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Autore: angelo_nero    05/05/2018    0 recensioni
Family Brief: Vegeta, Bulma, Trunks e Bra. Momenti della vita di tutti i giorni come una comune famiglia.
dal primo capitolo:
Dopo una buona ora e mezza finalmente l'intera tavolata aveva finito di mangiare, c'era ancora chi restava seduto a bersi un bicchiere di vino, mentre altri si intrattenevano chiacchierando o, come i piccoli Saiyan mezzo sangue, si sgranchiva i muscoli tirando quattro pugni. Vegeta era rimasto seduto a tavola ad osservarsi intorno, il suo sguardo passava dalla moglie che chiacchierava con C-18 e la moglie dell'eroe, al figlio che giocava con Goten. Come lui, seduto ancora al tavolo, c'era il suo amico/nemico, forse l'unico, che sorseggiava un bicchiere d'acqua a pasto ormai ultimato. Goku si sentiva troppo spossato per alzarsi da quella sedia diventata improvvisamente troppo comoda: anche l'eroe teneva d'occhio la propria famiglia per assicurasi che nessuno si facesse male o che il Genio non si avvicinasse eccessivamente alla moglie.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE: I dialoghi scitti in corsivo sono detti in lingua Saiyan



Era  tutto e niente allo stesso tempo. Percepiva ogni cosa e assolutamente nulla.
La sensazione di essere qualcosa e il nulla più totale era destabilizzante, eppure così rassicurante allo stesso tempo.
La percezione dei dintorni era strana, distorta. Come una radio che non si sintonizza per bene sulla stazione, la canzone è intermittente e gracchiante, facendo perdere il senso di ciò che dice.
Quanto tempo era passato?
Secondi, minuti, ore? Giorni? Forse anni. O addirittura secoli?
Il mondo lì fuori poteva non esistere più e non poteva saperlo.
Un’anima sospesa nel nulla, con ogni percezione del circondario azzerata. Un’anima come tante altre, in quel posto sembravano tutte uguali: parti spirituali di un corpo che non esisteva più, private di memoria e ricordi. Private di un’identità. Solo delle nuvolette fluttuanti.
Inconsistenti.
Eppure una volta anche loro erano esseri senzienti, con un nome e una vita. Con una volontà.
Volontà di fare del male, di veder soffrire gli altri per il proprio tornaconto personale. Per un piacere perverso e malato, che solo prova gusto a distruggere gli altri può comprendere.
Ma sotto sotto c’era qualcuno che non meritava quella punizione. C’era qualcuno che era stato “costretto” a fare ciò che ha fatto da qualcun’altro che, invece, si meritava la dannazione eterna e molto altro.
Le anime però non hanno una ragione e anche se fosse non potevano di certo opporsi alla decisione Divina. Il trapasso non era un verdetto preso con democrazia, valutando pro e contro, prove e testimonianze. No.
Il trapasso è un bivio: Inferno o Paradiso. E non c’è scusa, giustificazione o prova che tenga.
Se in vita ti sei comportato come si deve il Paradiso ti spalancherà le porte. In caso contrario verrai scaraventato nei meandri dell’Inferno, non prima, però, di essere stato privato di corpo e ricordi.
Tutto cancellato in un attimo. Tutto perduto per sempre.
Per questo si stupì quando la sua mente tornò ricolma di quei piccoli frammenti di vita passata.  In un secondo tutto ciò che le era stato tolto tornò al proprio posto.
Batté le palpebre confusa da quell’improvviso carico di informazioni riguardanti lei e quello che era stata. Si guardò poi le mani, la pelle bronzea liscia come la seta sembrava brillare in quel posto così cupo. Tirò un paio di pugni all’aria per verificare lo stato dei suoi muscoli, per troppo tempo rimasti... fermi, in un certo senso.
Incredibile: aveva riottenuto il suo corpo. E tutto per una sorta di istinto che l’aveva spinta a sgusciare via quando le guardie si erano allontanate.
La sirena d’emergenza ancora risuonava per il circondario facendo vibrare gli immensi cancelli davanti a lei, ultima misura di sicurezza dell’Inferno. Era riuscita ad uscirne appena prima che venissero chiusi.
Il suo corpo si era poi materializzato un istante dopo, come se la stesse aspettando al di fuori di quelle sbarre di metallo.
Ancora incredula osservò l’imponente struttura che aveva davanti e si chiese dove dovesse dirigersi ora che aveva riacquistato le proprie facoltà mentali.
Voltò le spalle, dunque, al cancello e fece un passo avanti. Poi scomparve.

