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Autore: _Takkun_    07/05/2018    2 recensioni
Dal prologo:
Fece scorrere la playlist e, come di consuetudine, il suo dito andò a fermarsi su una canzone in particolare: Rise Again.
Quando la fece partire, Ranmaru indirizzò lo sguardo verso il cielo terso di quel pomeriggio.
Il giorno seguente sarebbe stato il primo di aprile, lo stesso giorno in cui, una decina di anni prima, il destino gli aveva riservato un inaspettato scherzo, facendogli incontrare un ragazzo che con la sua inesauribile vitalità e il sorriso sempre ben piantato sulle labbra, gli aveva cambiato la vita.
Rise Again era la loro canzone.
Sua e di quel ragazzo che un tempo rispondeva al nome di Reiji Kotobuki.
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“Even if I lose everything, I’ll still love only you”
So in love… I don’t want to be apart from you
Even if my dreams are ripped to shreds
“Even in stormy winds… Even if lightning strikes… I will not fall again”
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ranmaru Kurosaki, Reiji Kotobuki
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rise Again

 
 
02. Non puoi davvero odiarmi… ci siamo appena conosciuti!








 
 
[Tokyo, 1 Aprile 2015]
 
 
 
07:03
 


Una pagina.
E poi un’altra, e un’altra ancora…
Aveva passato tutta la notte a ripetersi queste parole fino ad arrivare alla conclusione di solo due capitoli di quel libro mostruoso dalle pagine infinite, e ad avere fogli sparsi per l’appartamento con appunti vari e disegni approssimati di organi e strutture ossee.
Ringraziava con tutto se stesso le tre tazze di caffè che lo avevano accompagnato durante quella notte in bianco, aiutandolo a tenere gli occhi aperti.
Peccato che le palpebre avessero iniziato a cedere alla stanchezza più o meno verso le cinque del mattino, cosa che si era promesso di evitare almeno per quella notte – o meglio, questo era ciò che si ripeteva ogni singola volta -, perché sapeva bene come sarebbe andata a finire…
Quando partì la sveglia con tanto di vibrazione, Reiji alzò di scatto il viso da uno degli ultimi fogli che aveva finito di completare prima di crollare, il battito cardiaco già a mille per lo spavento che si era preso nel sentire lo squillo suonare così vicino al suo orecchio. Si passò velocemente una mano sul viso, ancora piuttosto intontito da quella breve dormita, e cercò di fermare la sveglia, rischiando di perdere di mano il cellulare un paio di volte prima di porre fine a quella tortura.
E pensare che l’aveva persino trovata carina come suoneria per svegliarlo la mattina, all’inizio. Sfortunatamente di carino non aveva proprio nulla, ma almeno riusciva a strapparlo dalle braccia di Morfeo piuttosto velocemente.
Sbadigliò, strizzò le palpebre e si stiracchiò per bene sulla sedia, massaggiandosi una spalla. Non era la prima volta che finiva per addormentarsi da seduto, rimanendo curvo per la maggior parte della notte, ma ogni volta la sua schiena urlava pietà e reclamava allo stesso modo un materasso comodo su cui riposare decentemente.
«Vecchia mia, continua ad essere forte, mi raccomando.» la risata che rilasciò fu soffocata da un nuovo sbadiglio, facendolo afflosciare ancora una volta sul tavolo, spostando per precauzione i fogli lì sotto. Sorrise, richiudendo gli occhi. Fortunatamente non aveva macchiato con la bava il suo duro lavoro. Peccato solo che si fosse lasciato andare, forse qualche altra pagina sarebbe stato in grado di finirla prima di tornare in…
Gli angoli della sua bocca si piegarono all’ingiù in un nanosecondo, e subito dopo si alzò immediatamente in piedi, sbattendo le mani sopra al tavolo e facendo quasi cadere all’indietro la sedia.
No, no, no, no… NO.
Non poteva averlo fatto davvero. Addormentato? Perché, Reiji?!
Controllò l’ora a cui prima non aveva prestato davvero attenzione e perse probabilmente dieci anni di vita nel vedere che si erano già fatte le sette passate. Di soli pochi minuti, ma anche quelli gli sarebbero stati utili, per la miseria!
Infilandosi il cellulare in tasca alla velocità della luce, corse altrettanto di fretta verso l’uscita, scalzo, chiudendo con poca delicatezza la porta alle sue spalle. Rientrò qualche secondo dopo, sibilando tra i denti qualche imprecazione a se stesso. Raccattò alcuni fogli bianchi – tra cui anche degli appunti, ma non aveva il tempo per curarsene -, prese una penna a caso e se la mise dietro l’orecchio, trovò in un lampo le chiavi dell’auto e infine, dopo essersi infilato le scarpe senza però allacciarsele, uscì di casa e chiuse a chiave, dirigendosi in fretta e furia verso la propria auto, bagnandosi leggermente.
Buttò i fogli sul sedile del passeggero insieme alla penna e mise in moto con le mani tremanti, traendo un profondo respiro prima di fare retromarcia e partire a tutto gas verso il Rainbow Bridge, nonostante stesse piovendo.
Lo aveva promesso. Lo aveva promesso.
L’ultima cosa che avrebbe voluto vedere era l’espressione delusa sul volto del suo amico.  
           
