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Autore: Shireith    13/05/2018    3 recensioni
{Marichat // raccolta mista di trentuno storie che partecipa alla challenge Marichat di maggio 2018 indetta dai fan su Tumblr}
#01 — Mentre fuori piove » Vestito d’una tuta nera che ricopre ogni centimetro del suo corpo, i capelli biondi e sbarazzini ora intrisi d’acqua piovana, la figura che vede distesa a terra sul balcone di casa sua non può essere altri che lui.
#13 — Il mio faro nella notte » Lo scenario che si presenta ora ai suoi occhi, tuttavia, gli sbatte in faccia la triste e crudele e realtà: che un individuo qualsiasi può, se quello è il suo volere, porre fine alla vita di tanti altri come lui.
#17 — Sul filo del rasoio » La pioggia, intanto, è fitta, malinconica: lo scenario ideale per una tragedia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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#13. Incubi

Il mio faro nella notte

L’asfalto è d’un grigio freddo e su di esso si concentrano tante chiazze colorate d’un rosso scarlatto. Alcune sono piccole, altre più grandi, ma non sono né la portata né il numero a contare: si trattasse anche di una soltanto, Adrien non potrebbe ignorare la sua appartenenza a una parte di un essere umano che, innocente, si è trovato a fare da comparsa in un quadro di violenza a cui non appartiene.
  Non avrebbe mai pensato di poter detestare qualcuno più di Papillon, un individuo che, sfruttando poteri in principio benevoli per meri scopi egoistici, gioca con i sentimenti delle persone, intrufolandosi nell’intimità della loro mente, un’intimità personale che ogni essere umano ha il diritto di mantenere tale. Lo scenario che si presenta ora ai suoi occhi, tuttavia, gli sbatte in faccia la triste e crudele e realtà: che un qualsiasi individuo può, se quello è il suo volere, porre fine alla vita di tanti altri come lui. Che senso ha, dunque, vivere dalla parte della luce, se la linea che la separa dall’oscurità è poco più sottile d’un filo d’erba? Perché, si domanda, un individuo trae piacere dal ferire il prossimo? A quale scopo?
  Realizza allora che la vita non sempre ce l’ha, un senso. In un certo modo l’ha sempre saputo, perché la morte di una madre non è un avvenimento razionale; doverlo realizzare di fronte a tanta ovvietà, tuttavia, è ancora più doloroso – è una consapevolezza amara che assume la forma di una lama e si fa spazio nella sua carne, giungendo fino alle porte del suo cuore, trafiggendolo infine senza alcuna remora. È una pugnalata lenta, che lo tiene in equilibrio sul bordo di un baratro senza tuttavia lasciarlo cadere: la consapevolezza che la vita umana è appesa a un filo e che quel filo può spezzarsi per via del volere d’un folle non lo abbandonerà mai più, viaggerà con lui dovunque andrà.
   Quale sarà, alla fine, la portata del lutto che Parigi dovrà piangere? Quanti bambini rimasti senza genitori? E quanti genitori rimasti senza figli?


