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Autore: Zane    09/05/2018    1 recensioni
Oikawa, o Crappykawa, Trashykawa e Shittykawa, frequentava il dipartimento di musica, ma un giorno l'aveva accidentalmente spinto contro il muro della mensa. I libri di Tadashi si erano completamente riversati sul pavimento e Oikawa si era fermato ad aiutare. Gli aveva chiesto mille volte scusa e quando i loro occhi si erano incrociati, Oikawa gli aveva retoricamente domandato «Dimmi, Yamaguchi-Kun, tu sei gay, vero?» Dopodiché, erano diventati ottimi amici.
Genderfluid!Yamaguchi | Non-Binary!Oikawa | College!AU
[ Tsukishima Kei x Yamaguchi Tadashi & Minor or Background Relationships ]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I wish that I could be like the cool kids
IV. Give a round of applause for the great Miss Y





Riuscire a convincere Kuroo e gli altri a lasciarla tornare al dormitorio da sola era stato più che un'impresa. Tadashi non voleva arrecare loro ulteriore fastidio, dato che la serata si sarebbe conclusa per tutti e quattro nell'appartamento che Kuroo e Bokuto condividevano. Costringere persone nuove, che aveva appena incontrato, alle quali già sentiva di sentirsi legata e che in qualche modo voleva impressionare positivamente, ad allungarsi per fare una strada che non dovevano percorrere se non per lei, le sembrava esagerato. Si era sempre reputata una persona sensibile, ma riservata. Non sarebbe mai stata capace di pretendere una tale presunzione, perché nei confronti di gente simpatica ma nuova la riteneva un'ostentazione improponibile. Bokuto in particolare aveva avuto da ridire sulla discutibile sicurezza di quei quartieri passata la mezzanotte, ma si era arreso quando aveva ricalcato con occhi quasi lucidi il fatto che non sarebbe successo niente se fosse stata attenta e uno alla volta alla fine avevano ceduto, perché in sostanza non potevano costringerla a fare quello che non voleva. Con la rassicurazione di inviare un messaggio e far sapere che era arrivata nel dormitorio sana e salva, l'avevano lasciata andare.

Uno dei propri difetti che Tadashi non riusciva davvero a tollerare era il praticamente mettersi a frignare per ogni cosa che le veniva detta. Non un pianto isterico o cose del genere e quasi non riusciva a definire a parole la sua condizione, ma quando non era capace di imporsi o qualcuno le dimostrava affetto o altro, lei semplicemente si commuoveva. Un'eccessiva emotività, l'aveva sempre chiamata sua madre. Un fardello che la faceva sembrare molto stupida, l'aveva sempre definita lei.

Quando aveva aperto la porta della propria stanza, di Hinata nemmeno l’ombra. Tutto era come l’aveva lasciato. La borsa del negozio di vestiti era ancora appoggiata sulla scrivania, tra i libri e il laptop. Il pigiama ripiegato sul cuscino e le coperte del letto perfettamente stirate. Hinata era un uragano, a volte fatica a credere che avevano trovato una loro personale stabilità nel dividere una stanza del dormitorio. Quando bazzicava in giro il posto dove dormiva non era mai in ordine. Se doveva scegliere i vestiti dall’armadio dopo averli presi lasciava le ante aperte. A volte ritrovava una scarpa sotto la scrivania e l’altra nascosta dietro il cestino del bagno. Tutta quella disciplina e soprattutto il silenzio tombale stavano a significare che in camera nelle ultime ore non c’aveva nemmeno messo piede e che, più di ogni altra cosa, stava facendo chiasso da tutt’altra parte.

Sospirando, si era chiusa la porta della stanza alle spalle, assicurandola allo stipite con un paio di mandate. Immaginò Hinata non sarebbe tornato e se l’avesse fatto era comunque in possesso del suo personale mazzo di chiavi. Aspettarlo sarebbe stato in egual modo inutile. Non avendole risposto al messaggio di quel pomeriggio, Tadashi poteva solo pensare che fosse collassato da qualche parte o che ancora stava dandosi da fare con Kageyama. Aveva ridacchiato, avvicinandosi al comodino per accendere la lampada. Si era riscoperta divertita ma anche un po’ gelosa, perché il proprio partner l’aveva lasciata da sola con un gruppo di semi sconosciuti. Per come conosceva Kageyama era prettamente sicura che lui non l’avrebbe mai fatto. E ad ogni modo, per questo motivo e altri ancora, era contenta che Hinata avesse finalmente trovato una persona in grado di apprezzarlo per il ragazzo che era.

