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Autore: Fisico92    13/05/2018    1 recensioni
Un viaggio di Routine dalla Terra alla Luna di quello che è poco più di un fattorino spaziale si trasforma in qualcosa di molto diverso quando durante il tragitto accade un imprevisto che mette in pericolo la vita dell'astronauta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ljunbo eseguì le poche altre cose che doveva fare, spense le luci, disattivò le comunicazioni e quindi si mise al buio e in silenzio ad attendere, tra poco più di quattro giorni avrebbe saputo del suo destino.

Tutto il cubicolo nel quale era stipato, tre metri per due, era illuminato unicamente dalla luce della luna e da pochi altri relè del supporto vitale, ancora in funzione per sua fortuna.

Forse sforzando un po’ gli occhi avrebbe potuto riprendere quel libro sui miti greci che tanto l’aveva annoiato all’andata. Ora non voleva far altro che distrarsi e non pensare alla sua situazione.

Si decise, lo riprese e rilesse il mito di Dedalo e di Icaro che volò troppo vicino al sole. Molto ironico vista la situazione nella quale si trovava, anche lui stava sfidando le leggi naturali, e con ogni probabilità anche a lui sarebbe andata male.


Leggere era veramente faticoso con quella luce bassa, alla fine Ljunbo si convinse presto a desistere. Riaccese il sistema di comunicazione.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Fece alla radio più volte, attendendo per diversi minuti una possibile risposta, senza alcun risultato. Non poteva proprio fare affidamento sul sistema di comunicazione.

La luce della luna si faceva via via più fioca, questa stava scappando via, proseguendo per la sua orbita stabile mentre lui tentava di compierne una decisamente più eccentrica per tornare sulla Terra, o più probabilmente solo per passarle vicino.

Per distrarsi Ljunbo si mise a censire quanto aveva a sua disposizione. C’era il computer di navigazione spento, reso inutilizzabile dal brillamento solare. C’era poi il supporto vitale che per fortuna ancora continuava a funzionare, eliminando l’anidride carbonica. Poi c’erano le luci che aveva disattivato, per esser certo che il supporto vitale durasse il tempo necessario.

Finito con quelli della nave cominciò anche a controllare che strumenti avesse lui personalmente, alla fine la sua attenzione cadde sul suo orologio da polso.
Si fissò sulla lancetta dei secondi, ancora visibile nonostante la luce molto bassa. Cominciò a seguirne il moto ciclico, periodico, attorno all’asse a cui era fissata. Sarebbe stata una buona idea attendere tutto il tempo rimanente contando i giri di quella lancetta? Cominciò a farlo, un giro, poi due, poi tre, così fino a dieci, e ancora quindici e venti. Ormai era imbambolato. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che la lancetta stesse rallentando il suo moto. Avrebbe voluto spaccare il vetro che rivestiva l’orologio e spingerla per farla ruotare più velocemente. Non aveva senso continuare a guardare l’orologio, quella lancetta aveva ancora più di cinquemila giri da fare prima di raggiungere la Terra. Probabilmente gli ultimi cinquemila giri della sua vita, voleva davvero passarli così? Forse sarebbe stato più produttivo raccogliere le idee. Forse c’era qualcosa di più giusto a cui pensare in prossimità della morte.


Ljunbo inspirò profondamente, aveva senso essere così pessimisti?

Infondo lo sapeva bene in che situazione si trovava. Una correzione di quella complessità eseguita manualmente era veramente semplice da sbagliare, non certo una manovra ritenuta di routine.

Tutto d’un tratto quel lavoro non appariva più così conveniente. Aveva fatto circa un milione di dollari coi suoi viaggi, ma non avrebbero avuto alcun significato se non avesse avuto modo di spenderli.

Accidenti, perché era toccato proprio a lui. Sapeva che esistevano circa un centinaio di cosmonauti che svolgevano il suo stesso mestiere e da quando erano state inaugurate le tratte di rifornimento all’avamposto lunare solo uno dei ‘fattorini’ aveva perduto la vita.

Un’esplosione ad uno dei motori laterali durante la partenza e tutta la sua nave era in un attimo diventata una palla di fuoco senza lasciargli scampo. Quello almeno era morto all’istante, lui invece avrebbe avuto tutto il tempo per torturarsi pensando alla sua fine.

Un’altra occhiata al supporto vitale, funzionava ancora. Per passare il tempo si mise a stimare quanto ancora sarebbe durato: per cinque giorni circa. Anche se avesse mancato la Terra, avrebbe avuto cinque giorni interi a riflettere in solitudine sulla propria fine. Un lampo balenò nella testa di Ljunbo, forse sarebbe stato meglio farla finita subito. No, non aveva alcun senso giocarsi una seppur piccola possibilità di sopravvivere.


La luna ormai era lontanissima, il buio era totale e lo immergeva completamente, creando un’atmosfera nella quale non era certo facile avere pensieri ottimisti. Forse avrebbe dovuto dormire? Il computer era ormai scollegato dai comandi, non avrebbe potuto combinare altri casini, quindi era inutile restare sveglio. Forse però doveva restare attivo nel caso in cui il sistema di comunicazione avesse ricominciato a funzionare. Con un banale conto mentale si rese conto di essere sveglio ormai da più di trenta ore, doveva dormire altrimenti la mancanza di sonno si sarebbe unita alle altre torture che si stava infliggendo.


Forse però prima poteva riprovare a mettersi in contatto con la terra.

Riaccese il sistema di comunicazione.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Non serviva a nulla, spense il sistema di comunicazione, se non altro ora poteva dormire in pace.

Non fu però un sonno sereno come sperava. Diversi lugubri pensieri gli attraversarono la mente e i vari sogni si alternarono ai continui risvegli.

