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Autore: Malefix    18/05/2018    2 recensioni
Ci ha sperato. Ha sperato di godersi il momento come fanno i Mondani: come ogni altro essere umano. Mordere la vita coi denti, amare e godersi ogni singolo momento. In qualche modo ha sperato andasse così: vivere abbastanza a lungo da avere polvere di stelle tra i capelli; l’incurvarsi della schiena sotto il peso dell’età; osservare nello specchio un riflesso più maturo di se stesso, vecchio con un sacco di rughe per le troppe risate e i problemi causati dai loro figli; e poi una notte andare a letto, al suo fianco, avvolgendolo tutto, e non svegliandosi più, morendo placidamente nel sonno. Non come i suoi simili, che fanno tutto di fretta, si sposano, hanno figli e vivono il più velocemente possibile perché tutti loro muoiono giovani.
Ha sperato di diventare vecchio al suo fianco. Di riuscire ad abituarsi, col tempo, all’idea di lasciare indietro le persone che amava di più.
Ma poi, c’è stato quel giorno.
Lui è morto.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Salve,
grazie a tutti per il supporto!
Ci sono volute due settimane... scusate l'attesa. Ora, nella mia più febbricitante nota d'apertura, spero che questo piccolo (24 pagine circa) capitolo vi fornirà una giusta introduzione alla storia. Certo, certo avete letto il prologo ma... in effetti... qui cominciano ad esserci le cose serie.
Non rimpiango nulla,
Vi auguro una buona lettura, ci vediamo nelle note conclusive

Buona lettura, ci vediamo alla fine del capitolo






































 

 

La felicità è un waffle bruciato




 

 

 

 

 

 

Era stata una settimana estenuante.

Anzi, a onor del vero Alec aveva propriamente perso il conto di quante sere fosse rincasato così tardi, e di quante mattine fosse uscito prima dell’alba. Forse superavano la decina. Forse non erano neanche passati sette giorni, eppure era così esausto.

Forse, aveva perso l’abitudine. Non essere più in servizio attivo, o per lo meno svolgere un lavoro più sedentario, da ufficio, scartoffie, rapporti e mal di testa annessi, l’aveva fatto disabituare alla stanchezza che spaccava le ossa, al rientrare quando ormai New York cominciava a scivolare nel torpore e rallentare un po’ e la notte si faceva meno caotica e più silenziosa.

Di solito, quando era un attimo meno esausto e sufficientemente in grado di formulare un pensiero che non concernesse il trascinarsi verso il primo cuscino disponibile e dormire almeno tre giorni di fila, riusciva a ricordarsi di togliersi gli stivali e camminare piano, usare la solita leggiadria dei Nephilim per evitare di far scricchiolare il parquet. Era da così tanto tempo, forse due anni, che non si tratteneva tanto a lungo all’Istituto, così continuativamente per più di due o tre giorni. Era così rimbambito, così sfinito, quella sera, che vagava claudicante per l’appartamento coi piedi pesanti, le suole degli stivali che stridevano sul pavimento di legno.

Una piccola parte di lui, chissà quanto dominante e avveduta, voleva raggiungere la camera da letto, spogliarsi di fretta o per lo meno togliere solo le scarpe e schiacciarsi contro Magnus, rubargli le lenzuola e magari svegliarlo, per farsi fare un po’ di coccole finché il sonno non avesse avuto la meglio su di lui. Però, però c’era quel divano così incredibilmente appetibile e confortevole che lo chiamava nella penombra generale del salotto.

Inoltre, la notte precedente aveva trovato i suoi figli raggomitolati ai lati di suo marito. Max che gli sbavava sulla spalla destra, le braccia intorno al collo di Magnus e una gamba intorno alla sua vita; Rafael alla sua sinistra, la testa poggiata nell’incavo del braccio sinistro del suo papà e la faccia nascosta nel tessuto morbido della vestaglia di seta rossa.
Dormivano tutti e tre, Magnus forse stava un po’ scomodo ma non sembrava voler cambiare quella posizione. La luce del bagno era accesa, perché tutti e due i bambini, anche se Rafael non voleva ammetterlo, avevano qualche incubo di notte e si tranquillizzavano a sapere che c’era una luce a tenere lontani i mostri.
E allora Alec si era fatto piccolo piccolo, era montato sul materasso che in realtà aveva spazio a sufficienza per accogliere anche lui e aveva preso il suo solito posto vicino a suo marito. Magnus aveva aperto un occhio e poi l’altro, l’aveva guardato come se avesse visto un miraggio e poi gli aveva lanciato questo leggerissimo sorriso assonnato. E anche Rafael si era svegliato, evidentemente allerta coi suoi sensi da Nephilim, aveva alzato la testa e l’aveva fissato per appena un istante, gli occhi velati dal sonno; aveva lasciato il suo posto al fianco di Magnus e, rotolando sulla schiena, si era accucciato accanto ad Alec.

Ma questo succedeva la sera prima, quella notte, invece, non c’erano luci accese a provenire dalla camera da letto e, sebbene un angolo della sua testa l’avesse notato e gli avesse suggerito di andare a prendersi il posto che gli spettava di diritto su quel bel materasso, non era riuscito a fermare i suoi passi pesanti verso il divano. E forse si era tuffato su quei cuscini spaziosi, forse si era semplicemente lasciato andare e si era addormentato ancor prima di raggiungere il divano, senza neanche togliersi le scarpe, a faccia in giù.

 

Gli era sembrato di dormire per giorni. E aveva però voglia di dormire ancora e ancora.

Non poteva dire quanto tempo fosse passato, perso com’era nel suo sonno, quando qualcosa attirò la sua attenzione, seppur particolarmente rallentata da quella stanchezza estrema che gli annebbiava la testa. In qualche modo, forse più per abitudine insita nel suo sangue, per una questione di sopravvivenza, più che di volontà personale, era riuscito ad aprire gli occhi.

Una luce morbida entrava di taglio nel suo campo visivo dalla porta leggermente aperta della sua camera da letto. Una figura, un’ombra gli alitava addosso, coprendo per lo più l’impudente illuminazione che aveva osato infastidirlo.

Poi qualcosa era scattato nella sua testa: prima aveva riconosciuto quel profumo inconfondibile che ormai associava all’idea generale che aveva di casa, famiglia e tranquillità; poi aveva sommariamente scorto il profilo controluce, la mascella squadrata e le spalle larghe, nascoste dal tessuto morbido e liscio di una vestaglia. Magnus.

Mugugnò qualcosa, Alec. Le parole che gli si impastavano sulla lingua.

«Spero che quel grugnito terribile voglia dire “Scusa se sono tornato tardi, dovevo avvertirti. Lavo io i piatti domani per farmi perdonare”.» bofonchiò suo marito, in una sorta di imitazione dello Shadowhunter.

«Sei ancora sveglio.» disse piano, scrostando finalmente la faccia dal cuscino e girandosi su un fianco per fare un po’ di spazio al glorioso fondoschiena dello Stregone.

«Immagino tu abbia una buona spiegazione, Alexander.» mugugnò con la voce vellutata, mentre prendeva posto vicino a lui. «E spero tu non voglia dormire qui, sarai giovane e bello, e avrai pure sangue angelico, ma rischi di svegliarti col torcicollo ugualmente».

Alec allungò la mano in un gesto che gli ricordò improvvisamente quanto fosse esausto, ma doveva assolutamente raggiungere la guancia di Magnus. «Ciao».

«Ciao a te.» rispose raccogliendo la sua mano e portandosela alle labbra.

Ad Alec sfuggì un sospiro soddisfatto.

«Dovresti venire a letto, lo sai?» mormorò suo marito che intanto cominciava ad accarezzargli i capelli delicatamente con una mano, mentre le dita dell’altra si intrecciavano alle sue.

«Il divano è comodo.» ribatté piano, faceva fatica a tenere gli occhi aperti: le dita leggere di Magnus che gli percorrevano morbide la cute lo stavano facendo di nuovo scivolare in un torpore del tutto allettante. «E poi puzzo. Puzzo da morire».

Magnus soffocò una risata. «Sai? Potrei averlo notato. Voi Nephilim siete dei prodigi della fisiologia, eppure puzzate peggio di certi atleti olimpici. Mi domando come mai l’Angelo nella sua infinita saggezza non si sia inventato una runa contro il sudore.» commentò mentre allargava le braccia a chiamarlo a sé. «Dai, andiamo a letto».

Ci volle tutta la sua buona volontà per trattenersi dall’abbracciarlo. «Puzzerai anche tu.» rispose. «E forse posso chiedere a Clary di provare a creare una specie di runa deodorante. Non credo di doverla convincere: vive con Jace e io profumo di garofani al confronto».

Magnus annuì piano. E Alec poteva immaginarsi lo sguardo vispo e la leggera flessione che assumevano le sue labbra quando sentiva qualcosa di divertente, mentre le stringeva tra loro in un sorrisetto sghimbescio. Un vero peccato fosse controluce.

«Sarà la tua prossima missione, Shadowhunter.» mugugnò. «Per stasera, ti fai una doccia e vieni a letto».

«Non credo di averne la forza, Mags. Non credo neanche di riuscire a stare in piedi.» replicò, monocorde. «Lasciami dormire qua».

«E allora vedi che è una cosa buona che tu sia sposato con un Sommo Stregone?» rispose. «Potrei scoccare le dita e farti tornare magicamente pulito, così le lenzuola e le mie narici non grideranno pietà. Ma domattina dovrai farti una doccia».

E ancor prima che potesse rispondergli, che potesse fargli notare che effettivamente andare in giro ad ammazzare i demoni fosse un lavoro estenuante, soprattutto negli ultimi tempi, la soffice e familiare energia magica di suo marito l’aveva circondato e gli aveva scrostato di dosso, dalla pelle e dai capelli vari strati di stanchezza e sudore.

«Potrei anche spogliarti, ma meglio farlo in camera.»  bofonchiò e conoscendolo stava per aggiungere qualcosa di ambiguo, una qualche allusione.

«Sei tremendo.» gli disse subito, prima che potesse continuare.

«Mi ami anche per questo, e non solo per la mia bellezza» replicò Magnus, affondando verso di lui per poggiargli un bacio sulla tempia.

«Assolutamente, io ti amo per il tuo intelletto.» rispose e gli gettò le braccia al collo. E forse avrebbe potuto dormire anche più tardi, se volevano continuare quel qualcosa che stava cominciando lì. «Dovremmo effettivamente andare in camera».

«Uh! Ideona!» cinguettò Magnus, tutto soddisfatto nel suo orecchiò. «Potrei portarti a guisa di principessa, non me l’hai permesso quando ci siamo sposati, ma oggi mi sembra un’ottima occasione: non sembri avere la forza di opporti».

«Sei terribile.» grugnì di nuovo, ma aveva ragione: era troppo stanco per controbattere.

«L’abbiamo detto prima: mi ami anche per questo.» annuì e, in un gesto fin troppo fluido e istruito, lasciò sgusciare un braccio sotto le sue gambe e uno dietro la sua schiena. «Oh-issa!».

Alec si limitò a stringere meglio le braccia attorno al suo collo. No, non c’era motivo di fare tanti complimenti. «Se Isabelle sapesse».

«Tua sorella non ti darebbe tregua.» rispose cominciando ad avviarsi verso la stanza da letto. «Dovremmo farci un selfie, così potrei usarlo per ricattarti. O potrebbe essere una merce di scambio ideale per quelle tue foto da bambino che voglio vedere da tanto tempo e tu ancora ti rifiuti di mostrarmi. È un’altra ideona offerta gentilmente dal mio intelletto che tu ami tanto!».