§§§§
 
Era una follia. O meglio, molti l’avrebbero considerata tale se l’avesse raccontata in giro.
Quante auto aveva sorpassato fino a quel momento?
Era un miracolo che ancora non avesse fatto alcun incidente.
Anche se forse, e solo forse, avrebbe dovuto evitare di formulare quel piccolissimo pensiero.
Ormai praticamente prossimo all’ospedale della baia di Odaiba, con l’aggiunta della corsia completamente libera davanti a sé, l’occhio sinistro di Reiji cadde inevitabilmente sul tappetino del posto del passeggero, su cui vi erano sparsi disordinatamente i fogli che aveva raccattato in fretta e furia prima di uscire. Erano caduti durante un suo brusco sorpasso, nel quale una gomma aveva perso giusto per un attimo aderenza con l’asfalto. Ma quell’attimo gli era costato altri dieci anni di vita donati in mano alla Morte, come minimo.
Una piccola vocina dentro di lui gli intimava di lasciare quei fogli dove stavano, perché tanto ormai mancava davvero poco per arrivare e sarebbe stato sciocco piegarsi durante la guida per raccoglierli, specie con quel maltempo.
Ma quella era la stessa voce che Reiji non amava particolarmente ascoltare, specie quando questa gli consigliava di mangiare adeguatamente tre pasti al giorno, dormire un minimo di sette ore per notte e tante altre cose banali che ormai si era sentito ripetere da chiunque lo conoscesse.
Era un uomo adulto, e per quanto apprezzasse il fatto che parte dei suoi conoscenti si preoccupassero per la sua salute, si riteneva abbastanza in grado di prendersi cura di se stesso. Il suo stile di vita, per il momento, andava benissimo così.
Per questo motivo, dopo aver dato un’ultima occhiata alla strada – ed aver notato in lontananza solo un passante sul marciapiede -, alla fine decise di fare di testa sua ed eliminare quel disordine.
Fu di nuovo colpa di un attimo che, nel piegarsi, la vista gli si annebbiò, portandolo ad avere quasi l’impressione di star per perdere i sensi. Ma resistette, stringendo con forza la mano sul volante, come a trovare un sostegno, finendo però col premere senza rendersene conto il pedale dell’acceleratore.
«So già di essere andato oltre il limite, ma questo è stato sleale…»
Quando Reiji alzò di poco il viso sulla strada, ai vent’anni che già sapeva di aver perso dall’inizio della giornata, si aggiunsero tutti in una volta quelli che gli sarebbero rimasti prima di andare all’altro mondo. Il più rapidamente possibile, il moro spostò il piede dall’acceleratore al freno, e fu solo grazie alla sua già salda presa sul volante se non finì per volare fuori dall’auto passando dal parabrezza. Sbatté giusto la fronte durante la frenata, ma nulla che un cerotto non potesse rimediare. Ciò che più gli premeva era sapere se era stato in grado di fermarsi in tempo, o se aveva fatto fuori la persona ora rannicchiata davanti alla sua auto.
Andare in galera a ventun anni non rientrava esattamente nei suoi programmi, e sperava davvero di non dover abbandonare gli studi universitari per finire in una cella fredda, buia e sporca, come quelle che facevano vedere nei film.
Si affrettò a scendere dall’auto, dimentico della pioggia, della promessa e di qualsiasi altra cosa. Scansò un gatto che lo sorpassò agile e veloce, diretto verso la clinica del dottor Sakagami, al sicuro dalle gocce d’acqua. Probabilmente doveva trattarsi di un animale in cura da lui…? E quel ragazzo un suo tirocinante? Eppure non ricordava che Sakagami-sensei si fosse più offerto di avere studenti nella sua clinica…
«Ehi!» Reiji affiancò il veterinario, il quale si stava accertando che il ragazzo fosse ancora tutto intero. «Per favore, dimmi che stai bene.» supplicò il moro, deglutendo.
«Ragazzo.» l’uomo gli rivolse uno sguardo sorpreso nel riconoscerlo, prima di accigliarsi e serrare la mascella. «Che diavolo avevi in mente?! Hai visto che razza di tempo c’è?! Quella velocità--»
«Lo so! Lo so! Mi dispiace! Ma rimandiamo la ramanzina a dopo, la prego!» Reiji appoggiò una mano sulla spalla dell’albino, aspettando ancora una sua risposta, possibilmente affermativa. «Ehi…» riprovò, con tono cauto.
Ranmaru, per tutta risposta, scrollò bruscamente la suddetta spalla, in modo da allontanare quel dannato pirata della strada da sé. Si voltò finalmente a guardarlo in faccia, dedicandogli il suo sguardo omicida migliore. E in quell’esatto istante Reiji rimase sinceramente – e piacevolmente – sorpreso.