***

Sulla Terra, nel frattempo, precisamente nel giardino della gigantesca casa a cupola, Uryasil rincorreva la nipotina dai capelli azzurri. La bambina era più veloce di quel che credeva la Saiyan, nonostante non avesse il sangue puro.
Bra, dal canto suo, rideva felice che ci fosse qualcuno a giocare con lei ai suoi ritmi. Giocare con la mamma o con i nonni non era uguale, doveva sempre trattenersi affinché non si stancassero di rincorrerla inutilmente e la lasciassero a giocare da sola.
Dalla cima dell’albero più solitario del giardino, il padre apprensivo della bimba osservava con attenzione le due rincorrersi. Non che fosse preoccupato però sempre meglio tenere sotto controllo la situazione. Sia mai che la sorella si inventasse qualche altra cavolata pericolosa delle sue.
-Presa!- urlò la donna con i capelli neri buttandosi addosso alla piccola ed afferrandola al volo.
Rotolarono per qualche metro prima di fermarsi e scoppiare a ridere solo a guardarsi. Bra però non perse tempo e, tornata in piedi, ricominciò a correre a perdifiato.
Uryasil ci mise qualche secondo di più ad alzarsi, più per dare vantaggio alla bambina che per reale necessità. Ma prima di poter pensare a riacchiappare la piccola peste azzurra, il suo sguardo incrociò la figura di Trunks.
Il piccolo mezzosangue, terminati i pochi compiti estivi, era sceso in giardino per sfogare un po’ il suo istinto di guerriero. Salutò la zia con un sorriso non appena la riconobbe e un secondo dopo fu travolto da qualcosa alto mezzo metro. Finì faccia a terra a tanto così dal dare una capocciata, con la sorellina seduta comodamente sulla sua schiena.
-Oniichan!- urlò Bra saltellando sulla schiena del fratello.
Trunks si girò a pancia in su ed afferrò la sorellina sotto le ascelle. La sollevò e la mise a terra, così che potesse saltellare senza distruggergli la colonna vertebrale.
-Ciao Bra. Sembra che non mi vedi da un’eternità.- disse il ragazzino.
Bra riprese a saltellare sul posto impaziente mentre Trunks si rialzava.
-Giochiamo! Giochiamo!-
-Non posso piccola, devo allenarmi con papà.-
La piccola si fermò all’istante e il suo sorriso radioso si trasformò in un broncio deluso. Non disse niente, si limitò a guardare i suoi piedi e ad annuire.
Trunks si intenerì e le scompigliò i capelli azzurri.
-Dai se finisco presto giochiamo dopo.- disse.
Gli occhietti azzurri di Bra si illuminarono felici, così come il suo sorriso tornò a risplendere sul visetto paffuto.
-Bra, lascia stare tuo fratello.- sentenziò Bulma dall’uscio della porta. -Deve ammazzarsi di allenamenti fino a stramazzare a terra. Così per il gusto di farlo.-
La frecciatina arrivò dritta alle orecchie del vero destinatario, che si limitò a una smorfia poco convinta mentre scendeva con un balzo dall’albero.
A Bulma non sfuggì e, appoggiandosi allo stirpe, si preparò a lanciarne un’altra.
-Sua maestà il re dei primati si è deciso a scendere dalla sua dimora. Hai incontrato qualche tuo simile lassù sui rami?-
Vegeta incrociò le braccia al petto e fece schioccare la lingua sul palato prima di risponderle.
-Disse il topo da laboratorio. Finito di effettuare esperimenti inutili quanto pericolosi? O stai costruendo qualche nuovo stupido, e altrettanto inutile, aggeggio dei tuoi?-
La donna accigliò lo sguardo quando il principe concluse la sua frase con un sorrisetto derisorio. I due iniziarono a guardarsi in cagnesco, come a volersi sbranare a vicenda.
Persino Uryasil ci aveva fatto l’abitudine a quei velenosi scambi di battute tra il fratello e la cognata. Si limitò ad osservarli da lontano un po’ perplessa: sembravano due cani rabbiosi legati alla catena, pronti a scattare l’uno verso l’altro ma tenuti a bada da una forza più grande di loro.
Bra le lanciò un pallone e la distrasse, riportandola invece con i piedi per terra.
Sorrise alla piccola e si preparò ad iniziare quel nuovo gioco, quando una folata di vento troppo forte per quella stagione le scompigliò i capelli.
Si voltò appena in tempo per vedere una navicella spaziale tonda atterrare a pochi metri da lei. Non era ancora molto capace di percepire le aure ma ne riconobbe una piuttosto simile alla sua e a quella di suo fratello. A quel punto fece due più due.
Vegeta e Trunks, che invece erano più avvezzi, ci misero poco a collegare l’energia sprigionata con il proprietario. Bra, che capiva ancora poco di energie spirituali, si  limitò ad osservare curiosa la scena.
-Che ci fai qui?- chiese il Saiyan maggiore mentre il portellone della navicella si apriva, rivelando l’unico occupante. -Tarble.- concluse quando la figura del fratello fu riconoscibile.
-Oniisan!- lo salutò il fratello.
Vegeta non si mosse di un centimetro mentre il fratello minore gli correva incontro quasi saltellando.
Tarble gli sorrise felice. -Sono venuto a trovarti!-
Il maggiore alzò gli occhi al cielo e voltò le spalle all’altro, andandosi ad appoggiare all’albero dal quale era sceso.
-Tarble! Che piacere rivederti! Come sta tua moglie?- lo accolse invece Bulma.
-Ciao Bulma! Anche per me è un piacere rivederti. Mia moglie sta bene ma ha preferito rimanere a casa questa volta.-
L’azzurra sorrise al cognato e lanciò invece un occhiataccia al marito. -Lascialo stare tuo fratello, è sempre il solito eremita.-
Tarble le sorrise un po’ in imbarazzo: Bulma come persona gli piaceva ma era forse troppo espansiva per i suoi gusti. Sembrava sprizzare affetto da tutti i pori.
-Ehi! Nanerottolo! Non si saluta più!?- gli urlò addosso Uryasil stanca di essere ignorata.
L’altro si voltò di scatto al suono di quella voce, inconfondibile.
-Uryasil! Che diavolo ci fai qui!? Sei viva! Come hai fatto a salvarti dall’esplosione!?- iniziò più sorpreso che felice.
La donna dai capelli corvini alzò gli occhi al cielo. -Anche io sto bene fratellino, grazie per avermelo chiesto!- ribattè piccata. -Comunque sono qui per il tuo stesso motivo: una visita al nostro caro fratellone.-
Tarble non seppe ribattere, si limitò a fissare la sorella piuttosto confuso. Ricordava che, mentre lui fu spedito su un lontano pianeta per il suo livello di combattimento troppo basso, il fratello maggiore e la sorellina furono “affidati” alle cure di Freezer dal loro padre. In cambio della promessa di non distruggere il pianeta Vegeta-sei.
Promessa non mantenuta ovviamente.
Per quanto ne sapeva lui, la vita al soldo del tiranno non era di certo rose e fiori. Anzi, gli era stato riferito da vari viaggiatori intergalattici che alcuni dei mercenari di Freezer sono arrivati a suicidarsi, facendolo passare per un omicidio da parte del nemico ovviamente, pur di non tornare tra le grinfie del Lord. Soprattutto se sconfitti o a mani vuote.
Non aveva idea di cosa spinse mercenari forgiati da mille e una battaglie a giungere ad un gesto così estremo, ma sicuramente qualcosa di più spaventoso della morte stessa.
Uryasil, però, al contrario di Vegeta, aveva mantenuto la lingua lunga che ricordava avesse da piccola. Si chiese come mai gli anni sotto Freezer e Re Cold non l’avessero scalfita più di tanto.Che fosse riuscita a scappare prima del peggio?
Tarble si sentì tirare i pantaloni della tuta, come se qualcuno di troppo piccolo volesse attirare la sua attenzione. Cosa non abituale per il Saiyan data la bassa statura di cui era dotato.
Abbassò lo sguardo ed incrociò due occhioni limpidi ed azzurri, due guanciotte rosee e un viso paffuto.
-Oh già, tu non conosci Bra. Lei è la nostra secondogenita, è nata un anno dopo la tua partenza.- gli spiegò Bulma.
-Secondogenita?- chiese incredulo Tarble senza riuscire a staccare gli occhi da quelli azzurrissimi della piccola. - Io pensavo che odiassi i bambini- disse poi rivolto al fratello, voltando la testa verso di lui.
-Lo pensavo anche io.- mugugnò l’altro.
Bulma sorrise ed andò a scompigliare i capelli alla figlia, abbassandosi alla sua altezza.
-Tuo fratello brontola tanto ma alla fine è un ottimo padre.- disse sorridendo al suo interlocutore -E poi questa piccolina è la principessina di papà.-
Bra rise quando la madre le sfiorò il naso con il proprio, facendole il solletico.
Il Saiyan ci mise un po’ a carburare quella nuova informazione: già era rimasto sconvolto quando aveva ritrovato il fratello sposato e con un figlio. Però Trunks era un maschio, quindi la cosa aveva un po’ ammortizzato la sorpresa. Pensava che nonostante il pessimo carattere il fratello riuscisse a gestire il figlio, attraverso gli allenamenti poteva passargli anche concetti di vita quotidiana.
Bra, invece, era una bambina dolcissima con due occhioni talmente grandi da non sembrare i suoi, in cui poteva rischiare di perdersi se continuava a guardarli. Come faceva a relazionarsi con lei? Di certo non con baci e abbracci ma neanche a suon di pugni.
-E tu invece? Non ti piacciono i bambini?- indagò l’azzurra.
-Io adoro i bambini! Sul mio pianeta mi occupo spesso dei più piccoli quando necessario.- rispose il ragazzo con un sorriso genuino.
-E allora che aspetti a farne uno tu?- gli domandò velenosa la sorella, puntellando la mano libera sul fianco.
Tarble ci mise un po’ a rispondere: imbarazzato, si passò una mano dietro il collo e spostò lo sguardo sul terreno.
Osservando il suo comportamento, le due donne si chiesero se avessero toccato un tasto dolente. Bulma e Uryasil si lanciarono un’occhiata.
Tarble sospirò prima di rispondere.
-Purtroppo io e mia moglie non siamo compatibili, sotto quel punto di vista. Non potremmo mai avere un figlio.- disse fissando la punta degli stivali bianchi.
Uryasil si pentì di avergli posto quella domanda, probabilmente il fratello ci soffriva molto di più di quanto desse a vedere. Lei non desiderava figli per il momento, quindi non poteva comprendere appieno cosa significasse non poterne avere nonostante il forte desiderio.
Bulma si rattristò, capendo in un certo senso cosa stesse provando il Saiyan: aveva desiderato così tanto un secondo figlio che, ad ogni tentativo fallito, si chiedeva sempre più se lei e Vegeta non fossero compatibili nonostante Trunks. Però lei alla fine aveva ottenuto la sua seconda gravidanza mentre Tarble non poteva neanche sperarci di avere un figlio suo.
-Perchè non adottare?- chiese senza pensare l’azzurra.
Il moretto alzò la testa dalle sue scarpe e fissò la cognata con un’espressione confusa.
-Cosa significa “adottare”?- chiese Uryasil da parte sua.
A Bulma, che non si aspettava quella domanda,  ci vollero parecchi secondi per formulare una risposta che avesse qualche senso.
-L’adozione, in pratica, consiste nel prendersi cura di un bambino senza genitori. Diventa tuo figlio legalmente anche se non ha il tuo DNA.- spiegò cercando di essere il più concisa e chiara possibile.
-Non so se esiste questa pratica sul mio pianeta, però so che quando dei bambini perdono i genitori e non ci sono parenti alcune coppie li prendono con sé.- spiegò il Saiyan – Può essere considerato “adottare”?-
-Penso di sì.- mormorò Bulma.
Tarble le sorrise riconoscente. -Ne parlerò con mia moglie quando tornerò a casa.-
Bulma sorrise di rimando al Saiyan, trovando il suo altruismo molto simile a quello di Goku. Erano molto simili caratterialmente quei due.  Ironia della sorte, il fratello minore del principe dei Saiyan aveva lo stesso modo di fare del suo rivale. Bisogna sottolineare che Tarble, però, era sicuramente più sveglio di Goku e con un po’ più di sale in zucca.
L’idea che non potesse sperimentare la paternità la rattristava, avrebbe fatto un buon lavoro come genitore. Forse avrebbe preso in considerazione l’idea dell’adozione suggeritagli.
-Uryasil.- la richiamò l’azzurra.
