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Autore: shilyss    08/05/2018    24 recensioni
La prigione dove Odino ha rinchiuso Loki è una cella asfissiante priva di finestre. Costretto in una forzata inattività ma niente affatto piegato, il dio degli inganni affida i suoi pensieri più oscuri a delle lettere. Il destinatario? Thor, l’avversario di una vita, il compagno d’avventura prediletto, il fratello con cui ha condiviso ogni cosa. Carteggio estorto dal tonante cui Loki accetta di piegarsi solo per raggranellare qualche beneficio in più. Perché gli obiettivi del dio degli inganni potrebbero incrociarsi ancora con il destino di Asgard, e nessuna cosa è per sempre, neanche nelle prigioni sotterranee degli Aesir.
Dal cap. 1: Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3 – Si apre la caccia

Lettera 15


 
Brindiamo al caos che ha fatto tremare le torri di Asgard e alla paura che attanaglia Odino! Padre Tutto sta davvero invecchiando, se teme che le sue prigioni non riescano più a contenere il male. Ha così paura di me, tiene tanto in considerazione il mio potere, da fantasticare che possa minacciare la vita in superficie. Mi fa ridere questo, immensamente, quindi non è vero quello che ti hanno raccontato. È stato un incidente. Non puoi pretendere di catturare un lupo e lasciare che sopporti la cattività senza tentare di liberarsi e scappare, qualunque cosa significhi. La mia Corte mi guarda spaventata oltre questo vetro infrangibile, eppure non resiste alla tentazione di fissarmi. Gli altri prigionieri sono in attesa e vogliono godersi lo spettacolo, la scena madre: come posso biasimarli? La caduta di un dio è qualcosa di affascinante e, per molti dei miei sudditi, noi Asi siamo questo, dèi condannati a vivere migliaia di anni, costretti a impazzire, schiavi come chiunque di desideri e passioni, vizi e bassezze, colpe e vittorie. Lei è scesa e questo non lo avevo previsto. Non voglio sapere se è stata mandata da te, da Odino o se è venuta di sua spontanea volontà. Non è un dato che potrebbe essere rilevante. Conta il resto, piuttosto. Non te ne ho parlato perché non era importante e, del resto, se a te importasse davvero saresti qui, davanti a me. Avresti il coraggio di guardarmi negli occhi.

Non le ho parlato, all’inizio. Mi sono preso il mio tempo per osservarla, scrutare ogni dettaglio del suo viso mentre lei guardava l’illusione della mia sagoma coricata nel letto. Invece ero lì, a pochissimi centimetri dalla sua bocca, vicino alle sue labbra. Se solo non ci fosse questo fottuto vetro, fratello, sarebbe mia anche solo per una notte. Solo che le Norne hanno deciso diversamente, e così non posso fare altro che spiare il modo in cui si protegge la gola con lo scialle e l’anello che le brilla al dito. Non è ancora sua ma non potrà mai essere mia, e questo è crudele come abbandonarsi a pensieri viziosi mentre lei si tormenta dalla disperazione.

Non è stato facile scendere qui sotto, e non solo perché ha confessato di amarmi col peggiore dei tempismi di sempre, ma per sua sorella. Maggiore, suppongo, cui era legatissima. I suoi occhi gonfi di pianto e straziati dalla stanchezza me l’hanno detto, i capelli acconciati con meno grazia del solito l’hanno confermato. Sigyn non dorme, non mangia, non respira quasi, da quando il mantello di sua sorella è stato ritrovato vicino a una taverna. Non aggrottare le sopracciglia, ti prego. Qui nei sotterranei non passa la luce del sole, ma le chiacchiere corrono veloci e si trasformano in storie diverse e più scure di quanto non sarebbero in superfice. Puoi biasimarci, per questo? Sigyn ha sfiorato con la sua mano bianca e sottile il vetro come se volesse svegliarmi. Non le avrei mai dato la soddisfazione di mostrarmi vigile perché mi ha negato la sua vista per giorni. Anche io sono vittima della noia, e la mia Corte di disperati non mi offre certo una vista piacevole. La sua gonna colorata e leggera mi racconta che è estate e c’è il sole, da qualche parte; la sua vita stretta sottolinea il suo corpo sottile e ben fatto, la scollatura né ampia né castigata concede e nasconde quel tanto che basta da darmi qualcosa di interessante cui pensare prima di addormentarmi. E poi la pelle, fratello. Perfetta, morbida, bianca, da toccare e baciare. Ho smesso di ragionare con la testa, lo ammetto. La volevo e ho avvicinato anche io la mano al vetro e lei ha sentito qualcosa e ha visto il riflesso del sangue.