Lo Shadowhunter ruotò gli occhi e sbuffò, in un modo abbastanza teatrale. «Primo: ancora non capisco perché vuoi vedere quelle foto. E secondo: hai sufficiente materiale per ricattarmi per i prossimi trent’anni».

Magnus non rispose, ma mugugnò in assenso.

«Sto a pezzi, maledizione.» borbottò stringendo di più le braccia attorno alle spalle di suo marito. «Non credevo sarei mai stato così stanco in tutta la mia vita…».

Lo Stregone tirò un lieve sospiro, e strinse anche lui un po’ più la presa su Alec. «Non sei più abituato. E dormi poco.» mormorò. «E immagino tu abbia una spiegazione ragionevole del perché sono dieci mattine che mi sveglio e sei già andato via e… non abbiamo neanche il tempo di mangiare insieme, mh?» aggiunse, col tono pacato, mentre attraversava coi passi ampi e determinati la porta della camera da letto. «Non mi hai neanche mandato un messaggio».

«Ho avuto dei contrattempi.» replicò rapidamente, sperando di far cadere il discorso.

«Alexander.» lo chiamò piano, appena perentorio e poi l’appoggiò sul materasso in un gesto non particolarmente aggraziato. «Se proprio devi tornare a casa esausto, almeno chiamami che ti apro un portale. Oppure che ne so, chiama un taxi.» brontolò. «Non puoi tornare a casa a piedi, a quest’ora di notte in queste condizioni, mh? Va bene che sei grande, grosso e ammazzademoni… ma uno si può sempre preoccupare».

Alec strinse le labbra e alzò gli occhi per puntarli su suo marito. «Pensavo dormissi.» rispose scrollando le spalle, in un gesto che sapeva gli avrebbe fatto riguadagnare qualche punto.

Magnus si coprì gli occhi con la mano. «Ah! Tu e quel tuo sguardo da cucciolo!».

Lo Shadowhunter non poté trattenersi dal sogghignare soddisfatto. Punto. «Dico solo che avrai avuto una giornata lunga e stancante anche tu… non avevi quella riunione straordinaria al Labirinto a Spirale, e poi non dovevi fare quelle tue cose da Sommo Stregone?» domandò lui ed era un altro chiaro tentativo per deviare il discorso.

«Certo non lunga come la tua, direi. Sei uscito prima dell’alba, anche oggi, e sei tornato ancora più tardi di ieri sera…» gli fece notare.

«Per questo pensavo dormissi. È tardi, sono quasi le tre.» replicò a testa bassa: osservava i suoi piedi fastidiosamente reclusi nella gabbia di lacci dei suoi stivali, e cercava un modo per liberarsene senza troppa difficoltà.

«No. Non dormivo.» rispose Magnus, le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi su di lui. «Sono un po’ troppo abituato a dormire con te, che sei una specie di termosifone ambulante. Ho letto un po’, ho giocato a quello strano Tetris che Sherwin mi ha installato sul telefono e a un certo punto mi sono preoccupato perché si stava facendo tardi. Solita routine».

«I bambini?» domandò Alec, cominciando a sfilarsi quei maledetti vestiti. La camicia aveva troppi bottoni per essere semplicemente sbottonata, quindi decise avesse più effetto tirarla via dalla testa, mentre trovò più difficoltà coi pantaloni, le scarpe erano ancora lì.

Magnus venne subito in suo soccorso con uno schiocco di dita, liberandolo finalmente da tutto quell’ingombro di tessuti e scarpe, lasciandolo in mutande. Nel modo meno figurato del termine. In quel momento lo squadrò dall’alto in basso con un sopracciglio alzato, per poi girare intorno al letto per tornare dal suo lato. «Li ho recuperati da Lily verso le quattro. Li ho portati allo zoo di Central Park. Poi siamo andati a cena al Diner sulla cinquantasettesima ovest: Max ha voluto il panino col tonno e le patatine fritte, Rafael il panino col salmone e si è mangiato le mie patatine fritte perché le sue erano quelle con l’aceto… che sono toccate a me. Ovviamente ho riordinato le patatine fritte per me, col mio panino all’aragosta.» raccontò brevemente. «Abbiamo comprato una torta prima di tornare a casa, e ce n’è a sufficienza se domani vuoi mangiarne un po’».

«Avevamo detto niente torte la sera.» lo redarguì Alec.

«Sono stati da Lily tutto il giorno. Si meritavano un premio. Soprattutto perché sono stati bravissimi.» sbuffò Magnus. «Comunque, dormono dalle nove e trenta. Abbiamo visto due puntate dei Pokémon su Netflix. E poi abbiamo letto una storia, ma mi pare chiaro che preferiscano come le racconti tu».

«Ah, ma dai!» replicò Alec senza neanche girarsi. «Tu fai le voci! E poi fai quelle cose con la magia!» aggiunse muovendo le dita per aria, in una brutta imitazione dei suoi movimenti.

Pensava di sentirlo ridacchiare, ma l’aria sembrò stridere tra i suoi denti mentre inalava a forza.

«Non posso certo competere.» mormorò, cercando di incalzarlo.

«Ti hanno vito poco.» disse Magnus, la voce piatta. «Sentono la tua mancanza. Non vuole assolutamente essere un’accusa, ma in effetti quando gliela racconti tu, la storia, stanno lì che ti guardano come se avessi appeso la luna».

Un piccolo nodo gli si strinse in gola. E dovette deglutire due volte per riuscire a scioglierlo. Doveva aspettarsi questo discorso prima o poi: erano giorni che non passava del tempo di qualità con tutti loro. E i bambini erano così abituati ad averlo attorno, che doveva essere estremamente strano per loro non vederlo più tanto spesso. Forse, e questa cosa gli gelò il sangue, potevano sentirsi abbandonati.

Sentì il materasso abbassarsi sotto il peso di suo marito. «Non pensarci troppo, Alexander. Però magari cerca di ritagliarti un pochino di tempo da passare con loro, con noi…» sospirò. «Scusa, non so neanche perché ti sto dicendo tutto questo. Ci sarà di certo un bel da fare ultimamente all’Istituto, sennò saresti qui».

«Magnus,» lo chiamò piano, girandosi di fianco e incrociando gli occhi da gatto dello Stregone che lo guardavano di taglio. «Mi dispiace».

«Non è colpa tua, sono gli oneri e gli onori di essere uno Shadowhunter. Tu sei sempre stato un padre esemplare, molto presente, di certo più di qualsiasi altro genitore Nephilim.» rispose, accennando un piccolo sorriso. «Loro lo capiscono che tu salvi il mondo, ma… sei sempre il loro adorato papi.» si strinse nelle spalle.

«Lo so. E non dovrebbero neanche capirla questa cosa. Dovrebbero essere bambini e basta».

«Certo, un bambino blu, con tanto di corna, che l’ultima volta che si è messo a piangere ha allagato letteralmente l’Istituto… e l’altro che studia il latino e per farsi un toast disegna la runa del fuoco. Tutto normale in questa casa.» aggiunse Magnus, sogghignando soddisfatto. «Adorabili».

Un sorriso leggero gli si stiracchia sulle labbra. «Eravate così adorabili ieri notte tutti e tre».

Lo Stregone sembrò pensarci su e, conoscendolo, stava cercando di evitare qualcosa di sconveniente, di trovare le parole più adatte nel suo vastissimo vocabolario ben calibrato nei secoli. «Adorabili, .» mugugnò poi, il tono più neutro che mai.

Alec che, seppure ben rimbambito ed esausto dalla sua lunga giornata, o per meglio dire settimana, conosceva piuttosto bene suo marito, aveva fiutato il cambiamento decisamente evidente nel tono della conversazione. «Che succede, Mags?».

«Dovremmo dormire, dolcezza. Che tu sei appena tornato e stai decisamente a pezzi.» bofonchiò e si affrettò subito a riprendere posto sotto le lenzuola.

«Magnus, per favore.» mugugnò. «Noi non siamo di quelle coppie, okay? Ci sono problemi?».

Lo Stregone tirò un lungo sospiro. Sembrava qualcosa di antico, quando spingeva l’aria fuori dai polmoni in quel modo, forse un po’ drammatico, un po’ teatrale. Ma sembrava stesse tenendo in testa e nel cuore qualcosa di pesante, pesante davvero. «Non volevo far uscire così il discorso. Voglio che venga messo agli atti, Alexander».

«Cosa succede, Mags?» domandò, mentre con lo sguardo sondava il suo viso. E quasi si stava dimenticando che quella conversazione poteva andare in una strada buia e desolata, perché, anche se tornava a dormire a casa, suo marito gli era mancato da morire. Ma, via, doveva stare attento e non poteva perdersi su quel viso perennemente giovane che aveva smesso di invecchiare secoli prima, su quella pelle ambrata, sulla leggera curva di quei suoi occhi da gatto, sulla mascella leggermente squadrata o sui capelli, che quella sera sembravano incredibilmente morbidi e forse ancora più scuri di quanto si ricordasse. Doveva capire, doveva sapere cosa stesse capitando in quella casa.

Anche Magnus però lo squadrava, in silenzio assoluto. «Non volevo parlartene così.» mormorò poi, sospirando di nuovo. «Ieri Rafael è venuto a chiamarmi nel mio studio: Max ha avuto un brutto incubo, come quella volta che era proprio piccolo piccolo e non riuscivamo a farlo calmare e siamo rimasti svegli tutta la notte con lui in braccio. Quando sono arrivato nella stanza chiamava te. Voleva te. Era sveglio e voleva te».

Alec tirò un sospiro a mascella serrata e le parole gli morirono tutte in fondo alla gola.

«L’ho preso in braccio e gli ho detto che saremmo stati svegli anche tutta la notte se dovevamo aspettarti. Perché di sicuro saresti tornato.» aggiunse poi, la voce calma. «Ho preparato camomilla per tutti, avevo anche valutato l’ipotesi di fare un piccolo incantesimo per farli dormire, ma ho preferito il classico rimedio della nonna camomilla e miele. Poi li ho portati qui, tutti e due, perché anche se Rafael diceva che poteva dormire nella sua cameretta, aveva già cominciato a strofinare tra le dita l’orlo del suo pigiama. Pensa ancora che non sappiamo che lo fa solo quando è agitato. Lo ha fatto anche un po’ con le lenzuola e con la mia vestaglia…» farfugliò. «Ci siamo messi a letto, mi hanno chiesto di tenere la luce accesa in bagno e si sono fatti raccontare un’altra storia. Hanno voluto quella in cui Jace ha rovinato la festa di compleanno di Izzy due anni fa…».

Lo Shadowhunter rimase in silenzio ancora. Il nodo era tornato di prepotenza a stringerglisi in gola. E forse Magnus se n’era accorto, visto che si allungò a poggiare una mano sulla sua.

«Non ci pensare troppo. Erano preoccupati, lo ero anche io. Comunque, per primo si è addormentato Max, e stamattina mi sono svegliato col braccio intorpidito e un litro di saliva sulla mia spalla. E Rafael si è stretto a me ma quando gli ho detto che mi avevi mandato un messaggio e che stavi tornando si è calmato».

Aveva mentito. Aveva mentito ai suoi figli ed era una cosa che avevano giurato di non fare mai.

 Alec deglutì di nuovo, nel tentativo di sciogliere quel nodo alla gola. Anche la sua pancia aveva fatto uno strano salto per nulla piacevole. Senso di colpa. Era senso di colpa.

