Pc di un amico. Ringrazio chi
legge.
Cap.16 La fine
Asches vide tra i combattenti
dell’esercito nemico un elfo. Non era molto facile vedere un elfo
malvagio, anzi quasi impossibile. Scese a terra lasciando solo Dragoon che si allontanò. Lo strano elfo era di certo dalla
parte di Barden, portava i suoi colori e tipiche armi
malvagie. L’elfo non era tra i più alti di questa razza. Aveva le tipiche
orecchie a punta, cortissimi capelli neri, era facilmente intuibili che erano
tinti, aveva due grandi occhi viola con venature rosse, blu e viola. Al suo
fianco, impalato come un palo della luce, stava un colosso. L’elfo gli
dava ordini dispotico con aria di sufficienza. Il nome del mastodonte era 252.
In realtà il nome vero non lo conosceva nessuno. 252 era
il numero che gli avevano dato nel carcere dal quale Barden
lo aveva fatto evadere. Anche se aveva una forza sovrannaturale e
inarrestabile, persa grazie a Matteo, la sua mente era vuota. Era
irrimediabilmente sciocco. Nei suoi occhi nessuna scintilla d’intelligenza
brillava mai. L’elfo era molto bravo nel combattimento, ma pigro. Godeva
nel dare ordini a 252. Faceva fare tutto al colosso. Stava a guardare l’excarcerato che uccideva. Al povero malcapitato che gli
stava antipatico lo faceva morire di paura, far spaventare a lungo o staccare
arti del corpo. Le ossa scricchiolavano. Asche rimase
sconcertato. Non aveva mai visto qualcuno di così crudele, soprattutto non
poteva pensare potesse esserlo un elfo. Asches voleva
mettere fine a questa barbarie. Per l’elfo malvagio era una manna. Odiava
la sua razza. 252 muovendosi rozzamente andò incontro ad Asches.
Afferrò l’elfo alle spalle e cominciò a sbatterlo. Asches
si sentiva come in un terremoto. Prese i fianchi di 252 e usando la forza del
nemico si buttò indietro. Per aiutare il volo di 252 usò un poderoso calcio
allo stomaco con tutti e due i piedi. 252 non capì molto. Una volta rialzato
sembrava non si fosse fatto niente. L’exgaleotto
semmai era un po’ confuso. Aveva sbattuto con la schiena, non con la testa.
252 prese la rincorsa per dare una gomitata ad Asches.
L’elfo lo schivò con un braccio. La forza si 252 provocò seri danni al
braccio di Asches. L’elfo ammutolendo il forte
dolore fece uno sgambetto a 252 che cadde pesantemente a terra. Asche fece un salto che lo portò molto in alto. Ricadde con
un piede sullo stomaco di 252. L’uomo non abituato al dolore, fu sorpreso
di quella sensazione. Come una animale spaventato, scappò via. A nulla valsero
le urla di ira dell’elfo malvagio. Asches, con
una pratica elfica, girò l’osso fino a farlo tornare al suo posto. Asches impugnò la spada mentre il nemico tirava fuori un
pugnale finemente lavorato. Era nero con decorazione d’avorio. Sembrava
qualcosa di ridicolo. Cosa poteva fare un pugnaletto
contro una spada. Le apparenza però spesso ingannano. L’elfo malvagio era
rinomato per la sua maestria con quell’arma. Che aveva affinato nel corso
della sua vita, usava il pugnale dalla più tenera età. Si muoveva sinuosamente
come le canne di bambù che si piegano al vento senza spezzarsi. Usava
velocemente la piccola arma tagliando vestiti e carne inesorabilmente. Asche si ritrovò in poco tempo ferito da più parti. Asches però non era un novellino e sapeva come utilizzare
la superiorità di una spada. La lotta era alla pari, forse con una leggera
superiorità dell’elfo malvagio. La potenza, la velocità erano i loro
punti forti. Erano elfi, una razza di combattenti invincibili. Non potevano
morire, tranne che per morte in battaglia o per la decisione di lasciare questo
mondo. La stanchezza era bandita. Lottare, lottare e lottare. Nient’altro
esisteva oltre il combattimento. Un colpo di Asches
andò a segno. Un lembo della manica del nemico volò via. Lascio scoperta una
parte di braccio. Asches sbiancò dalla sorpresa
quando vide cosa c’era sul braccio. Sul braccio era un colpo
d’occhio quel tatuaggio. Nera come un livido, una parte di braccio su cui
risaltava un disegno bianco e rosso. Raffigurava una luna spezzata a metà unita
a un sole malefico. Era il simbolo degli elfi rinnegati Nel corso dei secoli
quel marchio era cambiato a seconda della colpa. L’elfo malvagio si era
macchiato del peggiore. Faceva parte della setta dei “Ricercatori di Dvallin”. Un malvagio che aveva raggiunto picchi di
potere e crudeltà assurdi. La setta voleva far ritornare il suo spirito e
riportare Dvallin al suo antico potere. Per farlo
doveva bere il sangue del prescelto che era introvabile. Questo diede un altro
motivo ad Asches per vincere. I colpi di Asches erano decisi e sicuri. Combatteva in modo schematico
con tagli netti. Il nemico improvvisava. Si muoveva scordinatamente
però in maniera efficace. Era impossibile stabilire o prevenire le sue mosse.
