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Autore: alessandroago_94    21/05/2018    9 recensioni
603 d.C, Italia Settentrionale.
Rufillo ben sapeva che esistevano due realtà quasi contrapposte, due mondi distinti. Ciò che c’era al di là del Limes Tiberiacus, l’ultimo baluardo a difesa di quello che restava della romanità, era qualcosa di travolgente, nella sua immensa barbarie.
O, almeno, così era stato fin all’avvento della regina Teodolinda, prima sovrana cattolica dei Longobardi. Si diceva che ella amasse dedicarsi alla lettura.
Allora, l’ultima missione di una vita lunghissima e resa però resistente dalle continue e tanto desiderate privazioni, sarà quella di far giungere tra le mani di una regnante barbara un preziosissimo testo sacro, così che i suoi occhi così dotti potessero essere per sempre illuminati e guidati dalle parole che avrebbero influenzato per secoli la vita di milioni di persone.
Racconto classificato secondo (a pari merito con FatSalad, Le due cetre) al Contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp.
Racconto vincitore di due premi speciali; Rivelazione maschile (miglior personaggio maschile) e Verità o Menzogna (miglior storia di genere giallo/thriller).
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Capitolo sette

CAPITOLO SETTE

 

 

 

 

 

 

 

 

“(…)li logorò, impedì loro il compimento della conquista,

fomentò le ribellioni dei Duchi(…), aggravò o impedì che si sanasse

un male organico di quel popolo, cioè la costituzione per gruppi quasi indipendenti,

più che altrove riluttanti al vincolo unitario(…)”.

Gioacchino Volpe, I Longobardi e la storia d’Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La radura fu fatta ripulire; i cadaveri dei disonesti furono portati nel folto del bosco, affinché le fiere potessero farne scempio, mentre quelli degli arimanni morti al fine di difendere il nuovo e giovanissimo Duca furono sepolti con tutti gli onori.

I Winnili però non furono affatto placati; quello che era accaduto era stato qualcosa di davvero imperdonabile.

Per un’intera estate la furia dei giusti si abbatté contro chi aveva tramato e ucciso.

La fara era rimasta irrimediabilmente spaccata, con Adalberto che si dimostrava solo assetato di vendetta.

Gli arimanni si diedero la caccia l’un l’altro, finché Wald, rimasto monco, non fu catturato mentre si stava dirigendo verso i territori dei Greci, forse nell’ultima speranza di sfuggire alla persecuzione chiedendo asilo ai più acerrimi nemici del suo popolo.

Fu portato in catene presso il nipote, e con lui anche sua moglie, che l’aveva seguito dapprima nella latitanza, e poi nella fuga.

Adalberto colse l’attimo, così come lo zio, a suo tempo, aveva saputo perderlo; di fronte ai suoi guerrieri, decapitò il traditore senza pietà e senza dire una sola parola. Nulla, se non il suo sangue, avrebbe saziato il disordine interno in cui versava il Ducato da fin troppo tempo.

Dopo lo scontro nella radura, i Winnili avevano combattuto ovunque, e i centri abitati erano stati duramente perquisiti, alla ricerca di fuggitivi(1). I Romani per tutto il tempo si erano limitati a tremare ogni volta che gli zoccoli dei loro cavalli avevano fatto tremare la terra, e a farsi il segno della croce quando uno dei traditori veniva scovato e ucciso sul posto. Così il Duca voleva.

Questo era stato un periodo di relativa pace per la popolazione sottomessa, finché i conquistatori si erano scannati da soli. Ma con la morte di Wald, ogni sacco di resistenza era da considerarsi conclusa, giacché nessun altro, di fronte a tale spietatezza, avrebbe preso il suo posto.

La fara tornò ad essere unita, e alla moglie di Wald, zia di Adalberto, fu salvata la vita. La donna, una discendente dei Gepidi(2), dopo aver assistito alla morte del marito si era gettata al suolo ed aveva implorato pietà.

Si era dimostrata innocente, ed aveva giurato sulla Bibbia che mai si era recata con il coniuge a compiere riti demoniaci nel bosco, né aveva mai pensato male dei suoi nobili parenti.

Rufillo aveva fatto da intermediario; aveva chiesto che il volere di Dio fosse rispettato. Adalberto aveva avuto la sua vendetta e la sua vittoria, ma non doveva infierire oltre sui vinti, se non voleva incorrere a sua volta nella punizione divina.

Così, il ragazzo aveva dato retta e si era limitato solo a mettere sotto sorveglianza la parente, privandola però dei suoi due figli piccoli. Essi furono mandati presso la corte del Duca del Friuli, che ne avrebbe avuto cura e li avrebbe fatti crescere senza rancori, rendendoli suoi fedeli servitori, in modo che dimenticassero tutto e non tornassero mai più a Mutina.

I due prigionieri Romani sottoposti all’ordalia, nonostante le ustioni riportate durante il rito, erano probabilmente riusciti a svignarsela a carponi durante lo scontro, e non erano più stati ritrovati, né erano stati cercati.

 

Anni dopo il monaco aveva ascoltato l’ultima confessione di Romualda, la madre che aveva perso il perfido marito, e i cui figli, cugini di Adalberto, erano stati allontanati per sempre. Il suo cuore era a pezzi, e non era riuscita a sopravvivere molto a lungo dopo la separazione dai bambini.