Questa era bella. Tra tutte le persone che poteva rischiare d’investire, la fortuna aveva voluto che si trattasse proprio di lui.
Anche se non era propriamente convinto di poterla definire fortuna il fatto di averlo quasi ucciso, ma questo era un altro dettaglio.
Reiji fece per aprire bocca e riprovare un terzo approccio, ma Ranmaru non lo lasciò nemmeno iniziare perché lo afferrò per la giacca, gesto che portò i loro visi piuttosto vicini – cosa che in fondo non gli dispiacque più di tanto, se solo non fosse stato per alcuni sputacchi da parte del ragazzo nel sbraitargli contro.
«Dovrei farti ingoiare la patente, pezzo d’idiota! E magari farti fuori prima che tu finisca con l’ammazzare veramente qualcuno! »
«Se vuoi davvero farmi ingoiare la patente, credo che questo basti per uccidermi. Dubito che tu debba fare altro...»
Un momento di silenzio intercorse tra i tre.
Poi Ranmaru sbottò ancora. «Mi stai forse prendendo per il culo?!»
«Ragazzi, ragazzi, calma. L’importante è che entrambi stiate bene.» il dottor Sakagami venne in aiuto del moro, il quale lo ringraziò con un sorriso e uno sguardo riconoscente. Poi, dopo aver liberato Reiji dalla sua presa, fece alzare il mento a Ranmaru, notando più chiaramente dei graffi. Non erano molto profondi visto che di sangue non sembrava uscirne, ma erano sicuramente da disinfettare. «Sembra che Mike ti abbia lasciato il suo ringraziamento.» invitò entrambi ad alzarsi e a spostarsi dalla strada, spostandoli sotto il tettuccio di un negozio lì vicino alla clinica.
«Sì, quell’ingrato…»
Il veterinario scosse la testa. «Dopo avremo modo di parlarne. Reiji-kun, tu sposta quell’auto prima che arrivi qualcuno. Per caso stavi andando in ospedale?»
Ospedale?
Appena Ranmaru l’udì, una piccola parte di lui si sentì quasi in dovere di giustificarlo.
Se si stava davvero dirigendo in ospedale con tutta quella foga, doveva essere successo qualcosa di grave. Preferì non ascoltare oltre, quindi si avviò per recuperare l’ombrello di Satoshi a terra – miracolosamente ancora tutto intero – ed entrare finalmente in clinica. Dopotutto non erano affari che lo riguardavano.
Almeno questo era quello che avrebbe voluto e che sarebbe anche riuscito a fare, se quel ragazzo non l’avesse fermato, afferrandogli il braccio.
«Cosa vuoi? Sta ancora piovendo, vedi di rientrare in auto e andare dove devi.»
«Sì, infatti! Devo letteralmente volare, ma prima assicurami che posso ancora trovarti da Sakagami-sensei! Uhm, vediamo… questa sera? Per le sette sarò qui, promesso!»
«Scusami?»
«Ehi, a me si avvicina l’orario di chiusura per quell’ora, incontratevi altrove.»
Una prima auto sorpassò il maggiolino di Reiji, premurandosi di suonare il clacson, ma il maggiore non se ne curò, così come ignorò le parole del veterinario. «Per favore! Permettimi di farmi perdonare per quello che è successo!»
«Non ce n’è bisogno. Sono ancora vivo, quindi-»
«Fantastico! Grazie infinite!» gli rivolse un piccolo inchino e schizzò dentro l’auto, mettendo in moto.
Ranmaru chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
No, non c’era niente da fare: la voglia di strozzarlo era ancora piuttosto viva in lui. Quale parte non era arrivata alle orecchie di quel deficiente?! «Oi! È inutile che tu venga, non mi troverai qua!»
Reiji annuì, rivolgendogli un sorriso decisamente irritante, a detta di Ranmaru. Stava continuando a prenderlo in giro, quello era più che ovvio. «Sensei, posso contare su di lei?»
Il suddetto sospirò, afferrando l’albino per la collottola. «Fila via, su.»
«Le devo un favore! A stasera!»
«Ehi! Puoi scordarti che rimanga qui ad aspettare i tuoi comodi! OI!»
Ma fu inutile continuare ad urlare, quel tipo si era già allontanato a tutto gas. Ranmaru si voltò dunque verso il dottor Sakagami, digrignando i denti. «Non rimarrò qua, sia chiaro.»
«Kurosaki-kun caro, se ancora non te ne fossi accorto, siamo sotto la pioggia! Quindi, molto cortesemente, entra in clinica per una buona volta!»
«Non rimarrò.»
«Come se quello fosse il problema, adesso! Siamo completamente fradici!»
«Quindi? Per me questa è la seconda volta nel giro di nemmeno un’ora.»
«… Tu mi fai preoccupare, ragazzo.»
 