La lotta si prolungava per le lunghe. Sfiancante non portava a nulla. I due
erano sempre pari. Più uno si caricava, più l’altro ci metteva impegno.
La lotta li rese stranamente loquaci. Asche si
ritrovò a raccontare la storia della sua vita. Il nemico era più restio. Fu
dura per lui dire il suo nome. Non andava fiero di chiamarsi Ny’i, un nome tipico della razza più odiata.
Qualunque cosa di elfico lo irritava. Lo portava a ricordi tristi, dolorosi e
annegati in mare di rancore. Si era ripromesso di non raccontare a nessuno la
sua storia. Ora rivedeva quella scelta. Decise di raccontare ad Asches il suo passato. Quel nemico meritava di sapere il
perché del suo odio verso il mondo e soprattutto verso gli elfi. Non avrebbe
mantenuto la promessa di tacere che aveva fatto. Sua madre, un elfa, senza sapere di essere incinta, aveva deciso di
sacrificare la sua vita per quella del suo amato sposo. Nella sua terra
c’era un tempio dei Ricercatori di Dvallin. La
gente andava per avere ciò che gli serviva e in cambio diventava schiava. Il
marito si era ammalato di peste gialla. Solo i Ricercatori di Dvallin avevano la cura. L’elfa
sarebbe diventata la loro schiava. Fu assegnata alle cucine. Dopo qualche mese
divenne chiaro che aspettava un bambino. Il piccolo elfo fu consacrato al
malvagio. La madre morì di parto. L’elfo crebbe in quel luogo sicuro che
quello che faceva era giusto. Finché un giorno gli avevano chiesto di uccidere
un bambino. Aveva accettato senza problema, ma quando arrivò lì la coscienza
ebbe il sopravvento. L’arma gli cadde d mano e scappò via. Si nascose in
un villaggio di elfi. Stupidamente non cambiò nome, anche se si accertò di non
subire la vendetta della setta. Quando arrivarono notizie del suo passato non
lasciarono che spiegasse, gli misero il marchio e lo cacciarono. Con quel
simbolo addosso trovò solo vergogna e gente che lo maltrattava. Il suo odio
crebbe e la sua anima si tinse di nero. Vagò nei mondi in cerca di qualcuno
come lui, che potesse accettarlo e condividere la sua sete di vendetta. Conobbe
Barden, il suo spirito da buono si era corrotto
irrimediabilmente come il suo. Con Barden poteva
mettere a frutto la sua sadica follia. Entrò nel suo esercito Questo colpì Asches. La sua profonda convinzione della democrazia a
dell’immagine perfetta che aveva della sua razza. Sin da bambino aveva
fatto di tutto per non deludere la sua gente di virtù tanto elevata. Si torceva
le mani e mordicchiava le unghie come un ragazzo nervoso ad un esame. Qualcosa
in Asches si era incrinato, ma ciò non influì sul suo
modo di combattere. Asche abbassò un fendente di
fronte a se, non lasciando scoperte zone vitali. L’elfo nemici si
abbassò. La schiena ad arco, piedi a terra saldati e testa che guardava
all’ingiù. Ny’i sembrava un
contorsionista. Camminò di lato come un granchio e si rialzò con il pugnale
pronto a colpire. Asches fu veloce a spostare
l’arma di lato. L’elfo malvagio non si fece sfiorare, ma non colse
l’attimo per colpire Asches. Il maestro riuscì
quasi a colpire Ny’i, ma quello sgusciò come un
anguilla. Non si faceva problemi ad usare trucchi ignobili o ad attaccare alle
spalle. L’elfo malvagio in fin dei conti era dalla parte del male. Cercò
anche di tirare la sabbia negli occhi ad Asches.