Si è messa a strillare, la cretina. È saltata come un leprotto e ha cacciato una serie di urli insopportabili e isterici tanto che la guardia si è spaventata e ha aperto la cella e si è precipitata dentro e lei appresso a lui. I due deficienti si sono resi conto con un secondo di ritardo cosa hanno fatto. Va bene, lo ammetto. C’erano dei precedenti (1) che hanno spinto Bjorn a entrare: lei aveva detto che c’era sangue, ma lui non doveva lasciare che lo seguisse; quello è stato un errore imperdonabile e lo sai pure tu, fratello. Cos’era, dormiva quando all’Accademia spiegavano come si gestisce un prigioniero? Mi cadono le braccia, davvero.

Ad ogni modo, non appena hanno varcato la soglia della cella l’incanto è svanito e mi hanno visto. Era meno grave di quanto ti hanno raccontato. Per riprendermi dalle premure di nostro padre ho colpito il muro con un pugno con i risultati che sai. Non ho bendato la mano perché non me ne fregava niente, ma non è questo il punto, maledette Norne. È il resto. Sono stato più veloce di loro. Ho disarmato Bjorn, gli ho rotto il naso e ho preso Sigyn. L’ho afferrata per la vita, ho sentito la pelle morbida e calda sotto il vestito leggero che indossava, ho respirato l’odore dei suoi capelli, di lei. Ha sentito quanto la volevo? Temo di sì perché era rigida e spaventata, mentre la tenevo ferma e dicevo a Bjorn che se era così che difendeva Asgard c’era poco da stare tranquilli. E mentre lui si scusava, io mi sono inebriato del profumo di Sigyn annusandole il collo e le guance e avrei continuato, se i suggerimenti osceni di quel branco di depravati attorno alla mia cella non mi avessero ricordato che stavo comportandomi da bestia anch’io. Le ho porto le mie più sentite scuse – le avevo anche macchiato di sangue l’abito -  e lei ha accennato una lieve riverenza e si è detta preoccupata per la mia mano, ma era sconvolta e tremava.

Le ho detto che è pericoloso entrare nella tana di un animale feroce, e che avrei potuto rapirla e usarla come scudo prima, ostaggio poi. Sigyn ha iniziato a piangere in silenzio e io non ho potuto fare a meno di dirle quello che era necessario sapesse: non è vero che mento continuamente, fratello. Molto spesso dico la verità, anzi, sono il solo che abbia la forza di farsene carico, ma non viene accettata.

“Non dovresti piangere per me, Sigynella, e non dovresti più nemmeno cercare lei.” Ho scosso la testa, ma ho continuato a guardarla perché bisogna avere il coraggio delle parole che si pronunciano, sempre. “Lei è morta. L’hanno uccisa poche ore dopo averla presa. Scappare e occuparsi allo stesso tempo di un ostaggio è difficile.”

È impallidita, ha sgranato gli occhi. “Tu non lo puoi sapere,” ha sussurrato e poi l’ha gridato sempre più forte finché le altre guardie non l’hanno trascinata via. Sia chiaro, Thor: non me la sarei mai scopata lì dentro come ha affermato qualcuno. Sarebbe stata una barbarie, un atto indegno di me e del mio retaggio, eppure affondare il naso nei suoi capelli e sfiorare con le labbra la sua pelle è stato simile a com’era vivere. Qui sotto il vino non ha sapore, il sonno non ristora, l’acqua non disseta, il cibo non sazia, la lettura non appaga. La cella si è richiusa.
 

 
Lettera 16
 

Punto uno: sono stati dei pazzi incauti e idioti loro, non io.

Punto due: lasciatemi crepare in pace.

Punto tre: non ci vuole una mente geniale per capire che era morta. A che pro rapire la sorella di Sigyn, per farsene cosa? Suo padre è un notabile come ce ne sono a decine, sua madre un’ancella minore della nostra. È gente semplice che possiede qualche rendita e una casetta in campagna, oltre a quella ad Asgard. Come lo so? Dalla stoffa con cui è stata realizzata la gonnella della biondina, un filato di media fattura, non certo di pregio. E allora che cosa farsene di una ragazza che senz’altro avrà avuto mille qualità, ma certo non era ricca e non era utile per un riscatto? Fidati fratello, se continuassi questo discorso offenderei la mia intelligenza e la tua, posto che tu ne abbia. Ora, per favore, non far precipitare qui quell’invasata di Sif o uno dei tre deficienti: non ho nessuna voglia di stare a sentire i loro starnazzi inutili né vorrei un altro fastidioso incontro con la giustizia di nostro padre. Non mi sono ancora del tutto ripreso dall’ultima volta, capisci?