«Mi dispiace. Volevo affrontare diversamente questo argomento.» ribadì Magnus.

«No. No hai fatto bene a parlarmene.» disse subito, la voce era riapparsa d’improvviso, anche se la sentiva ancora quella fastidiosa sensazione in fondo al palato e alla bocca dello stomaco. «Anzi… vorrei essermene accorto, esserci stato. Questa cosa dobbiamo farla funzionare insieme, non deve essere tutto addosso a te.» aggiunse intrecciando le dita a quelle di suo marito.

Magnus sorrise appena, un sorriso leggero e sincero. «È il tuo lavoro, Alexander. Suppongo anche i Mondani si trovino in situazioni simili. Direi che è ordinaria amministrazione per qualcuno. Almeno cerca di mandare un messaggio la prossima volta.» mugugnò. «Non mi piace mentire alle due scimmiette. Soprattutto se si tratta di te. Stasera mi sono inventato che stavi facendo tardi perché il tuo caro parabatai ha fatto un casino e ha fatto imbestialire Isabelle. Hanno riso. Abbiamo riso. E sono riuscito a deviare la conversazione e hanno dormito per bene tutta la notte.» farfugliò, lo sguardo cupo.

«Magnus.» lo chiamò di nuovo.

«Non mi piace mentire ai nostri figli, soprattutto se non so come stai. E non vorrei mai mentire su di te. Posso mentire su tutto il resto, perché è giusto che rimangano bambini, e quindi va bene Babbo Natale, i Draghi, le fate che sono proprio come quelle delle favole e non come i Seelie. Possiamo essere d’accordo su tutto. Ma io non posso mentire su di te, mh? Io devo sapere se stai bene, se stai tornando a casa. Devo saperlo, hai capito?».

Alec annuì di nuovo, e sentiva quel qualcosa, quella scomoda sensazione alla bocca dello stomaco bruciargli in petto. «Non vorrei mai farti preoccupare, sai?».

«Provaci, allora.» rispose pacato, gli occhi fissi su di lui che tradivano un certo fervore. «Manda un messaggio di fuoco, un sms, una mail, un piccione viaggiatore. Guarda, vanno bene anche i segnali di fumo, ho imparato a leggerli quando sono stato con quegli Stregoni nativi americani quando ancora l’uomo bianco non li aveva decimati tutti».

«Dovrò imparare a fare i segnali di fumo, allora.» bofonchiò.

«Uh! Buona idea, con un po’ di allenamento potremmo fare delle allusioni sessuali sotto gli occhi di tutti senza che nessuno sappia cosa vogliano dire…» farfugliò con un sorriso leggero.

Il tono della conversazione stava tornando tranquillo come al solito.

Alec non poté frenare quella sensazione improvvisa di leggerezza che gli andava invadendo il petto. «Come se ti servisse un codice per fare allusioni».

Magnus mugugnò in assenso. E lo Shadowhunter poté godere di quel piacevole silenzio.

Dopo un paio di minuti decise che forse era ora di espletare certe funzioni fisiologiche, prima di crollare sul materasso. Ma non era molto sicuro di riuscire a convincere il suo corpo a lasciare il letto, e Magnus, e quella luce arancio tenue che riscaldava ancora di più l’ambiente fin troppo confortevole della stanza. Gli si fissò lo sguardo su un qualcosa di non ben specificato nella stanza.

Suo marito si schiarì appena la voce, richiamando la sua attenzione.

«Vuoi dirmi cosa sta succedendo, Alexander? O preferisci che continuiamo questa pantomima? Ho visto sufficienti serie tv e soap-opera argentine e spagnole per poter far finta che non ammazzi i demoni per vivere e che magari invece hai fatto solo un viaggio lontano e sei tornato senza avvertire. Che ne so.» borbottò con calma, alzando un sopracciglio.

Ecco, quello era il segnale per andare in bagno, ci volle un istante a convincere le sue articolazioni stanche a collaborare per flettere le ginocchia e permettergli di alzarsi. «Nulla che ti debba preoccupare per ora, Mags. Vado in bagno, tu dormi intanto.» sospirò barcollando un attimo. Doveva decisamente dormire un po’.

Nei passi che lo dividevano dal bagno aveva potuto sentire gli occhi di Magnus erano stati fissi su di lui, a scavargli la nuca. E forse anche adesso, che la porta è chiusa alle sue spalle, gli occhi da gatto dello Stregone sono ancora fissi sulla lastra di legno.

E con l’acqua a scrosciare nel lavandino, mentre si lavava i denti e cercava di restare sveglio e non ingoiare il dentifricio, cominciò a ponderare il da farsi. Forse doveva parlargli, magari era utile sapere cosa potesse pensarne lui: anche perché presto o tardi Jace avrebbe convocato Magnus per ulteriori indagini riguardo gli attacchi. Tutti quegli attacchi consecutivi all’Istituto, quell’anomala attività demoniaca. D’altra parte, c’era una regola: tenere il lavoro fuori da quella casa quando c’erano i bambini. Magnus vedeva pochissimi clienti a casa, e solo quando lasciavano i bambini nelle sapienti mani dei loro zii, della nonna, di Maia o di Lily Chen, che in effetti si era rivelata col tempo un’ottima babysitter. Magnus andava agli incontri al Labirinto a Spirale, si occupava degli stregoni sotto la sua ala protettrice e controllava le sue attività da Nascosto solo fuori da casa. Così come Alec doveva tenere il suo lavoro e il terribile olezzo di icore fuori dalla porta.

E visto che Magnus negli scorsi dieci giorni era stato piuttosto impegnato con certi problemi che c’erano stati al Labirinto, e Alec non aveva passato molto tempo a casa, non avevano avuto modo di ritagliarsi un momento senza bambini per poter parlare agevolmente. Le regole sono regole.

E questa, in particolare, era entrata in vigore da un po’ di tempo ed erano riusciti a rispettarla al meglio entrambi. Era stato necessario introdurla nel ménage familiare, soprattutto dopo l’incidente di qualche anno fa, pochi mesi dopo l’adozione effettiva di Rafael, quando già il suo era diventato un lavoro quasi sedentario. Era capitato che dovesse invece andare in missione con quel piantagrane del suo parabatai e si era guadagnato due ampi squarci sulla schiena da parte di un grosso demone Shax. Era tornato a casa tardi, aiutato da Simon e Jace, e si era praticamente dissanguato prima di raggiungere il divano. Rafael, che ancora aveva certi terribili incubi notturni era sveglio e gironzolava per casa: i due Shadowhunter che l’avevano accompagnato a casa non erano stati sufficientemente rapidi a deviarlo fuori dalla stanza, mentre Magnus era concentratissimo e più che impegnato nel processo di cura, e la sua scimmietta era andata nel panico. Quel povero bambino non aveva lasciato più Alec da solo per i successivi sette giorni, e anche quando il suo papi era più che in grado di muoversi e andare all’Istituto, non gli levava gli occhi di dosso. C’era voluta tutta la pazienza di Magnus per tranquillizzarlo: con lui Rafael aveva un rapporto particolare, diverso da quello che aveva con Alec, come se Magnus sapesse come sondare gli angoli più cupi del suo cuore e potesse dargli conforto anche soltanto guardandolo negli occhi o tenendo la mano sulla sua piccola schiena. Ed era stata una fortuna che Max era ancora troppo piccolo, sebbene si fosse accorto anche lui che c’era qualcosa di strano.

E così, dopo quello che venne chiamato “L’Incidente”, con la lettera maiuscola, loro due si erano messi a tavolino, come al solito per discutere le regole di quella casa, e avevano deciso che avrebbero tenuto il loro lavoro il più lontano possibile dai loro bambini. Finché Rafael non fosse stato abbastanza grande da avere la sua prima runa. Magnus aveva detto qualcosa riguardo alla maggiore età, ma poi erano arrivati a questo compromesso.

                                     

Quando era tornato in camera, in un paio di pantaloni da tuta estremamente larghi e comodi, Magnus l’aveva osservato a lungo, gli occhi da gatto fissi su di lui, come a volersi imprimere la sua immagine nella testa. O come a volersi sincerare, di nuovo, che fosse tutto intero.

«Alexander.» lo chiamò di nuovo, la voce soffice come una carezza sulla pelle.

«Abbiamo una regola. E non l’abbiamo mai infranta.» rispose sbrigativo.

Magnus sospirò. «Lo so. Dimmi solo se devo preoccuparmi».

«Non devi.» replicò brevemente spostando le lenzuola e il copriletto dal suo lato del materasso. «È solo che Clary è davvero molto incinta e siamo a corto di braccia, visto che Simon è di nuovo all’Accademia per reclutare, la solita solfa».

«Non voglio immaginare cosa sia avere in grembo il figlio iperattivo di Barbie. Con quella testa enorme che si ritrova, sicuramente la genetica non sarà a suo favore, povera Biscottino…» commentò con la fronte corrugata in un’espressione illeggibile.

Alec puntò gli occhi su Magnus, ubriacandosi del suo viso. «Sai? Non posso fare a meno di notare una cosa…».

Suo marito assottigliò le labbra alzando un sopracciglio in una smorfia incuriosita.

«Non mi hai salutato.» replicò avvicinandosi a lui, per poi passargli entrambe le braccia intorno al collo.

«Se è per questo anche le tue competenze sociali non sono delle migliori, Alexander.» rispose lui, sogghignando appena. «Sai vero che sei davvero troppo stanco per fare sesso? E poi ci sono i bambini che sono in quella fase della vita in cui il loro sonno è davvero leggero».

«Scommetto che tu potresti usare quel trucco per insonorizzare la stanza, se lo volessi.» replicò facendo scendere le braccia a circondare i fianchi di Magnus per trovare una posizione un po’ più comoda, le gambe intrecciate alle sue.

Gli occhi dorati di suo marito vibrarono per un istante un’occhiata per niente stupita. «No. Dormiamo insieme da un po’, mio caro, so dove vuoi andare a parare. Vuoi davvero entrare nei miei boxer solo per glissare sull’argomento? Mi sembra ci siano gli estremi per uno sciopero del sesso».

«Magnus abbiamo una regola.» ribadì sbuffando.

«Sì, ma ricordati che io ho la possibilità di veto su quella.» bofonchiò. «È da più di dieci giorni che torni dopo le due del mattino. È una settimana che i tuoi figli non ti vedono al di fuori di quelle brevissime visite all’Istituto che non ci permettete di prolungare. Io mi sveglio la mattina e non ti trovo a letto. Non fai colazione con noi… non ceni con noi e soprattutto non riusciamo ad avere una conversazione perché quando sei qui, sei troppo stanco e di solito è notte e quindi si dorme.» brontolò. «Direi che ho diritto di veto, soprattutto perché tua sorella mi ha convocato per una consulenza all’Istituto perché “Ehi Magnus, scusa se ti disturbo, ma c’è stato un altro attacco”. Un altro, Alexander. Che cosa vorrebbe dire un altro attacco?».

Ecco. Bel casino. Una piccola parte di lui gridò internamente una mezza imprecazione.

«Magnus.» lo chiamò piano. «Per favore, possiamo parlarne domani, magari mandiamo i bambini da Lily e…».

«Alexander, stanno dormendo.» rispose con calma, un sopracciglio alzato. «E il fatto che ci siano stati ripetuti attacchi, direi che si può definire un’emergenza e questa conversazione dovremo affrontarla prima o poi. Ed è già domani, per cui, sputa il rospo».

Alec strinse le labbra.