Tuttavia l’altro era un elfo, razza antica, non quanto quella dei nani,
conosceva quei trucchi. Provarono tecniche antiche, mosse nuove, movimenti
totalmente nuovi e cose improvvisate. Usavano cose naturali trovate sul campo
di battaglia per agevolarsi. Usando la forza bruta e l’ingegno. Cuore e
mente erano in sintonia. Ogni sentimento, emozione, pensiero chiuso negli antri
più reconditi della mente. Qualsiasi cosa facessero li portava alla medesima
conclusione. Erano sempre pari. Dovevano decidere il tutto per tutto. Saltarono
più in alto possibile. Abbassarono le armi. Entrambi si colpirono. L’elfo
malvagio rimase senza un braccio. Asches si ritrovò
la gamba passata da parte a parte. Mentre Asches era
a terra semicosciente, l’altro scappava pazzo di dolore. Nessuno si
accorse della fuga. Troppa confusione.
La tecnica del popolo
subacqueo era infallibile. Saltavano fuori dall’acqua e afferravano uno
dei nemici. Subito dopo si immergevano immediatamente. Sia perché il catturato
non avesse tempo per rendersi conto, sia perché non potevano stare al lungo
fuori dal loro ambiente. Tenevano fermo il prigioniero che senza ossigeno
perdeva i sensi dopo poco tempo. Successivamente lo lasciavano andare. La
corrente lo sospingeva a riva. Meno uomini dell’esercito avversario e
nessun morto. Di sicuro i soldati di Barden avrebbero
preferito che la gemma di Carlo non fosse mai esista. Infatti se si fosse
potuta usare la magia avrebbero potuto respirare sott’acqua. Erano muniti
di speciali alghe. A causa del cuore d’ambra i nemici non potevano usare
neanche i loro gas velenosi ricavati dai funghi d’ombleon.
Per difendersi avevano bacche magiche che mangiandole li avrebbe resi immuni.
Ovunque sul campo di battaglia c’erano orci trafitti. Si udivano
urla. Una grande confusione. Uomini che cedevano sotto il peso dei colpi.
Attirato dal rumore della lotta arrivò il gigante Begnam.
Quando capì chi erano gli sfidanti, memore della sua promessa, decise di
combattere contro l’esercito di Barden. Aiutato
dal suo mastodontico drago viola. Gli orchi grandi come mezzo pollice in realtà
erano archetti che sotto l’effetto della magia erano stati rimpiccioliti
e in proporzione a quanto diventavano piccoli la loro forza aumentava di
quattro volte. Inaspettatamente arrivarono a combattere i guardiani. I golem
ricostruiti ora non si potevano battere. Cedro guidava un intero esercito di Hent. Mancavano solo Tempo e suo fratello. Avevano visto
tante di quelle guerre da capire chi avrebbe vinto. La nonna di David
combatteva a mani nude, ma era imbattibile. Se la magia avesse funzionato
sarebbe stata snodabile. David girava intorno ai nemici più sciocchi per
confonderli. Poi arrivava sua nonna a batterli. Vagavano nel campo e senza meta
particolari orchetti che ricevevano istruzioni per
via magica. Facevano un po’ pena. Tre intanto col suoi potere stava dando
battaglia. Finché non vide non vide a terra A sches.
Corse in aiuto dell’elfo. Aveva perso molto sangue. La sua situazione non
era delle migliori. Tre non poteva definirsi completamente amico di Asches, lo conosceva da poco. Però erano dalla stessa parte
e quell’elfo era stato onorevole e imbattibile nelle battaglie. Non per
niente era un maestro. Uscì la parte di Tre più dolce che cercò disperatamente
di salvare Asches. Forse ci sarebbe stato bisogno di
tagliare la gamba.
Finalmente arrivò Barden. L’incanto era compiuto. L’anello lo
aveva trasformato in un enorme drago rosso con furenti occhi blu. Esagerato di
mille volte a quelli normali. Con la sua orribile voce disse: <Iego. Uno stolto trovandolo l indossò. Io uccisi il suo
spirito e misi il mio. Lo allenai alle arti oscure fino a renderlo
irriconoscibile e mi feci chiamare: Generale Barden.
