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Autore: Mari Lace    04/05/2018    2 recensioni
[Cross-over DC/Yu-Gi-Oh!]
Dal primo capitolo:
Shinichi si accorse di tremare. Gin. In più, l’uomo che aveva dato l’ordine indossava una maschera con un corvo… Ricordava fin troppo bene le parole sussurrategli da Akemi in punto di morte.
“«Si vestono sempre di nero, come dei corvi…»” (...)
«D’accordo. Ma come troviamo l’obiettivo di quegli uomini? Devi darmi un indizio», disse Conan, una volta ritrovata la lucidità mentale. Il ladro aveva ragione, non era il momento di perdere la calma.
«L’uomo l’ha descritto così: un ragazzo di circa 17 anni, con i capelli neri e le punte viola, ritti a formare quasi una stella. Ha anche una frangia bionda, insomma non passa proprio inosservato. Ha anche detto che sarà quasi sicuramente spaesato, in giro per la città».

[Scritta per "The crossover challenge!" indetta da Elettra.C sul forum di EFP]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Kaito Kuroba/Kaito Kid, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Vodka si accese la decima sigaretta dell’ultima mezz’ora.

Doveva sorvegliare chiunque entrasse nel parco e la cosa non gli piaceva per niente. Il loro obiettivo probabilmente non si sarebbe nemmeno presentato. Avrebbe preferito di gran lunga restare con Gin a guardia del boss.

Invece gli era toccato quel compito ingrato…

Non capiva perché il ragazzo che cercavano avrebbe dovuto consegnarsi a loro.

Avevano diffuso in rete una foto di Yugi, l’ostaggio che avevano catturato, con due o tre lividi in bella mostra. Gin non si era trattenuto più di tanto con l’interrogatorio, nonostante l’ordine fosse di lasciarlo in vita.

Sulla foto avevano semplicemente scritto “Caccia al tesoro, Haido Park”.

Speravano così sia di far capire all’obiettivo che, se avesse voluto ritrovare il suo amico, avrebbe dovuto presentarsi lì, sia di non mettere in allarme le forze dell’ordine. Era solo un gioco, non c’era bisogno di preoccuparsi.

Per la seconda parte aveva funzionato.

Per la prima, era una trappola così lampante che Vodka, al posto del ragazzo, non si sarebbe mai presentato. Non vedeva perché avrebbe dovuto farlo lui, ma d’altra parte a volte le persone con una morale facevano cose molto stupide.

«Qualcosa da segnalare?» mormorò nel microfono collegato al suo auricolare. Era in contatto con Chianti, anche lei assegnata al recupero del bersaglio; studiava però la scena dall’alto, appostata sul tetto di un edificio posizionato di fronte ad un’altra entrata.

Visionava i passanti attraverso il mirino del suo fucile ad alta precisione.

«Nulla» fu la risposta. Chianti sembrava persino più irritata di lui. «Questo lavoro è una noia! Spero che il ragazzino si sbrighi ad arrivare» si lamentò. «Altrimenti il dito potrebbe scivolarmi sul grilletto».

Vodka non replicò; sapeva benissimo che non l’avrebbe mai fatto, rovinare la missione avrebbe avuto conseguenze piuttosto spiacevoli per lei. Anche lui sperava solo di finire in fretta, comunque.

Passò così, inerte, un’altra mezz’ora.

I visitatori del parco continuavano ad aumentare; questo era positivo, in teoria, perché in tutta quella folla sequestrare qualcuno senza dare nell’occhio sarebbe stato più semplice, ma rendeva anche difficile la sua individuazione.

«Ehi, Vodka. Tutta la gente, o quasi, che entra da qui sembra diretta verso uno stesso punto, si muovono a gruppi. Da te come procede?» gli gracchiò la voce del cecchino nell’orecchio.