«Devo sapere se devo preoccuparmi, se devo già pensare a cosa farò senza di te. Se devo cominciare a cercare le parole giuste per dire ai bambini che una di queste sere non tornerai più. Perché c’è stato un altro attacco Alexander. Un altro.» ribadì. e per un momento la voce gli trema. «Sei esausto, io non-».

«Mags.» mormorò dolcemente, allungando la mano ad accarezzargli la schiena, stringendoselo di più addosso. «Non sembra nulla di grave, in realtà».

«Davvero? Ripetuti attacchi all’Istituto non sono niente di grave?!» replicò, e di certo se i bambini non fossero in quella famosa fase del sonno estremamente leggero, qui sarebbero volate parole a voce alta e delle imprecazioni di buon livello. E non cose tipo “razzo”, “fanciullo” e compagnia bella.

Sbuffò. Okay, non poteva farsi pregare tanto a lungo. «Ci sono stati alcuni attacchi all’Istituto, undici per l’esattezza. Per questo torno tardi».

«Feriti?» domandò, alzando gli occhi su di lui.

«Nessuno. Stasera, mi stavo preparando per venire qui, quando abbiamo sentito l’allarme. Le tue barriere hanno retto e quando siamo usciti, armati e pronti ad attaccare… i demoni erano ridotti in polvere. Come le altre volte. Izzy sta analizzando i residui.» mugugnò poggiando un bacio tra i suoi capelli. «Ovviamente ho dovuto dare un’occhiata con Jace e scrivere almeno un breve rapporto».

«Capito.» sospirò.

«Te ne avrei parlato, appena facciamo più chiarezza… siamo stati incasinati, ultimamente. Clary è davvero molto incinta. E Simon è davvero all’Accademia.» aggiunse con un sorriso leggero.

«Me lo ricordo.» annuì Magnus. «L’importante è che non è niente di serio. Ma forse può essere legato a quanto sta succedendo nella comunità degli Stregoni, per cui vorrei che qualsiasi ulteriore aggiornamento mi arrivasse, mh?» mugugnò.

«Cosa sta succedendo nella comunità degli Stregoni?» domandò Alec.

«Undici sparizioni. Sono scomparsi undici Stregoni, a quanto pare.» bofonchiò. «E su per giù è successo poco prima che all’Istituto cominciassero gli attacchi… mi viene da pensare che forse le due cose sono collegate. Se me l’avessi detto prima, avrei mobilitato il Labirinto a Spirale…».

«Magnus… mi dispiace, li conosci?» domandò Alec.

Suo marito sospirò. «Quando vivi a lungo come me, è facile conoscere molte persone. E comunque non potevi saperlo. Tessa ha inviato un messaggio al Console: l’informazione verrà divulgata tra qualche giorno, quando le nostre indagini si saranno concluse».

«Per questo sei lì di continuo.» evinse lo Shadowhunter. «Avevo capito che aveva a che fare con delle prigioni».

Magnus sbuffò. «Più o meno. Uno degli stregoni scomparsi era detenuto nelle nostre prigioni».

Alzò un sopracciglio. «Era detenuto nelle prigioni?». Ancora non aveva molta chiarezza nella testa, e non solo perché era davvero molto stanco, ma perché i Nephilim avevano davvero poche informazioni riguardo al Labirinto a Spirale.

«Alexander, mio caro, lo sai che non posso parlarti ancora di molte cose riguardanti il Labirinto.» bofonchiò. «Appena potrò dirti di più, e solo relativamente a queste sparizioni lo farò: appena avremo notizie più fondate e corroborate da altre, o se mai le stranezze che avvengono all’Istituto hanno un qualche collegamento con quello che è successo a questi undici Stregoni».

Alec, forse complice la stanchezza, annuì e si strinse un po’ di più a suo marito, pelle contro pelle. «Io comunque non ho avuto il mio bentornato.» bofonchiò, il suono leggermente ovattato perché aveva affondato la faccia contro il collo di Magnus.

Lo Stregone sghignazzò, e anche quando era una risata così corposa era comunque melodiosa. «Sei davvero troppo stanco per il sesso, Alexander».

«Tutte cose a nord dell’Equatore, allora.» rilanciò, avvinghiandosi a lui e cominciando a dargli le attenzioni che meritava. Baci su baci incatenati sulla pelle, dalla spalla alle labbra e via di nuovo a seguire lo stesso percorso mentre le mani non riuscivano a stare ferme.

«Comunque, domani ti verrò a trovare all’Istituto, di certo il tuo biondissimo fratello e la sua incredibilmente incinta consorte non possono lasciarti un giorno libero. E potrei anche proporre un bel controllo alle barriere, del tutto gratuito.» bofonchiò lui, rispondendo con un tremolio ai suoi baci.

La testa di Alec guizzò su, a fissarlo accigliato. «Urgh! Niente più lavoro. E non parlare di Jace a letto è strano. Dovrebbe essere inserita tra le nostre regole.» sbuffò, riprendendo a incatenargli baci leggeri sul collo e nell’incavo della spalla.

«Alexander.» lo chiamò di nuovo. «Non è normale che stiano attaccando l’Istituto consecutivamente per dieci sere…».

«Undici, la prima sera ero già a casa quando hanno attaccato. E dobbiamo parlarne davvero? Sono stanco, e voglio solo un po’ di coccole.» brontolò. «Poi voglio dormire fino a tardi domattina, fare colazione con te e i bambini… e magari a un certo punto mandarli davvero da Lily e fare un po’ di capriole tra le lenzuola».

«Alexander.» ripeté, il tono dolce. Le sue mani gli raccolsero il viso. «Dovremmo parlarne prima o poi».

«Domani?» sospirò. «Prometto che starò a casa tutto il giorno».

«E poi ti chiameranno dall’Istituto perché Clary è davvero molto incinta e Jace è davvero molto iperattivo e tua sorella non ce la fa più, e presto o tardi li ammazzerà tutti. Io chiaramente l’aiuterò a trafugare i corpi.» bofonchiò, senza neanche sfoderare il suo tono melodrammatico. Anzi, un lieve sogghigno gli arricciava le labbra mentre l’idea di Isabelle che faceva strage del resto della famiglia prendeva piede.

«Credo di riuscire a convincere Izzy a non ucciderli domani, e penso che tu riesca a sbrigare la tua consulenza in mattinata, così stiamo insieme.» annuì e riprese a dare attenzione alla sua mascella e a quel punto poco sotto l’orecchio, dove la pelle è così liscia e morbida, che lo faceva impazzire.

«È già domani, Alexander.» gli fece notare. «E se poi ti chiamano dall’Istituto, tu non sai proprio dire di no».

«Mags.» provò a dire, ma venne zittito dalla mano di suo marito che gli spremeva la faccia.

«E, sì, tu hai davvero bisogno di dormire. Perché domani la colazione la sceglie Max. E finché non riusciamo a fargli venire a noia quei benedetti pancakes di Elmo, ci toccherà mangiarli tre volte la settimana. E tu, per poterti lamentare tutto il giorno con le mie povere orecchie, hai bisogno di energie, per cui è ora, Alexander. Stavi dormendo faccia in giù, sbavando sul cuscino del divano poco fa…» bofonchiò.

«Mmhpf!» cercò di opporsi, e allora Magnus spostò la mano dal suo viso. «Oddio! Ma io non mi sazio con quelli!» brontolò. «Non è giusto, sono così piccoli!» disse collegando pollice e indice a formare un piccolo cerchio. «Come si fa a saziarsi coi pancakes di Elmo?!».

«È un bambino Alexander, non ha lo stomaco senza fondo che avete voi Nephilim.» replicò Magnus, soffocando una risata, mentre gli abbracciava il collo e lo tirava a sé, per farlo accomodare contro di lui.

«E Rafael allora?» mormorò. «Lui non si sazia, non sono io il problema, sono quei pancakes».

«Se te lo fossi fatto con le tue mani, quel bambino, non sarebbe di certo così uguale a te.» commentò, stringendosi a lui. «Anche Rafael si è lamentato col tuo stesso tono, se non con le stesse parole, di quei benedetti pancakes di Elmo. Comincia a farsi inquietante la cosa…».

«Perché non sono buoni! E sono piccoli!» replicò. «Almeno me lo merito un po’ di bacon e della frutta accanto? Che ne so anche un po’ di panna. Oddio ho già fame!».

«Primo, forse dovresti mangiare di più quando lavori. Secondo, è la regola.» replicò suo marito scrollando le spalle. «E come dite voialtri, la legge è dura ma è legge».

«È una legge stupida.» brontolò. «E voglio metterci un veto. E poi da quand’è che siamo così attenti alle regole io e te?».

«Non ci sono gli estremi per un veto.» sospirò facendogli l’occhiolino. «Appena non guarda ti faccio un panino marmellata e burro d’arachidi, se vuoi. E dobbiamo stare attenti alle regole perché siamo genitori. Non vorrai che escano fuori come Barbie, i tuoi figli?».

«Dio, no.» sbuffò. «Però non sono d’accordo. Deve essere qualcosa di nutriente e abbondante, anche salutare… quei pancakes sono piccoli».

«C’è la frutta dentro. Sono salutari e hanno il giusto apporto di carboidrati e grassi per cominciare bene la giornata, lo dice la confezione!» replicò Magnus tra un bacio e l’altro. «Dai, è la regola».

«È una regola stupida.» ribadì Alec, chinandosi a baciargli le labbra, ancora e ancora. Non si era accorto di quanto di fatto gli fosse mancato anche solo questo: semplicemente lamentarsi della colazione con suo marito, con le gambe intrecciate sotto le lenzuola.

«È stata decisa a tavolino, insieme alla regola della nanna e a quella del bagnetto.» gli ricordò Magnus, il sogghigno di chi la sapeva lunga.

Le regole le aveva decise quasi tutte Alec, in effetti, e Magnus si era opposto all’inizio, preferendo una modalità di educazione un po’ più flessibile. Forse sapeva, che un giorno tutta quella organizzazione squadrata gli si sarebbe ritorta contro. Già lo poteva sentire commentare la questione con un qualcosa di molto simile a “Voi, sciocchi, sciocchi Nephilim”.

«Dovremmo aggiornarle allora.» replicò.

Magnus gli scoccò un bacio sotto al collo, dove passava la giugulare. «Dai che solo per dopodomani ti permetto di scegliere al posto mio: anche se, se decidessi di fare i French toast io sarei felice!».

«Ma toccava già a me dopodomani!» brontolò. «Sento puzza di fregatura!».

Magnus ridacchiò. «No, toccava a te la scorsa settimana ma, ehi, eri ad Alicante. Quindi immagino che tu ti sia divorato un capretto intero a colazione…».

«Sì, mia madre prepara delle colazioni piuttosto abbondanti.» rispose. «Però non vale!».

«La legge è dura, ma è legge.» ribadì a occhi chiusi, mimando la voce di un vecchio.

Alec sospirò profondamente. «Quindi pancakes di Elmo domattina…».

«Non fare i capricci, che sei un po’ cresciutello per lamentarti di queste cose.» ridacchiò divertito e gli poggiò un bacio fugace sulle labbra arricciate. «Per quanto tu sia decisamente adorabile quando fai quella smorfia imbronciata».

«Ma anche Rafael si lamenta.» mugugnò. «Non sono solo io!».

«Rafael è un bambino, Alexander.» replicò. «Un bambino Nephilim, ma comunque un bambino. Quindi può lamentarsi».

«Uffa.» soffiò di nuovo, sfregando la faccia contro il cuscino di Magnus, mentre soffocava uno sbadiglio.

«Dormiamo un po’, va. Che se domani è vero che sarai a casa tutto il giorno, ti serviranno un sacco di energie coi tuoi figli».