§§§§
 
Non appena le porte automatiche dell’ospedale si aprirono, il forte odore di fenolo invase le sue narici. Odore che fu costretto ad inspirare a pieni polmoni per recuperare il fiato perso durante la corsa dal parcheggio all’edificio.
«Andiamo, so benissimo che stai ancora dormendo…» cercò di infondersi quella convinzione, Reiji, abbandonando l’idea di prendere l’ascensore e raggiungere il terzo piano sempre di corsa, salendo i gradini a due a due, scusandosi ogni qualvolta che finiva quasi per scontrarsi con qualcuno.
Sarebbe finito col rimetterci un polmone. Anzi, forse direttamente la vita. Ancora.
Quando arrivò all’ultimo gradino, infatti, la felicità di aver finalmente raggiunto il reparto - ed essere solo a pochissimi passi dalla stanza in cui sperava con tutto se stesso che il suo piccolo amico stesse ancora dormendo – svanì, ritrovandosi ad annaspare alla ricerca di ossigeno una volta che si sentì preso prepotentemente per la collottola. Troppo preso dalla foga di arrivare in tempo, non si era reso conto a chi avesse dedicato quell’ultima spallata. E se si trattava di chi pensava lui…
«Santo cielo, sei in un ospedale! Sai quando è concesso correre in questo modo? Solo in situazioni davvero urgenti! E dato che il signorino qui presente non svolge ancora nessuna mansione, ringrazia che sia stato io a trovarti e non Inoue-san. Saresti già morto a quest’ora.»
Reiji trasse un sospiro di sollievo. Si era sbagliato.
«Satou-san.» soffiò, facendo sogghignare quello che teoricamente doveva essere il suo responsabile di tirocinio, nonché uno dei suoi professori universitari, ma a livello pratico sembrava più un fratello maggiore che amava stuzzicarlo e fargli prendere colpi come quello per puro divertimento. Era incredibile, quasi surreale, la confidenza che aveva con gli studenti, e proprio per questo suo carattere espansivo i richiami in ambito accademico erano all’ordine del giorno. Non poteva nascondere, però, di aver preso in simpatia fin dal primo momento questo mentore così anticonformista. Grazie anche ai caratteri affini, oltre che ai loro saldi principi, erano sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda.
«Oh, andiamo! Hai una faccia terrorizzata!» rise, afferrando il ragazzo per un braccio, spostandolo dalla rampa di scale in modo da lasciare il passaggio libero. «E, uhm, come dire…» lasciò la presa su di lui, osservandosi il palmo lievemente umido. «Sei venuto fin qui senza un ombrello?» lanciò poi un’occhiata ai gradini, su cui vi erano le impronte bagnate, e un unico pensiero si formò nella sua mente, facendogli probabilmente assumere la stessa espressione che aveva avuto Reiji prima che realizzasse che si trattava semplicemente di lui e non del temuto primario: “moriremo”.
Daisuke Satou poteva comprendere l’esasperazione che i suoi colleghi provavano nei suoi confronti solo in situazioni come quella. Quel giovane era un uragano di energia e passione, e forse un po’ per questo motivo e un po’ perché riusciva a rivedere se stesso da giovane, in lui, non riusciva ad arrabbiarsi mai seriamente.  
In parole povere, ogni giorno doveva inventarsi modi diversi per pararli il didietro.
E beh, sì, forse un po’ era anche dovuto al fatto che, essendo il suo diretto responsabile, parte – una buona parte – della colpa era anche sua.
«È una storia lunga.» si giustificò, guardando in fondo al corridoio, più precisamente la stanza 305. «Prometto che pulirò non appena avrò controllato una cosa! Posso farle una domanda?»
L’uomo sospirò, pressando le dita sulle palpebre. «Me ne occuperò io, ma solo per questa volta! Prima che tu finisca questa cosa Inoue-san l’avrà già scoperto. Dimmi, ma sii veloce.» iniziò a guardarsi intorno, terrorizzato dalla possibile apparizione dell’uomo che tutti in quell’ospedale temevano.
«Si è svegliato? Otoya Ittoki, dico. Il paziente della 305.»
«Lo so di chi stiamo parlando.» tornò a sorridere. «Sono stato poco fa nella sua stanza per controllare che tutto fosse regolare, dormiva ancora beatamente. Come mai?»
A quella notizia, Reiji non si trattenne e si lasciò del tutto andare , piegandosi improvvisamente sulle gambe, le dita infilate fra i capelli. Era come se un enorme peso gli si fosse tolto come per magia dal suo cuore, lasciandolo decisamente molto più leggero e tranquillo. «Grazie
Ma non era di certo quello il tempo per riposarsi, Otoya si sarebbe potuto svegliare a breve.
Ritornò in piedi, picchiettando una mano sulla spalla dell’insegnante. «E grazie anche per essersi offerto di aiutarmi con quel disastro.» ridacchiò prima di defilarsi. «A oggi pomeriggio per la lezione! Le devo un favore!» lo salutò per poi entrare cauto all’interno della stanza.
«Ehi! Sei ancora tutto bagnato! Reiji! Non toccare nulla!»
Dubitava del fatto che lo avesse sentito. «Ah, quel ragazzo…»
Ma in fondo sapeva che per quanto potesse sembrare uno scapestrato di cui i veterani finivano per lamentarsi, era forse una delle persone, tra i suoi studenti, che più tenevano e rispettavano la condizione dei loro pazienti, molto più di quanto facessero certi suoi colleghi con anni di esperienza alle spalle.
E questo era più che bastato per ottenere il suo appoggio nelle follie che gli passavano per la testa.
«Oh! Signora, mi dia pure la mano, non vorrei che si facesse male. Purtroppo abbiamo avuto un piccolo incidente…»