Punto quattro: io non vedo il futuro(2) e non ho modo di interferire con il mondo di sopra. Se potessi farlo sarei fuggito da qui. Ho solo ragionato con i pochi dati a mia disposizione, valutando quanto mi hanno raccontato le guardie. Per quanto riguarda Bjorn, gli ho consigliato cosa regalare alla fidanzata per il loro anniversario e gli ho porto le mie più sentite scuse, ma davvero quel ragazzo ha bisogno di allenarsi e svegliarsi un po’, tiene la guardia troppo bassa. Non è pietà la mia, beninteso: si è comportato da deficiente e chiunque altro lo avrebbe ammazzato senza pietà, ma io sono un principe magnanimo e, qui sotto, lui è più suddito mio che tuo, te l’assicuro. Concedimi almeno la mia Corte di derelitti, dato che non hai mosso un dito per me davanti a nostro padre. Come hai preso la notizia della mia tortura, dimmi: ti sei andato a lagnare, hai protestato? Oppure te ne sei fregato dimenticando tutte le belle parole che hai speso quando mi hai visto l’ultima volta? La mano va migliorando.


P.S.
Trovo indelicato porgerle direttamente le mie condoglianze, ma sarebbe scortese non farlo. Dubito che scenderà nuovamente qui sotto dopo quello che le ho fatto.
 

 
Lettera 17
 

Brindo ad Asgard, che trema perché un nuovo mostro gira indisturbato per le sue strade. Brindo ai nostri fratelli più giovani (3), che brancolano nel buio dimostrando di avere il sangue annacquato, brindo a te che sei lontano e te ne freghi di questo posto, brindo a Odino che mi ha interrogato tutta la notte e a Heimdall, che non sa guardare dove dovrebbe(4). Con cosa? Con l’idromele di primissima scelta che papà mi ha mandato per scusarsi del pessimo trattamento, per la mano rotta e il senso di colpa di vecchio che lo tormenta. O sei stato tu? Non me ne importa un accidenti, purché me ne mandi qualche altra botte. Giuro che non farò niente di irresponsabile, prometto.

Nostro padre si è cimentato in una sequela di domande trabocchetto da antologia, davvero, preso com’è dall’idea che io possa nuocere al suo prezioso regno. Non gli ho dato nessuna soddisfazione. Non so quale fosse il punto, se desiderava sfruttare le mie intuizioni per catturare l’uomo che ha ucciso la sorella di Sigyn o fosse realmente convinto che io sappia chi è. Gli ho detto quello che vado ripetendo in giro da giorni – che ho solo troppo tempo libero –, e che le mie erano semplici supposizioni dettate dal buon senso.

D’accordo, potrei essere stato volutamente ambiguo e forse ho scherzato un po’, ma non puoi pretendere la serietà da uno che è stato giudicato pazzo, ti pare? In fondo, ti scrivo per questo motivo e nient’altro: i guaritori hanno detto che sarebbe stata una buona terapia e tu hai colto la palla al balzo e mi ha posto davanti a un becero ricatto. Libri e beni di servizio in cambio di lettere che non fossero solo un elenco di insulti. Peccato Thor, era liberatorio scrivertele.
 

 
Lettera 18

 
Sei tu un fottuto idiota che si nasconde dietro a un pezzo di carta. Tira fuori le palle e vieni a dirmelo in faccia qui sotto, avanti. Ti aspetto. Cos’è, hai paura di scendere? Ti fa male il cuore a immaginarmi qui? Sei patetico e debole. Credi di fare il tuo dovere scrivendomi suggerimenti e consigli, ma non osi nemmeno farmi visita e parlare a quattr’occhi. Tu mi hai incarcerato e devi prenderti la responsabilità delle tue azioni: non vuol dire questo, essere Re? Invece l’erede designato, il difensore dei Nove Regni non riesce a scendere le scale nere della prigione neppure per vedere il fratello di cui sente così disperatamente la mancanza. Non hai avuto il coraggio nemmeno di venirmi a trovare dopo l’incidente. Non che me ne freghi qualcosa, beninteso. Questa non è una scenata di gelosia perché mi hai lasciato solo – cogli l’ironia della frase, te ne prego. È un grido disperato perché non puoi lasciarmi senza libri. Cosa dovrei fare, mettermi a stringere amicizia con i miei sudditi cenciosi? Dovrei provare a socializzare con il troll che provò a sgozzare Sigyn e che mastica a bocca aperta, cui Asgard fornisce posate che a me sono state negate? O con l’Elfo Nero che crede di essere un Nano e racconta di voler andare a lavorare in una compagnia teatrale? Questo posto fa schifo: è umido, puzza di muffa e ci manda fuori di testa.