 

 

 

 

Dormire con Magnus era sempre stato qualcosa di magico. Certo, Magnus era magico, quindi era facile che tutto ciò che lo concernesse avesse questa specie di alone indescrivibile.

Ma dormire con lui, era qualcosa di così rassicurante e appagante, che poteva anche essere fatto su un letto di tizzoni ardenti e sarebbe comunque stato riposante. Trasmetteva quel senso di appartenenza, quel senso di casa e tranquillità che nient’altro al mondo riusciva a dargli.

Le prime volte, proprio all’inizio della loro relazione, era stato quasi terrificante, alienante. Non riusciva a capire come uno come lui, sempre all’erta, riusciva a cedere con tale rapidità. Forse una piccola parte di lui, quella ancora attaccata al non chiedere non dire dei dettami del Clave, aveva creduto che fosse sotto qualche forma di incantesimo; ma a dormire così bene, con la persona amata accanto, non poteva che dirsi soddisfatto, se anche fosse stato sotto un qualche sortilegio.

E poi era diventato naturale quasi come respirare attraversare isolati interi per raggiungere il loft, sfilarsi gli stivali accanto alla porta e camminare a piedi scalzi verso la camera da letto. Scivolare sotto le lenzuola e prendersi il suo posto vicino a suo marito. Ed era come se i loro corpi fossero stati creati per stare così, intrecciati.

 

La luce di quel mattino era di un tiepido arancione e si stava allungando su quelle lenzuola smeraldo. Gli sbatteva sulle palpebre con una certa insistenza, ma d’altro canto era un piacevole modo di svegliarsi: piano piano aveva percepito tutto, la seta morbida che lo avvolgeva, il calore familiare che era sotto e intorno a lui, Magnus, che lo teneva abbracciato come quando si era addormentato, il suo respiro sul viso.

Alec non aveva poi tutta questa gran voglia di alzarsi dal letto, o di aprire gli occhi in generale. E non soltanto perché sapeva l’avrebbe atteso un piatto di minuscoli pancakes di Elmo a colazione, ma perché gli era evidentemente mancato tutto questo, il semplice poltrire al letto tra le braccia di suo marito.

E d’altra parte, Magnus non stava certo cercando di svegliarlo, le sue dita gli percorrevano la cute, arricciandogli i capelli tra i polpastrelli, l’altra mano gli accarezzava piano il fianco, disegnando un motivo strano, forse una runa.

Greenpoint era già sveglia da ore, così come Brooklyn e tutta New York. Ma il grugnito impertinente del traffico non era che un mormorio, attutito dalle finestre chiuse, dal tendaggio e forse anche da un mezzo incantesimo del Sommo Stregone che divideva il letto con lui. Ma se il sole già era affacciato oltre i palazzi, e le strade pullulavano di pendolari poteva voler dire solo una cosa: i bambini sarebbero stati lì a minuti.

Non ebbe neanche il tempo di formulare questo pensiero, ancora ottenebrato dal fatto che si stava riaddormentando, quando li aveva sentiti, i passi rumorosi e frettolosi di due scimmiette, che avevano la stessa infinita grazia del famoso branco di gnu del film Il Re Leone.

«Dovresti svegliarti, dormiglione.» mormorò Magnus con le labbra contro la sua tempia, prima di sciogliere l’abbraccio che l’accoglieva.

Alec grugnì di malavoglia. «Altri cinque minuti.» protestò appena, scostandosi da suo marito solo per coprirsi la testa col lenzuolo.

«Papà! Papà!» cinguettò Max, spalancando la porta senza mezze misure. «Stamattina pancakes di Elmo!».

Lo Shadowhunter non poté far a meno di sogghignare quando sentì il sommesso borbottio di Rafael. «Dios, Maxie… por favor, perché non provi le omelette? Giuro, è buona la pappa d’avena!», il bambino più grande aveva la voce impastata dal sonno ed era un gran musone la mattina, soprattutto quando suo fratello sceglieva la colazione. E Alec non poteva certo dargli torto.

«Ciao scimmiette. Me lo ricordo, stamattina pancakes di Elmo. Alle fragole e ai mirtilli.» annuì Magnus.

Rafael sbuffò sonoramente. «Comunque, siamo qui per un altro motivo. Il telefono di papi ha squillato. Era l’Istituto».

Alec sentì subito Magnus spostarsi dal letto e abbandonare del tutto le coperte. «Probabilmente è per me, zia Isabelle mi ha invitato a vedere una cosa interessante oggi in laboratorio da lei, la chiamo e vedo se è qualcosa di urgente».

«Avrebbe chiamato te, no? E non papi.» rispose Rafe, la voce seria.

«Vediamo se riesco a far avere la giornata libera a papi.» disse Magnus. «Voi intanto potete stare un po’ qui se volete o vi posso mettere i Pokémon».

Alec stava ponderando l’idea di sbucare fuori dalle lenzuola e aggredire i fianchi dei suoi due bambini per far loro un po’ di solletico, quando sentì Max sospirare.

«Quindi,» bofonchiò piano, la voce bassa bassa, quasi impercettibile. «Papino non rimane con noi neanche oggi?».

E ad Alec si strinse un piccolo nodo in gola.

«Non lo so, Maxie, papà di certo riuscirà a convincere gli zii a lasciarlo in pace lmeno per fare colazione con noi.» gli rispose Rafael. «Lasciamolo dormire, intanto… hai visto che sono tante sere che non ci mette a letto? Deve essere davvero stanco. Se sta con noi oggi, dobbiamo essere super bravissimi».

«Sì! Super bravissimi!» mugugnò Max entusiasta.

«Potremmo andare a lavarci e vestirci, e così stiamo con lui un pochino di più quando si sveglia.» propose poi, il piccolo Nephilim.

E prima ancora che muovessero un passo, Alec tirò fuori la testa da sotto le lenzuola. «Oppure,» disse e due paia di occhi sfavillarono su di lui come se fosse la mattina di Natale e lui fosse l’albero addobbato e tutti i regali. «Potreste salire sul letto qui con me e aspettare papà, che sono sicurissimo riuscirà a convincere zio Jace a lasciarmi stare per oggi».

Max non se lo fece ripetere due volte e cominciò ad arrampicarsi sul materasso, la lingua tra i denti nella sua smorfia di concentrazione più totale. Alec si allungò a raccoglierlo in tutta fretta, il materasso era troppo alto perché riuscisse ad arrampicarsi con facilità.

Rafael invece sembrava ancora un po’ titubante.

«Vieni, Rafe?» domandò piano, mentre arruffava i capelli blu di suo figlio.

«Quindi oggi davvero rimani con noi?» bofonchiò il piccolo Nephilim, squadrandolo coi suoi occhi scuri.

Alec gli fece l’occhiolino. «Lo sai che papà è estremamente persuasivo, vieni dai».

«Uh! Se rimani con noi puoi scegliere tu quello che mangiamo a colazione, eh?» farfugliò Max. «Posso mangiare i pancakes di Elmo un’altra volta».

Rafael si affrettò a prendere posto anche lui sul letto, un po’ più agile di suo fratello, con quella manciata di centimetri in più e il sangue angelico a dargli una spinta in più. «Se siamo tutti d’accordo, si può fare uno strappo alla regola, giusto?».

«Si chiama democrazia.» aggiunse Max annuendo, l’aria da ometto vissuto. «Se siamo tutti d’accordo possiamo cambiare la regola».

Lo stomaco di Alec fece un piccolo salto, piacevole stavolta, sebbene il nodo fosse ancora stretto alla gola: i suoi bambini stavano davvero diventando grandi e dovevano davvero aver sentito la sua mancanza, quasi come lui aveva sentito la loro. «Come buoni, scimmiette! Mangerei voi a colazione!» bofonchiò poi tirandoseli tutti e due addosso e abbracciandoli, coprendo di baci le loro guance.

Rafael aveva cercato di districarsi dalla sua stretta per un istante, protestando piano, ma opponendo ben poca resistenza, mentre Max rideva e si stringeva di più a lui.

«È ora della battaglia del solletico, direi!» annunciò Magnus sulla porta, un sorriso giocoso sulle labbra.

Max e Rafael alzarono gli occhi in attesa, prima di chiedere in una sola voce. «Rimane con noi?».

«Sì, ve l’ho detto che zia Isabelle voleva me.» annuì sorridendo e senza girare intorno al letto, per tornare al suo posto, si fece strada sul materasso dal lato di Alec e si accomodò vicino a lui, gettandogli un braccio intorno alle spalle.

Alec gli scoccò un bacio sulla guancia. «Ve l’avevo detto che sarebbe riuscito a convincere zio Jace a lasciarmi in pace».

I bambini sembrarono ancora più soddisfatti e fieri del loro papà. Anche se forse Rafael aveva borbottato qualcosa su quanto fossero imbarazzanti loro due, quando si scambiavano certe effusioni.

Magnus sorrise. «Oggi starete un bel po’ con papi. E quando torno mangiamo insieme, ci vediamo un film… poi facciamo una bella passeggiata fino da zia Lily, che ha comprato un nuovo gioco che ha trovato e vuole assolutamente farvelo vedere».

Lo Shadowhunter alzò un sopracciglio. E anche il piccolo Nephilim, che gli somigliava in un modo ai limiti dell’inquietante guardò tutti e due di taglio. Ma fu Max a parlare.

«Ci sono problemi?» domandò, la fronte blu corrugata in una smorfia pensierosa. «Quando ci portate da zia Lily vuol dire che non possiamo andare da zia Izzy o da zia Clary… e che voi avete da lavorare».

«È vero perché zia Clary è molto molto incinta e zia Izzy oggi ha molto lavoro da fare visto che Simon non c’è.» si affrettò a rispondere Alec. «Soprattutto perché lo sapete com’è pasticcione zio Jace, no? Quindi servono due supervisori adulti. Giusto, Mags?».

«Esatto. Per questo devo andare anche stamattina all’Istituto… papà non serve, è una cosa che devo risolvere io che sono uno Stregone potentissimo.» rispose Magnus facendo scivolare il lampo blu della sua magia tra le dita per un momento, i suoi occhi da gatto che sfavillavano. «E poi lo sapete com’è zia Lily, quanto è capricciosa! Ha comprato questo gioco e vuole farlo coi suoi piccoli umani preferiti.» aggiunse imitando malamente la vampira.

Alec notò subito lo sguardo ben poco convinto di Rafael e si sbrigò di nuovo ad aprire la bocca. «Allora, riusciamo a fare colazione tutti insieme oggi?».

«Oh, ma assolutamente.» rispose Magnus. «E mi pare di aver sentito uno dei miei ometti preferiti dire qualcosa in merito alla democrazia…».

«Vogliamo cambiare un po’ il menù di oggi!» cinguettò Max. «Insieme ai pancakes di Elmo cosa vuoi papi?».

Alec non dovette pensarci su neanche un momento. «Uova e bacon, a te va bene Rafe?».

Rafael sorrise, due piccole fossette a incavargli le guance. «Però io voglio delle banane, un po’ di panna e le gocce di cioccolato coi miei pancakes. Bisogna mangiare anche un po’ di frutta».

«Panna e cioccolato non sono frutta, Rafe.» gli fece notare Max.

«Però sono buoni.» replicò il fratello più grande, con l’aria di chi la sapeva lunga. «E poi lo sciroppo d’acero!».

«E una spremuta d’arancia!» rilanciò il più piccolo.

«E un po’ di caffè.» aggiunse Alec.