Lui studiò chi aveva intorno con un po’ più di attenzione. In effetti si stava creando una specie di assembramento. Si alzò dalla panchina su cui era rimasto seduto tutto quel tempo e si avvicinò per capire la causa di tutta quell’agitazione. «Che succede?» domandò bruscamente ad un ragazzino.

Notò con stupore che l’età media di quella folla si aggirava intorno ai quindici anni.

L’adolescente che aveva fermato lo guardò seccato. «C’è un tipo uguale a quello della foto in rete» disse. Parve ripensarci subito dopo. «Come se sapessi di cosa parlo!» sbottò e si voltò per inoltrarsi ulteriormente nel gruppo.

Vodka restò di sasso. Era davvero venuto? Doveva essere proprio stupido. Bene, meglio per me.

C’era però da risolvere il problema di tutta quella gente.

«Chianti, dovrebbe essere arrivato. Ha attirato troppa attenzione, però» bisbigliò nel microfono.

Con suo stupore, l’auricolare gli trasmise la risata della donna.

«Gin l’aveva previsto», comunicò lei, «che qualche idiota avrebbe creduto alla storia della caccia al tesoro. Ho pronta un’immagine che ne comunica la fine, ora la diffondo. Tu accertati che sia davvero lui… e che abbia la piramide al collo, soprattutto».

Più facile a dirsi che a farsi, pensò Vodka, guardando con ribrezzo la calca di ragazzini. Assisté così ad una scena curiosa: si misero a controllare il cellulare praticamente all’unisono.

Subito dopo sentì espressioni irritate, tipo “Ma non è possibile!”, “Che significa?”, “E il premio?”. Ghignò; la seconda immagine aveva fatto effetto, evidentemente. Il gruppo si sfoltì e lui riuscì ad avanzare.

Ora poteva vederlo chiaramente: un ragazzo alto, con i capelli più assurdi che avesse mai visto, ancora circondato da tre o quattro ragazzi. Gli altri, più o meno seccati, si stavano allontanando tutti.

«Ma insomma, davvero non sai niente della caccia?!» sentì dire ad uno dei ragazzini.

«Nulla di nulla», rispose il ragazzo con un’alzata di spalle. La descrizione corrispondeva a quella fattagli da Gin; però… non ha il puzzle, notò allarmato Vodka.

Dopo qualche altra insistenza, lo straniero riuscì a liberarsi dagli altri ragazzi. Mosse qualche passo verso di lui. Sembrava volesse superarlo, ma l’uomo lo fermò.

«Sei qui per il tuo amico?» domandò.

Il ragazzo si congelò all’istante. «Sì», rispose. Non sembrava intimorito.

«Dov’è il puzzle?»

«Questo lo saprete solo quando avrò visto Yugi».

Vodka serrò il pugno. «Credi di poter dettare condizioni?» sibilò minaccioso.

L’altro lo fissò serissimo. «Esattamente. Avete bisogno del mio puzzle, ma se mi uccidete non lo troverete mai, ve l’assicuro. Ascoltarmi è il minimo che possiate fare» spiegò.

Quell’arroganza e sicurezza irritò non poco l’assassino, che tuttavia ghignò. Ma sì, credi pure di averci in pugno. Esistono tanti modi per farti parlare, ragazzino.

«Se le cose stanno così, seguimi» gli ordinò. Uscì dal parco, comunicando a Chianti il passaggio al piano B; invece di eliminarlo sul posto e prelevare il puzzle, l’avrebbe portato da Gin. Tutto questo ovviamente lo sussurrò tenendosi alla debita distanza dal ragazzo, che non poté sentire.

Insoddisfatta per non essersi potuta divertire, la donna rimise il fucile nella custodia e abbandonò la postazione.

¤

«Si muovono!»

A seguito di quell’esclamazione un maggiolino giallo si staccò lentamente dal marciapiede e si immise in strada.

«Dove devo andare, Shinichi?» chiese il professor Agasa, il guidatore del suddetto maggiolino.