E cercai di conquistare il pianeta per attuare la mia vendetta. Conservai
l’anello. Nel giorno di una grande battaglia lo avrei indossato per poter
spezzare l’incanto e tornare il possente drago che sono>>. Ognuno
dei ragazzi, tranne Energy e Robert, avevano un motivo per sfidarlo. Lotshar per la faida della sua famiglia. Leopold per la
libertà della sua ragazza. Miriam per vendicare il popolo delle fate. Michelangelo-Ricard perché Barden
lo aveva quasi ucciso e gli aveva fatto perdere sei anni della sua vita con la
famiglia. Lado e Carlo per il loro popolo e la loro
famiglia. Lo scontro frontale con Barden, che in
realtà si chiamava Alax, tocco a Carlo che con stile
scese da cavallo. Alax mosse in fretta le ali facendo
quasi volare via Carlo. Che affondò la spada nel terreno e si tenne a lei
saldo. Rimase così sul punto di volare via finché Alax
si stancò di agitare le ali. Il ragazzo si rimise dritto con i piedi ben
saldati a terra. Con un fortissimo strattone rialzò la spada sulla sua testa. E
poi si mise in posizione di combattimento. Carlo si lanciò contro il drago
mulinando la spada. Doveva schivare le forte fiammate del drago. Intorno la
battaglia infuriava, ma i due contendenti non la sentivano. Per evitare
interruzioni erano in una parte deserta del campo di battaglia. Non contento di
lanciare vampate di fuoco, Alax sputava ghiaccio. Un
momento prima era un forno crematorio e subito dopo una tempesta di ghiaccio.
Una fiammata puntò diritta sul ragazzo. Carlo la parò con la spada dirottandola
di lato colpendo un ala di Alax. Una spada normale si
sarebbe squagliata, ma quella era una lama elica magica. L’elsa non
divenne neanche incandescente e Carlo non dovette lasciarla. La magia
dell’arma funzionava perché anche lei era un oggetto di reis. La spada di Carlo si fronteggiò con la coda affilata
di Alax. Dopo il colpo all’ala dovuto alla
propria fiammata Alax smise di alitare fuoco e
ghiaccio. Si mise però a dare pericolosissime e fortissime artigliate e
zampate. Poderosi i morsi dati con le grosse fauci. Una zampata colpì Carlo che
cadde a terra. Alax stava per dargli il colpo di
grazia.
Energy non dovendo
combattere si era appostata vicino ad Alax e Carlo.
Quando vide il ragazzo a terra capì che per salvare il pianeta e l’amico
doveva sacrificarsi. Afferrò una roccia appuntita. Si avventò alla zampa
bitorzoluta di colore del sangue. E distrusse l’anello. Alax tornò uomo. Ancora potente e armato di spada. Colpì
Energy alla spalla e la spinse lontano. Fu soccorsa da Tempesta. Carlo si
rialzò ancora più arrabbiato e riprese a combattere.
Tre vide poco distante da se
Peppe e Antonio. Combattevano nei modi tipici dei pirati. Un coltello in bocca,
uno in mano e all’arrembaggio. Poco più in là le amazzoni facevano come
le cavallette. Attaccavano tutte insieme e quando passavano non c’era più
niente. La lotta senza superpoteri era loro più consona.
Carlo e il Generale Barden avevano ripreso a lottare. Il vedere Energy compiere
quel gesto aveva dato nuovo vigore al ragazzo. Il Generale capì che non era
solo un piccoletto da raggirare, come aveva già dato prova. Anche se Alax non era più un drago la lotta era infuocata. Carlo
andava avanti mossa dopo mossa, colpo dopo colpo imperterrito nella lotta
contro Barden. Sentiva che il peso da cui dipende la
Luna di Iego gravava sulle sue spalle. Come su quelle
di Atlante il mondo. Alax si trovò spiazzato.
Resistette a lungo il Generale, ma la lotta con le spade non era il suo forte.
Fece una domanda a Carlo. Il ragazzo restò quando il nemico gli disse:
<Iego abbia un futuro>>. Il
ragazzo sentì puzza di trucco lontano un miglio. Non voleva gettare la sua vita
quando per proteggerla un suo compagno era a terra a lottare tra la vita e la
morte. Barden era insistente e colpiva
sull’orgoglio del ragazzo, ma era tutto inutile. Allora il Generale mise
in atto un raggiro. Spezzò la spada facendo finta si fosse rotta in battaglia.
E ricordò che i supereroi non possono combattere con armi contro un disarmato.
Carlo suo malgrado dovette posare la spada magica. Dentro di se Alax esultava, anche se cercava di mascherare la sua
felicità.