D’accordo, so cosa vuoi. Avevo consegnato la lettera, ma ho chiesto al secondino la cortesia di farmi aggiungere altre due righe. Nella mia Corte dei Miracoli l’educazione ha una certa rilevanza, che credi. Ovviamente ho notato che lei non indossa più l’anello e naturalmente le ho chiesto il motivo, anche se mi ero fatto una certa idea, ma la sua richiesta non posso nemmeno prenderla in considerazione. Sigyn è sconvolta dal dolore e crede erroneamente che io sappia qualcosa su quello che è capitato a sua sorella o, peggio ancora, riesca a rispondere alla domanda fondamentale: chi e perché l’ha uccisa. Non comprende che il male a volte esiste e basta, e che io ho usato non il seidr né qualche magia oscura per capire che era stata uccisa, ma un pizzico di acume e basta.

Ovviamente non mi ha creduto: sono stato il primo a dirle che Astrid non sarebbe tornata e a lei tanto basta. Si è aggrappata all’idea che io riesca, in un modo o nell’altro, a trovare il nesso, la ragione, il movente: di più, vuole che le consegni il colpevole. Ma io sono solo un prigioniero, e non ho i mezzi né l’interesse a risolvere questa faccenda. So benissimo che questa spiegazione non ti basta. Tu vuoi che ti racconti com’è andata, che ti faccia accedere ai miei pensieri. Vuoi sapere se lei è la chiave di volta per una mia redenzione o un’arma che puoi rivoltarmi contro quando ne avrai voglia, o forse questo è un piano di nostro padre, del potente Odino così ipocrita e crudele da seppellire ogni problema sottoterra e poi buttare la chiave.

Vuoi che ti dica che l’ho trovata bella? Lo era, ovviamente. Ho desiderato levarle di dosso l’abito nero che indossava nell’attimo stesso in cui è scesa. Adesso il racconto si è fatto più intrigante e succoso. I capelli erano acconciati in una treccia ordinata, ma la sua massa folta e bionda ha qualcosa di caotico dentro che le impedisce di tenere la sua capigliatura a bada. C’è sempre un ciuffo fuori posto leggermente ondulato che le spunta dal viso o si incastra sulle sue spalle. Si è avvolta in un lutto serrato che dovrebbe mortificare la sua bellezza, invece esalta il colore della sua carnagione tanto da farla splendere. Gliel’ho detto.

“Sei un raggio di luce in queste prigioni, Sigyn, anche se i tuoi occhi sono così tristi.” Poi, prima che potesse rispondermi, mi sono scusato di nuovo per averla spaventata, ma ho precisato che avrei mentito se avessi aggiunto che ero pentito per ciò che avevo fatto. Le ho guardato l’anulare finalmente sgombro e poi sono risalito cercando i suoi occhi grandi, liquidi, animati da una luce disperata.
“Astrid era il tuo centro, non è vero? Ma l’hai persa e ora tu non sai più dove andare.” Gliel’ho detto calcando ogni sillaba affinché ascoltasse, interiorizzasse, si rigirasse in bocca e nello stomaco la mia frase. L’ho vista stringere le mani bianche e sottili, sostenere coraggiosamente il mio sguardo peggiore. Sono stato crudele e non me ne sono pentito, perché non si può scendere fin qua e pensare che non abbiano un prezzo, le mie parole. La soddisfazione non è nella mia natura, ti ho detto qualche volta in passato, ma ci sono certe cose che me la fanno sfiorare, accarezzare. Era a disagio e io ho sorriso.

“Tu sei l’unico che lo sapeva.” Di nuovo il mio sguardo corse sull’anulare libero finendo poi per indugiare sul resto – Sigyn è nelle mie ovvie fantasie erotiche, tanto da farla arrossire, indietreggiare.

“Com’è successo?” ho domandato a bruciapelo, per sorprenderla e impedirle di alzare le sue difese e inventare una bugia qualsiasi. Mi ha guardato offesa, e ha spiegato con quattro parole che la morte di sua sorella ha messo in crisi un rapporto che già aveva basi precarie, come forse ricordavo. Ho riso e ho sentito la necessità di infierire e inserire il dito nella piaga perché non potevo oltrepassare quel vetro e lei, suo malgrado, ha riempito la mia fantasia. Non la amo, ovviamente, ma come già ti ho scritto è l’unica donna che scende qui sotto e il suo profumo è dolce e invitante, un insieme di vaniglia, miele e fiori.