«Svolti alla prima a destra e poi subito a sinistra; utilizzeremo la parallela per ora, non voglio che ci notino» spiegò. «Seguiremo il segnale del trasmettitore fino alla loro base, poi agiremo» disse, ricevendo un segno d’assenso dal ragazzo seduto dietro.

«Andrà bene?» chiese un’agitatissima Anzu. «Non gli faranno del male?»

«Non lo permetterò» affermò Conan con sicurezza, ma era teso e si vedeva. «Rientri sull’autostrada, professore, sembrano diretti fuori città».

Il dottore eseguì.

¤

Yugi si trovava in un’enorme stanza chiusa. Non era legato.

Aveva perlustrato la stanza per ore cercando una via d’uscita, ma era stato inutile.

L’unica porta era serrata ermeticamente; c’era una finestra, ma delle sbarre gli impedivano di uscirne, e se anche non ci fosse stato quell’ostacolo materiale, uscire da lì non sarebbe stato semplice: era al primo piano. Lo scoprì affacciandosi.

A complicare ulteriormente le cose, di fronte all’ingresso principale – proprio sotto la sua finestra – stava, immobile, l’uomo biondo che l’aveva torturato. Il solo vederlo provocò forti brividi nel giovane Mutou.

Sedette scoraggiato con la schiena contro il muro esterno.

Cosa faresti se fossi qui, Amico?

Un rumore improvviso lo riscosse bruscamente dalle sue riflessioni. Sembrava… uno sparo!

Scattò in piedi e si affacciò nuovamente. Era stato l’uomo biondo a sparare, probabilmente, visto che aveva la pistola ancora alzata e, se gli occhi non gli stavano giocando uno scherzo, fumante.

Il muso dell’arma era puntato contro un altro uomo vestito di nero e… Yugi tremò.

Non vedeva benissimo a causa della distanza, ma non ebbe dubbi.

Il ragazzo accanto alla macchina scura doveva essere Atem. La sagoma corrispondeva.

Lo stupore di vederlo in forma fisica passò in secondo piano. L’hanno catturato…

«Faraone! No!» urlò, o meglio, ci provò. Dalla sua gola secca uscì solo un rantolo inudibile.

Nonostante il suo ottimismo e la fiducia nei suoi amici, le speranze di Yugi vacillarono. La situazione sembrava disperata; non aveva il suo deck, non sapeva dove si trovasse.

Poteva solo guardare, e così fece. Vide il nuovo arrivato spintonare il Faraone verso l’uomo biondo.

Li vide parlare, ma non riuscì a sentire cosa dicevano.

Avrebbe voluto agire, gridare ad Atem di scappare da lì, ma non poteva.

L’unica cosa che potesse fare era credere nel suo amico, come aveva sempre fatto.

Mi fido di te, pensò, rianimandosi un po’. Non devo disperare.

¤

«Giri qui, professore!» esclamò Conan.

«Ne sei certo, Shinichi? Loro stanno proseguendo» dicendo questo, comunque, il dottor Agasa accostò dove gli era stato detto.

«L’uscita che stanno per prendere porta in aperta campagna, non è una strada frequentata. Non possiamo permettere che ci notino» spiegò il detective. Aprì la portiera e salto giù dall’auto, immediatamente imitato dai due seduti sul retro.

«Lei aspetti qui!» si raccomandò prima di chiudere la portiera. Iniziò a correre seguendo il segnale degli occhiali e tirò fuori il cellulare; aveva ricevuto un messaggio.

– Ok. –

Si concesse un sorriso. Se quella persona stava arrivando, avevano una speranza.

Era stata una fortuna che a ricevere Atem avessero mandato proprio Vodka; non aveva minimamente sospettato la presenza di un localizzatore. Basandosi sul racconto di Kid, Shinichi sospettava che li stesse portando dritti dal capo. Finalmente.

Gettò uno sguardo inquieto dietro di sé, focalizzandosi sulla ragazza, Anzu.