Si era tolta i vestiti, infilandoli nel cesto dei panni sporchi perché sentiva di doverli lavare, perché ancora non se li percepiva cuciti addosso come avrebbe dovuto essere. Sul fondo del cesto di vimini giacevano quelli di Tsukishima e per un istante si chiese se levarglieli fosse giusto dopo quanto male si era comportato al locale, ma poi convenne con se stessa che non era nulla di speciale. Tsukishima la trattava male sempre, non stava realizzando niente di nuovo. Le veniva da formulare determinati pensieri egoistici unicamente perché oggi più delle altre volte c’era rimasta veramente male. Era stata la prima volta ad essersi esposta a quella maniera, ma era perfettamente consapevole che cosa potesse rappresentare qualcosa di importante per lei, magari per altri non erano che dettagli trascurabili. Tsukishima era scortese, ma lei una vera stupida. Indossare una gonna una volta non riparava a tutti i danni che si era procurata nel corso degli anni, da quando aveva acquisito la consapevolezza. Ed era stato piacevole, ma finché non sarebbe partito da lei avrebbe continuato a risentirne indirettamente.

Per distrarsi si era messa a rassettare la stanza. Aveva asciugato il lavandino dopo essersi lavata i denti, smacchiato con un panno in microfibra la doccia dalle gocce contro le vetrate e poi ripiegando la busta di cartone sulla scrivania aveva sollevato il coperchio del cestino e ce l’aveva gettata dentro.

Non era sicura di aver riposato abbastanza, perché il tempo di indossare il pigiama e mettersi a letto che il sole sembrava essere sorto in tre minuti. Giaceva sotto le coperte, distesa di schiena, con un braccio piegato sopra la testa e appoggiato alla fronte. Fissava il soffitto contemplando le crepe grigie attorno alla plafoniera, con il cellulare in carica appoggiato sullo stomaco. Quando cinque minuti prima aveva controllato l’orario si era resa conto che la sveglia aveva ancora un quarto d’ora a suonare. Si sentiva strana e malinconica quella mattina. Non triste o altro, solo malinconica. Non era certa fosse il termine giusto per descrivere il proprio stato d’animo, ma attualmente quella era l’unica parola che le veniva in mente che più si avvicinava a cosa stava provando.

Aveva lasciato le persiane della finestra aperte. I flebili raggi solari del primo mattino filtravano attraverso il vetro. Le piaceva il modo in cui illuminavano la stanza in maniera naturale. Avvolta nel silenzio osservava i granelli di polvere che fluttuavano nella luce trasversale. A palpebre appena socchiuse e respiro impercettibile, cercava di ignorare le urge di un corpo che non la rispecchiava a pieno. La sua condizione abbracciava a pieno ogni aspetto della propria vita. Anche quando apriva gli occhi e la sua identità e ruolo di genere combaciavano si faceva mille problemi durante il giorno. E avrebbe dovuto smetterla di pensarla in quei termini, perché di malato non aveva nulla se non la convinzione profondamente sbagliata che di tutto quello che stava provando ad accettare non si meritasse nulla.

Si morse con i denti un angolo delle labbra secche e appena screpolate. Con le mani si carezzò delicatamente il petto, delineando con i polpastrelli degli indici una forma semi circolare dove percepiva il lieve rigonfiamento dei pettorali. Sospirò imbarazzata, anche se l’unica spettatrice di se stessa era solo lei. Si inarcò leggermente mentre indirizzava le attenzioni di una mano giù verso il ventre. Con fare timido intrufolò le dita sotto l’elastico dei boxer, scollandolo dalla pelle bollente. Bollente e liscia, perché aveva le sue abitudini. Indugiò appena, strusciandosi un capezzolo tra i polpastrelli. Avvicinò le ginocchia, stringendosi la mano tra le cosce. Gli si accorciò il respiro, ansimando a bassa voce toccandosi la sommità del sesso.