La Saiyan, che stava giocando alla lotta con Bra, attizzò le orecchie.
Bulma sfonderò un sorriso più falso di una moneta da tre euro.
-E tu non hai intenzione di figliare? Visto che critichi tanto tuo fratello.- ammiccò.
La schiena della Saiyan puro sangue fu percorsa da un brivido e la sua espressione si fece mano a mano più disgustata.
-Figliare? Ma scherzi? Giocare con i bambini mi piace ma prendermene cura tutto il giorno tutti i giorni fino a che non sloggiano neanche morta. Poi dovrei trovarmi un… essere di fattezze maschili biologicamente compatibile con me. E questo è decisamente l’ultimo dei miei desideri.- sentenziò.
All’udire quelle parole, in un angolo remoto del giardino, sotto l’ombra di un grande albero, il principe dei Saiyan tirò un impercettibile sospiro di sollievo. In un certo senso l’idea che la sorella non avesse intenzione di “accoppiarsi” lo rassicurava. Era sicuro che avrebbe ucciso qualunque essere di fattezze maschili avesse visto girare attorno alla sorella. Ovviamente era un segreto che sarebbe rimasto nascosto dentro di sé, chiuso, sigillato nei meandri del suo cuore non più di ghiaccio. Figuriamoci se gli salterebbe mai saltato in mente di dirlo a qualcuno. Soprattutto a quell’impicciona di sua moglie, che sembrava non riuscire a tenere un segreto per più di dieci secondi. Meglio tenerselo per sé.
Quando riportò la sua regale attenzione sui componenti della propria famiglia, Tarble era stato assalito dai nipoti e dalla sorella che avevano comodamente preso posto sulla sua schiena dopo una breve, quanto impari, lotta. Tarble non era mai stato il tipo che riusciva a vincere uno scontro di potere. Più che altro era quello che, pur provandoci, finiva sempre a prenderle e a sottostare agli altri. Vegeta si chiese se, nel caso fosse stato lui a dover sottostare per anni ai soprusi di Freezer e compagni, sarebbe riuscito a sopravvivere.  Per fortuna il padre aveva avuto “pietà” del fratellino e aveva preferito spedirlo in giro per lo spazio e non agli ordini del tiranno.
Una folata di vento scompigliò i capelli di tutti e Vegeta si perse nei suoi stessi pensieri mentre osservava i fratelli giocare con i figli e Bulma osservare divertita i tentativi, vani, di Tarble di imporsi sui Saiyan minori. Sarebbe stato bello poter condividere altri momenti di tranquilla quotidianità tutti insieme.
Sul verde prato curatissimo e amatissimo dalla signora Brief, i rilevatori di Uryasil e Tarble suonarono in contemporanea avvertendo tutti della presenza di un’aura nuova. I sofisticati dispositivi furono, però, ignorati sia dai proprietari che dagli altri Saiyan presenti, tutti troppo occupati a giocare tra di loro.
-Mi fa piacere vedervi tutti così allegri, insieme.-
La voce delicata di donna e marcata da un accento piuttosto rude, attirò l’attenzione di tutti: la lingua parlata era spigolosa, volgare e con una cadenza piuttosto formale. Sconosciuta e aliena.
Tra i presenti calò un silenzio irreale. Rimasero tutti immobili, senza quasi respirare. Fu come mettere in pausa il tempo: nessuno si mosse e nessuno parlò.
Solo il vento ebbe il coraggio di soffiare e scompigliare la folta chioma corvina della nuova arrivata.
-Madre- la voce di Vegeta spezzò il silenzio irreale, premendo “play” nuovamente.
Il Saiyan si avvicinò alla donna, che nel frattempo si era voltata verso di lui e ne seguiva i movimenti con lo sguardo. Si fermò a pochi passi da lei, rimase come sempre in quella posizione rigida militare, quasi fosse davanti a un superiore.
La donna si aprì in un sorriso appena accennato, i grandi occhi neri si velarono e assunsero una sfumatura malinconica. Allungò una mano e la poggiò sulla guancia del principe, che la lasciò fare. Inclinò di poco la testa e una lacrima sfuggì dalle sue ciglia.
-Come sei cresciuto… Il mio bambino, il mio coraggioso primogenito, è diventato uomo.- mormorò la donna con un tono morbido.
Vegeta alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
-Sono passati quasi quarant’anni.- rispose quasi annoiato.
La donna non smise di sorridere a quella risposta un po’ acida, anzi ne sembrava quasi divertita. Come se conoscesse il suo modo di fare ed era felice di averlo ritrovato dopo anni. La sua espressione cambiò quando avvertì una sensazione di bagnato sulla mano. Alzò allora lo sguardo sul volto del principe, voltato leggermente verso destra, e scoprì le sue guance rigate da lacrime rare che sgorgavano silenziose fuori dai suoi occhi, profondi come la notte.
Le sfuggì una risata mentre anche a lei una goccia di pianto sfuggì nuovamente e le rigò le guance ambrate.
Trunks, rimasto immobile, tirò fuori un espressione tra il confuso e il sorpreso alla vista del pianto sommesso di suo padre. Mai aveva creduto che quell’uomo fosse in grado di piangere. Non aveva fatto molto caso alle parole scambiate dai due, erano molto formali e lui conosceva poco e niente quel modo di parlare. Aveva però capito che il padre aveva chiamato “madre” la donna dai lunghi capelli corvini e che lei l’aveva definito “il suo bambino”.
Bulma, che conosceva quella lingua ancora meno del figlio, aveva però capito la situazione e un paio di lacrime silenziose erano scese dai suoi occhi. Non poteva immaginare il grande dolore e al contempo l’enorme gioia di quella donna nel rivedere i suoi figli, perduti per sempre.
-Mamma-
Uryasil fu la seconda a rivolgerle la parola, con gli occhi lucidi e prossimi al pianto.  Abbracciò la donna di slancio, dimenticando per un attimo la sua età e le regole della loro razza che imponevano il divieto di contatto fisico in pubblico, persino tra madre e figlio.
-Uryasil, bambina mia non piangere. Fatti guardare.- disse spostando con delicatezza la figlia da sé. -Sei cresciuta bene e sembri anche molto forte.-
La ragazza si asciugò le lacrime e drizzò la schiena, come un bravo soldatino e annuì energicamente, sorridendo poi di rimando.
Tarble, che era rimasto in disparte, non ebbe il coraggio di avvicinarsi alla madre. La vedeva come una sorta di divinità, intoccabile.
-Tu invece non sei cresciuto molto, vedo.- lo provocò la madre, tanto per far scattare quell’orgoglio sempre represso.
Tarble sussultò ma non rispose, piuttosto abbozzò un timido sorriso accondiscendente. Anche lui con le lacrime agli occhi, non osava però fare un passo in più.
La madre dei tre fratelli si sentì tirare la gamba dei pantaloni e abbassò lo sguardo, incrociando quello limpido e innocente di una bimba di poco più di anno che, con un dito in bocca, reclamava la sua attenzione. La donna la prese in braccio senza pensarci due volte, sotto gli sguardi preoccupati e atonici di tutti.
Bulma si avvicinò al compagno non appena si rese conto che la bimba tra le braccia della Saiyan era sua figlia.
La donna corvina studiò con attenzione i tratti dolci della bambina e i suoi grandi occhi chiari. Mai in tutto il suo viaggiare aveva incontrato sguardo più limpido di quello.
-Ciao piccola, come ti chiami?- le chiese.
Bra, che a malapena capiva la sua di lingua, non seppe comprendere né rispondere alla domanda che le era stata porta. Così si limitò a fissare confusa la donna davanti a sé, continuando a ciucciarsi il pollice.
La Saiyan, compresa l’impossibilità della piccola di risponderle, spostò lo sguardo sui tre figli in cerca di aiuto.
Tarble e Uryasil si guardarono l'un l'altra, come a chiedersi se dovessero farlo. Quasi di comune accordo indicarono il fratello maggiore che, per un gioco di prospettiva, sembrava essere tra loro due. Vegeta, sottovoce, maledì entrambi i fratelli.
La regina fissò il primogenito interrogativa, come a chiedergli se lui sapesse qualcosa di quella bambina.
Il Saiyan non ebbe in tempo ad aprire bocca che Bra, forse stanca di stare tra le braccia di una sconosciuta, si allungò verso di lui borbottando un "papà" così dolce da far sciogliere il cuore del principe ancora una volta. Si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo ed afferrò la sua piccola principessa chiedendosi perché doveva fargli lo stesso effetto ogni santa volta.
Bra abbracciò forte il suo papà, prima di regalargli un sorrisone sdentato. Vegeta non potè far altro che sciogliersi di nuovo interiormente.
Dannati sentimenti umani.
La Saiyan adulta fissò impassibile la scenetta diabetica, sembrava quasi contrariata da tutto quell’affetto. Fece un passo in avanti e i due fratelli minori trattennero il fiato, perché l’aura emanata dalla madre era tutto tranne che amichevole. Fissò la bambina in braccio al primogenito senza proferire parola, limitandosi a specchiarsi in quelle pozze cerulee.
Bra, dal canto suo, non sembrava intimorita dallo sguardo penetrante della donna, anzi lo sosteneva senza alcun apparente sforzo. Inclinò la testolina di lato e si mise il pollice in bocca, in attesa.
Rimasero a fissarsi per attimi che sembrarono interminabili. I genitori della piccola, e gli zii seppur in forma minore, trattennero il fiato per l’intera durata di quello scambio di sguardi. Pregando che non scoppiasse una guerra tra le due.
La Saiyan puro sangue fu la prima a distogliere lo sguardo, spostandolo sul padre della bimba.
-Vegeta- iniziò con un tono che sembrava di rimprovero. -Per quale motivo non hai detto subito che questa splendida bambina è tua figlia? E’ così dolce!-
Vegeta osservò stralunato la madre sorridere a Bra e lasciarsi afferrare un dito guantato dalle piccole manine. Okay che era morta troppo prematuramente per dare a lui, e ai fratelli, la possibilità di inquadrarne alla perfezione il carattere, e che per quanto Saiyan la donna non era poi così schiva a lasciarsi andare ai “sentimentalismi” con i figli, ma non credeva possibile un simile comportamento.
Uryasil, Tarble e Bulma tirarono istantaneamente un sospiro di sollievo non appena la “signora” aveva sorriso alla bambina.
Trunks, che aveva osservato tutta la scena in assoluto silenzio, si avvicinò alla zia e, quasi sottovoce, le chiese cosa stesse succedendo.Uryasil gli spiegò grosso modo la situazione, sperando che il bambino si accontentasse di un veloce riassunto.
-E come si chiama, vostra madre?- chiese il piccolo Saiyan storcendo il naso alla parola finale.
-Aranel*-
La donna si voltò a guardare i due, sentendo il proprio nome pronunciato in una lingua a lei sconosciuta. Riportò poi lo sguardo sul figlio maggiore.
-Anche lui è tuo figlio?- chiese senza aspettarsi una reale risposta.
Vegeta si limitò ad annuire.
Aranel, a quel punto, si mosse verso i due con andatura lenta e movimenti sinuosi, regale.
Trunks osservò la “nonna” oltre le spalle di Uryasil, che ancora tentava di riassumere la situazione -con scarsi risultati. Aggrottò involontariamente le sopracciglia e si mise sul chi va là, pur rimanendo immobile al proprio posto.
La Saiyan più anziana sorpassò la figlia senza tanti complimenti e si piegò abbassandosi all’altezza del piccolo mezzosangue. Gli sorrise, osservando il suo viso giovane contratto nell’espressione di chi non si fida e preferisce tenere la guardia alta.
-Tu sei il figlio maggiore di Vegeta?- chiese.
Il ragazzo annuì.
Aranel non si stupì molto dell’abilità del giovane di apprendere le sue parole.
-E come ti chiami piccolo principe?--Trunks- rispose atono. -Trunks Vegeta Prince- specificò poi.
La donna gli sorrise e fece uno strano gesto con la mano, che nella lingua Saiyan era come stringere la mano a qualcuno.
-Piacere di conoscerti, Principe Guerriero. Il mio nome è Aranel.-
Trunks imitò il gesto della donna, se pur con movimenti meno fluidi: era la prima volta che lo eseguiva sul serio.
-Piacere mio.- rispose.