§§§§
 
Con una lentezza che avrebbe fatto concorrenza a quella di un bradipo, Reiji chiuse la porta.
Poi, muovendosi sempre con attenzione, andò ad accomodarsi sullo sgabello di fianco al letto del bambino, avvicinandosi un poco alla finestra, in modo da non rischiare di lasciare gocce d’acqua sulle lenzuola. Si osservò i vestiti e sospirò, raccogliendosi poi i capelli in un piccolo codino con l’elastico che si era infilato in tasca poco prima di addormentarsi, così da non farli gocciolare più del dovuto. Arrotolò poi le maniche della sua maglietta e se ne stette dritto con la schiena appoggiata contro il muro. Se non voleva combinare altri disastri, avrebbe dovuto stare immobile, almeno fino al risveglio del piccolo.
Sorrise con un’infinita dolcezza nel guardarlo.
La sua espressione era serena, la testolina era affondata più che comodamente nel cuscino e in generale pareva che stesse avendo un bel sogno.
«Perdonami per la bugia che ti dirò. Purtroppo è una cosa che i grandi fanno spesso, e quando è a fin di bene il senso di colpa si fa sentire un po’ di meno…» sussurrò piano, allungando una mano – ora decisamente più calda rispetto a prima – verso quella più piccola dell’altro, accarezzandone delicatamente il dorso.
Se solo avesse potuto, sarebbe rimasto per davvero tutta la notte al suo fianco, proprio come gli aveva promesso, ma c’erano regole che non poteva infrangere, oltre che gli studi da portare avanti. «Scusami.» disse flebilmente, stringendo la sua mano.
A quello, Otoya strinse un poco le labbra, corrucciandosi un attimo prima di sbadigliare.
Si strofinò un occhietto con la mano libera e quando ancora mezzo assonnato aprì gli occhi, la sua bocca si allargò in un grande sorriso una volta individuata la figura di Reiji ancora al suo fianco.
«Rei-nii…» biascicò, aprendo di nuovo la boccuccia per un secondo sbadiglio.
Reiji ridacchiò. «Se sei ancora così stanco, dovresti provare a riaddormentarti~» spostò la mano sul capo calvo del minore, accarezzandolo. «Buongiorno, mio piccolo Otoyan.»
Il piccolo chiuse gli occhi di nuovo, in modo da potersi godere appieno quelle carezze.
«’Giorno. Perché stai così lontano?»
«O-oh, ehm…» Beh, effettivamente non aveva tutti i torti a chiederglielo visto come si era piegato in due per raggiungerlo. Era quasi comica come posizione. «Mi sono svegliato qualche minuto fa e avevo bisogno di una boccata d’aria fresca. Peccato che visto che ero ancora mezzo addormentato, non mi sono proprio accorto che stesse piovendo così forte! Mi sono bagnato un poco e non volevo finire con l’infradiciare anche te e il tuo letto così pulito e profumato. A proposito, la mia mano ti sembra troppo fredda?»
Otoya lo guardò ancora intontito dal sonno e poi rise, avvicinandosi un po’ di più al bordo del letto per facilitare a Reiji il tocco. «No, è calda come sempre, e Rei-nii è proprio un imbranato.»
«Hai proprio ragione.» rise anche lui, spostando la mano sulla sua guancia. «Come ti senti, piccolo?»
Otoya riaprì gli occhietti, guardandolo male. «Non sono piccolo! Ho già sette anni!»
«Mh-mh, ne riparliamo quando la tua mano sarà più grande della mia~»
«Quando sarò grande come Rei-nii non potrai più chiamarmi piccolo!»
«Se solo Rei-nii potesse, ti terrebbe piccolo così, invece!» ridacchiò, regalandogli una linguaccia al suo broncetto offeso.  «Non devi avere fretta di diventare grande.»
«Mmh…» Otoya si fece pensieroso, lanciando uno sguardo alla parete davanti a lui, su cui vi erano appesi tutti i disegni fatti insieme a Reiji e i suoi amici infermieri. «Però se divento grande subito, potrò riuscire a disegnare bene come te e gli altri. I miei sono brutti…» mormorò quest’ultima frase, sporgendo il labbretto inferiore. Ma quest’espressione durò poco. Curioso, Otoya aprì di più gli occhi quando Reiji si mise improvvisamente in piedi, camminando verso la suddetta parete. Ridacchiò appena al fatto che stesse gocciolando tutto per terra: le infermiere lo avrebbero di sicuro sgridato una volta scoperto.
«I tuoi disegni sono brutti? Sembra che tu voglia farmi arrabbiare, oggi!» fece il moro, appoggiando una mano chiusa a pugno sul fianco mentre con l’altra indicava uno dei lavori del bambino. «Questa casa. Guarda come hai fatto questa casa. Se un architetto entrasse e la vedesse, sono sicuro che smetterebbe di fare il suo lavoro e ti lascerebbe il suo posto! Ci vuole genialità per fare certe linee! Una genialità che solo voi bambini possedete. Siete piccoli, ma potreste conquistare il mondo, te lo assicuro! E questo cane con un osso tra i denti? Guarda com’è originale rispetto a quello di Satou-san! Lui ha usato un banalissimo marrone per fare il suo pelo, tu invece un coloratissimo e vivacissimo giallo acceso con tanto di macchie rosse sulle orecchie! È davvero meraviglioso.» ridacchiò, spostandosi a commentare ogni suo singolo lavoro con un entusiasmo che non sarebbe mai riuscito a stancare Otoya. Quest’ultimo si mise seduto, appoggiando la schiena contro il cuscino, pendendo dalle sue labbra. Ascoltava attento ogni sua singola parola con un sorriso che andava ogni volta da orecchio a orecchio, mentre il suo pancino avvertiva una piacevole sensazione di calore nell’averlo in quella stanza insieme a lui. Si sentiva sempre così protetto e capace di andare avanti senza paura quando Rei-nii era al suo fianco.
Era un po’ come avere un fratello maggiore che avrebbe tanto voluto per davvero, ma quel compito era toccato a lui, anche se non credeva di essere così bravo.