«Uh, una colazione da campioni!» mugugnò Magnus, lasciando nuovamente il materasso e avviandosi verso la porta. «Chi vuole aiutarmi?».

«Vengo io, papà.» si propose Rafael balzando giù dal letto e lasciando così Max e Alec da soli.

Era un silenzio confortevole. Max era ancora tra le sue braccia, la testa poggiata sotto il suo collo, e Alec poté quasi giurare che suo figlio si stesse riaddormentando, quando improvvisamente la testolina riccioluta si tirò su. Gli occhi, due pozzi di un blu di una tonalità appena più scura delle sue iridi, lo fissarono.

«Che c’è, scimmietta?» domandò.

«Sei tornato tardi anche ieri sera.» mormorò. «E ci portate da Lily, stasera».

«Sì, perché zio Jace ha fatto uno dei suoi soliti casini.» rispose con calma. «Ha rotto uno dei microscopi di zia Izzy e per rimetterlo a posto ci è voluta tutta la notte…».

Il bimbo corrugò la fronte. «E non potevi chiamare papà? Lui poteva usare la magia e tu potevi tornare a casa a metterci a letto».

«Lo so, ma papà era con voi. E quindi ho preferito aggiustarlo io. Ho fatto tardi però mi sono guadagnato una giornata libera, sei contento?» sorrise. E quando suo figlio annuì gli scoppiò il cuore di gioia. Detestava dire bugie, ai suoi figli specialmente, ma se questo evitava incubi e preoccupazioni poteva essere definita una buona azione, giusto? E poi effettivamente, Jace aveva urtato un microscopio del laboratorio qualche giorno prima e avevano passato delle ore a cercare un maledettissimo minuscolo montante di una delle lenti. Quindi sì, era una mezza verità.

«Ma non è una vera giornata libera se poi devi andare all’Istituto stasera.» gli fece notare piano piano.

«Prometto che ci metteremo poco: lo sai che la sera zia Lily ha un sacco di lavoro da fare e quindi non potete fermarvi lì, vi verremo a prendere, andremo a mangiarci un gelato e poi vi raccontiamo una storia insieme stasera, che ne dici?».

«Davvero?» bofonchiò, gli occhi che gli splendevano.

«Hai la mia parola d’onore.» annuì e gli pungolò appena la guancia con la punta del dito, facendolo dire di più.

Tornò di nuovo il silenzio confortevole, Max rimase due minuti buoni in braccio a lui senza dire altro, finché non decise che era ora di andare a vedere come procedeva la colazione.

«Forse Rafael e papà hanno bisogno di una mano!» spiegò il piccolo stregone, zompando giù dal letto. «Tu riposati ancora un po’, e poi raggiungici che mangiamo tutti insieme!» aggiunse poi, affrettandosi in cucina.

Non poté far a meno di sorridere, bastava così poco per rendere felice suo figlio e far guizzare i suoi occhi con tanta gioia che non poteva credere quanta fortuna avesse. Bastava essere lì, ed erano tutti felici. Non si poteva certo definire un padre assente, e forse proprio per questo la sua scarsa presenza negli ultimi giorni aveva un po’ sconvolto i suoi figli. E forse anche Magnus non la viveva particolarmente bene, visto e considerato che era da tempo che non faceva così tardi. Anche lui si era disabituato a quella routine, ormai vecchia e dimenticata.

Alec si tirò su dal letto dopo una manciata di minuti. Si infilò in bagno e, specchiandosi per un istante, valutò il suo aspetto. Era visibilmente più riposato, sebbene gli occhi solitamente di un blu acceso e vivace erano ancora velati da una certa stanchezza, rimarcata anche dalle profonde occhiaie. I capelli schiacciati da un lato e arruffati dall’altro necessitavano una doccia vera e propria e una bella spazzolata prima di passare il vaglio di Magnus, di cui già poteva sentire la risata divertita e i commenti rimbombare nelle orecchie.

Si infilò sotto il getto di acqua bollente, col suo spazzolino da denti per sbrigarsi il più possibile. Avrebbe voluto indugiare ancora di più lì dentro, scrostarsi di dosso l’ultima oncia di stanchezza, ma era meglio sbrigarsi. Era abbastanza chiaro che Max avesse ragione, e lasciarli da Lily voleva dire che c’erano problemi, all’Istituto. Non avrebbe avuto neanche stavolta l’intera giornata libera e Magnus era riuscito a ritagliare almeno mezza giornata per permettere ai bambini di fare una scorpacciata della sua compagnia.

 

Quando era uscito si era rivestito di fretta, un paio di pantaloni di una tuta e una maglietta delle meno scolorite che aveva, aveva asciugato i capelli alla buona e si era avviato in cucina.

Magnus era tutto attento ai fornelli, due confezioni di pancakes con il faccione rosso, peloso e sorridente di Elmo troneggiavano sul bancone accanto al frigorifero, ma c’era già l’invitante odore di bacon sfrigolante a invadere le sue narici. Max era seduto sull’isola mentre Rafael, grande a sufficienza per impugnare un coltello senza essere pericoloso, stava tagliando un altro paio di arance.

«Buongiorno.» disse.

«Ciao papino!» cinguettò Max allungando le braccia verso di lui. Gli occhi vispissimi e il sorriso accecante. «La colazione è quasi pronta!».

«Dios gracias, ho una fame!» cantilenò Rafael lanciandogli un’occhiata consapevole.

E forse Magnus aveva commentato sottovoce con qualcosa di molto simile a “Lo stomaco senza fondo di voi Nephilim”, o forse se l’era solo immaginato. Ma gli strappò comunque un sorriso.

«Ottimo, Maxie.» annuì baciandogli i riccioli blu e rimettendolo a terra. «E stai aiutando Rafe con la spremuta? Ma quanto sei bravo!».

«Sì! Gli passo le arance!» annuì con fierezza.

«Vuoi del tè, dolcezza?» domandò Magnus indicandogli il bollitore pronto al suo servizio. «E intanto andatevi a lavare le mani, voi due, che è quasi pronto».

«Sì, papà!» annuì Rafael.

I due bimbi si affrettarono verso il bagno e Alec si avvicinò a Magnus, tutto intento a girare i pancakes nella padella, mentre il bacon sfrigolava in un’altra e le uova strapazzate finivano di cuocersi in una terza.

«Gli sono mancato.» bofonchiò Alec.

«È la prima volta che, anche se sei qui, non ti vedono a sufficienza. Max ha praticamente abdicato in tuo favore… ha rinunciato ai suoi privilegi di scelta della colazione! Una cosa senza precedenti».

Alec sorrise e poggiò un bacio poco sopra la tempia di suo marito.

«Perché lui lo sa che tu sei come Rafe e ti lamenti dei pancakes di Elmo. È proprio un ometto. Ha pure parlato di democrazia. Dovrebbe passare meno tempo con Catarina.» sospirò.

«Quanto crescono in fretta.» commentò Alec recuperando la sua tazza preferita dalla credenza. «Ti serve una mano? Lo so che sono ammesso in cucina solo quando tocca a me fare i French toast, però magari posso rendermi utile».

«Finisci di apparecchiare, magari. Mancano solo i piatti.» farfugliò. «Niente fornelli, non dopo il Grande Incendio dei Waffle di Cookie Monster».

«Esagerato, ne ho solo bruciato qualcuno.» brontolò, riempiendo la tazza con dell’abbondante acqua calda e scegliendo la miscela migliore di foglie da tè per cominciare la mattina. «E sono passati sei anni».

Magnus lo guardò di taglio. «Due scatole, Alec. Io non dimentico. E neanche il Presidente Miao.» bofonchiò facendo cenno al gatto che, da uno scaffale l’osservava sospettoso e forse un po’ lo giudicava crudelmente. «Neanche tutta la magia che ho usato, quella volta è riuscita a far sparire dal suo meraviglioso pelo l’odore di zucchero bruciato e… plastica?».

«Mi ero dimenticato la spatola nella padella.» sbuffò prendendo quattro piatti, tutti diversi, per sistemarli a tavola. «È successo perché poi mi sono distratto. Tu mi hai distratto quella volta».

Suo marito di nuovo lo guardò con un sopracciglio aggrottato e l’aria per niente impressionata. «Certo, ora dai la colpa a me, Lightwood. Tu per poco non dai tutta Greenpoint alle fiamme mentre prepari la colazione. E la colpa è la mia».

«Scusa se il mio allora fidanzato era davvero splendido quella mattina e aveva in braccio il mio bambino meraviglioso.» bofonchiò passandogli accanto, i piatti ancora in mano. «Mi sono distratto. Eravate belli. Potremmo definirla un'attenuante».

«Un’adorabile attenuante.» rispose. «Comunque, dovrai lavare anche i piatti e sistemare la cucina quando abbiamo finito, che devo vedermi con Isabelle per quella cosa. Quei piatti vuoi metterli a tavola o vuoi tenerli in braccio come un pompiere fa con un gattino?».

«Mi sono distratto.» bofonchiò Alec, sistemando finalmente i quattro piatti sul bancone della cucina, le posate erano già lì alla rinfusa su quattro tovagliette di bambù che sembrava avessero visto giorni migliori, coi tovaglioli piegati alla buona e le tazze di plastica di Star Wars dei bambini, regalo gentilmente offerto da zio Simon. «Vedi che mi distrai?».

«Attenuante: sono favoloso.» replicò Magnus, il tono giocoso.

«Sicuro che non servo stamattina?» domandò Alec, un sopracciglio aggrottato.

«No, Isabelle voleva comunque parlare con me. E devo controllare le barriere. Penso tornerò per l’ora di pranzo.» mugugnò. «Puoi ordinare qualcosa, o posso portare qualcosa io tornando a casa. Poi magari mandami un messaggio per farmi sapere che cosa preferite».

Alec annuì. «Ma vado a dare un’occhiata? Mica ci mettono così tanto tempo a lavarsi le mani di solito» farfugliò.

«Ma no, si staranno vestendo. Max ha finalmente capito come allacciarsi le scarpe da solo senza usare la magia. Gliel’ha insegnato Rafael. Ti ho mandato il video, non so se l’hai visto…» bofonchiò Magnus, cominciando a spostare i pancakes dalla padella al piatto da portata.

«Mio dio, mi sto perdendo tutto.» farfugliò prima di recuperare sgraziatamente dalla padella un pezzo di bacon croccante e cacciandoselo in bocca senza batter ciglio.

«Per soli dieci giorni, Alexander? Hai tutta la vita per vederli crescere.» rispose Magnus, un sorriso sulle labbra. «E fammelo scolare, che gronda grasso quel bacon! Va bene che sei giovane e bello e hai sangue angelico, ma le coronarie ce le hai anche tu!» borbottò.

«È diventata una cantilena…» commentò Alec.

«Comunque, Rafael ha capito che c’è qualcosa sotto. Ha fatto quella faccia pensierosa da vecchietto, prima, e mi ha fatto un sacco di domande. Ovviamente ho glissato con la mia solita grazia.» bofonchiò. «Ma cerca di farlo pensare ad altro» aggiunse cominciando a sistemare il bacon su due fogli di carta assorbente.

«Penso che li porterò al parco stamattina. Al parco giochi quello di legno.» farfugliò.

«Il Diana Ross Playground? Ottimo. Così il nostro capitano Barbablù sarà contento.» annuì Magnus. «Pensi di riuscire a mettere le uova su un piatto senza prendere fuoco?».

«Oh! È successo solo una volta! E non ero io o le uova ad aver preso fuoco, ma il panno con cui ho preso la padella!» replicò.