Il bambino avrebbe quasi voluto aggiungere la parola “nonna” alla fine della frase, ma sapeva che nella lingua natia non esisteva. Così lasciò quasi la frase in sospeso, senza aggiungere altro.
Aranel si raddrizzò e rivolse uno sguardo d’orgoglio al piccolo guerriero, non poteva avvertirne l’energia e non aveva il rilevatore con sè, ma sapeva che era forte.
Gli diede le spalle e tornò sui propri passi, rivolgendo la propria attenzione ai figli minori che sembravano impazienti di parlare con lei. Rivolse appena uno sguardo di sufficienza a Bulma, in piedi accanto al compagno, prima di spostare definitivamente la propria attenzione sui due figli.
L’azzurra si risentì un poco per quello sguardo ma sorvolò pensando che la donna non si sentisse a proprio agio in un pianeta sconosciuto.
Il cielo si annuvolò in pochi attimi, coprendo il caldo solleone di agosto con nuvoloni neri. Appena il tempo di alzare il naso verso la volta grigia che la pioggia si abbattè sul giardino della casa a cupola, costringendo i suoi occupanti a rifugiarsi all’interno.
Bra venne messa giù appena varcata la soglia. Non perse tempo e corse verso la strana donna dai capelli scuri che la incuriosiva non poco.
Vegeta la seguì con lo sguardo fin quando il suo piccolo sederino coperto dal pannolino si posò sul pavimento, tra gli zii e la “nonna” paterna. A quel punto si accomodò sul divano, non poco scocciato dalla presenza della sorella accanto a sè, cercando di isolarsi dal resto.
Bulma sbirciò fuori dalla finestra chiedendosi cosa avesse scatenato quel repentino cambiamento climatico. Che la presenza della defunta regina Saiyan avesse qualcosa a che fare? Rivolse lo sguardo proprio sulla suocera che giocava con Bra come fosse la cosa più normale del mondo. Notò che, sulla chioma nera della donna, non aleggiava la classica aureola dorata, esibita con orgoglio da Goku durante il suo permesso di ventiquattro ore, dopo la morte a causa di Cell, al torneo di arti marziali.
A quanto ne sapeva lei, le anime destinate all’inferno venivano private di corpo e ricordi, purificate per poter essere poi reincarnate. Quindi cosa ci faceva Aranel, in carne ed ossa -e senza aureola- nel suo salotto? Che fosse successo qualcosa all’inferno?
Rimuginando si sedette sul bracciolo del divano, guadagnandosi un’occhiataccia dal marito che, insofferente sembrava voler sprofondare nel comodo sofà: okay la famiglia ma così era troppo!
Aranel, Tarble, Uryasil e persino Trunks parlavano la lingua natia di Vegeta-sei, incomprensibile per Bulma, che ne afferrava si o no dieci parole su un milione.
La scienziata in un primo momento provò a cogliere almeno il succo del discorso, nonostante capisse una parola sì e trenta no, ma quando persino Vegeta iniziò ad intervenire -o meglio inveire- ogni tanto, si stancò di sentirsi esclusa da tutto quel parlare. Si alzò quasi di scatto, attirando gli sguardi incuriositi di tutti, e sparì nel corridoio per minuti interminabili. Riapparve soddisfatta con un sorriso da orecchio a orecchio e mostrò agli occupanti del salotto cosa aveva recuperato dai meandri del suo laboratorio.
E se Uryasil e Tarble strabuzzarono gli occhi sorpresi, Vegeta alzò gli occhi al cielo consapevole che, il suo intento di tenere la moglie fuori dai loro discorsi usando una lingua a lei sconosciuta era appena andato a farsi un giro.
Bulma, infatti, aveva recuperato il rilevatore che aveva costruito anni orsono sul modello di quello di Radish, trovato in occasione del approdo del fratello di Goku sulla Terra. Tornò a sedersi accanto al marito e posizionò il dispositivo alieno sull’orecchio.
-Lo sai che non potrai comunque parlarle?- l’apostrofò il Saiyan.
-Per quello ci sei tu: farai da traduttore.- gli rispose la donna accendendo il rilevatore.
L’uomo sbuffò contrariato dall’ennesimo tentativo della moglie di infilarsi in affari non suoi. incrociò le braccia al petto e mise un simil broncio. Nessuno fece caso a quel suo cambiamento di umore, tanto era sempre accigliato.
Aranel, con ancora in braccio la piccola Bra, che non sembrava molto turbata dall’atmosfera pesante che aleggiava attorno a loro, iniziò a raccontare come fosse finita sulla Terra. Non ricordava nulla dei momenti prima della ri-acquisizione di corpo e ricordi, e non aveva la minima idea del perchè si fosse scatenato il putiferio all’Inferno. Sapeva solo che si era, istintivamente, spinta fuori dall’enorme cancello dorato. Poi il buio.
-Quando mi sono svegliata ero su questo pianeta azzurro.- disse senza guardare in faccia nessuno. -Poi ho semplicemente seguito il primo segnale captato dal rilevatore.-
- Quindi è un caso che tu sia qui?- chiese Bulma.
La donna, ovviamente, non comprese la domanda che le porse e la guardò accigliata.
La scienziata, a quel punto, capito che il marito non avrebbe tradotto di sua spontanea volontà, lo colpì con una gomitata. Si beccò un’occhiataccia prima che egli cominciasse a parlare per lei nella sua lingua madre.
Aranel finalmente capì cosa le era stato chiesto. -Sì. Non avevo alcuna intenzione di finire qui. Non so neanche dove sono.-
-Hai pensato a qualcosa di specifico, appena uscita da lì?- chiese Bulma incuriosita.
Vegeta tradusse.
La Saiyan sembrò pensarci un po’ su prima di rispondere sottovoce. -Credo di aver pensato di voler rivedere i miei figli.-
Scese il silenzio.
-Forse è stato quel pensiero a portarti sulla Terra. Dato che i tuoi figli sono qui adesso.- ipotizzò Trunks, spezzando il silenzio imbarazzante che si era creato.
-Terra?- chiese la donna corvina più anziana. -Come siete finiti su un pianeta ai confini dell’universo?- chiese poi rivolta ai figli.
Fu Uryasil a spiegare la situazione alla madre, in quanto Tarble fosse troppo intimorito dalla sua presenza e Vegeta troppo arrabbiato con la moglie per parlare.
-Beh, a dire la verità è Vegeta che ha messo radici su questo pianeta. Io e Tarble siamo solo di passaggio.- disse.
-E perchè mai vostro fratello si sarebbe recato su questo pianeta? Facendone poi sua dimora?- chiese Aranel confusa.
-Sono stato incastrato.- bofonchiò il principe guadagnandosi un’occhiataccia dalla moglie. -Da una petulante donna terrestre.- aggiunse.
Bulma gli tirò uno scappellotto che lo fece scattare in piedi manco lo avesse punto un’ape.
-Cosa diamine fai!?- le ringhiò addosso l’uomo.
-Ti do quello che meriti!- gli rispose lei senza scomporsi troppo.
Il Saiyan le ringhiò qualche brutta parola nella sua lingua che Bulma ignorò per evitare di far scatenare una sorta di guerra mondiale davanti a tutti.
-Siediti.- gli intimò la moglie senza guardarlo.
Vegeta, se pur contrariato, obbedì e tornò seduto ancora più accigliato di prima.
Bra, nel frattempo che i genitori avevano cominciato a litigare come cane e gatto, si era alzata ed era riuscita a recuperare il suo biberon con latte e biscotti appoggiato sul tavolo. Mise in bocca la tettarella e iniziò a succhiare tornando nell’altra stanza. Si arrampicò sul divano e si sedette in braccio a Tarble, che preso alla sprovvista si irrigidì. Bra non fece caso alla cosa e rimase dov’era.
Aranel non commentò la scena, a suo parere deprimente per la sua stupidità, ma si limitò ad osservarli con il disappunto stampato in faccia.
-Sinceramente mi interessa poco sapere come sei finito qui o chi ti ha “incastrato”. Vorrei sapere perchè sei qui.- sentenziò la donna osservando il figlio maggiore con un cipiglio di disappunto.
Vegeta le spiegò velocemente la storia di Goku e del suo approdo sulla Terra alla sua ricerca. Sorvolò sulla sua sconfitta per mano dei terrestri ottenuta in quell’occasione e si concentrò maggiormente sul fatto che, a battaglia conclusa, lui e Goku furono gli unici Saiyan rimasti.
Uryasil e Tarble, che ne sapevano veramente poco di quella storia, ascoltarono le parole frettolose del fratello pendendo dalle sue labbra.
-Aspetta, tutto questo è successo prima o dopo la morte di Freezer?- chiese Uryasil confusa.
Aranel sussultò nel sentire il nome del tiranno intergalattico che mise le mani sul suo popolo, decenni prima. Sbiancò e si irrigidì, entrando in uno stato di allerta. Si guardò attorno, come se Freezer potesse essere in quella stanza e potesse ascoltare le loro parole.
Nessuno dei presenti potè biasimarla, persino Trunks che di tutto ciò aveva sentito nient’altro che delle storie piuttosto addolcite.
La donna aveva palesemente cambiato atteggiamento, assumendo una postura più rigida e pronta a scattare in caso di pericolo rispetto a quella più rilassata di poco prima.
Uryasil le si avvicinò e con tono pacato ma non accondiscendente, spiegò alla genitrice che non c’era niente da temere, che il tiranno era stato ucciso anni prima.
A quel punto Aranel sembrò calmarsi un pochino, pur rimanendo sul chi va là. Non chiese chi fosse stato a far fuori il tiranno.
Puntò lo sguardo sul figlio maggiore, lo passò poi su Tarble e infine su Uryasil. Accarezzò la guancia di quest’ultima stupendola.
-Che vi ha fatto?- disse.
In un primo momenti non capirono a chi si riferisse la donna, poi lo sguardo di Uryasil si indurì e aggrottò le sopracciglia.
Nessuno rispose alla sua domanda ma i ricordi di quegli anni di supplizio passarono veloci come un fulmine nelle menti dei due fratelli. Troppo lungo da spiegare. Troppo doloroso da raccontare. Troppo cruento da riassumere.
-Vostro padre è stato un codardo. Vorrei aver potuto fare di più…- disse la donna stringendo i denti in un moto di rabbia.
Il Re dei Saiyan vendette i tre figli al tiranno per l’incolumità del proprio pianeta e della propria persona. A nulla valsero le preghiere della Regina, i tentativi di fargli cambiare idea per salvare l’incolumità dei propri figli. Egli rimase dalla sua idea fino alla fine e, quando la Regina minacciò il consorte di prendere i figli, compreso il legittimo erede al trono, e fuggire su qualche pianeta lontano dai domini di Freezer, glielo impedì nel modo più drastico possibile. La uccise. Davanti agli occhi dei tre bambini.
Il Re non rivelò mai ufficialmente il vero motivo per il quale la Regina morì. Disse che erano stati dei soldati esterni alla corte.
Essi non furono mai trovati, ovviamente, nè mai veramente cercati.
Da lì a poco due dei tre piccoli principi furono ceduti alla lucertola galattica, mentre Tarble fu spedito lontano dal Re stesso. E non per una sorta di senso di “pietà” verso il ragazzino dal carattere più debole ma per via del suo livello di combattimento eccessivamente basso. Quindi considerato inutile per i piani del Lord.
Il popolo non fece in tempo a sospettare del sovrano, sia per la morte della Regina che per la scomparsa degli eredi al trono, che Freezer, temendo la nascita del Super Saiyan e quindi la propria dipartita, fece esplodere l’intero pianeta.
-Non potevi fare molto. Sei stata uccisa proprio per averci provato.- sentenziò Vegeta tagliante.
L’attenzione si spostò automaticamente su di lui. Gli occhi di tutti furono calamitati dalla sua figura.
-Se quel codardo ha avuto bisogno di vendere la propria prole per salvarsi il culo, significa che non gliene importava poi molto di noi. Non che me ne freghi qualcosa.- disse volgendo lo sguardo alla finestra dietro i suoi interlocutori.
Fuori il temporale dava il meglio di sé, presagendo la fine del bel tempo nel giro di pochi mesi. Era ormai fine agosto e il clima sarebbe potuto cambiare velocemente.
Il Saiyan non aggiunse altro e il silenzio calò nella sala, il suono delle gocce di pioggia contro il vetro e dei tuoni in lontananza parlarono per loro creando un’atmosfera cupa attorno a quel discorso lasciato in sospeso.