Era La do, ora che Carlo era
impegnato in quella importante lotta, a dirigere l’esercito. Usava
parole viste in vecchi film di guerra. Anche se a volte diceva ordini senza
senso, se la cavava egregiamente. Portava avanti le truppe. Pianificava
attacchi, spingeva il nemico in trappola. Anche se era bravo il suo nervosismo
era elevato, quasi palpabile. Sentiva un caldo soffocante anche se c’era
un tempo di tempesta. La concentrazione era indispensabile, ma la tensione la
faceva facilmente volare via come una colomba. La confusione della battaglia
faceva fischiare le orecchie e confondeva le idee. Era quasi impossibile controllare
le truppe, che si dividevano in individui. Sembrava che tutti per arrivare allo
scopo volessero fare di testa propria senza seguire i comandi. Gli animali
soprattutto basavano sull’istinto. Lado aveva
il suo bel da fare. Il caldo poteva derivare dall’adrenalina o
dall’armatura. Nella mente di Lado veniva un
pensiero terrificante. L’armatura che possedeva da sempre, una prova
delle sue origini, sarebbe divenuta la sua tomba. La battaglia però sembrava
procedere bene. I ragazzi avevano sconfitto i migliori dell’esercito
avversario. Nell’esercito per la liberazione della Luna di Iego c’erano ancora degli assi, anche se i ragazzi
erano soli contro i nemici e molti di loro feriti. Lado
si ritrovava da solo a guidare un esercito. Era però figlio di un grande re e
un elfo, anche se solo diciassettenne.
La lotta corpo a corpo tra Alax e Carlo era iniziata già da un po’. Si fermarono
un attimo a riprendere fiato. I due si fronteggiavano. Si sentiva il loro
respiro affannoso I volti contratti dal nervoso. Si guardavano occhi negli
occhi. Quelli del nemico erano dilatati e avevano un taglio deciso. Il sangue
fluiva facendogli diventare gli occhi rossi più del solito. Gli occhi del
ragazzo erano decisi, fieri, sicuri. Lucido anche se nervoso. I loro corpi
fremevano, tremavano. Il nemico saltò all’indietro. Con uno spettacolare
salto mortale atterrò in un punto più favorevole. Un tratto elevato che lo
rendeva ancora più alto di Carlo di quanto non fosse. Okay. Carlo dovette
ammettere che aveva fatto una cosa non sensata. Era ovvio che era in
svantaggio. Decise di usare il famoso Ci interiore. Era una
specie di potere, ma lo potevano usare tutti con l’allenamento. E quando
qualcosa la sa fare chiunque non è più speciale. Quindi la gemma non lo avrebbe
bloccato. Glielo avevano insegnato i maestri. Erano così scettici
dell’utilità per dei supereroi, che era stato un passatempo. Invece ora,
contro i pronostici, serviva. Carlo chiuse gli occhi e si concentrò. Aveva
dimenticato fino a che punto si spingevano i sensi. Aveva una missione. Doveva
mettercela tutta. Vedendolo così concentrato, Barden
decise di attaccarlo. Cercò di colpirlo con un pugno. Il ragazzo riaprì gli
occhi e si spostò. Baden lo prese in giro.
<>. Neanche aveva finito la frase che il
sorriso gli morì sulle labbra. Carlo aveva uno sguardo diverso, deciso. Faceva
quasi paura. La sua determinazione aveva cambiato anche il suo modo di combatteree. Alax cercò di
colpirlo con un pugno. Carlo invece di schivarlo gli andò incontro. Prese Barden per il braccio. L’ascella del nemico sopra il
braccio. Il braccio di Barden era serrato da quello
di Carlo come da un anello. Carlo usò la spinta in avanti del nemico e la forza
del suo colpo a suo favore. Caricò il nemico sulla schiena e poi lo lanciò
lontano. Quando Barden fu a terra gli saltò di sopra
con un calcio in pieno stomaco. Poi lo afferrò per il collo e utilizzò uno
strangolamento. Barden fece lo stesso e con le mani
intorno al collo cominciò a stringere. Entrambi rimasero senza ossigeno.
Dovettero mollare le prese. Si rimise di nuovo in piedi. Erano bagnati fradici
dal sudore. E alcune gocce scivolavano sul volto, cadevano fino a bagnare il
terreno. Piccole macchie di terra erano un po’ più scure. Alax con la sua malvagità ricordo a Carlo i terribili
incubi che tormentavano i suoi sogni adolescente. I sedici anni sono un età
difficile in cui un ragazzo non vuole accettare ordini o dogmi se non li
accetta fin dal profondo. Si chiede i misteri del male e del dolore. La vita
dell’uomo come hanno detto grandi uomini era caratterizzata dalla scelta.
Quali sono i limiti della colpa e della responsabilità individuali. I rapporti
tra padri e figli come devono essere. I valori dell’uomo sono stabili,
veri e più potenti delle leggi? Molti uomini di eccessivo sentimento da
queste domande furono portati alla follia. Molti di loro non trovando la
risposta, una via d’uscita o finivano per diventare di spirito ambiguo
non conoscendo la verità come i sofisti o in un gesto estremo e irreparabile.
