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Autore: Laura Taibi    09/05/2018    0 recensioni
"Ce l'avrebbero fatta, si disse, sarebbero riusciti a uscire da quell'incubo e avrebbero ripreso in mano le loro vite. E dopo?
Questa domanda assillava Jasper da quando lei gli aveva detto di voler tornare a casa. In quel luogo loro due erano... beh, loro due. Ma lontano da quel luogo?
Una parte di lui voleva tornare a casa, ma ce n'era un'altra, piccola e nascosta, che desiderava ardentemente restare lì con lei, per sempre."
Edito per la NullaDie edizioni e disponibile in cartaceo su amazon e (su ordinazione) nelle maggiori librerie.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jasper socchiuse gli occhi, infastidito. Le tende non erano state tirate bene e un ostinato fascio di luce gli colpiva il viso.

Era disteso sul letto, con ancora addosso gli abiti della sera prima e non ricordava granché. Di sicuro era tutta colpa di Chad, il suo migliore amico, e di quelle stupide bottiglie che trafugava dal negozio di liquori del padre.

Si voltò su di un lato e stava quasi per riaddormentarsi quando la porta della stanza si aprì.

«Non posso crederci, sei ancora a letto?» esclamò la donna avvicinandosi alle tende, spalancandole. Jasper si tirò le coperte fino al mento, ma vennero prontamente tirate via.

«Credo esista una leg...»

Non riuscì a finire la frase: era come un déjà vu, come se tutto questo lo avesse già vissuto.

Lei si scostò i capelli dal viso.

«Cosa?» chiese, poi, visto che non riceveva risposta, continuò «Comunque, sbrigati se vuoi un passaggio, o farò tardi a lavoro.»

Jasper non rispose, era frastornato, confuso, aveva una strana sensazione e un incessante senso di vertigini. La zia si avvicinò a lui con aria interrogativa.

«Jasper, stai bene?» chiese. Lui sembrò ridestarsi «Oh, ehm... sì, tu o ok zia, sono solo un po' stanco.»

«Vuol dire che ti riposerai... dopo aver sistemato questa camera!» disse Natalie sorridendo, poi gli diede un bacio e uscì per andare a lavoro.

Jasper si mise a sedere con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Aveva decisamente esagerato ieri sera. Ripromettendosi di non toccare più una goccia d'alcool per il resto dei suoi giorni, si alzò e si diresse in bagno.

Decise di farsi una doccia per riprendersi e quando ne uscì, si sentì meglio.

Il telefono prese a squillare in lontananza. Jasper arrivò in camera giusto in tempo per rispondere:

«Pronto?»

«Ehi amico, sono Chad, ti ho svegliato?»

Di nuovo quella sensazione. Era qualcosa d'inspiegabile, come se sapesse già ciò che l'amico stava per dire.

«Pronto? Ci sei?»

«Eh? Si! Sono sveglio...»

«Dalla tua voce non si direbbe. Dovresti smetterla di fare le ore piccole!»
Jasper ridacchiò.

«Comunque» continuò l'altro «che ne dici divederci a Walpole Park, al solito posto?»

«Ok, a dopo.»

Chiuse la chiamata.

Si vestì e si trascinò verso l'uscita. La casa era pulita e ordinata come sempre e lo specchio, appeso all'entrata, era lucido e immacolato. Rimase a osservare il suo riflesso quando un ricordo all'improvviso gli attraversò la mente.

Capelli rossi... un autobus... tutto era confuso, come quando si cerca di ricordare un sogno. Jasper si poggiò una mano sulla fronte, cercando di frenare il mal di testa che aumentava.

«Maledetto Chad, la prossima volta che mi offre da bere gliela spacco in testa quella stupida bottiglia!» disse tra sé e sé.

Frugò nella ciotola sulla console all'entrata alla ricerca del suo mazzo di chiavi. Non fu difficile, vi aveva applicato un campanellino, come quello che si mette sui collari dei gatti, cosicché ogni volta che non era sicuro di averle prese gli bastava scuotere le tasche del giubbotto. Era molto pratico.

Appena le trovò se le ficcò in tasca e uscì.

Il quartiere in cui abitava era formato da file e file di case a schiera simili le une alle altre, con le tipiche finestre a bovindo e i cancelletti in ferro battuto. La strada era senza uscita, per cui era molto tranquilla a qualsiasi ora del giorno e della notte, e anche in quel momento non vi era in pratica anima viva.