Non gli piaceva veder piangere Cecil, suo fratello minore di sangue, e il resto dei bambini dell’orfanotrofio, gli altri suoi fratellini, dopo la chemioterapia.
Faceva il possibile per trovare la forza di sorridere, però anche cercare di alzare gli angoli della bocca diventava troppo pesante in quei momenti. Sentiva dire i dottori che tutto sarebbe presto passato, ma la leucemia non sembrava essere d’accordo con loro. Forse si era affezionata a lui e non voleva lasciarlo perché si sentiva sola? Perché se era così, aveva solo da chiederle: non farlo soffrire più così tanto. La chemioterapia, le punture e le medicine non gli piacevano proprio, ma per il resto poteva anche rimanere insieme a lui, se lo voleva così tanto. Dopotutto, è stato solo per merito suo se era riuscito a incontrare Reiji. Da quando era apparso, stare in ospedale era diventato molto più bello e divertente. Anche i dottori e le infermiere sembravano essere più gentili quando era nei paraggi, riusciva sempre a rubare una risata a tutti. Otoya se l’era sempre detto: forse se avesse avuto una mamma o un papà sarebbe stato più facile passare tutto quello. Nessuno dei due, però, c’era mai stato, non sapeva nemmeno come fossero fatti, i suoi genitori. La signora dell’orfanotrofio era gentile e molte volte era venuta lì a fargli visita insieme ai suoi fratelli, ma non era mai stato lo stesso di quello che aveva sempre sognato di avere.
Otoya continuò a seguire il discorso apparentemente infinito di Reiji, stringendo le gambe contro il petto. Adesso, in realtà, non gli importava più così tanto di non avere dei genitori.
Per lui c’era Reiji che non si limitava solo a seguirlo insieme agli altri infermieri e a fargli visita, gli faceva anche da fratello maggiore, mamma e papà insieme. Era entrato in reparto da soli alcuni mesi, ma sembrava conoscerlo da sempre. Se Reiji non fosse così giovane, ad Otoya non sarebbe dispiaciuto pensare che il moro potesse trattarsi del suo vero papà venuto sotto copertura dal suo segretissimo e pericolosissimo lavoro per prendersi cura di lui. Piaceva tanto anche a Cecil, tra l’altro, e anche a tutti gli altri bambini del reparto.
Non nascondeva di sentirsi geloso quando lo vedeva dedicare delle attenzioni a qualcun altro, ma sapeva che Rei-nii preferiva lui tra tutti!
Annuì convinto di tale pensiero, ridacchiando contento. Così immerso nei suoi pensieri, però, non si accorse del fatto che Reiji si fosse riavvicinato a lui e lo stesse guardando alquanto curioso. «A che cosa stai pensando, peste? Modi per conquistare il mondo? Non ti avrò dato delle idee, vero?!»
«Oh, sì! Tante idee! Tutti tremeranno quando sentiranno il mio nome!» alzò le braccia al soffitto, divertito dall’espressione fintamente disperata di Reiji.
«Gah! Ora avrò l’umanità sulla coscienza! Come farò ad andare avanti con questi sensi di colpa!? Devo fuggire. Hai intenzione di conquistare anche il Messico?»
Otoya annuì, sebbene non sapesse dove si trovasse questo Messico.
«Aaaah! Sono spacciato!»
«No! Perché tanto Rei-nii diventerà il mio aiutante! Non devi fuggire da nessuna parte, ti proteggerò io da chiunque vorrà farti del male!»
«Oh?» Reiji sporse l’orecchio, interessato. «Ho sentito bene? Il tuo aiutante?» sogghignò, sfregandosi le mani. «Questo cambia tutto, allora. Prometto di non deluderti quando il fatidico momento arriverà!»
«Prima di quel momento… non mi lascerai solo?»
Reiji lo guardò seriamente, tenendo forte con entrambe le mani quelle di Otoya. «Ci sarò ogni volta che avrai bisogno di me, lo giuro sulle mie maracas. Sai quanto ci tengo, no?» ammiccò, avvicinando il viso per lasciargli un bacio sulla fronte. «Mmh, ma com’è che hai sempre un odore così buono? Io sono quasi certo che da bambino non avessi un simile profumo! Anzi… Mi sa tutto il contrario
«Rei-nii era un imbranato anche da bambino, per quello!»
«Guarda che imbranato non significa per forza puzzone, eh!»
Otoya rise più forte e Reiji sentì il suo cuore colmarsi di gioia.
Sentiva che ogni singola risata, ogni sorriso da parte dei suoi piccoli amici riuscisse ad allungargli la vita di un anno.
«Rei-nii.» lo chiamò Otoya.
«Uh? Dimmi.»
«Dopo le punture, mi accompagni da Tokiya? Ancora non vuole parlare con nessuno, e io voglio fargli compagnia. Secondo me ha paura, come ce l’avevo io…»
«È bello da parte tua volergli stare vicino. Dopo andiamo a fargli una visitina, allora.»
«Grazie.» liberò le mani dalla presa di Reiji e allargò le braccia. «A proposito delle punture… Posso abbracciarti per un po’? S-so che dovrei essere coraggioso p-perché per me non è la prima volta, però ho comunque paura…»
Reiji rimase spiazzato, allontanandosi un poco. «Sono tutto bagnato, finirei solo per-»
Ma Otoya scosse la testa. «Faccio attenzione io, tu tieni le mani giù. Per favore?»
Reiji sospirò rassegnato, non trattenendo però un sorriso. «Vieni qui.» fece, lasciando che il minore avvolgesse le braccine attorno al suo collo mentre lui, con cautela, iniziò ad accarezzargli la schiena con movimenti lenti e rilassanti. «Finché ci sono io non devi avere paura di nulla, piccolo mio.»
Otoya si aggrappò a lui più forte, annuendo. «Lo so. E voglio che anche Tokiya lo capisca. Se Rei-nii riesce a legare con lui, sono sicuro che non avrà più paura.»
«Allora impegniamoci a farglielo capire insieme, d’accordo?»
«Uh-uh.»
 