***

La pioggia non sembrava voler cedere continuando a scrosciare a tutto spiano sulla Città dell’Ovest. Alcuni passanti correvano sotto di essa cercando disperatamente riparo in qualche negozio o sotto qualche balcone. Gli ombrelli venivano rigirati dal vento e trascinavano via il povero malcapitato rimasto attaccato, nel disperato tentativo di impedirgli di volare via.
Rinchiusa nel suo mondo fatto di ferro, oli per motori e attrezzi vari, Bulma si accorse a malapena del tempo al di fuori della propria abitazione, concentrata com’era sul proprio lavoro.
Da sotto un enorme velivolo spuntavano solo le gambe avvolte nella tuta protettiva, mentre le sue mani armeggiavano con il motore dello stesso. Nelle orecchie aveva un paio di cuffie, attaccate al telefono che teneva in tasca, che la isolavano dal resto del mondo.
Non si accorse neanche della presenza di un secondo individuo nella stanza prima che un paio di stivaletti bianchi entrassero nel suo campo visivo. A quel punto si spinse fuori dall’angusto pertugio nel quale si era andata ad infilare.
Il viso di Aranel, bello nella suo aspetto particolare ed alieno, dai tratti dolci e duri allo stesso tempo, degni di una regina guerriera, fu la prima cosa che vide.
Si tolse le cuffie dalle orecchie e fissò la suocera -le faceva strano pensarla in quei panni ma, in effetti, era quello che era.
La donna le disse qualcosa nella sua lingua e Bulma si ritrovò ad ascoltare quelle parole aspre e dure senza comprenderne il significato. Prima che la Saiyan partisse in quarta con il discorso, la scienziata le fece cenno di aspettare e recuperò il rilevatore sulla scrivania. Lo indossò e le fece cenno di ricominciare.
La Saiyan si osservò intorno con fare attento cercando oggetti a lei familiari che non sia il rilevatore calzato dalla terrestre.
-Cos’è questo posto?- le chiese la donna.
Bulma avrebbe voluto risponderle volentieri ma non conosceva molte parole in quella lingua. Frugò nel suo geniale cervello per qualche secondo, cercando di formulare una frase di senso compiuto.
- Ehm… questo è il mio laboratorio. Ci lavoro.- disse poco convinta di quello che pronunciava.
Aranel però sembrò capirla. - Quindi hai costruito tu queste cose? -
-Io e mio padre.-
- È questo che fai tutto il giorno?-
La scienziata annuì.
La Saiyan si fece un giro all’interno sfiorando con la mano guantata un po’ tutto ciò che le capitò a tiro, facendo attenzione a non distruggere nulla. Silenziosa studiò il posto come un cane studia la nuova casa in cui si trova.
-Sembri una donna intelligente, è così?-
- Sì.-
Aranel prese tra le mani un foglio poggiato sulla scrivania, non capì nulla di ciò che vi era scritto, i caratteri terrestri a lei erano sconosciuti. Lo rimise al suo posto e riprese a vagare per il laboratorio, incuriosita dalla vastità di macchinari mai visti presenti all’interno. Lo fece in silenzio, persino i suoi passi non emisero alcun suono, quasi fosse un fantasma.
Bulma la seguì con lo sguardo, cercando di capirne di più dai suoi modi di fare: era regale, composta. I suoi movimenti fluenti ed eleganti, si muoveva sinuosa anche solo camminando ma se si faceva attenzione si poteva scorgere un’impronta militare nei modi di fare. Quella di chi ha vissuto nella guerra, di chi vive per combattere e diventare più forte.
Non aveva idea della posizione delle donne nella società Saiyan, probabilmente le guerriere erano trattate al pari degli uomini.
Ma una Regina? Non valeva nulla in confronto a un Re, come era sulla Terra, o era sua pari? Avrebbe voluto tanto chiederglielo ma non aveva idea di come fare. Tra il bofonchiare qualche risposta in lingua Saiyan e fare una domanda così complessa c’era un mondo di parole, termini e modi che lei non conosceva. Anche perché fare un mix con la lingua terrestre era fuori discussione.
Forse poteva buttarsi su una domanda più semplice.
-Aranel.- la richiamò
La Saiyan si voltò nella sua direzione e rimase in attesa che la donna parlasse.
Una persona normale si sarebbe aspettata almeno un “sì?” che le faceva intuire che il suo interlocutore la stesse ascoltando. Ma Bulma era abituata ai modi di fare di Vegeta che, nel suo silenzio, diceva tutto.
-Ti piace la Terra?-
Aranel alzò le spalle e tornò a fare quello che stava facendo. -Non c’è male per essere un pianetucolo ai confini dell’universo.-
Ma perché i Saiyan, o gli alieni in generale, che approdavano sulla Terra aveva quel brutto vizio di sottolineare il fatto che fosse “ai confini dell’universo”? Esistevano forse pianeti più belli verso il centro?
-Tu sei la compagna di Vegeta?- chiese a bruciapelo Aranel continuando a fissare un punto lontano e dando le spalle alla scienziata.
Bulma sussultò e si andò a toccare d’istinto il simbolo del suo legame con il principe dei Saiyan, una cicatrice che valeva infinite volte di più dell’anello nuziale che portava al dito. La tuta da lavoro calzata a metà, con la parte superiore lasciata a penzoloni, e la semplice canottiera nera lasciavano scoperto quel piccolo dettaglio così importante. Era un segno leggerissimo, quasi invisibile, e lei lo custodiva gelosamente coprendolo, quando possibile con foulard colorati.
Nonostante fosse qualcosa che “deturpava” la sua pelle di porcellana, lei non aveva mai provato ribrezzo o fastidio alla sua vista come avrebbe fatto per qualsiasi altra imperfezione sul suo corpo di donna. Proprio perché era così importante per lei, per ciò che significava per loro.
Sussultò di nuovo quando avvertì la stoffa del guanto, che ricopriva le mani della Regina, sfiorarle la pelle marchiata. Non si era accorta minimamente della sua vicinanza. Istintivamente fece un passo indietro e coprì la cicatrice con la mano.
Aranel rimase con la mano a mezz’aria e abbozzò un sorriso malinconico, non sembrò però dovuto al gesto di reticenza dell’azzurra quanto più a un ricordo.
-Sai quasi ti invidio… Tu, una semplice, debole e inutile terrestre, con un livello combattivo che sfiora lo zero. Senza nessuna abilità nel combattimento. Tu sei riuscita ad ottenere quello che mai ho avuto, seppur desiderato quasi a morte.-
Bulma rimase in silenzio, in attesa che la Regina continuasse. La mano ancora salda sulla cicatrice ma non vi era paura nei suoi occhi, solo un’immensa curiosità.
La donna dai capelli scuri fece ricadere il braccio lungo il fianco ed inclinò la testa aggrottando le sopracciglia.
-Non so se tu abbia la minima idea di cosa significhi quel marchio per la nostra cultura. Di quanto sia prezioso per chi lo fa e per chi lo riceve.-
Negli occhi della Regina calò la tristezza e la malinconia, con una punta di gelosia. Probabilmente ella non ebbe mai potuto sperimentare quel legame, per quanto desiderato.
Da quel poco che era riuscita a ricavare da Vegeta, sapeva che quando un guerriero decideva di lasciare il proprio marchio su una donna, di qualunque classe sociale, pianeta, cultura o rango ella sia, le donava se stesso e si legava a lei indissolubilmente. Con un doppio filo d’acciaio, intrecciato come lo sarebbero state le loro vite fino alla loro morte.
Quasi nessuno si era spinto a tanto per una donna, non tanto per la monogamia che imponeva quel legame, quanto per la responsabilità legate e derivanti da esso. Era qualcosa di molto forte per quella popolazione di guerrieri.
-Dal tuo sguardo posso capire che sai molto più di quanto credessi.-
Bulma fu tirata giù dai suoi pensieri ancora una volta dalla Saiyan che le stava invadendo il territorio.
Annuì guardandola dritta negli occhi, sostenendo il suo sguardo meno pesante di quello di Vegeta ma pur sempre profondo e pieno di fatti poco gradevoli.
La donna sembrò apprezzare quell’atto di coraggio e rispetto da parte della scienziata. Le diede le spalle e si avviò al di fuori del laboratorio. Si fermò sull’uscio e le rivolse un ultimo sguardo.
-Se ha deciso di marchiarti deve tenere parecchio a te. Sono felice di constatare che almeno uno dei miei figli è riuscito dove io ho fallito.-
Dopo di che scomparve oltre la porta del laboratorio, lasciando Bulma in uno stato di confusione più totale.