La porta di camera si aprì in quel frangente, scricchiolando appena. Tadashi si tirò immediatamente su col busto nell’esatto momento in cui vide la testa rossa di Hinata sbucare furtivamente dall’entrata. Reagendo abbastanza impulsivamente, nel movimento il telefono le cadde a terra. Non si piegò a raccoglierlo subito, andò immediatamente ad afferrare le lenzuola per stringersele al petto. Lo guardò a guance arrossate, con fare appena trafelato. Hinata la guardò di rimando, stando in silenzio per qualche secondo prima di portarsi una mano dietro la testa. Ridacchiò colpevole, entrando poi in stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Era pure lui conscio dell’orario improbabile.

«Scusami, Yamaguchi... Ho fatto un po’ tardi. Ti ho svegliato?»

Tadashi sospirò, passandosi il dorso di una mano sugli occhi per strofinarli. Hinata probabilmente era così concentrato su se stesso riguardo al fatto che era sparito per quasi un giorno intero che sembrava non essersi accorto di nulla e per questo Tadashi non poteva che esserne grata.

«Figurati, mi hai solo colto di sorpresa, ma ero già sveglio.» gli spiegò brevemente, prima di fare posto accanto a lei sul letto e picchiettarci leggermente un palmo. Hinata sorrise, sfilandosi le scarpe e saltellandole contro. Lasciò il borsone dei panni sporchi a caso sul pavimento e la raggiunse, arrampicandosi sul materasso. Sembrava estremamente felice ed entusiasta e quando si avvicinò infilandosi sotto le coperte con lei, Tadashi si accorse che profumava di sapone. E che dal colletto della maglia spuntavano segni quasi violacei. Ridacchiò, pensando a quale azione avesse potuto far reagire così il riservato Kageyama.

«Raccontami tutto, presto. Sto morendo dalla curiosità.»

Hinata la abbracciò, visibilmente imbarazzato. La linea del suo rossore aveva raggiunto perfino le orecchie. Le afferrò la maglia del pigiama con le mani, affondando il volto nel suo collo per nascondersi. Tadashi sorrise, intenerita da quella reazione così tenera, abbracciandolo per carezzargli la schiena e spronarlo a parlare.

«Non lo so, ma è successo. Non me lo aspettavo nemmeno io. È stato...» e Tadashi giurò di averlo sentito emettere uno dei suoi urletti senza senso a fine frase, mentre le raccontava le dinamiche mormorando contro la propria spalla. Da quando lo conosceva, Hinata non aveva mai ammesso di provare dei sentimenti nei confronti del suo compagno di squadra. Il fatto che glielo si leggesse praticamente in faccia era invece un altro paio di maniche. Fino a quando non l’aveva visto interagire con un altro essere umano di sesso opposto non se n’era reso conto nemmeno lui. Da lì era partito quello che assomigliava molto ad un calvario, a detta di Hinata, perché avrebbe contemporaneamente voluto ignorarlo e passarci del tempo da solo. Kageyama non aveva mai lasciato trasparire niente e ad Hinata l’ipotesi di esporsi così tanto non piaceva. Nel caso si fosse dichiarato per venire rifiutato sarebbe tutto diventato molto difficile ed imbarazzante, non potendolo evitare frequentando gli stessi posti.

Tadashi gli carezzò i capelli, ascoltandolo parlare. Quello che aveva capito era che a seguito di una delle loro litigate, in qualche modo era emersa prepotentemente tutta la frustrazione sessuale che si erano tenuti dentro, per finire a limonare contro i lavandini degli spogliatoi della palestra. Dagli spogliatoi a camera di Kageyama il passo era stato breve.

«Tu invece che cos’hai fatto? Alla fine cos’hai comprato?»

Hinata era stato via abbastanza a lungo da perdersi praticamente tutto quello che di strabiliante le era successo in poche ore. Tadashi di solito non aveva niente da raccontare. La sua vita procedeva abbastanza monotonamente. Usciva poche volte, quasi mai. Il tempo libero lo trascorreva tra i libri e i sensi di colpa dell'aver potuto studiare di più. Quando gli spiegò brevemente che nel giro di sei ore aveva comprato una gonna e che Tsukishima l'aveva invitata a passare una serata tranquilla con il suo gruppo di amici, Hinata prima le gettò le braccia al collo in un moto di sincera contentezza poi si coprì la bocca con le mani, sbalordito.