Ho riso e le ho detto che so riconoscere le bugie, quando le ascolto, e le ho ricordato com’è che è andata davvero. Il suo ormai ex promesso sposo che le portava sempre fiori si è stancato di aspettare una donna fredda che non si voleva nemmeno far toccare. Ha resistito per mesi in attesa che la sua timida fidanzata gli concedesse qualcosa di più, invano. Si è ripetuto che il suo virginale pudore era indice di un’indole sensibile anche quando gli hanno detto che alzava le sue lunghe ciglia nere su di me. Ma io non sono più una minaccia né per Asgard né per il signor nessuno in questione e quindi ha lasciato correre. Solo che poi Astrid è stata rapita e poi è morta e Sigyn non solo non voleva più sentir parlare di nozze, ma cercava vendetta e ricordava come io le avessi predetto la triste fine della sorella. Gli ha confessato che avrebbe chiesto il mio aiuto, di nuovo. Questa decisione, mescolata al categorico rifiuto di non mettersi in ginocchio e slacciargli i pantaloni, ha convinto il nostro uomo che le due pecore e le tre vacche della dote di Sigyn non rappresentavano una svolta economica significativa né avrebbero contribuito al riassestamento delle sue finanze.

Invitandola a fare a me ciò che si era schifata di compiere su di lui, l’ha lasciata. Confesso di aver fatto lo stronzo e di aver esagerato. L’ho vista impallidire e sobbalzare e i suoi occhi si sono velati di pianto. Ho colto nel segno con troppo vigore, ma ormai era tardi per rimediare. A denti stretti, mi ha detto che non aveva mai desiderato sposarsi né col suo promesso né con altri, e che le sue nozze servivano ad aiutare la sua famiglia e le erano state imposte, la sua dote consisteva in un palazzo in città e in numerosi campi, ma qualcuno nel passato recente si deve essere sorbito davvero poco più di un paio di pecore, perché il riferimento l’ha davvero ferita. Poi si è voltata verso l’uscita e lì è successo qualcosa di increscioso.

I nostri spettatori affamati di storie e disperati quanto me hanno iniziato a fare chiasso, a suggerire e ipotizzare scenari scandalosi, a gridarle oscenità. Uno si è calato le braghe mostrando la scarsa – è il caso di dirlo – dotazione. La mia corte di delinquenti è formata da pessimi soggetti, fratello. Alle volte male interpretano i miei gesti e le mie azioni e credono di fare la mia volontà. Ecco, il decerebrato in questione deve aver pensato che il suo ripugnante gesto potesse essere inserito nel novero delle goliardie da prigione. Si è clamorosamente sbagliato e l’ho minacciato di una morte orrenda e tristemente lenta se non si fosse immediatamente ricomposto, e mentre lui obbediva ho richiamato Sigyn. Li ho dovuti zittire ben due volte, ma il disagio di lei era tale che la mia natura signorile – non è ironica questa frase – si è sentita in dovere di concederle qualcosa come un’inutile consolazione, una verità che non potrà rendere meno gravoso il suo lutto.

“Il loro comportamento è imperdonabile e offensivo. Non volevo umiliarti.” Non mi ha risposto, segno evidente che non credeva fossi sincero, e allora sospirando ho proseguito. “Io ero l’unico che avesse ragionato. Era una supposizione, la mia. Nient’altro.”
Il riferimento alla sorella morta l’ha riscossa e convinta a fissarmi nuovamente negli occhi. “Da quando il brillante dio degli inganni si schermisce dalle sue intuizioni?”

È stata acuta, glielo concedo. Ho abbassato la testa e riso tra me e me, compiacendomi della risposta pungente, della verità che mi metteva davanti. “Mi piace questo di te,” le ho detto, “e mi sarebbe piaciuto anche fuori. Non sei solo carina, Sigyn. Sei sincera, ma non in modo stupido.”

Ha chiesto cosa volessi dire non perché ci tenesse a sentire la mia opinione, ma nella speranza che le dicessi ancora qualcosa di Astrid. Era infuriata, livida in volto. Le ho spiegato che essere sinceri non significa vomitare sul prossimo supposizioni e pensieri senza alcun tipo di filtro: vuol dire ragionare, valutare, scegliere. La schiettezza di certe affermazioni è apprezzabile, la mancanza di tatto o di intelligenza imperdonabile. Sigyn, ancora sconvolta, non ha potuto fare a meno di cogliere l’opportunità che le stavo offrendo, così è rimasta ad ascoltarmi e io l’ho messa alla prova. Non era forse quello che voleva quando è scesa qui sotto? Non desiderava che le parlassi e spiegassi, incantandola con una soluzione che non c’è, non esiste?