E gli era mancato anche questo, in un modo che ad accorgersene gli faceva girare la testa, gli era mancato bisticciare sulle sue terribili doti culinarie. E Magnus di certo non doveva sapere che, quando era stato in viaggio per lavoro, molti anni prima, delle uova avevano davvero preso fuoco. Insieme a una sua maglietta. E a un paio di rotoli di carta assorbente. No, non doveva saperlo. Forse era anche per questo che il Presidente lo guardava sospettoso quando si aggirava per la cucina.

I bambini erano in effetti vestiti di tutto punto, quando erano ritornati in tutta fretta in cucina, prima ancora di essere chiamati, attirati, forse dal profumo della colazione ormai pronta.

Magnus schioccò le dita e apparvero della panna montata e delle banane tagliate a rondelle in due ciotole, in un’altra le gocce di cioccolato

«Avevamo detto niente magia a colazione.» borbottò Alec.

«Le banane le ho tagliate io, papi!» replicò Rafael prendendo due abbondanti cucchiaiate di panna e una manciata di gocce di cioccolata e coprendo tutti i suoi quattro pancake fino a renderli irriconoscibili. «Dovevano essere messe in frigorifero, sennò erano calde. E non sono buone calde quando mangi i pancakes».

«E poi era solo uno sciocco di dita, non ho preso niente da nessun negozio.» aggiunse Magnus. «La panna ce l’avevamo in frigo da ieri che abbiamo preso la torta e le gocce di cioccolato erano nello scaffale. Volevi farmi fare tutta quella strada per prenderli?! Sei davvero crudele, Alexander».

«Ah, va bene.» sbuffò lo Shadowhunter ruotando gli occhi al cielo.

«Comunque, scimmiette.» bofonchiò Magnus allungandosi a tagliare a pezzetti i pancakes di Max. «Papà ha detto che vi porta al parco. A quello con le giostre di legno».

«Sì! La nave dei pirati!» cinguettò il piccolo stregone, agitando la sua forchetta prima di infilarla in bocca.

«Dovrei riuscire a liberarmi per pranzo, quindi ci vedremo lì. E possiamo pranzare fuori.» aggiunse Magnus, versando recuperando la sua tazza di tè per portarla alla bocca.

«Potremmo andare a mangiare bacon burger a WIlliamsbugh!» propose Rafael.

«Stiamo già mangiando bacon a colazione.» replicò Magnus sconcertato.

«La colazione non conta, lo sai papà.» rispose Alec. «Mi pare un buon piano, Rafe».

«Bene, allora vi raggiungo a Central Park.» annuì suo marito. «Ora mangiamo che si fredda».

 

 

 

Dopo colazione, i bambini aiutarono Alec a sistemare la cucina. Rafael metteva il sapone, Alec lavava i piatti e Max li asciugava. Magnus ci aveva messo un baleno a prepararsi, aveva ridotto visibilmente i suoi tempi di preparazione mattutina avendo due bambini di cui occuparsi, e aveva aperto un portale proprio al centro del soggiorno, per raggiungere l’Istituto rapidamente. Aveva salutato brevemente i suoi figli, baciato Alec con un una certa indulgenza, provocando un brontolio su quanto fossero imbarazzanti da parte di entrambi i bambini, e poi si era lasciato inghiottire dal gorgo di magia.

Alec aveva lasciato le due scimmiette un istante davanti alla tv, una puntata di quel cartone animato che li divertiva tanto, con quei mostriciattoli e le palline in cui venivano imprigionati. Magnus aveva provato a spiegargli che non era una cosa tanto brutta che quei mostriciattoli, i Pokémon?, finissero intrappolati nella sfera, e anche Max e Rafael avevano cercato di spiegargli le dinamiche della storia, ma non era del tutto convinto fosse una cosa istruttiva. Si era infilato in camera e si era cambiato, pronto per una mattinata al parco coi suoi bambini.

 

 

 

All’inizio della primavera, Central Park era una chiazza multicolore di boccioli di fiori e foglie di centinaia di tonalità di verde. Pullulava già di turisti, ma non c’erano molti bambini sugli scivoli e le assi di legno scricchiolanti del Diana Ross Playground, essendo un giorno di scuola. Era uno dei posti preferiti di Max e, anche se Rafael diceva di essere troppo grande (e troppo Nephilim) per poter giocare con quelle cose, in realtà si divertiva anche lui ad arrampicarsi sulla rete e a correre per i ponticelli, a raggiungere lo scivolo a chiocciola e fingere che quell’enorme città di legno a misura di bambino fosse in realtà un galeone dei pirati. C’era stato anche un piccolo incidente, che fortunatamente era avvenuto di sera tardi, quando la maggioranza degli avventori di Central Park erano ormai sulla via di casa, in cui Max aveva effettivamente trasformato tutto il grande archibugio dello scivolo in un veliero, con tanto di bandiera nera con ossa e teschio. La sabbia sottostante era diventata fangosa e poi aveva cominciato a luccicare e a ondeggiare come il mare in tempesta. Magnus aveva riso come un matto mentre faceva sparire la nave e la piccola piscina di acqua salata, ma poi aveva dovuto spiegare a un davvero imbronciatissimo piccolo stregone blu che, no, non poteva ancora diventare un pirata e che queste cose non si possono fare all’aperto, soprattutto non in una zona così vicina a una strada principale.

La cosa che preferiva Alec, perché faceva divertire i suoi figli da morire, era caricare i bambini sul grosso pneumatico che era appeso ai montanti dell’altalena e, di tanto in tanto mentre spingeva le catene, senza attivare rune del vigore e facendo il bravo padre Mondano, affondare le mani sui fianchi dei suoi figli per far loro il solletico. Gli piaceva parecchio anche rincorrerli, sebbene qualche volta avesse ponderato l’idea di attivare la runa della velocità.

Poi, i bambini cominciavano a correre per tutto il giardino, affondando i piedi nella sabbia e sollevando un sacco di polvere. Si arrampicavano, salivano, scivolavano, scendevano e ricominciavano finché uno dei due, solitamente Rafael, gettava la spugna e si avvicinava alla panchina su cui lui li aspettava.

E anche quel giorno, Rafael aveva deciso di lasciare Max al timone del veliero immaginario e aveva raggiunto Alec sulla panchina.

«Allora? Ci sono problemi?» domandò subito, neanche il tempo di sedersi. E sembrava un vecchietto nel corpo di un bambino, con quegli occhi scuri che lo squadravano e l’espressione seriamente inquisitoria.

«Rafe, abbiamo una regola, mh?» rispose Alec, lo sguardo fisso su Max, intento a dare ordini come un vero capitano ai pochi bambini che erano con lui sul pontile di legno.

«La regola è attiva solo dentro casa.» replicò il bambino, impassibile. E forse Magnus non aveva tutti i torti, se l’avessero fatto con le loro mani, non sarebbe stato così uguale a loro caratterialmente. «Andiamo, papi, Max è impegnato a giocare, e io sono abbastanza grande».

Alec ruotò gli occhi al cielo, soffocando una risata.

«Primo, neanche quando avrai la tua prima runa sarai abbastanza grande ai miei occhi, mio minuscolo e adorabile Nephilim.» farfugliò nella sua migliore voce vellutata Magnus, apparendo proprio dietro di loro. «Secondo, non sta succedendo niente, per questo sono andato io all’Istituto e non Alexander».

Rafe reclinò la testa indietro per guardare lo Stregone. «Papà, sono grande, posso sapere le cose che riguardano il Mondo Nascosto.» replicò, relativamente imbronciato.

«Diciamo che decido io che sono vecchio di millenni quando e se saprai le cose che succedono nel Mondo Nascosto.» replicò Magnus, un sogghigno divertito, mentre girava intorno alla panchina.

Alec si stava impegnando con tutte le sue forze per non ridere. Anche coi suoi figli, Magnus non riusciva ad essere onesto riguardo la sua età. Era un gioco divertente, a detta sua.

«Ah, ma dai! Neanche due giorni fa dicevi di avere cinquecento anni. Oggi andiamo per ordine di migliaia?!» brontolò Rafael. «Lo fai solo per cambiare discorso. Fai sempre così! Non sono mica scemo!».

Magnus si accovacciò davanti a suo figlio, e gli poggiò una mano sul ginocchio. Gli occhi verde e oro, senza glamour che emettevano questo calore dolcissimo. Forse una piccola parte di Alec, la più infantile, era un po’ gelosa di quello sguardo che riservava al piccolo Nephilim, perché era qualcosa di assolutamente unico, che riusciva a calmarlo quasi istantaneamente. «Non c’è niente di cui preoccuparsi, almeno non per il momento. Se dovessero esserci degli ulteriori sviluppi, ve lo diremmo, mh? E poi vi manderemmo in un posto sicuro se fosse necessario.» mugugnò, spostando per un momento gli occhi su Alec.

Fu esattamente quello il momento in cui lo Shadowhunter capì che suo marito sapeva qualcosa, qualcosa che lo preoccupava. Allora era vero, non era proprio normale tutto quel numero di attacchi all’ordine dell’Istituto e forse la supposizione di Magnus in merito agli Stregoni scomparsi aveva trovato riscontro. Forse era tutto collegato. Forse c’era da preoccuparsi davvero.

«A quel punto,» disse, lo sguardo di nuovo fisso su suo figlio. «Dovrai essere davvero grande abbastanza, mio adorabile Nephilim in miniatura, perché dovrai proteggere anche tuo fratello, okay?» farfugliò, un sorriso tranquillo appiccicato sulle labbra. Le spalle rilassate, e gli occhi placidi e assorti nel pozzo scuro di quelli di Rafael.

«Quindi non c’è da preoccuparsi, davvero?» mormorò con un filo di voce.

«Per ora no. Quando e se sarà necessario preoccuparsi te lo dirò, d’accordo?» aggiunse sfiorandogli il centro della fronte con un polpastrello. «Ti verranno più rughe di tutti i tuoi zii messi insieme, sennò».

«È difficile non preoccuparsi.» bofonchiò sfregandosi il palmo della mano contro la fronte, come a far sparire le rughe, che comunque non c’erano ancora.

Alec sorrise. «Non succederà niente, ci siamo noi.» gli disse piano. «Siamo bravi in quello che facciamo, vero?».

Non aveva idea di cosa aspettarsi, forse sperava in un cenno col capo, un annuire piano. Forse sperava di convincerlo. Ma Rafael sembrava ancora un po’ titubante. «Puoi promettermelo?».

Alec inalò a denti stretti. Se una cosa doveva essere chiara a suo figlio è che avrebbero fatto del loro meglio per proteggere tutti, lui e Magnus, ma non poteva promettergli nulla.

«Io posso promettertelo, Rafael.» sussurrò Magnus. «Ti prometto che vi proteggerò io, eh? Ti basta la mia parola? Io proteggerò te, Max e Alexander. Proteggerò i tuoi zii, e la tua cara nonnina. Proteggerò le persone che amiamo di più. Ti va bene?».

«Magnus.» lo chiamò Alec, forse nel tentativo di redarguirlo. O forse per scacciare quel piccolo nodo che gli si era avviluppato in gola.

Ma Rafael aveva annuito e si era gettato al collo del suo papà. «Basta che stai attento anche tu».

«Lo sono sempre.» rispose stringendolo forte a sé, tenendo gli occhi su Alec. «Ora, piccolo Nephilim, dovresti andare a chiamare Max, che andiamo a mangiare, che ne dici?».

«Posso fare un altro giro sugli scivoli?» domandò, togliendosi di dosso quell’aria da vecchietto e tornando ad essere un bambino di appena nove anni.