Tadashi ridacchiò delle sue spontanee reazioni, ripetendogli l’ultima parte del discorso perché un Hinata abbastanza senza parole le aveva mormorato un «Non ci credo.»

«Ah, poi gli ho anche raccontato di quella questione...» aggiunse poco dopo, riflettendoci, mentre Hinata esternava il proprio disappunto riguardo la strafottenza di Tsukishima. Lo stesso Tsukishima che in classe la ignorava, nei corridoi nemmeno salutava e le rispondeva male alla prima occasione disponibile.

«E lui che ti ha detto?!»

Tadashi scostò leggermente lo sguardo, sorridendo. Sembrò dare un’impressione sbagliata ad Hinata, che a vederla così remissiva strinse i pugni e cominciò una trafila di minacce a scapito di Tsukishima, che se le aveva detto qualcosa di sbagliato sarebbe andato a rovesciarlo dal letto quel momento stesso. E probabilmente Hinata doveva essersi dimenticato che nella stanza che fino a poco fa lui stava abusivamente occupando, Tsukishima non ci aveva dormito.

«No, no, no! Tranquillo, non mi ha detto nulla di che. È stato piuttosto passivo...» continuò, rassicurandolo. A dirla tutta, quella non riusciva nemmeno a chiamarla reazione. Quella di Hinata era stata una reazione. Quella di Oikawa era stata una reazione. Quella di Tsukishima non era stata niente, perché a lui di lei sostanzialmente importava poco. Non aveva quello spessore determinante da portare Tsukishima a reagire in qualche modo. Era stato probabilmente per questo che aveva incontrato cotanta accettazione da parte sua.

«Sicuro, Yamaguchi?» le chiese insistentemente Hinata, come a volersene assicurare per bene. In quel momento la sveglia si attivò, facendo vibrare e risuonare il telefono che ancora giaceva sul tappeto. Tadashi si allungò per afferrarlo e staccarlo dal caricatore. Spense la sveglia e lo riposò sul comodino, mentre Hinata si sedeva sul bordo del letto e lei si toglieva le coperte di dosso. Era domenica, non una giornata scolastica. Di solito il dormitorio si svuotava per il weekend, ma lei per quanto l’idea poco la aggradava aveva bisogno di studiare e recuperare quanto più in fretta possibile tutti gli arretrati.

«Sicurissimo. Non ha problemi con la cosa.» gli sorride, alzandosi una volta infilate le pantofole. Hinata la imitò, solo per muovere due passi e buttarsi di peso sul proprio, di letto.

«Ah, Yamaguchi?»

Tadashi si era calata ai piedi dell’armadio per tirare fuori dal proprio cassetto l’intimo da indossare dopo la doccia. Non si girò a fissarlo, ma gli chiese cosa c’era nel mentre che recuperava anche i vestiti dalle stampelle.

«Quale pronome devo usare, oggi?»

 





Al ritorno dal bagno aveva trovato Hinata a dormire. Aveva preferito non svegliarlo. Non avrebbe avuto motivo per farlo, d'altra parte. Di solito si prendeva l'incarico solo quando tardava per colpa degli allenamenti e di mattina aveva lezione alle nove. Dato che non le aveva detto il contrario gli rimboccò le coperte e silenziosamente si mise nello zaino tutti i libri di cui aveva bisogno quel giorno. E sicuramente poi poteva scommettere non avesse chiuso occhio per niente. Per quanto le riguardava invece, pianificava di morire in biblioteca. Non aveva altre faccende urgenti da sbrigare se non tentare di capire al più presto come fare per passare l’esame che qualche giorno prima aveva fallito. Non esistevano studenti che di domenica preferivano chiudersi in biblioteca o che trovassero l’opzione dello studiare più allettante di un’uscita con gli amici. Nemmeno lei lo era, ma per forza di cose si era ritrovata a posticipare lo studio di materie più o meno complicate con la speranza di riuscire a passare almeno un esame. Così non era stato, per questo adesso zaino in spalla si stava dirigendo verso il piano inferiore del dormitorio. A stomaco vuoto non sarebbe mai riuscita a studiare. Aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e riempirsi lo stomaco, considerato che la sera prima non era stata in grado di ingurgitare nulla di concreto a causa del nervosismo di trovarsi in mezzo a gente che non conosceva nei suoi abiti peggiori.