Aveva fatto solo pochi passi quando qualcosa sbatté violentemente contro la sua schiena, facendolo quasi cadere. Lui si voltò di scatto.

«Ehi, fa attenzione! Potresti ammazz...» non finì mai quella frase. Lì, seduta a terra con aria sconvolta, c'era la ragazza con i capelli rossi, che lo fissava come se fosse stato un fantasma.

«Io ti conosco! O almeno... credo. Ci siamo già visti vero?» le chiese lui, porgendole una mano. Lei non la prese, ma si alzò senza smettere di fissarlo, tanto che Jasper s'iniziò a sentire alquanto a disagio.

«Questo non è possibile!» esclamò lei.

«Non sei di queste parti?» chiese lui.

«No! Cioè, si! Ma tu eri nel lago, e poi ti guardavo e... sono caduta qui! Ma non sarebbe possibile!»

La ragazza iniziò a camminare avanti e indietro gesticolando frenetica. Jasper pensò che avesse qualche rotella fuori posto così, molto lentamente, iniziò a indietreggiare cercando di andarsene, ma lei lo raggiunse e gli prese il polso. Aveva una stretta di ferro.

«Senti, so che ti sembrerà assurdo, ma devi svegliarti! Se non lo fai, verranno a prenderti!»

«Cosa? Chi verrà?» chiese lui tentando di farle mollare la presa, inutilmente. La ragazza si mise una mano sul viso, esasperata. Fece un paio di respiri profondi, dopodiché puntò i suoi penetranti occhi verdi su di lui.

«Ascolta, sto per dirti qualcosa che ti sconvolgerà, davvero, quindi ascoltami bene, perché di certo questa sarà l'ultima volta che ripeti il tuo sogno. Quello che vedi intorno a te non è la realtà, tu sei in un altro luogo, e stai sognando. Io ti...» Jasper tentò di dire qualcosa e di allontanarla, ma lei strinse ancora di più il suo polso.

«Ti osservavo dal lago quando sono finita qui. Non so com'è accaduto, da quanto ne so, non è mai successa una cosa simile, ma ora che hai iniziato a rendertene conto gli atrax verranno a cercarti. Se non ne elimini almeno uno, morirai per davvero e non ti sveglierai mai!»

Jasper non sapeva se sorridere, irritarsi o sconvolgersi, per cui fece un'espressione a metà, che risultò una smorfia indecifrabile. Tentò di parlare molto lentamente: «Senti, io credo che tu sia molto confusa, se serve aiuto, ho un cellulare, potrei chiamare qualcuno e...»

«Zitto!» disse lei trascinandolo dietro un muretto. Lui fece resistenza.

«Ehi non zittirmi!»

«Shhh! Vieni giù!»

Jasper stava per protestare quando udì un ticchettio frenetico, come di unghie che sbattevano insistentemente su un vetro, avvicinarsi sempre di più. Fece appena in tempo a nascondersi dietro al muretto di mattoni accanto la ragazza, che un'ombra scura passò a coprire il sole. Con molta attenzione la ragazza si sporse a guardare e lui la imitò.

Ciò che vide lo sconvolse: si trattava di un essere enorme, almeno tre metri d'altezza, molto simile a un ragno, con zampe appuntite nere e lucide come ossidiana e il corpo altrettanto lucido, come se fosse stato in latex, con vene enormi che pulsavano freneticamente. La testa era ovale, ricoperta di occhi verdi e lattiginosi — Jasper ne contò dieci, ma potevano essere molti di più — tutti di grandezze differenti e una fila di zanne lunghe quanto un braccio. A completare lo spaventoso mostro c'erano un paio di artigli aggiuntivi che, al contrario delle altre otto zampe che fungevano da appoggio, erano alzati davanti a lui e avevano delle chele nelle estremità, altrettanto appuntite e dall'aria letale, come quelle di uno scorpione.

La ragazza imprecò sommessamente. «Speravo avessimo più tempo!» disse tra sé e sé, poi si voltò verso Jasper avvicinandosi al suo viso così tanto che lui poté contarle le lentiggini. I suoi capelli profumavano di frutti di bosco.

«Dobbiamo andare in un posto sicuro e organizzare una contromossa... dove abiti?» disse lei in un sussurro appena udibile.

Incapace di parlare, si limitò a indicare la casa adiacente a quella dove erano nascosti.

La bestia si trovava a circa dieci metri di distanza e si muoveva a destra e a sinistra alla ricerca di qualcosa — probabilmente di lui, pensò Jasper atterrito — quando lei gli fece segno di seguirla.

