i finestrini abbassati, si sente cocente e le gira ancora la testa. Non sono però le lesioni celebrali che ha subito a farla sentire così, o almeno non sempre. Si è già sentita così prima; è iniziato più o meno da quando ha cominciato a riconnettersi ad alcuni dei suoi ricordi persi, ma con l’emozione è come se fosse più intenso. Adesso, infatti, ha ancora un forte flusso di calore nel cuore.
Ci sono ancora brave persone.
Ci sono e le hanno trovate. Aaron ne è la prova vivente e, in fondo, spera che le persone del Grady siano cambiate abbastanza da meritarsi a loro volta quell’appellativo. Non solo per la sua sicurezza personale, ma per quella di tutti. Se quello che ha detto è vero, resteranno lì per un po’.
“Magari potremmo restare qui per un po’.”
Sente le guance bruciare; le tremano le mani. Ricorda.
Beh, quello deve essere un buon posto per ricominciare.
Daryl si ferma lungo la strada, e lei lo imita. Aaron e Licari proseguono, sembra che vogliano lasciare le macchine più vicine al campo. A lei non importa di camminare, non se Daryl ha deciso di essere più cauto. Nel caso qualcosa andasse storto, hanno bisogno di un punto d’incontro dignitoso per riuscire a scappare. Troppo vicino si è fuori; troppo lontano non ci si arriva mai. A quarto di miglio dal campo, invece, sembra più comodo nel caso le cose non vadano come devono.
Spegne il motore e decide di lasciare le sue provviste in auto, per poi raggiungere Daryl a metà strada. Cominciano a camminare e non ci mettono molto a sincronizzarsi. Non hanno mai sentito il bisogno di parlare più del dovuto. Se lui avesse saputo cosa fare, lei l’avrebbe seguito, così come farebbe lui nel caso inverso. Non hanno mai dovuto lottare particolarmente per il controllo della situazione, tranne quando lei voleva bere e lui starsene tranquillo.
Mi sei mancato così tanto quando non c’eri, Daryl Dixon.
“Pensi che possiamo fidarci?”, gli chiede.
“Non so”, risponde lui; un ghigno gli arriccia le labbra. “Anche se è stato uno stronzo, Glenn mi ha detto una cosa, prima che partissi.” Sbuffa, rallentando un po’ il passo mentre si avvicinano al sentiero. Lei lo segue, controllando tra gli alberi i punti su cui non ha buttato l’occhio, e poi si volta a guardarlo. “Abbiamo incontrato gente cattiva, Beth, ed erano molto peggio di chiunque altro avessimo incontrato prima. Sfortunatamente, per come stanno adesso le cose, il fatto che quelli del Grady non abbiano provato a mangiarci è un punto a loro favore.”
Al Grady avevano un certo sistema. Era fuorviato, oltre che stupido. Pensavano di riuscire ad avere un certo tipo di controllo sulle persone in un mondo in cui ormai il caos regna sovrano. Avevano delle regole che cercavano di seguire e, anche se non erano proprio adatte a sopravvivere, erano un tentativo di conservazione di qualcosa appartenente al vecchio mondo. A malincuore, Beth deve ammettere che è un buon segno, dopotutto.
“Credi ancora che ci siano brave persone?”
Daryl si ferma per un momento, per poi guardare il terreno e prenderle la mano per aiutarla a percorrere una piccola salita. Non la lascia andare subito, anzi, stringe la presa allungando le dita sulle sue nocche.
“Ci sono”, dice con fermezza. “Presto ne incontrerai alcune, più del tuo genere”, aggiunge accennando un sorriso.
“Prima pensavi che quelli buoni non potessero riuscire a sopravvivere.”
Non appena ha realizzato quello che stava dicendo, ha allungato le parole, aumentandone la pesantezza. Daryl le lascia la mano per scostarle una ciocca di capelli dalla fronte, scoprendo una delle cicatrici e sfiorandola con le nocche.
“Perché hai cambiato idea?”
Il suo sguardo la cattura quel tanto che basta per farle capire che non ha davvero bisogno che lui risponda. Come quella sera nella casa funeraria, Beth già sa quello che vuole dire.
“Per te.”
Se un secondo fa ha pensato di non aver bisogno di sentirselo dire, se si è detta che riaverlo lì con lei e sapere che ha fatto bene a sperare- perché la speranza ha aiutato entrambi- era abbastanza, adesso può dire di essersi sbagliata. Ne aveva bisogno eccome, e ora che le si stringe la gola mentre lo guarda scavare nella sua anima con gli occhi, può esserne sicura.
Le prende il volto tra le mani con un gesto determinato, ma allo stesso tempo assurdamente gentile. “Solo essendo quello che sei, mi hai salvato e continui a farlo.”
“E cosa sono?”
“Una sopravvissuta. Una brava persona.” All’improvviso, sembra in imbarazzo e Beth può vedere tutta quella sicurezza crollare. Vuole dire qualcosa e sta per frenarsi, ma si sforza di sciogliere il nodo che gli attorciglia la lingua per continuare. In ogni caso, sembra ancora trattenuto. “Certe volte non c’è molta differenza tra l’essere vivi e l’essere morti, ma per te non è così. Ti avevo detto che saremmo potuti restare in quella casa perché ti piaceva… perché, se fossimo sopravvissuti o se fossimo morti, volevo stare con te.”
Certe volte si è chiesta se potesse essere stato un effetto collaterale del vivere isolati dal resto del mondo. Hanno dovuto fare affidamento l’uno sull’altra, stavano praticamente sempre insieme. Hanno dovuto imparare a fidarsi.
“È questo quello che stavo cercando di dirti. A volte… per qualche secondo, avevo immaginato che noi fossimo le ultime due persone rimaste.”
“Anch’io”, riesce finalmente a rispondergli. Di fronte a tutta quella onestà, uscita a fatica e con voce sommessa, Beth non può far altro che pensare a quanto sia cambiato. L’aveva già pensato quando erano rimasti soli, dopo la prigione, ma adesso è come se avesse continuato a percorrere quella stessa strada, anche se da solo.
L’ho davvero cambiato così tanto?
Non sono estranei, ma non sono neanche gli stessi di prima. Vede qualcosa di diverso in lui, e si chiede se anche lui pensi lo stesso di lei.
“Ah sì?”, la sua voce si addolcisce un po’.
“A volte ho pensato che potevamo essere rimasti da soli in un mondo di vaganti.”
Alla fine, anche se ci fossero state altre persone magari non le avrebbero mai incontrate. C’era la possibilità che loro due fossero tutto ciò che era rimasto a entrambi, e che sarebbe potuto essere così per sempre.
“Non mi...”, comincia, ma poi smette di parlare. Stava per dire che non le importava, ma non è esattamente così. Più che altro, era come se non fosse la fine. Anche se fossero stati solo loro due per il resto delle loro vite, sarebbero stati bene.
Sarebbero stati felici, al di là di tutto.
“Quando ci sei stata”, Daryl comincia lentamente a parlare, “...per un po’ non ho odiato questo mondo.”
Beth annuisce, intuendo il significato latente di quelle parole. Ora è lei ad avere la lingua attorcigliata.
Il rumore di una portiera che sbatte li spinge a riprendere a camminare. Probabilmente viene dal furgone che Licari ha parcheggiato sul ciglio della strada, in discesa.
Frenato da quell’interruzione, ma non del tutto sconfitto, Daryl si volta di nuovo per guardarla negli occhi con un velo di incertezza. “Andiamo. Dobbiamo ri-presentarti agli altri.”

   
 
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