Scese le scale tranquillamente. Il dormitorio era davvero deserto, nei corridoi non aveva incrociato nessuno. Mentalmente incominciò a farsi una mappa concettuale di cosa valeva la pena studiare prima e cosa dopo, nel mentre che raggiungeva la caffetteria. Caffetteria in cui avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta per quanto riguardava i posti a sedere. Tirando fuori il borsellino dalla tasca anteriore dello zaino si avvicinò al bancone. Salutò cortesemente la signora che avrebbe dovuto servirla e passò in rassegna i dolci esposti in vetrina. Non aveva voglia di mangiare riso o verdure. Se voleva davvero studiare per cinque ore di fila doveva fare il carico di zuccheri.

«Un cappuccino, un pezzo di questa torta alle fragole e un paio di questi biscotti al cioccolato.» comunicò gentilmente alla signora dietro al bancone, indicandole ad ogni ordine precisamente cosa quel giorno desiderasse mangiare. Lei sorride, cominciando a prepararle il vassoio con quanto richiesto.

«Carenze affettive?» chiese scherzosamente e Tadashi da brava ingenua ci rifletté pure prima di risponderle, ridacchiando.

«Fanno ¥780.50.»

Aprì la cerniera del portafoglio, reggendo una banconota da ¥1000 tra le dita mentre cercava monete per agevolarla nel resto. Prima che potesse posare tutto sul bancone un braccio di provenienza estranea allungò una carta di credito in direzione della donna. Tadashi sul momento pensò di star bloccando una fila che in realtà non esisteva, facendosi istintivamente da parte. Si voltò per scusarsi, trovandosi invece di fronte Terushima Yūji, che la guardava con il suo migliore ghigno stampato sul volto.

«Aggiunga un caffè e un cornetto alla crema. Pago io.»

Tadashi per i primi dieci secondi non disse nulla. Per un attimo aveva pensato potesse essere Tsukishima. Non sapeva dire se si sentisse più spaventata o delusa. La sintesi invece era il sentirsi patetica.

«N-No, grazie, ma non posso accettare...» guardò prima lui, poi la signora della caffetteria che stava già strusciando la carta nell’apparecchio digitale. Terushima le posò una mano sulla spalla, attirando di nuovo la sua attenzione. Dalla spalla la mano scivolò lentamente intorno al suo collo. Terushima la circondò con un braccio, accostandosi maggiormente a lei.

«È un piacere provvedere alle tue carenze affettive.» le mormorò con voce roca. Se avesse avuto un’autostima decente avrebbe detto con tono sensuale, ma Terushima Yūji non aveva nessun motivo per fare una cosa del genere, né tanto meno volerla. Si scostò appena, imbarazzata. A sguardo basso lo ringraziò sentitamente, procedendo poi con il rimettersi i soldi nel portafoglio con un certo senso di colpa sullo stomaco.

«Ecco a voi, ragazzi.» fece loro la cameriera, non appena tutti gli ordini furono pronti. Terushima prese l’iniziativa di portare il vassoio al tavolo per lei e Tadashi si sentì leggermente a disagio. Era felice che Tanaka si stesse godendo le ferie da qualche parte, ma la sua presenza nella stanza avrebbe aiutato.

Si sedette, Terushima prese posto di fronte a lei. Poggiò i gomiti sul tavolo e si portò una mano a reggersi il mento. Notò che aveva le occhiaie e i vestiti che indossava forse erano gli stessi che portava ieri pomeriggio, quando l’aveva incrociato mentre andava ad incontrare Oikawa. Anche lui sembrava aver trovato metodi alternativi per divertirsi.

Svuotò due bustine di zucchero nel proprio cappuccino, portandoselo poi alle labbra per avere così una scusa per non parlare. Terushima ridacchiò.

«Ti imbarazzo?» le chiese sornione. La cosa sembrava quasi piacergli. Forse più la metteva in imbarazzo più se ne compiaceva e avrebbe avuto modo di riderci con i suoi compagni.