“Cosa vedi quando mi guardi, Sigyn?” Il vetro ci separa, ma acuisce i nostri sensi, ci offre la possibilità di guardarci negli occhi, di spogliarci idealmente, perché ci è proibito toccarci e il suo profumo è un ricordo vibrante e nient’altro. Questa cella esaspera desideri che altrimenti si perderebbero. Lei ha aggrottato le sopracciglia e distolto lo sguardo poiché il modo in cui la guardo la turba, le ricorda l’innamoramento fugace che provava per me quando calpestavo con i miei stivali le strade della bella Asgard.

“Cosa c’entra con mia sorella?” Dopo che ha confessato il suo amore per me, prova disagio nel parlarmi di certi argomenti e questo pensiero mi diverte. Mi sono sporto ancora più verso di lei mantenendo una posa studiatamente altera.

“Sei scesa qui in cerca di risposte. Vuoi sapere come potevo essere a conoscenza di cosa le fosse capitato. Ti sto offrendo la possibilità di capirlo, a patto che tu sia onesta.”

“È difficile,” mi ha risposto, e i suoi occhi grigi si sono velati di lacrime e non solo per l’infelice sorte della sorella. Aveva capito quello che le avevo chiesto e non desiderava parlarne, perché altrimenti avrebbe finito per confessarmi come mai è scesa per settimane, mesi, qui sotto. Lo spirito di guaritrice mancata che credevo la pervadesse è solo una delle motivazioni; la più giusta e la più pura probabilmente, ma non la meno intensa. Non la biasimo per questo: conosco la nostra natura e so quanto le buone azioni siano spesso animate da sentimenti meno nobili o, semplicemente, egoistici. Il suo difetto è l’incrollabile speranza, la fiducia che ha nel destino che filano le Norne.

“Lo so,” le ho risposto, ma ho insistito, ancora. “Cosa vedi, Sigyn?” (5)

“Questa prigionia ti consuma, Loki di Asgard.” Le sue dita delicate hanno sfiorato incautamente il vetro, la sua voce si è velata di nostalgia. Ha descritto quello che tu non vuoi vedere e che io non riconosco, ma che ha smosso Odino tanto da concedermi una buon barile del migliore idromele. Dimmi Thor, credi davvero che se adesso ti scrivessi la sua dolorosa descrizione farebbe bene alla mia presunta guarigione? Non soddisferebbe piuttosto la morbosa curiosità tua e di quelli cui passi le mie missive? Non ha importanza, credo. Non ho il diritto ad avere un dialogo privato con lei o con altri, e mezza prigione ci ha sentiti parlare: prima che tu possa travisare, ti racconterò com’è andata, affinché tu possa ascoltare anche la mia voce e non lasciarti abbindolare dalle fantasticherie di un gruppo di secondini rintontiti dalla noia e da un mucchio di avanzi di galera e tagliagole.

Occhi segnati dalla stanchezza, pallore, sintomi di qualche tara mentale acuita dall’insonnia, una tosse fastidiosa merito senz’altro dell’aria umida e insalubre di questo dannato sotterraneo di merda. Le ricordo un animale in gabbia, e io ho pensato immediatamente al bellissimo lupo che regalarono a nostro padre quando eravamo bambini: lo ricordi? Era un animale fantastico, fiero e potente che la cattività rese pazzo. Amavo nutrirlo, ma lui sentiva la nostra puzza nel cibo che gli offrivamo e rifiutava sdegnosamente il pasto. Non c’era bisogno che la bella biondina facesse la sua analisi puntuta perché rievocassi la storia del lupo (6): ci penso da quando mi hanno rinchiuso, credo, ma le sue parole me lo hanno fatto rivedere una volta di più com’era nella sua gabbia esibita, esposta. Almeno questo mi è stato risparmiato. Non è stata compassionevole né sciocca. Nelle sue parole ho letto qualcosa che già avevo riconosciuto da tempo, ma è stata solo un’analisi ben fatta e non un’accorata dichiarazione d’amore. Quella me l’ha fatta settimane o mesi fa – il tempo si sbrindella e confonde, qui dentro – e adesso l’unica cosa che conta, per lei, è capire chi le ha portato via sua sorella e per quale ragione.

E sia, se l’è meritato il mio aiuto. Prima di capire perché Astrid è morta occorre dire quando. Le ho esposto nuovamente la mia idea secondo cui il rapimento e l’uccisione sono avvenuti entrambi nel giro di poche ore. Un concetto straziante da accettare, me ne rendo perfettamente conto: implica che le ricerche durate settimane non hanno portato a niente, che le preghiere e le speranze erano vane. Quello che so di com’era quando l’hanno trovata, ha avvalorato ancora di più la mia tesi che credo i guaritori confermeranno. Le notizie che mi sono arrivate qui sotto sono vaghi e imprecisi racconti, ma non è importante, adesso.