Perciò l’essenza del tragico è in un conflitto inconciliabile, cioè nella
coscienza di un’autonomia irriducibile, di una contraddizione profonda e
insanabile che sta alle radici stesse dell’esistenza umana. Carlo non pensava
a tutto questo. Si chiedeva solo se Alax fosse così
malvagio e crudele per la vendetta o perché il suo cuore si fosse corrotto.
Carlo capì. Come un animale, una volta assaggiato il sangue continuerà a
ucciderà per averne altro. La battaglia svolgeva a sfavore di Alax. Al Generale sembrava impossibile. Lui era il grande
conquistatore e nessun altro era alla sua altezza. Era l’orgoglio una
delle cose che giocava a suo sfavore. Il cuore di drago che una volta aveva
battuto nel suo petto era dissipato intrappolato in un vile e di petra. Ottuso in ogni suo atto. Aveva il tipico difetto dei
privi di coscienza. Misurava tutto con il suo metro ed era convinto che gli
altri possedessero i suoi difetti e fossero privi d’anima. Dilagavano da
sempre nei secoli e nei diversi luoghi dello spazio: corruzione, viltà, odio, vendetta, sete di potere, il fascino del denaro e la
malvagità. A Barden non ne mancava uno. Conosceva
però anche la forza dell’amore, memore del passato. Però li sottovalutava.
Alax, andando indietro, toccò col piede qualcosa. Era
un ostacolo morbido. Senza muovere la testa guardò con la coda
dell’occhio. Vide che era la fata di quel gruppo di ragazzi. La povera
Miriam era ancora svenuta. Alax ebbe un improvvisa
idea nata dalla sua bravura nel ricatto. Alax si girò
di scatto e afferrò Miriam. Con una voce selvaggia intimò a Carlo:
<>. Carlo
osservò Miriam col cuore colmo di angoscia. Miriam aveva una ferita alla testa che
sanguinava. Il sangue aveva tinto di rosso i suoi bei capelli blu. Un filo di
sangue era sceso dalla ferita sulla fronte, formato un disegno sulla guancia
eccessivamente bianca e si era fermato a goccia. Era scuro perché ormai
asciutto. Forse dalla ferita Miriam poteva guarire, ma Carlo temeva che Alax l’avrebbe uccisa in quel medesimo istante. Alax la teneva per il busto col braccio che per lui era
sinistro. Miriam aveva la testa reclinata da un lato. Aveva la postura tipica
di qualcuno svenuto. Alax aveva il viso deturpato
dall’odio con un sorriso demoniaco. La vera bruttezza era quella del suo
animo però, non del suo aspetto. La sua risata riecheggiava il famelico ringhio
di uno sciacallo. Carlo non poteva fare niente. Alax
svelò le sue palesi intenzioni. La vita di Miriam in cambiò della gemma. Barden aveva cercato tutti i modi per averlo. Conosceva un
modo per far sì che lui e il suo esercito potessero usare i poteri, mentre i
nemici no. Era ovvio che a vittoria compiuta non ci sarebbero stati prigionieri.Altro che accettare rese incondizionate. Anche
se molti non avrebbero alzato bandiera bianca neanche in procinto di morire.
Doveva esserci un'altra opzione. Carlo si mise a urlare a Miriam di svegliarsi.
Si dichiarò anche per suscitare in lei qualche reazione. Barden
non capì il piano di Carlo. Pensò fosse uscito pazzo o volesse solo perdere
tempo. Una delle parole di Carlo o forse solo il chiasso sortì l’effetto
sperato. La fata afferrò il concetto di quel che stava succedendo. Le forze le
venivano meno. Doveva fare qualcosa prima di perdere di nuovo i sensi. Vide
vicino alla sua faccia il braccio di Barden. Lo
morse. Alax mollò la presa e distolse
l’attenzione da Carlo. Che saltò addosso a Barden.
Presero a picchiarsi avvinghiati. Una valanga umana. Lottavano rotolando per
terra. In questa lotta furiosa si allontanarono dal punto dove si trovava
Miriam. Che era caduta di nuovo svenuta. Barden
spinse via Carlo e si rialzò in piedi. Carlo aspettò che Barden
fosse vicino e scattò come una molla. Il colpo però non andò a segno. Alax lo scivò per un pelo. La
lotta li sfiancava. Anche se erano allenati, i loro fisici solamente umani
avevano dei limiti. Erano stanchi, spossati. Desideravano entrambi una pausa. Alax-Generale Bardn voleva
perdere tempo. Stancare il ragazzo. Colpire Carlo sia fisicamente che
psicologicamente. Si fece vedere superiore. Sapeva dimostrarsi un bravissimo
parlatore tessitore di frodi. Alax cominciò un
discorso con tali parole: <>. Carlo
rispose:<>.