Non capiva perché fosse voluta venire a tutti i costi – o meglio, lo capiva, ma non vedeva come potesse rendersi utile. Avrebbe preferito rimanesse a casa con Haibara.

¤

L’assassino biondo, seguendo gli ordini, portò Atem dal capo, in una stanza interna della villa, senza lasciarlo neanche una volta lì. Non c’erano finestre.

«Ci rivediamo, Faraone».

A parlare era stato un uomo con la maschera da corvo, lo stesso responsabile dell’arrivo di Yugi, Atem e Anzu in quella dimensione. Alla vista del ragazzo egiziano gli si erano illuminati gli occhi – non che nessuno avesse potuto notarlo.

«Libera Yugi». La voce di Atem risuonò nella stanza, decisa, senza traccia di paura.

«Visto dove sei dovresti preoccuparti per te stesso» replicò asciutto l’uomo. Gin rafforzò la stretta sulla spalla del loro ospite. «Ho detto che ti avrei avuto in mio potere, e così è stato. Dov’è il puzzle?» l’interrogò frenetico, studiandolo. A ben pensarci… com’era possibile che avesse un corpo?

«Non l’avrai, se non liberi il mio amico». Di nuovo, il tono di Atem non tradì la minima incertezza.

Gin iniziava a spazientirsi, ma la reazione del capo stupì lui e la vittima della sua presa.

L’uomo scoppiò infatti a ridere, una risata cupa che rimbombò nella maschera per almeno un minuto.

«Allora non l’avrò», disse smettendo di ridere. Il Faraone lo guardò con sospetto. Se solo non ci fosse stata quella maschera, avrebbe potuto provare a decifrare la sua espressione…

«Sembri confuso, Faraone, ma vedi, io non ho mai desiderato il puzzle. Quel che volevo realmente sei tu».

«Non capisco». Non stava andando esattamente come avevano pianificato; sapere che il piccolo detective stesse seguendo la conversazione grazie al microfono-localizzatore piazzato sul suo bracciale lo confortò un po’. Avrebbe potuto aggiustare il piano.

L’uomo-corvo rise ancora. «Legalo, Gin. Poi lasciaci» ordinò bruscamente al suo sottoposto.

Il biondo s’irritò, ma obbedì. Sperava quasi che il ragazzo opponesse resistenza, per potersi sfogare colpendolo, ma questo non accadde. Gli assicurò i polsi e lo bloccò su una sedia. Dopo un ultimo sguardo pieno d’odio ad Atem, Gin uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

«Era proprio necessario?»

La voce del Faraone suonò sorprendentemente calma, nonostante la situazione bloccata in cui si trovava.

L’uomo non gli rispose, ma riprese il discorso di prima. «Ho detto di volerti, ma non è del tutto esatto. Quel che voglio realmente è la tua anima» decretò. Sotto la maschera gli si disegnò un ghigno.

Aveva mandato via Gin perché non avrebbe capito; Vermouth era l’unica a cui avesse confidato i suoi veri piani, l’unica a sapere delle altre dimensioni. Tuttavia anche con lei non era stato completamente sincero. Le aveva fatto credere di poter condividere la sua sorte.

Le aveva parlato di Pandora, la pietra in grado di conferire l’immortalità, se le si faceva assorbire il giusto ingrediente… un’anima millenaria, ad esempio.

Era sempre stato questo il vero scopo dietro alla sua Organizzazione: il raggiungimento dell’immortalità. Grazie ai suoi scienziati aveva ottenuto soluzioni temporanee, fallibili che l’avevano sottratto alla morte… per il momento. Non sopportava più di dover dipendere da loro, di dover temere ogni giorno la fine della sua vita. Sarebbe dovuto morire molti anni prima, ma si era opposto. Era andato contro natura, aveva ottenuto un potere oscuro.