**

Mentre l’adorata consorte si dilettava a giocare con tutta quella roba meccanica ed elettronica in laboratorio, e con la scusa di dover lavorare se ne andava via facendo finta di sbuffare, quando sapevano entrambi che lei adorava recarsi in laboratorio e sporcarsi le mani di grasso e olio, a lui toccava l’ingrato compito di accudire la principessina di casa.
Ingrato compito perché, nonostante il Saiyan adorasse con tutto se stesso quel frugoletto rosa e azzurro munito di lunga coda marroncina, la piccola Bra alla “veneranda” età di un anno e poco più ancora usava il pannolino. E lui odiava cambiare i pannolini.  Non perché non ne fosse capace, più che altro per il forte odore non proprio gradevole che emanava. Il suo povero sensibile naso era messo a dura prova ogni volta.
- Papà- lo richiamò la dolce vocina della bimba.
Il Saiyan abbassò lo sguardo incrociando quelle due pozze cerulee. La piccola gli indicò lo scaffale davanti al comodo sofà su cui era rimasto seduto, dopo che i fratelli e il figlio si erano rifugiati nella camera di quest’ultimo.
Fissò il mobile cercando di capire cosa potesse volere la figlia: una sfilza di peluche vari era appoggiata ai vari ripiani, davanti ai polverosi e, a suo dire, noiosissimi libri. Bra iniziò a tirargli i pantaloni, non contenta di essere ignorata, e l’uomo fu costretto ad alzarsi per darle retta.
- Cosa vuoi, Bra? - le chiese avvicinandosi allo scaffale impolverato.
La piccola gli indicò qualcosa in alto, dove neanche levitando poteva arrivare dato che i suoi poteri erano ancora acerbi e poco controllati, ma non riuscì a capire dove stesse indicando con precisione. Prese uno dei pupazzi negli scaffali più alti e glielo mostrò, ma Bra scosse la testa.
Allora ne prese un altro e ottenne la stessa razione. Lo fece per altre due volte, poi esasperato le chiese nuovamente cosa volesse. Bra, allora, allungò le braccine verso di lui chiedendo di essere presa in braccio.
Vegeta fece come richiesto e la piccola prese l'agognato peluche a forma di scimmia, mostrandolo poi con orgoglio al genitore con un sorrisone. Il Saiyan la guardò perplesso: che avesse colto la somiglianza tra la sua coda e quella dell’animale?
Scosse la testa. Era sì intelligente e precoce ma diamine!, a mala pena parlava figuriamoci se potesse collegare le due cose.
Bra, grata per l’aiuto che il genitore le aveva dato, lo abbracciò più forte che potè stringendo con le piccole braccia il suo collo taurino.
Vegeta non si oppose né ricambiò il gesto. Semplicemente si godette l’amore e il calore che quel piccolo corpicino poteva sprigionare.
- Ma che padre modello che sei, potresti tenere un corso a tutti i Saiyan maschi con prole.-
Aranel poggiata allo stirpe della porta, aveva osservato tutta la scena in disparte. Dal suo viso non trasparivano altre emozioni se non la derisione. La donna sapeva bene come mascherare i propri sentimenti. Fino a soffocarli.
- Peccato che i Saiyan rimasti si contino sulla punta delle dita di una mano.- rispose con ancora la figlia attaccata al suo collo.
La Saiyan si avvicinò al figlio con passo leggiadro. Era strano pensare che fossero madre e figlio, dovevano avere circa la stessa età anche se ne dimostravano la metà. Il loro sangue alieno impediva al loro corpo di invecchiare come chiunque altro, permettendogli di continuare a combattere per anni.
Vegeta osservò i movimenti materni con attenzione trovando nella sua mente ricordi sfuocati delle stesse movenze, viste da un’angolazione molto più bassa.
Aranel posò i propri occhi scuri sulla bambina che il figlio teneva tra le braccia e le porse il dito, come a chiederle di afferrarlo. Quando la piccola lo fece, lei le sorrise in maniera sincera.
- Ancora non so come si chiama questa creaturina così bella.-
- Bra -
- Hai dato ai tuoi figli nomi piuttosto importanti, eh.-
- Già.-
- Posso prenderla in braccio?-
Vegeta semplicemente le passò la figlia, che non protestò il fatto di essere stata ceduta tipo pacco postale, e si riaccomodò sul divano senza mai staccare gli occhi dalle due.
Bra incatenò il proprio sguardo blu innocente a quello scuro e penetrante della donna, sorreggendolo con innata semplicità. Non che gli occhi della nonna, per quante atrocità avesse visto, fossero poi così pesanti.
La Saiyan iniziò a parlare a Bra nella loro lingua natia, raccontando storie e leggende, canticchiando vecchie canzoncine stupide. Nonostante la piccola mezzosangue non capisse nulla di quello che la donna le stesse dicendo, ascoltò attentamente il suono della sua voce.
Vegeta le osservò per un po’, poi distolse lo sguardo e lo posò sulla tempesta estiva che si sfogava sulla calda città. Si chiese che fine avesse fatto Bulma, che sembrava essere stata inghiottita dal laboratorio. Valutò la possibilità di andarla a recuperare lui stesso.
- Ardua scelta, la tua.-
- Di che parli?-
Aranel creò una sfera di energia che attirò l’attenzione di Bra, l’ingrandì e la rimpicciolì sotto i suoi occhi attenti.
- Della tua situazione. Deve essere stata dura.-
- Non è stata una vera e propria scelta.- borbottò il moro sottovoce.
- Ah no? E cos’è stato allora?-
- Una serie di eventi sfortunati. - borbottò di nuovo.
La Saiyan cedette la sfera di energia alla bambina, che riuscì a mantenerla se pur con delle difficoltà, e si sedette di fianco al figlio maggiore.
- Quindi hai deciso di porre il tuo marchio sulla tua compagna per “una serie di eventi sfortunati”?-
L’uomo sobbalzò appena e lanciò un’occhiata di fuoco alla donna seduta accanto a lui, mandando imprecazioni contro la proprietaria di un caschetto azzurro e una lingua troppo lunga: quella donna e il suo vizio di parlare di tutto a tutti.
Digrignando i denti borbottò imprecazioni in varie lingue.
- Te ne ha parlato lei?-
- No. L’ho visto.-
Il Saiyan fissò la madre al suo fianco, che insegnava a Bra a mantenere una sfera di energia di modeste dimensioni, accigliato. Aveva tirato fuori quell’argomento così delicato con una semplicità impressionante. Riportò lo sguardo sulla finestra osservando le gocce sul vetro giocare a rincorrersi. Nella sua testa si materializzò l’immagine del marchio che aveva posto sulla donna dai capelli azzurri anni prima. A ripensarci lo aveva fatto quasi per istinto, senza tante cerimonie. Probabilmente il suo subconscio sapeva che ne era innamorato ancor prima che lo scoprisse la ragione.
-Quindi?-
- “Quindi” che?-
Aranel piantò gli occhi scuri sulla nuca del figlio, ancora voltato dalla parte opposta. Vegetà sentì il suo sguardo pesargli addosso più di un macigno ma fece finta di niente
-Quindi hai intenzione di illuminarmi sul motivo di un gesto così sconsiderato da parte tua?-
- Io non ho fatto nessun gesto sconsiderato.- ribattè
- Ah no?-
- No.-
Quel discorso cominciava ad irritarlo, odiava chi ficcava il naso in cose che non lo riguardano. E a parte da Bulma, impicciona di natura, non tollerava tale gesto da parte di nessuno.
Sua madre poi, che da quanto ricordava era una donna che si faceva gli affari propri, non aveva alcun diritto di mettere bocca sulla sua vita.
Il silenzio teso riempì lo spazio tra di loro, uno spazio troppo grande per essere colmato da delle parole. Il sofà su cui erano seduti sembrava non far più parte di quella stanza, di quella casa, di quel pianeta.
La corda dell’incomprensione era stata tesa: da una parte una donna che ha perso tutto, dall’altra un ragazzo, ormai uomo, che non aveva intenzione di far entrare la madre nella sua vita.
-E come la chiami allora?- tornò alla carica la donna.
-Come chiamo cosa?-
Aranel ignorò il tono scorbutico del figlio, serrando però la mascella infastidita da tanta rabbia e acidità nelle sue risposte.
-Se ti riferisci a quello non sono affari tuoi.- disse senza voltarsi a guardarla.
Scese di nuovo il silenzio tra i due, un mare di cose non dette e di rimpianti li circondò come degli squali attirati dall’odore del sangue.
Due generazioni diverse, due vite stroncate in modi diversi, due persone con esperienze diverse che non hanno idea di cosa abbia passato l’altro.
Tanta cattiveria come arma di difesa di fronte alla propria privacy messa a nudo, da un lato, e tanta indignazione rispetto a un muro insormontabile, dall’altro.
Fuori dalla vetrata il vento scuoteva con forza le chiome degli alberi, il suo sibilo era a tratti inquietante, e la pioggia battente distruggeva i deboli fiori lasciati a se stessi. Un tuono e la luce a led sul soffitto si spense di botto. Da sopra le proteste di chi era nel bel mezzo di una partita ai videogame.
Vegeta non si scompose, il generatore d’emergenza si sarebbe attivato a momenti riportando la corrente ai principali apparecchi presenti nell’abitazione. Un salva vita per chi lavora prevalentemente al computer.
Un lampo illuminò il viso del principe, visibilmente contrariato dalla piega che la conversazione con la figura materna aveva preso.
Aranel fissò accigliata il profilo del figlio, contrariata per il tono con cui le si stava rivolgendo.
-Sono tua madre.-
-E allora? Non ti da il diritto di ficcare il naso nei miei affari.-
-Ma ti rendi conto di ciò che hai fatto!?-
Vegeta scattò in piedi e strinse i pugni innervosito.
-Certo che lo so! Mi prendi per stupido!?-
Aranel ammutolì di fronte a tale scatto di rabbia limitandosi a fissarlo dal basso, con ancora la nipotina seduta sulle proprie gambe. Forse aveva toccato un tasto dolente ma voleva assolutamente sapere se il figlio fosse stato consapevole mentre eseguiva quel gesto.
-Per quale motivo non vuoi dirmelo?- insistette.
Vegeta ringhiò tra i denti esasperato da quella curiosità senza senso. Cosa le fregava se aveva o meno marchiato una terrestre? Tanto era morta e presto o tardi sarebbe tornata all’inferno e i suoi ricordi cancellati.
-Perchè non sono affari tuoi! Ho fatto delle scelte e non devo renderne conto a te!-
Stavano alzando parecchio il tono di voce, di questo passo si sarebbero sentite le loro urla per l’intera struttura. E non era esattamente ciò che più volevano.
Il Saiyan si passò le mani nella folta chioma corvina in difficoltà. Non gli piaceva parlare delle proprie scelte ma la madre non sembrava voler mollare il colpo. Dannazione era forse più testarda di Bulma!
Un tuono ruppe il silenzio e il lampo illuminò la stanza ancora una volta, rendendo spettrale il volto contratto del principe.
Bra continuava ad essere concentrata esclusivamente sulla sfera di energia che aveva tra le mani, ignorando tutto il resto che la circondava. Nemmeno i toni di un’ottava troppo alta del padre e della nonna la destavano dal suo interessante passatempo. Era talmente concentrata da non rendersi conto di essere nel bel mezzo di una battaglia verbale tra quei due.
-Vuoi sapere perchè l’ho fatto? Ebbene perchè la amo! Contenta adesso?- confessò sprofondando nuovamente sul comodo sofà. -Neanche me ne sono reso conto! Il mio corpo ha agito praticamente da solo.-
Vegeta ricordava che a quel tempo l’unico desiderio che aveva in testa, a parte quello di diventare Super Saiyan e superare Kaarot, era quello di sfogare i suoi istinti animali su quella donna dai capelli azzurri che tanto lo mandava ai matti. Non pensava minimamente al fatto di potersene innamorare e, a maggior ragione, di marchiarla. Quindi quando se ne rese conto, ormai troppo tardi, non disse niente alla giovane donna, che scambiò quel segno per uno dei tanti “inconvenienti” che si avevano andando a letto con un Saiyan.
-Cosa significa “La amo”?- chiese Aranel ripetendo quella parola a lei sconosciuta nella lingua terrestre.
Vegeta sussultò e si maledisse per non aver preso in considerazione il fatto che la madre non potesse in alcun modo conoscere quel termine non sapendo la lingua terrestre.
Panico. E ora? Come avrebbe potuto tradurglielo? Non esisteva una parola simile nella loro lingua, neanche lontanamente.
Rimase in assoluto silenzio cercando di far lavorare il cervello e trovare, nella lingua natia, qualcosa che somigliasse anche di poco a ciò che si intendeva con la parola “amore” .
-Fattelo spiegare da lei cosa significa! Manco io lo sapevo.- sbottò alzandosi dal divano con tutta l’intenzione di mettere fine a quella conversazione.
Strappò la figlioletta, ancora alle prese con la sfera d’energia, dalle braccia della madre ed uscì dalla stanza.
La luce tornò e Aranel si ritrovò a fissare il punto in cui il figlio era scomparso con più punti interrogativi di prima.