<>. <>.
<>. <>. <>. <>. <>. <>. <>: <>: <>: <>. <>. Barden non perse tempo e tirò un pugno a Carlo. Per poterlo
colpire si sporse in avanti. In posizione sbilanciata con la gamba davanti.
Carlo si posizionò di fianco parando il colpo. Diede un calcio dietro e poi un
pugno alla gola. Carlo prese a saltare come un grillo. Pam. Una ginocchiata alla schiena. Pam.
Un calcio alla pancia. Pam. Una ginocchiata sotto al
mento. Barden però subì bene i colpi. E diede con la
mano un colpo di netto. Poi afferrò Carlo, con un braccio le gambe e con
l’altro le braccia. Mise al centro della schiena di Carlo la sua testa.
Gli voleva spezzare la schiena. Carlo tirò un bel calcio e si liberò. Con un
volo acrobatico tornò in piedi. Poi prese la testa di Barden
fra le mani. Tenendola per i capelli. E gli sbatté la testa contro il
ginocchio. Barden colpì Carlo con un pugno. Volendo
però strafare, cercò di dargli un calcio. Carlo lo afferrò alla caviglia. E lo
colpì al volto, all’addome a alla pancia. Alax
decise di far il tutto per tutto. Capì che rischiava di perdere. La sua vendetta
sarebbe svanita di nuovo. Come un uomo che nelle tenebre indissolubili per un
attimo gode della luce di un cerino. Luce che ovviamente dura un istante per vtornare per sempre nelle tenebre. Barden
si lanciò. Si mise a urlare. La sua mente vuota. Irrefrenabile. I sentimenti
che agitavano il suo petto si mischiarono. Solo rabbia, odio. Non esiste più
niente. Una spada per terra, abbandonata. Il Generale l’afferrò. Carlo
afferrò una freccia. Puntandola dinnanzi a lui. Cercò in tutti i modi di fermare
Barden. Alax non vide e
capì niente. Continuò nel suo attacco. Colpì Carlo. Una ferita certamente
mortale. Però nell’impeto la freccia gli si infilzò nel petto. Ricordò
guardando gli occhi vacui del nemico stramazzato a terra antiche parole. Rivide
la sua vita. Eppure quella ferita non dovrebbe essere fatale. Ricordò i suoi
atti malvagi. E sentì una fitta al petto, al cuore. Ricordò con rabbia i giorni
di prigionia nell’anello. Rivide ciò che lo spinse a compiere le
malefatte. Ripensò a quello che gli aveva detto Carlo. Un ragazzo, un nemico
sembrato invincibile perché spinto da nobili valori. Capisce di aver portato
dolore e morte, crudele come, se non di più, degli europei che distrussero la
sua piccola isola. Rivide sua madre. Una grande dragonessa rossa che cercava di
insegnargli a fare del bene. La voce che gli rimbombava nella testa è sua. I
draghi parlanti devono proteggere la razza umana. Ne và della salvezza della
loro anima, del loro onore. Devono fare e insegnare ciò che è giusto. La
freccia era avvelenata. Con questi pensieri e l’amara consapevolezza Alax cadde a terra. Chiuse gli occhi per sempre mentre uno
strano gelo lo avvolse. Carlo sapeva che c’era una sostanza sulla punta
della freccia. Un potente narcotico. Non sapeva che per chi aveva sangue di
drago nelle vene era letale.
Lado portò l’esercito alla
vittoria, ma rimase gravemente ferito. Furono colpiti anche Ricard,
Donatel, Aido e Robert. Che
era stato soccorso dal padre.
La gemma fece la sua ultima
magia. Seppe che cuori così nobili non ci sarebbero stati nella Luna di Iego per molti secoli a venire. Quel mondo aveva bisogno di
un re e di uomini coraggiosi che lo rimettessero in piedi. Proprio mentre Carlo
era in procinto di esalare l’ultimo respiro, la magia si verificò. Si propagò
una luce dorata, calda. La valle si riempi di un aria bianca che sembrava una
nuvola scesa troppo in basso. I ragazzi furono guariti. Le loro ferite
risanate, i loro corpi al massimo della forma. Stesso avvenne per i draghi. Asche si salvò, ma l’incanto non poteva funzionare
del tutto con un elfo adulto. Passò il resto della sua vita zoppicante Il
cadavere di Barden prese l’aspetto di Alax. Pian piano divenne di pietra. Prese una posizione
maestosa. Un grande drago, ad ali spiegate. Il volto malvagio, ma gli occhi di
una tristezza unica. Il fato si era compiuto. Le malvage
fabbriche e i luoghi creati contro la libertà e la vita saltarono in aria. La
valle tornò come prima, quasi non si fosse svolta la lotta. Il sangue versato
però non si cancello. Un grande giardino bagnato di rossa eroica pioggia.