Aveva trovato le istruzioni sull’uso di Pandora in un’antica pergamena; trovare la pietra aveva richiesto molto più tempo di quanto avesse sperato, ma ora era in mano sua. Il suo ghigno soddisfatto si allargò osservando il ragazzo immobilizzato davanti ai suoi occhi.

Mancava così poco…

Tirò fuori Pandora; appariva come un normale smeraldo, ma al suo interno celava qualcosa di ben più interessante. L’aveva appesa ad un cordino, e l’ondeggiò davanti agli occhi del Faraone.

«Stanotte, con la luna piena, indosserai questa. Se non tenterai di opporti potrei anche risparmiare il tuo amico», affermò.

Atem seguì la pietra con lo sguardo, come ipnotizzato. «Che succederà?»

«Niente di cui tu debba preoccuparti» rise l’uomo. «Quando l’avrai fatto non avrai più alcun pensiero, puoi credermi».

¤

Conan aveva fatto segno agli altri di fermarsi dietro ad un cespuglio. Da lì potevano vedere una villa in lontananza, a circa cinquecento metri. Tra il loro nascondiglio e l’edificio, però, non c’era assolutamente niente. Avanzare significava comunicare la loro presenza agli uomini in nero.

Non avevano detto niente, per un po’. Il finto bambino era rimasto assorto a lungo, ascoltando qualcosa attraverso un auricolare. Alla fine fece un gran sospiro; Anzu notò con stupore che tremava. «Agiremo stanotte», disse solo. «Con il buio potremo avvicinarci senza essere notati subito… loro aspetteranno la luna piena».

Nessuno lo contraddisse, anche se il ragazzo accanto ad Anzu, avvolto in un mantello bianco, non sembrò molto contento della novità.

«Starà bene?» chiese la ragazza, lo sguardo sulla villa. Era preoccupata.

«Sì» disse solo Conan. Deve star bene.

Anzu annuì e si sedette accanto all’ammantellato, lasciando liberi i pensieri.

Aveva paura, ma era pronta. Chiunque fossero quegli uomini, non li avrebbe perdonati per aver fatto del male a Yugi. Proteggerò i miei amici.

Pensieri simili passavano nelle teste degli altri due ragazzi.

Shinichi era agitato, eppure lucido. Gli succedeva ogni volta che affrontava quegli uomini.

Stavolta sarà diverso, però. Potrebbe non essercene un’altra.

Passarono così alcune ore. Valutando che fosse il momento giusto, Conan mise la mano in tasca e tirò fuori una piccola scatola, una di quelle usate per conservare i farmaci.

Ai gliel’aveva consegnata senza dire una parola; il suo sguardo, comunque, aveva compensato.

Fa’ attenzione, Kudo.”

L’aprì e, cercando d’ignorare il nodo che gli si era formato allo stomaco, l’ingerì.

Passarono pochi secondi prima che venisse colto dagli spasimi sotto gli sguardi inquieti degli altri due ragazzi.

¤

«Che significa?» domandò freddamente Gin.

Era già irritato per non essere stato informato dei dettagli del piano.

Vedere il ragazzino libero di muoversi raddoppiò la sua irritazione. Si contenne solo perché, nonostante tutto, sapeva benissimo che far arrabbiare quella persona non era una buona idea. Neanche per lui.

«Calmati, Gin. Io e il nostro ospite abbiamo trovato un accordo».

L’assassino non celò la sua sorpresa. «Un accordo?»

«Esatto. Va’ a prendere l’altro e portalo fuori, nel mio cortile privato» gli ordinò il capo, incurante dello stupore del sottoposto. Non gli interessava che capisse, non aveva importanza. «Quando l’avrai fatto, tenetevi a distanza».

Pur ribollendo di rabbia, Gin annuì. Salì le scale e raggiunse la stanza dove tenevano l’altro prigioniero. Estrasse la pistola ed aprì la porta, tenendolo sotto tiro.

Se non altro, aveva capito che il capo aveva in mente un qualche tipo di scambio.

«Muoviti».

  
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