“Heimdall non ha visto,” ha mormorato. “Perché? Com’è possibile?” Ho sorriso incrociando le mani dietro la schiena e fissandola con comprensiva tristezza. Ecco il punto, il nodo e il motivo per cui Sif venne da me a chiedere spiegazioni. Sono stato interrogato come un volgare delinquente per questo solo particolare, e se tu non fossi in giro a cazzeggiare per i Nove Regni o le Norne sanno dove, avresti potuto dimostrarmi che le tue non sono solo parole e agire.

“Non è poi così difficile gabbare il vecchio Heimdall,” le ho spiegato.

“Uno solo può vantarsi di averlo fatto: tu,” ha insistito. Quanti giorni erano già passati dal funerale di Astrid? Due settimane? Un mese? Il colore aveva abbandonato il guardaroba di questa ragazza così giovane da tanto tempo? Chiamare la sorella di Sigyn con il suo nome non mi aiuta, come dovrebbe, a stabilire chissà che compassione: non nascondiamoci dietro a inutili ipocrisie. La sua fine è stata orrenda e dolorosa, e una certa inquietudine assalirebbe chiunque pensando come la mano che ha agito in quel modo sia ancora libera, ma tutta la mia pietà si riversa nello sguardo di preda braccata di Sigyn: quando ironizzavo sul suo matrimonio privo di passione, i suoi begli occhi grigi erano più dolci e sereni. C’è sempre, in lei, un’inquietudine dolorosa e antica, ma adesso è stata sopraffatta dal dolore. Il punto è che Sigyn aveva bisogno di essere consolata sì, ma con delle risposte. Si può spiegare il male, Thor?
“Come fai a vedere il mondo? Con cosa mi stai guardando?”

Presa alla sprovvista ha esitato un momento prima di rispondermi, quasi non credesse che fossi così magnanimo da offrirle ciò che mi ha chiesto, dando un senso alla vergognosa vista che ha dovuto sopportare. “Con gli occhi,” ha risposto infine. Brava la mia ragazza, ho pensato.

“E Heimdall, da dove attinge il suo potere di Guardiano?” ho insistito, dicendole con parole più gentili quello che ho confessato a Padre Tutto.

“Io credo… dagli occhi,” ha deciso. A te avrei dovuto fare un disegno, temo.

“E dove li avete tutti e due i vostri begli occhi?” Ci stava arrivando, pian piano, occorreva solo metterla sulla giusta strada. Spiegarle come si ragiona, cosa si fa quando si hanno tra le mani una serie di dati, informazioni, aspetti.

“Che significa? Sul viso,” ha risposto confusa. Le mie domande sono troppo semplici, come la verità che spesso è più banale e insignificante di quanto non ci si aspetti. Ho ghignato – la metto sempre in difficoltà quando sorrido, perché si sforza probabilmente invano di capire quando scherzo e quando, invece, sono mortalmente serio. In fondo, io e Sigyn ci conosciamo appena, nonostante ricordi nitidamente il suo profumo.

“Riesci a vedere quello che stanno mimando dietro di te i miei compagni di cella?”

“No,” ha soffiato voltandosi di scatto. Le ho sorriso. “Nemmeno Heimdall. La spiegazione più semplice generalmente è quella giusta, Sigynella. Usa la logica.”

“Ma questo vuol dire che…”

“Che Heimdall era distratto da qualcos’altro. L’assassino di tua sorella non è un balordo ubriaco, ma uno che conosceva il momento in cui il Guardiano sarebbe stato, come si dice, in altre faccende affaccendato. Questo restringe un po’ il campo, no?”
Quando mi ha chiesto di aiutarla ulteriormente, le ho voltato le spalle e le ho detto di andare via. Farlo non migliorerebbe la mia condizione e dedicarmi alla giustizia di Asgard non mi diverte più come un tempo. So benissimo che mi dirai che lo dovrei fare per lei, ma tra noi non c’è niente: Sigyn è la mia finestra sul mondo preferita, ma non rappresenta niente più di questo. Lo sai.
 

 
Lettera 19
 
 
Thanos mi ha fatto visita, stanotte. Ho aperto gli occhi ed era lì, seduto sulla mia poltrona, di fronte al mio letto. Da regolamento dovrebbe essere una branda, ma mi è stato concesso un letto, sì: lo sapresti, se ti fossi degnato di portare qui sotto le tue chiappe. Vedi, la mia massima aspirazione in queste tediose giornate che si susseguono le une alle altre, è averti a portata di vista e dirti che sei il solito deficiente.