  Scatta a sedere mentre un grido strozzato erompe dalle profondità della sua persona turbata, e si ritrova sudato a boccheggiare come fosse a corto d’ossigeno. Si calma un po’ quando riconosce la familiarità delle quattro mura che lo circondano, e d’istinto lascia andare la presa sulle lenzuola, rilassando i muscoli prima tesi come corde di violino. Il suo animo, però, è ancora in tumulto, preda dei brutti ricordi che lo tormentano anche in sogno.
  Chiama a sé la trasformazione di Plagg e, una volta entrato nei panni di Chat Noir, striscia furtivo via dalla sua abitazione, l’occhio attento a evitare con cura ciascuna delle telecamere di sorveglianza che lo scrupoloso genitore ha voluto installare lungo tutto il perimetro della villa.
  Lontano dalle mura che l’hanno sempre protetto, Chat Noir s’aggira furtivo tra le vie dell’amata città che gli ha dato i natali. Parigi ha sempre suscitato in lui sensazioni positive, deliziandolo con la sua architettura mentre un alito di vento levatosi dalla Senna gli carezzava gentilmente il viso. Ora, tuttavia, quella stessa città gli è ostile: le sue strade, i suoi palazzi, perfino i suoi architravi gli ricordano la strage che si è consumata da così troppo poco tempo perché possa smettere di rivederla ogni volta che chiude gli occhi.
  Si sente come in balia di un mare in tempesta, Adrien, e né la sua città né la sua stessa casa riescono a proiettare in lui l’immagine di uno scoglio a cui appigliarsi per non essere trascinato via. Preda di un simile tumulto, che cosa gli rimane? Che cosa deve fare per trovare un rifugio che lo faccia sentire al sicuro dall’oscurità dei suoi stessi pensieri?
  Adrien, forse, crede di saperlo. È un’idea che, se detta ad alta voce, potrebbe suonare folle, ma lo sembra un po’ di meno se rimane rinchiusa tra le pareti della sua mente, dove anzi acquista un senso tale che lo stesso Adrien se ne stupisce.
  Giunge a destinazione in breve tempo, decidendo di appostarsi sulla sommità di un edificio che si erge frontalmente rispetto a quella che è l’abitazione di Marinette.
  Perché proprio lei, Adrien non lo sa con certezza. Forse il suo subconscio gli sta dicendo che tiene a Marinette più di quanto lui stesso creda. Dopotutto, non è una delle sue amiche più fidate? Marinette è amica di Adrien, ma è anche amica di Chat Noir, e, pensa, è probabilmente questo che lo fa sentire ben voluto: è stanco che solo Adrien venga apprezzato, che Chat Noir non sia neanche visto perché non è ciò che la società vuole.
  L’oscurità fitta della notte, combattuta solo dalla luce lunare e quella più fioca che si palesa dai lampioni, sembra giungere alla sua attenzione solo ora, rimembrandogli che Marinette è ospite tra le braccia di Morfeo. Adrien pare deluso, tuttavia non lo sfiora neanche l’idea di svegliarla per una solitudine interiore che, per quanto incombente sia, riguarda solo lui e nessun altro. Vuole scacciare via quella solitudine trovando conforto nell’affetto degli altri, ma non può farlo a discapito della loro quotidianità.
  Vuole dunque scappare via, Adrien, che ora si riscopre felice di quella fitta oscurità che lo avvolge, perché essa gli offre la possibilità di fuggire via da se stesso senza che la luce palesi al mondo la sua esistenza. È buffo – forse patetico – che l’unico affetto che vorrebbe ricevere adesso riguardi l’unica persona che si sente meno in diritto di disturbare.
  Lancia un ultimo sguardo nella direzione in cui, protetta da un muro, la ragazza sta riposando, ma un muro a celarne la sua figura non c’è più. Ora Marinette si palesa dinanzi ai suoi occhi, poggiata al parapetto del balcone mentre gli sembra che osservi in basso con smarrimento, come se anche i suoi sogni fossero non più felici ma turbolenti. Decide allora di avvicinarsi a lei, perché crede che un po’ di compagnia potrebbe giovare a entrambi.
  «Non riesci a dormire?»
  Presa alla sprovvista, Marinette trasalisce appena, ma si tranquillizza non appena riconosce il possessore di quella voce. «Non proprio.» Gli sorride, in cuor suo felice di vederlo lì: è buffo, pensa, che, in quel frangente, a fargli maggiormente piacere sia la compagnia di Chat Noir piuttosto che quella di Adrien o di Alya. Perché Chat Noir, del resto, è l’unico che possa capire cosa prova, poiché anche lui l’ha vissuta in prima persona, quella strage, e ha dovuto mettere da parte il suo bisogno di correre lontano da tale orrore in nome della salvezza degli abitanti di Parigi. Se non ci fossero stati loro, quante altre perdite avrebbe subìto la città?
  «Tu nemmeno?»
  «No, e credo tu possa immaginare perché.»
  Marinette annuisce. Vorrebbe quasi sputare fuori quella verità a lungo taciuta, mettere da parte la segretezza che il loro compito richiede e chiedere a Chat Noir di mostrarle chi si nasconda sotto la maschera, così da poter trovar conforto nel volto dell’unica persona che sa possa capirla. Vorrebbe concedere a Chat Noir la stessa possibilità, perché sì, può benissimo immaginare il perché il giovane non riesca a dormire.
  «E tu, tu perché non ci riesci?» Anche Marinette, si chiede, è stata testimone della strage consumatasi da poco nel cuore della loro città?
   Lei schiude le labbra per proferire parola, avvertendo però la bocca incredibilmente secca: capisce allora che non vuole parlare, perché non c’è niente da dire che i due non sappiano già. Il suo desiderio più grande è più semplicemente quello di potersi sfogare con qualcuno che sa che capirebbe senza spiegazioni, perché il ricordo di ciò di cui è stata testimone è impresso nella sua mente con una tale nitidezza che tentare di spiegarlo fa ancora troppo male.
  «Per lo stesso motivo… più o meno.»
  Anche la sua compagna di classe, quindi, ha assistito a qualcosa a cui non avrebbe dovuto assistere? È quella sola consapevolezza a fargli male, ma, allo stesso tempo, a sollevargli un po’ l’animo, perché adesso sa che sono in due a condividere lo stesso dolore. È tuttavia una riflessione egoista, e Adrien non riesce a capacitarsi di averlo pensato. Che discorsi sono? Come si può essere felici che una persona cui si vuol bene sia in grado di capire il nostro stesso dolore perché è anche il suo, di dolore?
  «Ti va di venire con me in un posto?»
  L'altra si volta a guardarlo con curiosità, poi gli sorride. «Dove?»
  «Lo scoprirai solo se decidi di seguirmi.»
  «I miei genitori mi hanno sempre detto di non fidarsi degli sconosciuti.»
  «Ah, quindi io adesso sarei uno sconosciuto? Bel modo di ringraziarmi per averti salvato la vita più di una volta.»
   
 
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