§§§§
 
Clinica veterinaria – 19:46
 
 
Pur facendo salti mortali tra ospedale e università, aveva fallito miseramente nel mantenere la sua promessa con l’albino.
Dopo aver guidato con la stessa foga di quella mattina, entrò nella clinica veterinaria aspettandosi già di non trovarlo più. Per quanto Sakagami-sensei potesse essersi sforzato, il ragazzo sembrava avere un carattere difficile da domare e dopo l’accaduto di oggi difficilmente poteva sperare che si fosse presentato di nuovo lì per l’appuntamento.
L’unica cosa positiva era che almeno aveva smesso di piovere.
Quando il dottor Sakagami vide Reiji entrare lo salutò con un cenno del capo, spegnendo nel posacenere la sigaretta che aveva tra le dita affusolate.
«Non sei un tantino in ritardo, figliolo?»
Reiji abbassò lo sguardo, colpevole, e infine sospirò. «Non me lo dica. Ho fatto il possibile, ma non ce l’ho fatta prima.»
Era persino un miracolo che fosse ancora capace di reggersi in piedi. Tutto il suo corpo stava letteralmente urlando pietà per avere un briciolo di sollievo che non fosse dato dal caffè, ma da un letto morbido e caldo.
«Non è che avrebbe il suo contatto da passarmi? Devo fare qualcosa per scusarmi di quello che è successo.»
«Ma quale contatto! Zitto e vieni con me.» L’uomo si tolse gli occhiali da vista e gli lasciò appesi al taschino del suo camice bianco, conducendo Reiji nella sala d’attesa della clinica.
«È rimasto da me fino a mezzogiorno, poi non appena ha visto che aveva smesso di piovere mi ha detto che sarebbe andato a sbrigare altre faccende. L’ho chiamato più o meno un’ora fa con la scusa dei suoi gatti e alla fine è crollato. Se riesci a svegliarlo mi faresti un enorme favore visto che devo chiudere tutto. Sbrigatevi a risolvere senza risse e filate a casa, chiaro?» colpì scherzosamente Reiji sulla fronte con la nocca dell’indice, spostando poi la mano ad arruffargli i capelli. «Tu buttati a letto appena torni. Guardate che dormire non è optional, eh. Nessuna donna è attratta dagli uomini con le occhiaie.» uscì, scuotendo la testa e borbottando qualcosa che a Reiji risultò difficile capire, ma che lo fece comunque sorridere. «Lo farò!» E questa volta avrebbe davvero tenuto fede alla sua parola.
Come zombie non sarebbe stato molto d’aiuto a nessuno, dopotutto.
Reiji rimase qualche istante in più fermo sulla soglia della porta d’entrata, divertito dalla posizione in cui era finito per crollare: quanta stanchezza doveva avere addosso?
Sdraiato su tre sedie con una gamba distesa e l’altra a terra, avvolto scompostamente da una copertina lasciatagli probabilmente dal sensei, l’albino riposava tranquillo, usando come cuscino una delle sue mani sotto la nuca. Poi Reiji si avvicinò, accucciandosi al suo fianco, rimanendo a guardarlo per un altro po’.
«Chi l’avrebbe mai detto che sarei finito per conoscerti in questo modo…» ridacchiò,  portando l’indice in mezzo alle sue sopracciglia corrugate.
Possibile che dovesse tenere quel muso anche durante il sonno?
Quel tocco apparentemente sembrò più che bastare per separarlo dal mondo dei sogni.
Un vero peccato, si disse.
Non gli sarebbe affatto dispiaciuto rimanere lì insieme alla sua silenziosa compagnia per qualche altro minuto.
Ranmaru aprì con lentezza gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco la figura di fianco a lui.
Quando riconobbe la persona, dopo essersi concesso uno sbadiglio, grugnì già irritato.
«Il pirata di stamattina.» si sollevò per mettersi a sedere decentemente, massaggiandosi il collo indolenzito. «Non posso credere di essermi addormentato qui…»
«Quando si è davvero stanchi capita di addormentarsi ovunque! Lo so per esperienza. Comunque puoi chiamarmi Reiji, invece di pirata! Reiji Kotobuki!»
«Stanco come questa mattina, immagino. Scommetto che stavi dormendo mentre eri alla guida.» assunse una smorfia, ignorando la mano che il moro aveva allungato verso di lui nel presentarsi.
«Gah-gahn, ecco di nuovo questa storia!» rise nervoso, grattandosi la nuca. «Ehi, sono qui per cercare di fartela dimenticare, non infierire!» si finse offeso, tornando in piedi non appena vide il ragazzo fare lo stesso.
«Ti ho già detto che non è necessario, sturati quelle dannatissime orecchie.» sbadigliò di nuovo, premendo con le dita il cerotto sotto al mento che il veterinario gli aveva messo per i graffi di Mike, assicurandosi che fosse ancora ben attaccato alla pelle. «A mai più rivederci.» cercò di liquidarlo, sorpassandolo con una spallata, ma Reiji fu più veloce nel piazzarsi di nuovo davanti a lui, mettendo a dura prova la pazienza dell’altro.
«Levati di mezzo, stai iniziando a irritarmi.»
«Non prima che tu abbia accettato la mia offerta di pace. Avverto ancora energia negativa da parte tua e questo non va bene! Ti avrò quasi investito, ma non puoi davvero odiarmi… ci siamo appena conosciuti, no?»
«Mi è più che bastato l’aver quasi perso la vita. Ora lasciami andare prima che ti faccia male.»
Reiji sogghignò, fronteggiandolo senza alcun problema sebbene Ranmaru fosse qualche centimetro più alto di lui. «Qualcosa mi dice che queste minacce sono tutto fumo e niente arrosto. Non saresti capace di-» Dovette cambiare idea non appena l’albino lo afferrò per la maglietta, ringhiandogli in faccia.
«Vogliamo vedere se non ne sono capace?»
Deglutì, riprendendo il coraggio di prima. Nel peggiore dei casi si sarebbe ritrovato con un occhio nero, ma almeno non avrebbe avuto il rimpianto di non averci provato.
«Ti piace cantare?» provò, sembrando attirarne un minimo di interesse.
 
Bingo.
 