Ti hanno fatto il culo su Midgard? Ti sta bene, perdente. Le notizie corrono veloci, grazie a quel vecchio spione incapace di Heimdall, che quando serve è sempre con la testa per aria a impicciarsi delle vicende altrui. Oh, come vorrei aver potuto assistere al momento, memorabile, in cui ti sei reso conto che la tua combriccola di saltimbanchi litiga tra sé e non è che la parodia di una vera squadra. Non mi crogiolo delle tue disfatte perché ho l’animo cattivo: sono solo razionale, un concetto che per te è troppo astruso, lo so bene. Che pensavi, di vincere tutte le guerre roteando il tuo martello – una sorta di inutile appendice, te l’hanno mai detto che hai un rapporto morboso con quell’affare? Devi sopperire forse qualche mancanza?! -  e gridando come un pazzo “per Odino?” (7) Dato che, ad ogni modo, sei resistente come una pianta infestante, occupiamoci in questa lettera di qualcosa di decisamente più rilevante: me.

Non ho intenzione di farmi visitare dal tuo guaritore elfico del cazzo. Chiuso il discorso. La mia non era un’allucinazione e nemmeno un sogno: Thanos era lì e abbiamo parlato. Ho riconosciuto il suo odore, ho visto i segni che ha lasciato sulla mia poltrona e sul mio braccio. Non me lo sono inventato. Ovviamente è sparito quando le guardie sono accorse, ma non sono stato io. Qualunque cosa fosse, era davvero nella mia stanza-prigione. Mi piacerebbe che la tua solerzia nel raccattare ciarlatani e portarli di fronte al vetro della mia cella a sparare idiozie, si tramutasse in una maggiore rapidità nel trovare i libri che chiedo. Ci si annoia a morte qui sotto, e non mi venire a dire che in tutta Asgard non c’è un solo essere, a parte Sigyn, in grado di consultare un catalogo e tirare giù due volumi da uno scaffale.


Continua...


Caro Lettore,
Grazie mille per essere arrivato fin qui. La Fatina dell’Ispirazione sbatte le sue alucce glitterose e ti ricorda che ogni pensiero è gradito, perché la tua opinione conta. Un caro abbraccio a tutti coloro che, finora, hanno supportato questo simpatico delirio. Grazie!
Ma veniamo al tuo pensiero: forse ti stai chiedendo quali lettere siano false e quali vere, quando Loki menta e quando no. Ti rovinerei la sorpresa e il divertimento se te lo dicessi, ma qualche piccola suggestione te la voglio dare lo stesso.
E se Thor non cercasse la verità da Loki? Non è importante quello che il dio dell’inganno dice, ma cosa, a chi, come e quando. E la sua reticenza su determinati argomenti.
  1. Nello scorso capitolo, Loki si lamentava di non poter mangiare con le posate.
  2. “Non sono uno stregone, non vedo il futuro” è un omaggio a una battuta pronunciata in Thor: Ragnarok. Nel testo sono presenti anche altre frasi Loki prese, in questo caso, da TDW (chi mi ha incarcerato/la soddisfazione non è nella mia natura). C’è pure una battuta del primo Avengers, l’hai riconosciuta?
  3. Balder e Hoder, già citati. Nel mito norreno, Balder sarà l’effettivo erede di Asgard dopo il Ragnarok. Tornerà da Hel, luogo in cui era finito perché, in soldoni, il cieco Hoder lo uccide con una freccia. Chi ha dato un arco a non vedente? Neanche a dirlo, è stato quel buontempone di Loki, che ha pure preso la mira. In questa fiction Hoder non è cieco fisicamente, ma è ottuso, quindi cieco spiritualmente.
  4. “Brindo a te, vergine…” è un’iconica battuta di uno dei film horror più belli di sempre: Profondo Rosso di Dario Argento.
  5. Questo dialogo è ispirato a una delle scene più iconiche del film “Il silenzio degli innocenti” che valse ad Hopkins l’Oscar. E niente, Loki assomiglia a Odino più di Thor, lo dice anche Hela!
  6. La storia del lupo di Odino l’ho inventata per la fiction “Sposami, Sigyn”: qui te la ripropongo. Come? Non hai letto/recensito quella fanfic? Ma insomma!
  7. Lo fa nei fumetti e nei cartoni, sic.
Ci vediamo giovedì sera, ;) con qualcosa legato alla saga del "Ponicorno"... 

S. 

 
   
 
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