**

Sospirò stanca mentre spegneva la luce del laboratorio e si dirigeva in cucina per un po’ d’acqua fresca. Il caldo umido dei temporali estivi non lo sopportava, i vestiti le si appiccicano addosso e lavorare risultava quasi impossibile senza un condizionatore sparato a palla. Aveva bisogno di reidratarsi dopo tutte quelle ore passate alle prese con macchinari incandescenti e con la saldatrice tra le mani.
Percorrendo il corridoio che separava l’ala adibita a casa da quella contenente i laboratori, diede una sbirciata alle finestre chiedendosi quando mai avesse piovuto così tanto in quel periodo. Il pensiero che ciò dipendesse dalla presenza di un morto -senza aureola né permesso- nel mondo dei vivi si fece nuovamente largo nella sua mente. Forse avrebbe dovuto contattare Goku per vedere se lui ne sapesse qualcosa.
Inserì il codice della porta blindata che divideva i suoi due mondi e continuò il suo percorso sfilandosi i guanti e scalciando via le pesanti scarpe ani-infortunistica. Era sempre stata una persona disordinata e, nonostante lo sapesse bene, spesso urlava dietro al figlio, e più raramente al marito, di mettere apposto le proprie cose invece di lasciarle in giro. Non che spettasse a lei mettere in ordine, per quello c’erano i robot domestici, ma il fatto che qualcun altro lasciasse in disordine la irritava.
Raggiunse a piedi scalzi la cucina ma, invece di dirigersi al lavandino per un bicchiere d’acqua, apri il frigorifero e, dopo qualche secondo di contemplazione, scelse di bere una bibita energetica gelata.
Sorseggiando la sua bevanda si rese conto del silenzio irreale che aleggiava nella grande abitazione. Strano per un luogo dove erano radunati ben sei Saiyan. Probabilmente Trunks, Uryasil e Tarble erano di sopra a giocare con i videogame, ma Vegeta? Non sentiva alcun rumore provenire dalla camera gravitazionale, dunque di certo non si stava allenando. Che fosse andato a riposare?
Con la coda dell’occhio intravide una chioma corvina in salotto e, afferrando il rilevatore adibito a traduttore, si diresse verso di essa con l’intento di chiedere alla proprietaria che fine avessero fatto tutti.
-Aranel?-
La Saiyan si voltò verso di lei, non sembrava averla sentita entrare. Strano eppure Bulma era sicura che, nonostante la donna non sapesse percepire le aure e la propria forza spirituale fosse troppo bassa per essere rilevata in automatico dal rilevatore, se ne sarebbe accorta facilmente. Forse era con la testa tra le nuvole.
-Ehm… Vegeta?-
La donna alzò le spalle come a comunicarle che non aveva idea di dove il Saiyan fosse finito.
-Bra?- le chiese di nuovo un po’ incerta.
-Vegeta l’ha portata con sè.- disse sorprendendo la scienziata.
Aranel conosceva il nome di sua figlia? Non ricordava di averglielo detto quindi probabilmente, se non era stata lei, era stato il marito a riferirglielo.
-Posso chiederti una cosa?- disse di nuovo.
L’azzurra annuì curiosa, chissà cosa poteva mai sapere che interessasse alla guerriera. Non ne aveva la minima idea perciò rimase in attesa, sperando che non fosse niente di troppo complicato.
-Cosa significa “la amo”?-
L’azzurra battè le palpebre sorpresa
-Eh?- disse solo.
Aranel la fissò dritta negli occhi e si spiegò meglio:
-Vegeta… Quando gli ho chiesto perchè ti avesse marchiata mi ha detto quelle parole. Ma non ha saputo tradurmelo e ha detto di chiedere a te-
Bene. Ottimo. Come non detto, la Saiyan le aveva chiesto di spiegarle una cosa a cui neanche lei sapeva dare una spiegazione. Vegeta se ne era lavato le mani scaricando la patata bollente su di lei. Si appuntò mentalmente di rinfacciarglielo la prossima volta che lo incrociava.
Ci pensò su a lungo, cercando di trovare le parole più semplici da usare per spiegare una cosa così ampia e complicata come l’amore. Poteva usare le stesse parole che aveva usato con Uryasil? Forse no, la ragazza aveva avuto una leggera spolverata di affetto quando era fuggita da Freezer e approdata su un pianeta che l’aveva praticamente adottata. Aranel probabilmente l’unico tipo di affetto che conosceva era quello tra madre e figlio.
-Non lo sai fare?- le chiese la Saiyan vedendola indugiare.
-No è solo complicato da spiegare.- disse senza pensare a tradurlo.
Infatti quando alzò la testa sulla Saiyan la trovò con un’espressione confusa e si diede della stupida: non conosceva la sua lingua! E come faceva allora a darle una spiegazione?
Bulma si tolse il rilevatore di dosso, lo aprì e premette un paio di pulsanti. Poi lo richiuse e si avvicinò alla suocera, glielo porse e si sedette al suo fianco quando lo calzò.
-Premetto che è un concetto abbastanza ampio, quindi è complicato darti una definizione esatta di ciò che significa. Però proverò lo stesso a farti capire usando concetti semplici. Mi capisci?-
La Saiyan annuì attenta.
Bulma sospirò, prese un sorso della bibita e poi la posò sul tavolino davanti al divano.
-La parola che stai cercando in realtà è “amore”, che è un sentimento, come la rabbia, come la felicità. A differenza di questi due però, l’amore lega due persone non solo se stessi.-
Si fermò un istante per capire se la donna la stesse ascoltando. E a giudicare dalla sua espressione aveva tutta la sua attenzione.
-Diciamo che l’amore è come dividere il proprio cuore a metà, non in maniera letterale ovviamente, e donarle una parte a un’altra persona che dovrà custodirlo e proteggerlo dandoti, a sua volta, metà del suo di cui dovrai avere cura. E’ un tacito consenso nel mettere la propria vita in mano all’altra persona, che alla fin fine è quello che avviene anche con il vostro marchio.-
Bulma si toccò il collo in modo automatico, sorridendo appena al pensiero di condividere qualcosa di così prezioso con il suo Saiyan.
-Quando Vegeta ti ha detto quelle parole intendeva dire che l’ha fatto perchè ha scelto di condividere tutto se stesso con me, compresi paura, terrore e sofferenza. Amarsi significa poter contare sull’altro al centodieci per cento, significa volerlo proteggere a tutti costi, volerlo felice e in pace. Significa volerlo al proprio fianco e poterlo sentire non solo sotto le dita ma anche nell’anima.-
La donna dai capelli azzurri si perse in dolci ricordi, fatti di notti bollenti, frasi appena sussurrate, rari gesti dolci e spontanei. Le tornò in mente quando spiegò cosa fosse l’amore a Vegeta e si rese conto di aver usato le stesse identiche parole e lui ne rimase quasi scottato da quella rivelazione, lei non nè capì il motivo allora. Per il Saiyan quella parola era molto simile alla tradizione del suo popolo di marchiare una donna quindi era più che giustificata la sua iniziale paura e reticenza verso quel sentimento così profondo e importante.
Aranel rimase ad osservare il sorriso appena accennato che si era delineato sulle belle labbra della terrestre, chiedendosi quanto veramente si nascondesse dietro quelle parole. Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Si tolse il rilevatore e lo porse alla sua interlocutrice che lo indossò alla svelta, consapevole che l’altra voleva dirle qualcosa.
-La tua spiegazione è stata esaustiva ma credo che dietro quelle parole ci sia molto altro. Da come ne parli e da come brillano i tuoi occhi sembra essere qualcosa di molto potente. Devo confessarti che una parte di me è gelosa, perchè tu sei riuscita ad ottenere qualcosa che raramente le donne della mia razza ottenevano. Non so se le due cose si equivalgono o se l’una è il rafforzamento dell’altra, ma sono convinta che di certo non si contrappongono.-
Bulma rimase in ascolto, rimanendo affascinata dal suono tagliente di quella lingua morta con i suoi abitanti. Il tono della regina era solenne e rispettoso, non c’era traccia dell’astio che, all’inizio, credeva albergasse in lei.
In un certo senso la sua gelosia la comprendeva, a volte anche lei era stata gelosa di quelle donne che potevano fare “cose da terrestri” con il proprio marito o compagno senza che egli si sentisse a disagio o cercasse di fuggire via. Ma ciò era un sentimento rilegato ai primi anni di relazione, ormai non le importava più di cosa potesse o non potesse fare con Vegeta. Le bastava avere il Saiyan accanto nella loro quotidianità.
Aranel sembrò soddisfatta della sua spiegazione e non le chiese altro. Calò il silenzio tra le due donne, che non sapevano cosa dire per rompere il gelo che si era creato.
Erano entrambe due donne testarde, determinate e segnate da una relazione burrascosa con un Saiyan reale – una finita meglio dell’altra. Entrambe fiere e forti, caparbi. Avevano molto in comune pur appartenendo a due razze diverse ed essendo cresciute in due modi opposti. E una di quelle tante cose era anche Vegeta, figlio, marito e padre. L’azzurra si chiese come avrebbe cresciuto i suoi figli Aranel se avesse potuto e cosa desiderava per loro. Di sicuro non una vita di schiavitù.
-Mamma! Abbiamo fame!-
La voce di Trunks ruppe finalmente quel silenzio che iniziava ad essere imbarazzante. Il bambino stava scendendo le scale con lentezza, seguito dagli zii intenti a litigare tra di loro su un tentativo di imbroglio da parte di Uryasil, la quale ovviamente negava tutto.
Anche lo stomaco di Aranel si mise a brontolare e Vegeta comparve all’improvviso da chissà dove, puntuale come un orologio, alla ricerca di cibo.
Bulma sospirò e si arrese all’idea di essere circondata da Saiyan affamati. Premette un pulsante sul telecomando abbandonato sul tavolino lì davanti e i robot domestici si misero all’opera, preparando cibo per un esercito.
I due fratelli continuarono a litigare e a scambiarsi insulti nella loro lingua, Vegeta li ignorò passando in mezzo accomodandosi sul divano e Trunks rideva sotto i baffi.
Aranel li guardò un po’ stralunata, l’aria di serenità che si respirava in quella casa non l’aveva mai sentita. Neanche prima dell’avvento di Freezer, nella loro specie esistevano delle regole severe sul comportamento da tenere. Quindi vedere che si rivolgevano gli uni agli altri in modo così informale la destabilizzava un pochino.
Come se la combriccola composta dai Saiyan -che tra l’altro erano tutti parte della stessa famiglia- non fosse già abbastanza problematica da gestire, Yamcha pensò bene di tornare a “casa” proprio quella sera rimanendo per qualche secondo fermo sulla soglia alla vista di tanta gente coda-munita nel salotto. Quando era andato via i Saiyan erano tre, perchè si erano improvvisamente moltiplicati?
Bulma lo accolse portandolo via dalla soglia tirandolo da un braccio e gli spiegò la situazione, presentandogli i fratelli e la defunta madre di Vegeta, il quale non sapeva se essere felice di poter tornare ad umiliare il terrestre o contrariato dal fatto che dopo più di un anno continuasse a non voler sloggiare.
Yamcha fece un mezzo gesto di saluto con la mano, non sapendo se qualcuno potesse capire la sua lingua, e si dileguò in mezzo secondo nella sua stanza.
Nel frattempo che i robot terminavano di preparare la cena, Trunks improvvisò con Uryasil un piccolo scontro cercando di tenere l’aura il più bassa possibile. Bulma non ne fu molto contenta ma non protestò.
Quando Yamcha finalmente si riaffacciò nel salotto e chiese ai proprietari di casa se potesse usare la stanza gravitazionale ogni tanto, quando Vegeta non la stesse usando, per allenarsi un po’, si guadagnò, oltre alle occhiate quasi omicide di Vegeta, anche altre sei paia di occhi puntati addosso, di cui quattro erano neri. In quel momento ebbe voglia di sprofondare in un baratro profondo quanto l’umiliazione che sentiva addosso o scomparire come faceva Goku con il teletrasporto.
-Basta che non combini casini con i comandi.- gli rispose gentilmente Bulma.
-O che non ti ritrovi faccia a terra per la gravità troppo alta.- lo prese in giro Vegeta ricordando quando il terrestre, invidioso, aveva tentato di entrare nella stanza finendo per rischiare di morire schiacciato sotto il suo stesso peso.
L’azzurra scosse la testa e non prese le difese dell’amico che, in imbarazzo, aveva cominciato a ridere in maniera strana, nè assecondò il tentativo di umiliazione del marito. Piuttosto rimase neutrale e si alzò dal divano, annunciando che si sarebbe andata a fare un doccia rigenerante, lasciando Yamcha in balia dei Saiyan presenti.
Anche Bra fece la propria comparsa, raggiungendo le braccia paterne fluttuando, per quanto la sua instabile energia spirituale le permettesse. Si fece però mettere giù quasi subito, attratta dai giocattoli sparsi sul pavimento.
Quando Yamcha le si avvicinò, con l’intento di giocare un po’ con lei in attesa della cena, la bimba gli porse una macchinina azzurra invitandolo a partecipare. Ovviamente tutto ciò accadde sotto lo sguardo attento di Vegeta.
Finalmente la cena fu pronta e anche Bulma tornò tra i guerrieri, stavolta pulita e profumata, calzando un pantaloncino di jeans e una t-shirt nera infilata all’interno.
Il profumino del cibo in talvolta spinse i Saiyan presenti a litigarsi fin da subito le porzioni, ancor prima di sedersi a tavola.
Vegeta mise Bra nel seggiolone e prese posto tra moglie e figlio, lontano dai fratelli e, soprattutto, da Yamcha il quale si ritrovò tra Tarble e Uryasil che si litigavano anche l’acqua.
Aranel studiò tutti quanti in silenzio, godendosi il cibo terrestre mai prima d’ora assaggiato, e si accorse dell’astio che il figlio maggiore emanava nei confronti del guerriero terrestre soltanto da come egli lo guardava.
-Perchè tuo fratello odia tanto quel tizio?- chiese alla figlia accanto a lei.
-Perchè Yamcha è l’ex fidanzato di Bulma, tra loro c’è una sorta di rivalità territoriale. - le rispose in lingua terrestre Uryasil sogghignando.
Dei diretti interessati solo Bulma si fermò ad ascoltare, in quanto Vegeta era più concentrato a mangiare e Yamcha non voleva essere preso di mira ancora.
Aranel battè gli occhi confusa e chiese ai presenti come fossero finiti insieme Vegeta, un alieno, e Bulma, terrestre, quando c’era già un altro terrestre di mezzo.
Uryasil scoppiò a ridere e rispose alla madre che il terrestre era stato così idiota da farsi fregare la ragazza sotto il naso dal primo uomo che aveva messo piede in casa sua, alieno tra l’altro.
I commensali continuarono a parlottare nelle due lingue, traducendo le domande di Aranel e rispondendo nella lingua terrestre, in quanto lei portasse ancora il rilevatore modificato da Bulma addosso.
A fine pasto, per la felicità di Vegeta, rimasero tutti quanti nel grande salone della casa a cupola ad intrattenersi nei modi più disparati. Yamcha aveva declinato l’invito a passare altro tempo con loro mettendoli al corrente del fatto che avesse un appuntamento quella sera. Bulma allora si raccomandò, nel caso fosse tornano a tarda notte o al mattino presto, di usare il display di riconoscimento vocale e non inserire la chiave nella toppa, in quanto avrebbe fatto scattare l’allarme svegliando mezza città. Il guerriero la rassicurò dicendo che avrebbe fatto come gli era stato detto, poi uscì di casa sbattendo la porta.
Aranel si intratteneva con la più piccola di casa, che aveva preso in simpatia, e scambiava qualche parola con Trunks, il quale stava giocando alla play station insieme agli zii e al padre, alternandosi.
Bulma invece si era chiusa nuovamente in laboratorio avendo del lavoro da portare a termine, lasciando al marito il compito di comportarsi come il perfetto padrone di casa.
I maschietti coda muniti, o almeno in teoria, più Uryasil se le davano di santa ragione attraverso uno dei giochi ultra violenti del ragazzino con i capelli glicine. La libreria video-ludica di Trunks comprendeva ben pochi titoli che non avessero sangue o combattimenti vari, guadagnandosi, ad ogni nuovo acquisto, “l’accusa” materna di star diventando guerra-dipendente come il padre, a cui lui non dava molto peso.
L’atmosfera rilassata fece un effetto calmante sui nervi perennemente tesi dei purosangue, abituati a rimanere sull’attenti tutto il tempo. E mentre ormai Vegeta e Uryasil ci avevano fatto l’abitudine, e per Tarble non era mai stato un problema, Aranel lo trovò strano e surreale. Non sapeva neanche quando fosse stata l’ultima volta che si era sentita così al sicuro e a proprio agio in qualche posto, sempre che ci fosse mai stata.
La Saiyan con il simbolo reale stampato sull’armatura non aveva idea di cosa fosse la tranquillità familiare, si sentiva un po’ fuori luogo ma non lo diede a vedere continuando a giocare con Bra. Si era affezionata a quella piccoletta nell’arco di poche ore, i suoi occhi limpidi e innocenti le ricordavano prepotentemente l’ultima volta che aveva visto quelli dei suoi figli prima di morire anche se i colori non potevano essere più diversi. Studiò il viso sorridente della bambina cercando somiglianze con quello del figlio maggiore, non trovandone si chiese quanto sangue Saiyan scorresse nelle sue vene. Teoricamente il 50% ma l’aspetto esteriore, coda esclusa, era in tutto e per tutto quello di Bulma quindi umano e il suo rilevatore le dava un’energia piuttosto bassa. Chissà come funzionava sulla Terra l’aspetto di categorizzazione dei guerrieri.
Passarono le ore e pian piano gli usufruenti della stanza cominciarono a ritirarsi per la notte. Tarble fu il primo a dare forfait, distrutto dal lungo viaggio che aveva fatto per arrivare dal suo pianeta alla Terra, e a chiedere a Vegeta quale stanza potesse utilizzare per la notte.
Trunks fu il secondo, quasi spedito a letto a calci in culo dal padre visto l’orario ben oltre la soglia consentita. Borbottò qualcosa ma ubbidì al genitore. Uryasil lo seguì poco tempo dopo, dichiarando di voler fare un bagno rilassante prima di coricarsi, lasciando Aranel, Vegeta e Bra nel grande salotto.
Aranel avvertì il figlio che la bambina stava crollando dal sonno, spingendolo ad alzarsi e prendere in braccio la figlia, la quale si aggrappò a lui tipo ancora di salvezza e si addormentò cullata dal battito cardiaco.
Bulma spuntò una mezz’oretta dopo che Bra si addormentò, affacciandosi al salone diventato improvvisamente silenzioso. Fece un cenno con la mano ad Aranel e si andò a sedere accanto al marito. Solo in quel momento si accorse della presenza di Bra tra le sue braccia forti, aggrappata alla sua maglietta e con la coda attorcigliata attorno al polso della mano che la sorreggeva. Sorrise constatando che Vegeta non si era ancora lamentato del modo in cui la figlia si era addormentata addosso a lui, rifiutando categoricamente di essere messa nel lettino.
Accarezzò con dolcezza i capelli azzurri della sua bambina, facendo attenzione a non svegliarla e rivolse uno sguardo altrettanto dolce al compagno.
La Saiyan osservò la scenetta in silenzio e si trattenne dal dire qualsiasi cosa potesse spezzare quell’atmosfera carica d’amore che si era creata.
-La porto nella sua stanza.- disse dopo svariato tempo il principe, riferendosi alla figlioletta che, finalmente aveva allentato la presa sulla sua maglietta.
Bulma annuì e lo seguì con lo sguardo, fissando la sua schiena muscolosa messa in risalto dal leggero tessuto della T-shirt e la testolina azzurra di Bra appoggiata alla sua spalla, fin quando non scomparve nel buio del corridoio. A quel punto si voltò verso Aranel e le riconsegnò il suo rilevatore, precedentemente preso in prestito.
-Ho apportato qualche modifica, ora puoi usarlo anche come traduttore. Rileva in automatico la lingua e la traduce nella tua. Fa tutto da solo, ti basta spingere questo tasto.- le spiegò indicandole il tasto azzurro all’interno del dispositivo.
La Saiyan lo prese e ringraziò silenziosamente la terrestre restituendole il suo. Le chiese poi se potesse usufruire di una delle loro stanze per riposare. Ovviamente Bulma le disse di sì, e l’accompagnò fino a quelle designata al suo riposo, una delle ultime in fondo al corridoio. Poi si diresse verso la propria e vi entrò chiudendosi la porta alle spalle.