Spiccava, a quello che ne sembrava il centro, una fredda statua di un drago. Il
nuovo anno nasceva in un giorno di morte. Si sarebbe svolto però, come anni e
anni successivi, in pace. Comunque era finita. L’aria si era fatta
respirabile. L’atmosfera si rilassò. Fece capolino il sole. Le nuvole
nere scapparono. Il cielo si riempì di rondini festanti. Che volarono in tondo
e lanciarono i loro versi, ricordarono gridolini di gioia improvvisa. Caddero
le ultime gocce dal cielo. Si deposita sul verde come rugiada. Nel azzurro
chiaro l’inconfondibile arcobaleno. Tutti poterono nei giorni a venire
sposarsi con chi amavano. Negli anni immediatamente successivi ricominciarono
da capo. Il castello di Barden fu demolito. Sorse al
suo posto un bel castello per il regnante. Fu ricostruita la città delle fate e
il palazzo di cristallo. Liberati gli schiavi. La magia funzionò di nuovo e
questo fu un grande aiuto. Gli orchi grazie all’inganno divennero buoni,
ma mantennero il loro aspetto. La città dei nani era in condizioni troppo
terribili per essere ricostruita. Fu rimesso in piedi il paesino nella Terra
dei Ghiacci con il suo sindaco. I due maestri divennero i gran generali. La
regina del lago lasciò il trono ad Energy. Miriam sposò Carlo e divenne regina
del popolo delle fate. Perché riaperto il passaggio con gli altri mondi erano
arrivate nuove fate. Michelangelo e Leopold divennero i consiglieri. Lotshar divenne cavaliere della corona. Lado
il principe della Luna di Iego. Donatel
fece lo scienziato a corte e si occupò di riportare le cultura nel pianeta. La
nonna di David con il folletto andarono a vivere in una casetta isolata nel
bosco della Terra dei Ghiacci. Il veggente tornò mago a corte stanco della
solitudine. Vennero con lui il mago e il Druido. Tempo e suo fratello rimasero
dove si trovavano. Il Gjarg Gjarg
divenne un coccolato animaletto. Passava le sue giornate su un cuscino a
mangiare quasi tutto. I draghi e la nuvoletta vissero i loro anni nelle
scuderie imperiali fatte apposta per loro. Tempesta e Oscuro ebbero tanti
cuccioli. La donna di pietra exprotettrice della
chiave divenne una ragazza in carne e ossa. Divenne grande amica di Robert
condividendo la sua passione. Finché i due si innamorarono. Il gigante Begnam visse con il suo drago in qualche caverna lontana. I
due vecchi giganteschi exprottettori della
chiave tornarono nella caverna. La bacchetta gigante si spense. Stella si
occupò degli orchi che ancora non capivano il loro posto e della povera gente.
Con lei la sua fatina Thunder. Black visse accanto ad
Asches. Il padre di Robert fu riabilitato e divenne
insegnante di magia alla grande università che fu istituita. Visse con
pallina. Ci vollero parecchi anni, ma tornò con la moglie Gefiun,
che infatti si trasferì alla Luna di Iego. Carlo
cercò di non fare diventare le scuole un incubo come quelle terrestri. Fu
portata l’energia elettrica, quella solare, quella a metano e quella
eolica. Non cose che potessero danneggiare l’ambiente. Si cercò di
riportare alla natura la Luna di Iego. Robrt e sua moglie misero su un negozio di giocattoli
creati con la magia, Ci si serviva addirittura Babbo Natale. Carlo divenne
ovviamente un grande re. Portò la Luna di Iego verso
anni di felicità e prosperità. Fu ricordato come il magnifico.
The End. Fine.
Ringraziamenti:
Regina Oscura: La tua storia la continua a leggere. Non preoccuparti per il
ritardo, tanto ormai la ff è finita. Spero che
recensirai l'ultimo. ciau
berry345: Ok, ok. Ti perdono. Non ci sarà un prossimo. ciau.
tvb kiss kiss