«Certo.» annuì Alec. «Hai dieci minuti. Poi andiamo, che ho una gran fame».

Magnus si accomodò accanto a lui e restò un momento in silenzio, la testa poggiata sulla sua spalla. Osservava i suoi figli in contemplazione, come fossero un prodigio della scienza, un capolavoro di un’arte antica e sconosciuta. Max voleva ancora fare il pirata nella vita, voleva possedere un veliero e una piccola ciurma e, soprattutto, un pappagallo verde che avrebbe chiamato Jolly. Già. E Rafael invece aveva da sempre saputo quale sarebbe stato il suo posto nel mondo, a preservare gli interessi del Mondo Nascosto e a proteggere i Mondani, per quanto sciocchi fossero, e tutte le altre creature.

«Ti ricordi quella volta che ha trasformato gli scivoli in un veliero? A te stava venendo un infarto…» sussurrò.

«Non devi promettere cose del genere, Magnus.» mormorò. «Soprattutto perché c’è qualcosa, vero?».

«Non avevamo una regola, Alexander?» replicò sogghignando.

«Tuo figlio mi ha fatto notare che la regola vale solo dentro casa.» bofonchiò. «Mi somiglia un sacco, ma quando apre bocca è uguale a te».

Magnus sghignazzò. «Li stiamo crescendo proprio bene».

«Mags.» lo chiamò piano.

«C’è qualcosa, sì.» rispose. «Ma, ehi, hai la giornata libera, dovresti godertela».

Alec strinse le labbra, in quella lieve smorfia di disappunto che aveva quando le cose non andavano come diceva lui. «Magnus».

«Okay è complicato.» ammise. «È un bel casino perché abbiamo pochi dati per avere delle certezze: sappiamo che le mie barriere hanno reagito e tenuto lontano quelle creature. Dai video che ho visionato con tua sorella sembrano…».

«Degli scheletri. Qualcosa di negromantico.» mugugnò. «Li ho visti anche io».

«Sì, praticamente.» annuì.

«Qualcuno degli Stregoni scomparsi può essere invischiato, che tu sappia?» domandò.

Magnus sospirò e si strinse nelle spalle staccandosi da lui, ma tenendo ancora gli occhi fissi sui bambini che giocavano. «Tutti gli Stregoni si sono dilettati almeno una volta nella vita nella negromanzia. Non tutti con ottimi risultati, mettiamola così. Ragnor ha avuto un colibrì resuscitato in giro per casa per settimane, prima di riuscire a riacchiapparlo e a lasciarlo tornare tra i morti. Oppure Catarina ha provato con qualcosa di più grande, forse era tipo un opossum… beh diciamo che la tappezzeria del suo appartamento ne risentì particolarmente».

Alec sapeva che quando parlava degli incidenti magici dei suoi amici, Magnus ne aveva combinate di ben peggiori. E forse doveva cedere e chiedergli cosa avesse fatto lui, con la negromanzia. O forse doveva tornare sull’argomento principale. «Tu che hai combinato?».

«No. La negromanzia è una magia molto oscura.» bofonchiò.

Alec alzò un sopracciglio, nella sua migliore espressione poco convinta. «Non mi incanti».

«Okay potrei aver provato a resuscitare qualcosa di piccolo… ma c’è stato un piccolo inghippo con l’incantesimo, ho sbagliato una parola e… diciamo che oltre a resuscitare si è pure moltiplicato. Sia di numerosità che in dimensione.» mugugnò.

Sogghignò e decise che doveva saperne di più. «Cos’era?».

Magnus si coprì gli occhi con la mano. «Alexander… per favore è imbarazzante.»

«Oh, ora voglio saperlo: perché se è una fase della vita di ogni Stregone, devo sapere cosa invaderà casa mia un giorno.» replicò. «Visto che c’è una scimmietta blu molto curiosa che ha già cominciato a fare i suoi pasticci magici…».

«Okay era una lucertola... una davvero piccola.» annuì. «Non so se hai letto nei registri del Clave che a Londra molti anni fa vennero avvistati dei rettili alti quanto un uomo… vennero descritti come draghi.» bofonchiò.

Ci volle tutta la sua buona volontà per non ridere sguaiatamente ma, oh, rise di gusto.

«Osi ridere di me, Lightwood, davvero? Proprio tu che hai bruciato dei waffle a prova di fesso?!» brontolò. «Mi ferisci».

Alec sbuffò. «Il Clave cercò in tutti i modi di intercettarli e studiarli ma erano scomparsi».

«Riuscii a invertire l’incantesimo.» bofonchiò. «Ora possiamo cambiare discorso?».

Alec annuì. «Come siamo arrivati a parlare di lucertole giganti in giro per Londra?».

«Parlavamo degli scheletri che hanno attaccato l’Istituto.» annuì. «Isabelle dice che converrebbe prenderne uno vivo e studiarlo».

«Vivo.» ripeté Alec divertito.

«Sei di buon umore, Lightwood?» brontolò Magnus.

«È Lightwood-Bane.» gli rammentò. «No, è che in teoria se uno è uno scheletro è anche morto. Quindi potremmo vedere se ci sono stati dei corpi trafugati da qualche parte».

«Sai che non è una cattiva idea? Ne parlerò con Isabelle.» annuì.

«Dovresti parlarne con Jace, è lui il capo dell’Istituto.» mugugnò.

«Detto tra noi, Alexander, tua sorella sarebbe stata un Capo migliore di quello squinternato del tuo parabatai.» bofonchiò con un sogghigno. «È equilibrata e comanda a bacchetta per fino me. Mi ha chiesto di abbassare le difese, per questa sera».

«Mica le avrai dato retta?!» farfugliò.

Magnus finalmente voltò lo sguardo su di lui. «Ti ho detto che mi comanda a bacchetta.» ribadì. «E non è una cattiva idea: vuole catturarne almeno uno prima che le barriere reagiscano per poter fare dei test. Per confermare l’ipotesi che abbiamo. E ora lasciamo perdere questo discorso per un po’, e guardiamo i nostri mostriciattoli giocare».

«Magnus.» mugugnò.

«Come ho detto a tuo figlio, lo saprai quando ci sarà da preoccuparsi. Oggi godiamoci la giornata.» annuì prima di tornare a fissare i bambini che avevano preso a rincorrersi sul ponticello di legno: Rafael scappava e Max cercava di acchiapparlo.

«Ma c’è da preoccuparsi.» mugugnò. «Da come hai parlato con Rafe. Non gli puoi promettere che andrà tutto bene».

«Non gli ho promesso questo, Alexander. Gli ho promesso che vi avrei protetto. Ed è quello che farò.» gli disse, un sorriso leggero sulle labbra. «E lo farai anche tu. Quando sarà il momento li manderemo da tua madre a Idris».

«Quindi c’è da preoccuparsi.» ribadì.

«Sì. È preoccupante, Alexander. Perché nessun altro Istituto è stato attaccato con queste modalità. Quindi c’è qualcosa qui che interessa a qualcuno. E dobbiamo capire cosa.» farfugliò. «Ora, per favore. Vuoi lasciar perdere il lavoro per almeno mezza giornata? Stiamo coi bambini, siamo felici».

Alec gli agguantò il collo e se lo tirò a sé. Magnus gli abbracciò i fianchi e tornò a poggiare la testa sulla sua spalla. «Hanno riso come dei matti prima».

«Hai fatto l’agguato del solletico sull’altalena?» sussurrò. «È una delle cose che preferiscono».

«Sì. Ma crescono così in fretta. Ci credi che Rafael ha nove anni? E Max sette?!» bofonchiò. «Presto Rafael andrà all’Accademia».

«Ci vorranno ancora tre anni, Alexander.» gli fece notare Magnus.

Alec sospirò. «Lo sai? Temo il giorno in cui smetteranno di giocare così».

«Perché devi pensare per forza al futuro, adesso?» sbuffò.

«Perché dobbiamo pensare in prospettiva, Magnus. Siamo genitori e i nostri figli saranno grandi in men che non si dica. Già Rafael sembra un vecchietto… quando fa quei discorsi da grande. E anche Max non sembra più tanto un bambino certe volte.» sospirò. «Democrazia».

«Quello è sicuramente colpa di tutto il tempo che passano con Catarina e con Maia.» sospirò. «Lasciamoli più tempo con Jace e vedi come tornano bambini».

«Jace li farebbe diventare dei selvaggi.» rise.

«È il tuo parabatai, te lo sei scelto tu!» replicò divertito.

Ci fu un momento di silenzio, in cui l’aria era riempita solo dal brontolio del traffico di New York e dalle risate cristalline dei bambini che giocavano. La leggera brezza primaverile era ancora piuttosto fredda a tratti, soprattutto quando le fronde degli alberi coprivano la luce del sole.

Magnus sospirò soddisfatto. «Sono felice, lo sai?».

Il suo cuore fece uno strano battito, come se volesse fare un salto nello stomaco prima di ricominciare a battere normalmente. Questo era Magnus: una meravigliosa creatura in grado di dire cose del genere con una voce ferma e profonda, come se niente fosse, come se fosse ovvio. «Dici ora, o in generale?» mugugnò, richiamando a sé tutta la sua fermezza.

«Ora e in generale.» rispose stringendosi di più a lui.

Alec gli poggiò un bacio tra i capelli. «Beh, sono felice anche io».

«No, Alexander, dico sono felice. Sono proprio felice.» sussurrò. «Come forse non lo sono mai stato».

Lo Shadowhunter alzò un sopracciglio. Davvero Magnus? Il matrimonio magari? La prima notte insieme? Quando le adozioni dei bambini sono diventate effettive? Forse doveva sentirsi un po’ offeso.

«Dico, tu mi rendi felice. Da quando stiamo insieme, io sono felice.» farfugliò.

«Perché me lo dici adesso?» farfugliò, le labbra ancora tra i suoi capelli, gli occhi persi sui bambini che stavano fermi all’imbocco dello scivolo a chiocciola e li guardavano.

Magnus sospirò, ancora con una certa contentezza. «Perché ogni tanto è bene ricordarmelo e ricordartelo. Tu mi rendi felice, Alexander. Loro due, quei piccoli mostriciattoli che ci stanno fissando, mi rendono felice. Anche solo stare al parco, qui con voi, mi rende felice».

Il suo cuore fece di nuovo quello strano battito. «Pure i pancakes di Elmo?» domandò, non trovando le parole giuste. E forse avrebbe dovuto urlarlo quanto anche lui fosse felice, quando anche lui fosse soddisfatto della sua vita, malgrado i pericoli, malgrado le preoccupazioni e le notti insonni.

«Anche i famosi waffle di Cookie Monster che hai incendiato anni fa.» annuì.

«Dio Magnus! Una volta, è successo una volta!» brontolò.

Ma sì, era dannatamente felice anche lui.

 

 































 

 





Okay, okay,
preparatevi per cosa succederà dopo. Sapete già un po' quel che vi aspetta, ma... un po' di fluff non si nega a nessuno.
Comunque, la storia è quasi completa su carta, ora bisognerà solo scriverla al pc (e tradurla), eh. Sì, non è stata una buona idea. Proprio no.
Ma, spero abbiate apprezzato questo piccolo capitolo di oggi, fatemi sapere se ci sono degli errori che vi fanno accapponare la pelle (e anche se non dovessero farvi accapponare la pelle, fatemi sapere comunque se dovessero esserci).
Non uso molto tumblr, ma potete venire a farmi un saluto qui @lamalefix
Passate un buon weekend,
Grazie di aver letto fin qui :D
  
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