Camminarono tenendosi bassi e, facendo meno rumore possibile, scavalcarono il muretto che separava le due case.

«Apri la porta» sussurrò lei indicando la serratura.

Lui tirò fuori le chiavi dalla tasca.

Dling.

Maledetto campanellino.

Si voltò verso la creatura sperando che non avesse sentito... ma quello, non era proprio il suo giorno fortunato.

«Presto!» urlò la ragazza mentre il grosso ragno, emettendo un suono simile a un sibilo, si avvicinava ticchettando furiosamente sull'asfalto, con le chele che fendevano l'aria e gli occhi vitrei spalancati.

Jasper si affrettò il più possibile, ma il mostro era veloce, troppo veloce.

La ragazza si frappose tra lui e la bestia, si mise la mano destra sul petto e una luce abbagliante scaturì apparentemente dal nulla. Quello strano essere emise un suono acuto, interrompendo la sua corsa e anche Jasper dovette coprirsi gli occhi. Quando li riaprì, la ragazza aveva in mano una lunga lancia in legno con l'estremità appuntita, di un materiale luminoso simile al diamante.

«Ma come...?» iniziò lui.

«Smettila di perdere tempo, non lo terrò a bada a lungo!»

Jasper annuì e si diede da fare con la serratura mentre l'altra teneva lontano il mostro cercando di colpirlo con la lunga lancia. Quello, inizialmente titubante, si fece sempre più coraggioso e si avvicinò di qualche altro passo afferrando con le chele la lancia della ragazza.

«Veloce!»

«Fatto!» gridò lui. La trascinò dentro proprio mentre il ragno spezzava la lancia in due, richiudendosi la porta alle spalle e fermandola con la console. La bestia iniziò a colpire la porta, incrinandola. Non avrebbe retto a lungo.

«C'è un'altra uscita?» chiese lei.

«Si» rispose l'altro «in cucina. Dà sul giardino, possiamo scavalcare da lì.»

Lei annuì e lo seguì attraverso la casa. Aprirono la porta-finestra proprio quando uno schianto avvertì che la porta d'entrata aveva ceduto.

«La zia non sarà per nulla contenta» sospirò Jasper.

«Tranquillo, questo sarà l'ultimo dei tuoi problemi» affermò la ragazza, che stava già a cavalcioni sulla staccionata che separava il giardino da quello adiacente, tendendogli la mano. Per la prima volta gli stava quasi sorridendo. Jasper afferrò la sua mano e la seguì.

Attraversarono i vari giardini in tutta fretta, facendo prendere un colpo a qualche persona intenta a godersi il sabato in tranquillità nel patio di casa, finché non raggiunsero la strada. Lì ripresero fiato per qualche secondo, la schiena poggiata al muro e le mani sui fianchi.

«Allora, mi vuoi dire chi sei?» chiese lui.

«Eilise Lynch» rispose.

«Io sono Jasper Stone... che cos'era quello? E la luce? Come hai fatto con la lancia? Cosa...»

«Senti» lo interruppe lei «Vorrei raccontarti tutta la storia con calma ma, davvero, non abbiamo tempo.»

Lui la guardò e vide una cosa che prima non aveva notato. Sul suo petto era incastonata una gemma ovale di circa due o tre centimetri, che emanava una calda luce bianca.

«Che diavolo è?» chiese, indicandola.

Lei sorrise. «Ce l'hai anche tu, stupido.»

«Cosa? Ma che...» allargò il collo della sua maglietta e impallidì, Eilise aveva ragione.

«Ma cosa... ? Non l'avevo prima, ne sono certo!»

Cercò di strapparselo via, ma era come se facesse parte di lui, come un'unghia, tanto che toccandola riusciva quasi a percepirne il contatto, e brillava esattamente come quella della ragazza.

«Ti stai solo svegliando. Questa pietra è la tua stessa essenza e ti servirà per uscire da qui. Grazie a questa, se hai abbastanza forza, puoi evocare un'arma capace di perforare le corazze degli atrax.»

«I... grossi ragni ripugnanti... giusto?» chiese lui. Eilise annuì.

Si fissarono per qualche secondo, poi il cellulare di Jasper squillò facendoli sobbalzare. Fissò lo schermo.

«Diamine, Chad! Devo andare da lui!» esclamò e si mise a correre.

«Aspetta, tu non...» iniziò Eilise, ma Jasper stava già andando via quindi, esasperata, lo seguì di corsa.

   
 
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