La mattina dopo la regina Saiyan non c’era più. Svanita nel nulla come era apparsa. Probabilmente i casini all’inferno erano stati sistemati e, accortosi della mancanza di un’anima, Re Yammer l’aveva richiamata a sè, restituendole il posto a lei designato.Uryasil, nonostante il suo orgoglio fosse secondo solo a quello del fratello maggiore, fu quella che diede più a vedere che ci era rimasta male dalla seconda prematura scomparsa materna. Era la più piccola, quella che aveva avuto meno tempo da passare insieme alla donna prima della sua morte, e aveva sperato che si sarebbe trattenuta un po’ di più in mezzo a loro nonostante non fosse il suo posto in quanto morta. Si pentì di aver passato il pomeriggio davanti ai videogame invece di parlare con la madre.
Tarble, come il fratello maggiore, non diede a vedere il dispiacere, stampandosi in faccia un’espressione tranquilla volta a consolare la sorella minore davanti alla perdita della genitrice, per la seconda volta.
Vegeta non aprì bocca e la sua espressione, come la sua posa, rimasero invariate dall’istante in cui entrò nella stanza fino a quando ne uscì, voltando le spalle alla sorella, inginocchiata a terra davanti il letto usato dalla donna che aveva dato loro la vita, che tentava in tutti i modi di trattenere le lacrime, al fratellino, che provava a rassicurarla pur sull’orlo delle lacrime e al resto della propria famiglia.
Bulma decise di non seguirlo, rispettando il suo bisogno di allontanarsi da tutti per metabolizzare la cosa a suo modo. Probabilmente Vegeta, anche se non lo dava a vedere, era quello che ne avrebbe sofferto di più. In quanto figlio primogenito aveva avuto l’occasione di passare più tempo di tutti con la figura materna da piccolo, soffrendo maggiormente alla sua scomparsa la prima volta e sentendo ancora una volta quel dolore attanagliargli l’anima di fronte alla seconda, seppur fittizia.
E mentre il caldo vento estivo accarezzava con dolcezza la Città dell’Ovest, scacciando le nuvole che il giorno precedente avevano occupato l’intero manto azzurro, i tre principi eredi affrontavano, ancora una volta, ognuno a modo proprio, la scomparsa di una figura importante persa troppo presto.


*Aranel: “Stella del Re” in Elfico Da aran = “re” ed el =”stella”


 

AngoloAutrice:

Sono tornata! Dopo un anno, credo, che non mi facevo viva sono finalmente riuscita a terminare e pubblicare il nuovo capitolo!
Ho deciso di inserire la madre di Vegeta per dare un tono un po’ più drammatico a questa storia fluffosa e analizzare il rapporto che, secondo me, aveva il nostro caro principe con la figura materna. Spero di non essere scesa nell’ OOC con Vegeta, soprattutto nella parte iniziale.
Cercherò di aggiornare in modo più regolare d’ora in poi, evitando di far passare così tanto tempo tra un capitolo e l’altro.
Aspetto le vostre recensioni :3

angelo_nero

  
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