«No... Ho solo un po’ di sonno.» mentì, consapevole di quanto fosse pessima con le bugie. Le era capitato un paio di volte di mentire, da più piccola. Il senso di colpa era stato così atroce che si era ripromessa di non farlo mai più. Terushima stava testando la veridicità del suo giuramento.

«Non mi sembri uno che fa le ore piccole.» rispose l’altro, zuccherandosi la bevanda e girandola col cucchiaino. Tadashi non era fiduciosa che fosse riuscita a convincerlo, perché il modo in cui la guardava era strano. Non riusciva a decifrarlo. Criptico peggio di quello di Tsukishima. Almeno nel suo vi leggeva odio e basta. Era più semplice.

«E tu invece lo sei?» posò la tazza nel piattino, pulendosi prontamente le labbra con il fazzoletto bianco. Prese due dei quattro biscotti e glieli fece cautamente cadere nel cappuccino. Le sembrava meno equo in quella maniera e Terushima sembrò percepire il flusso dei suoi pensieri, perché si mise a ridere reggendosi la pancia. Allo scoppio della sua fragorosa risata pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma in effetti il ragazzo non si mostrò per niente turbato dal gesto.

«Se volevi darmeli per forza potevi almeno imboccarmi, a questo punto.»

Tadashi arrossì, nascondendosi dietro i ciuffi della propria frangia. Li tirò con le dita, lisciandoli, poi si coprì direttamente gli occhi.

«Non ridere di me. Di solito non faccio cose stupide, non sono solo abituato a parlare con gente che non conosco.» gli spiegò tutto d’un fiato, guardandosi le cosce tra le fessure delle dita. Terushima si sporse appena per afferrarle un polso. La costringe a scoprirsi la faccia e a guardarlo negli occhi.

«È per questo che ti trovo così interessante, Yamaguchi.» le disse, baciandole il dorso della mano.

In quel momento dalle porte spalancate della caffetteria entrò Tsukishima. Tadashi non ebbe il tempo di imbarazzarsi per ciò che Terushima aveva detto e fatto. Lo vide avvicinarsi a rallentatore. Aveva i capelli appena in disordine. La camicia era spiegazzata. Tutto il resto era perfetto, anche se pure lui indossava i vestiti della sera prima. Lo vide aggiustarsi gli occhiali sul naso e guardarsi intorno lentamente come a decidere il da farsi. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, dalla quella di dietro il portafoglio. Se ne stava in mezzo alla stanza come se fosse un adone greco. Per una frazione di secondi a Tadashi sembrò incrociare il suo sguardo, ma in realtà Tsukishima le guardò semplicemente attraverso.

Le passò accanto. Pensò che anche per ignorare qualcuno ci volesse un certo concentrato di forza. Ignorare presupponeva evadere cosa quella determinata persona nel bene o nel male rappresentava. Per Tsukishima era come se lei fosse invisibile. Era come se non esistesse.

«Tutto bene, Yamaguchi?» le chiese Terushima, continuando a tenerle la mano. Tadashi sollevò lentamente lo sguardo. Il suo ghigno le faceva venire da vomitare.

Tsukishima alle sue spalle si avvicinò a presa diretta al bancone. Ordinò qualcosa che non riuscì a captare per bene, ma ordinò per due. Forse aveva preso la torta alle fragole che aveva preso lei o forse le faceva solo piacere pensarlo. Ad ogni modo, non l’avrebbero condivisa insieme. E Tadashi di torte alla fragola se ne sarebbe mangiate in quantità industriali se significava aspettare pazientemente che prima o poi Tsukishima l’avrebbe notata.

«Tutto bene.» gli sorrise, guardando cosa ancora le rimaneva nel vassoio. Il pezzo di torta alle fragole giaceva nel piattino ancora integro. Il pan di spagna era tranciato a metà. In mezzo era farcita da crema bianca. Nella striscia di farcia fragole tagliate in due parti fungevano da decorazione.

Prese la forchettina, immergendola nel dolce per raccoglierne una porzione. La fame le era passata, ma se la portò ugualmente alle labbra. Acida.

Aveva appena detto che avrebbe sopportato di tutto. Non era il primo boccone amaro che mandava giù.

   
 
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