Su una cosa fra tutte presero a convergere le sue silenti imprecazioni: il non sapere se sarebbe sopravvissuto o meno. Non ci mise molto a ridestarsi definitivamente, l’incertezza lo stava consumando, doveva in tutti i modi riuscire a mettersi in contatto con la base, almeno loro avrebbero potuto dirgli se aveva compiuto correttamente la manovra o se era già spacciato. Almeno avrebbe saputo!

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Attese i tre minuti che servivano al suo messaggio per raggiungere la base e ad un’eventuale risposta per tornare a lui: niente di fatto.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C per favore rispondete!”

Neanche questa volta ottenne qualcosa

Un terzo tentativo, seguito da un quarto appena sussurrato, nulla da fare, nessuna risposta. Doveva rassegnarsi, e poi doveva conservare l’energia. Poteva provare a distrarsi, provò a concentrarsi su cose di poco conto, giusto per tenersi occupato. Tanto per far qualcosa cominciò a calcolare a mente tutti i cubi di tutti i numeri naturali in progressione, arrivò a duemila cento novantasette, il cubo di tredici, poi smise. Provò ad elencare a memoria tutti gli stati aderenti alle nazioni unite. Poi i nomi di tutti i cosmonauti con licenza al volo della B-A-C-C. Smise anche con questi.

Il suo cervello non voleva tenersi occupato, pretendeva di essere lasciata libero di riflettere sulla sua condizione. Aveva definito per lui le priorità, e non voleva sentire ragioni, si doveva riflettere su quello e basta. Era naturale, un processo istintivo, biologico, la mente è fatta per focalizzarsi sui problemi che ritiene più impellenti, e per Ljunbo non era impossibile far invertire l’ordine delle priorità alla sua.

Guardò ancora il suo orologio, bianco, nero e smeraldo, che con quella luce appariva soltanto un ammasso di macchie grigie. Circa sessantasei ore ancora e avrebbe saputo la verità.


Ora si sentiva solo più che mai. Se fosse sopravvissuto non avrebbe mai più messo piede su queste stupide tombe spaziali. Gli tornò alla mente una sensazione del suo primo viaggio nel cosmo, che da allora non aveva più provato. Finché era sempre stato sulla Terra aveva considerato l’onnipresenza della vita come la normalità, era tutto attorno a lui e pervadeva ogni angolo visibile. Ma nello spazio era diverso, appena messo piede nello spazio si era reso conto che la vita non occupava che una porzione insignificante del cosmo, il resto era tutto morto, vuoto.

Quale essere assennato avendo avuto la fortuna di trovarsi su questa improbabile isola felice l’avrebbe lasciata salpando verso l’ignoto?

In altre situazioni, era sicuro, avrebbe apprezzato quella quiete da silenzio assoluto, quella bassa luminosità data solo dalle stelle, per lui sarebbe stato un simbolo di pacificazione interiore, ora invece lo vedeva solo come un preludio alla morte, e lo stress cresceva.

Avrebbe tanto voluto farla finita subito, perché non poteva almeno avere la certezza di aver fallito? Perché doveva mantenere ancora quella piccola possibilità di aver avuto successo che gli impediva di arrendersi?

Non doveva pensarci. Quanto era passato da quando aveva provato l’ultima volta a contattare la base? Il suo orologio diceva sette ore, il tempo si stava incredibilmente dilatando. Forse i suoi processi mentali stavano rallentando? No, non sembrava un’ipotesi sensata. Sette ore comunque erano abbastanza per provare di nuovo a comunicare, se non altro per poter sentire se non quella di altri almeno la sua voce.

“Qui Moontrip-47 Bravo, base B-A-C-C mi sentite?” urlò a squarciagola, quasi dovessero sentirlo direttamente da Terra, senza usare le radio. Nessuna risposta, riprovò ancora, nulla di fatto.

Avrebbe continuato a lungo, ma l’energia andava risparmiata, così spense di nuovo le comunicazioni. Prese a parlare ad alta voce per tenersi compagnia, la cosa gli diede subito una strana impressione, non se la senti di continuare a lungo. Strano, probabilmente non avrebbe mai più rivisto un altro essere umano eppure per qualche motivo si dava ancora pena di non sembrare ridicolo.

Cominciò ad inspirare ed espirare sempre più forte, pur di avere un segno che fosse ancora vivo, pur di avere qualcosa che riempisse le sue orecchie. Non era abituato ad ansimare quindi per un attimo riuscì ad associare a quel rumore qualcosa di diverso da se. Infondo ora non era più come stare da soli, ma insieme a qualcuno dal respiro molto pesante. Anche quella però era una pessima idea, così avrebbe consumato più in fretta l’aria, doveva invece ridurre i respiri. Ora, preso dal panico, gli pareva di non riuscire più a respirare normalmente ma solo a pieni polmoni.

Che casino che stava facendo, all’addestramento per astronauti tutti avrebbero riso di lui se si fosse comportato in questa maniera durante le esercitazioni. Invece era sempre stato abbastanza diligente. Non era certo come coloro che facevano a gara per essere i migliori in questa o quella prova, ma comunque non aveva mai avuto particolari difficolta a passere un particolare test. Ora invece pareva proprio uno di quelli che concludevano le prove sotto i minimi richiesti, continuamente presi in giro dagli altri. Ma infondo non gli sarebbe importato affatto, essere derisi o meno, era così irrilevante, l’unica cosa a cui teneva era scamparla o, perlomeno, se non era chiedere troppo, conoscere il proprio destino. 

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Siamo arrivati al capitolo che considero il corpo centrale di questa breve storia, spero non sia troppo lungo/noioso per voi. Attendo impaziente impressioni al riguardo.
   
 
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