«Può darsi. Questo cosa c’entra, ora?»
«Lascia che ti offra una serata al karaoke! Puoi portarti degli amici se proprio non vuoi stare da solo con me, io farò lo stesso! Non è il massimo, ma è tutto ciò che al momento posso permettermi.»
La smorfia disgustata sul viso dell’albino fu più che prevedibile, come lo sarebbe stata…
«Io non vado in questo genere di posti.»
… questa frase. Ormai Reiji poteva dire di aver più o meno inquadrato il soggetto con cui aveva a che fare.
«Così mi rendi le cose molto più difficili, sai? In fondo per una breve serata potresti anche sopportare, no? In caso contrario dovrò continuare a tormentarti fino a quando non mi dirai di sì. Per tua informazione, sono una persona piuttosto insistente.» sorrise serafico, liberandosi dalla sua presa. «Ma se la tua preoccupazione è quella di non saper cantare e ti vergogni di fare brutta figura, non preoccuparti! Nessuno riderà di te perché sei stonato~» appoggiò una mano sulla sua spalla, comprensivo, poco prima di ammiccare.
Ranmaru guardò la suddetta mano per poi tornare a fissare il moro in cagnesco.
«Hah?»
«Davvero! Mi assicurerò che i miei amici non ti prendano in giro, ma non prometto nulla. Loro sono piuttosto bravi, quindi se dovessi sentirti intimidito, io potrei-»
«Intimidito?»
Reiji soppresse abilmente un ghigno soddisfatto, annuendo invece innocentemente.
«Mh-mh.»
Ranmaru strinse i denti. «Porta questi qua e vediamo chi sarà a sentirsi intimidito.»
«Quindi è un sì?!»
«Togliti quel sorriso dalle labbra prima che cambi idea.»
«Ricevuto!» disse, continuando nonostante ciò a sorridere. «Domani sera? Verso le otto? Potresti darmi il tuo numero di telefono, così possiamo tenerci in contatto per altri dettagli!»
«Verso le otto. Karaoke vicino alla stazione di Shibuya. Questi sono gli unici dettagli che ti servono.»
Reiji alzò gli occhi al soffitto, sospirando. «Come vuoi. Posso almeno sapere il tuo nome o hai paura di dirmi anche questo?»
L’albino tentennò un attimo prima di rivelarglielo, guardando altrove. «Ranmaru. Kurosaki Ranmaru.»
«Ranmaru… Ranmaru…» iniziò a riflettere, lisciandosi una barba immaginaria per fare scena, finendo poi per illuminarsi improvvisamente, facendo sobbalzare di poco l’aspirante rocker per la sorpresa. «Ran-Ran!»
«Eh?»
«Ranmaru è troppo lungo, quindi ti chiamerò Ran-Ran!»
«No, non lo farai.»
«Ma è così carino oltre ad essere veloce da dire!» rise, lasciando finalmente Ranmaru libero di andarsene.
«Tu sei completamente andato.»
«Non dimenticarti di domani, Ran-Ran!»
«Sta’ zitto.» sibilò, dandogli una leggera spinta quando riuscì finalmente a incamminarsi verso l’uscita. «Sera, doc.» salutò velocemente il veterinario prima che quel pazzo potesse raggiungerlo e magari fermarlo per altri dettagli.
Ma aveva fatto veramente bene ad accettare? Ora non solo si sarebbe dovuto preparare psicologicamente all’uscita con il pensiero di dover sopportare quel demente per un altro paio d’ore, avrebbe pure dovuto chiedere a qualcuno di accompagnarlo. Qualcuno che preferibilmente parlasse al posto suo.
Vista la sua non poi così ampia cerchia di conoscenti, la scelta non sarebbe stata troppo difficile.
 «Fantastico…» grugnì, alzando gli occhi al cielo.
Che giornata del cavolo era stata anche quella di oggi.
 
 
 
Angolo autrice:

Tadaan~ rieccomi! Per chi aveva già letto la prima versione, questo capitolo non è proprio una novità (a meno che non vi siate scordati di quello che avevo scritto, in quel caso va benissimo così XD) a parte qualche piccola miglioria in alcune parti, ma sappiate che dal prossimo in poi le cose inizieranno a farsi più interessanti! Che ne pensate di queste prime interazioni tra loro? E di quelle tra Otoya e Reiji? Spero davvero di avervi scaldato con quella parte, è una delle mie preferite di questo capitolo :”)
Poi che altro abbiamo? Il dottor Sakagami l’avevo accennato lo scorso capitolo, e come promesso qua sotto vi metto una sua immagine (prestavolto: Hirato di Karneval) con tanto di canzone per darvi un’idea della sua voce <3 (è qualcosa che avrete per tutti i miei OC, spero che come cosa vi piaccia çwç), e oltre a lui ne compare uno nuovo, Daisuke Satou, mentre un altro viene solo nominato, il primario Inoue. Del primo non so bene quando riuscirò a mettervi una sua immagine modificata da me, ma vedrò di impegnarmi per riuscirci! Mentre per quanto riguarda il secondo avrete presto sue notizie (e il suo aspetto fisico con tanto di seiyuu <3) già dal prossimo capitolo! Questi tre OC sono tra i miei preferiti, hanno tra loro un legame e una storia a parte che scoprirete man mano, e niente, non vedo l’ora di farveli conoscere per bene! :33
Prima di chiudere l’angolo autore, voglio ringraziare Ailess, Lyel, Starishadow e _XUNMASKED_ per le bellissime recensioni, mi avete fatto un piacere immenso, nemmeno lo immaginate <33
Spero davvero che anche questo capitolo si riveli piacevole da leggere, come sempre se volete lasciarmi qualche breve commento per farmi sapere le vostre impressioni, positive o negative che siano, queste sono bene accette! <33
Vi mando un grosso bacione nel frattempo, alla prossima! :33
 
Ps: pregate per me, domani proverò a fare la pesca per la UR Fantasy Circus di Reiji in Shining Live (e se il gioco mi vuole bene, pure quella di Ranmaru). 





Il seiyuu prescelto questa volta è Ono Yuki! Qui il link per la canzone: 
https://soundcloud.com/user-3858960/yuki-ono-trust-myself
 
  
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