In punto di morte, chiedendo il segreto, aveva rivelato a Rufillo che era stato Rhotar stesso a richiedere al fratello minore di avvelenarlo, anche se non voleva che nessuno lo sapesse, poiché togliersi la vita era qualcosa di estremamente disonorevole e vile, per un guerriero. L’anziano Duca infatti aveva cominciato ad accusare dolori al basso ventre, e urinava sangue.

Non voleva lasciare che la malattia incurabile lo rendesse uno spettro vulnerabile(3), giacché aveva presto cominciato a faticare a far ogni cosa, e logorava il suo corpo e la sua personalità. Poi, cosa avesse spinto Wald a prenderci gusto e a giungere ad uccidere il nipote maggiore e a tramare contro il minore, portando avanti anche pratiche inaccettabili nel bosco, beh, questo nemmeno lei lo sapeva.

Rufillo invece capiva; era stata la sete di potere ad averlo danneggiato per sempre. L’uomo aveva capito che uccidere un Duca non era poi così difficile come poteva sembrare, e ci aveva preso gusto.

I rituali pagani avevano attratto poi la parte più intransigente della fara stessa, gli arimanni che detestavano la religione dei Romani e la denigravano.

Così, Wald aveva scelto il proprio destino, e assieme ad esso anche un’eterna permanenza nell’inferno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

(1)non potevo non inserire una parte di Storia turbolenta, in questo racconto. Ci troviamo infatti nel cosiddetto periodo di interregno(cioè il periodo di tempo compreso tra la morte di un re e l’elezione del suo successore). Il periodo di interregno durò dieci lunghissimi anni(574-584), a seguito dell’assassino dapprima di Alboino, e poi di Clefi. Si tratta del primo periodo di Storia longobarda in Italia, e fu durissimo, non solo per la popolazione sottomessa, ma anche in generale per ogni fara e famiglia; senza più alcuna guida, e in preda alla frenesia per la spartizione delle terre appena conquistate, i Winnili combatterono ferocemente anche tra loro. Molti nobili vennero assassinati, le fare si spaccavano, e a volte non mancavano eccessi di violenza contro i locali. Stiamo rivivendo questo periodo grazie ai fervidi ricordi del nostro coraggiosissimo Rufillo.

 

(2)Cosa centrano i Gepidi, in questo racconto? Per chi conosce bene la Storia longobarda, si ricorderà senza dubbio che essi furono tra i più grandi nemici dei Longobardi stessi.

Ai tempi dello stanziamento in Pannonia, le due popolazioni germaniche erano in continuo alterco tra loro; eppure, entrambe rientravano nell’orbita degli Avari, la popolazione delle steppe orientali che era riuscita a spargere il terrore e a stanziarsi nei territori settentrionali dei Balcani.

I Longobardi, popolo originario dell’attuale Svezia, non possedevano nulla se non ciò che si erano portati con loro dopo una lunghissima migrazione; i Gepidi erano un po’ i tiranni della situazione. Allora, i Longobardi provarono a combatterli(inizialmente con un minimo aiuto dei bizantini) ma tra i due popoli non ne uscirono vincitori.

La mossa disperata dei Winnili allora fu quella di chiedere l’aiuto degli Avari, al fine di sconfiggere per sempre gli acerrimi rivali; furono promesse le loro terre, in caso di vittoria.

Ebbene, le forze coadiuvate di Longobardi e Avari travolsero i Gepidi; alla fine di una rapida campagna militare, questo popolo fu spietatamente sconfitto, e tutti gli uomini capaci di combattere furono massacrati.

Fu una vittoria molto amara, per i Longobardi, poiché il nemico era sì stato sconfitto ed era sparito dalla faccia della Terra, ma c’era un prezzo alto da pagare. Tutte le terre dei Gepidi divennero degli Avari, e i Winnili si ritrovarono di nuovo senza niente ed obbligati a prestare servizio presso i veri vincitori. Questo portò presto all’ennesima e ultima migrazione, con l’elezione di Alboino e l’ennesimo spostamento di massa, proprio verso l’Italia.

Del popolo dei Gepidi, erano rimasti solo vecchi, donne e bambini piccoli; essi furono assorbiti dai Longobardi. In questo racconto, Romualda è una discendente di questi sopravvissuti, naturalmente ormai fortemente imparentata coi Winnili.

Lo stesso Alboino sposò la figlia del re dei Gepidi, Rosmunda. Dopo averla rapita, ed aver partecipato alla sconfitta del padre, decapitò l’uomo e ricavò una coppa dal suo cranio, per poi costringere la donna a berci pubblicamente, prima di sposarla. Rosmunda però si vendicò dell’umiliazione estrema a cui era stata sottoposta, giacché fu proprio lei ad organizzare l’assassinio del marito, evento che genererà la situazione di interregno che già conosciamo.

 

(3)per un guerriero, era grande vergogna morire nel proprio letto, magari malato e debole, il corpo privato delle forze necessarie per combattere o affrontare una campagna bellica. La scelta quindi di morire in questo modo rientra un po’ in un’ottica del tempo; in un caso del genere, essere avvelenati poteva rendere beati agli occhi del prossimo, una morte quasi sacrificale e avvolta da un mistero che avrebbe permesso l’accesso del defunto nel vasto(e ritenuto eterno) limbo delle leggende orali. Rothar ha preferito che il fratello minore lo avvelenasse, piuttosto che morire “con disonore”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ancora grazie, a tutti voi ^^

   
 
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