CAPITOLO SETTE
“(…)li logorò, impedì
loro il compimento della conquista,
fomentò le ribellioni
dei Duchi(…), aggravò o impedì che si sanasse
un male organico di
quel popolo, cioè la costituzione per gruppi quasi indipendenti,
più che altrove
riluttanti al vincolo unitario(…)”.
Gioacchino Volpe, I
Longobardi e la storia d’Italia.
La radura fu fatta ripulire; i cadaveri dei disonesti furono
portati nel folto del bosco, affinché le fiere potessero farne scempio, mentre
quelli degli arimanni morti al fine di difendere il nuovo e giovanissimo Duca
furono sepolti con tutti gli onori.
I Winnili però non furono affatto placati; quello che era
accaduto era stato qualcosa di davvero imperdonabile.
Per un’intera estate la furia dei giusti si abbatté contro
chi aveva tramato e ucciso.
La fara era rimasta irrimediabilmente spaccata, con Adalberto
che si dimostrava solo assetato di vendetta.
Gli arimanni si diedero la caccia l’un l’altro, finché Wald,
rimasto monco, non fu catturato mentre si stava dirigendo verso i territori dei
Greci, forse nell’ultima speranza di sfuggire alla persecuzione chiedendo asilo
ai più acerrimi nemici del suo popolo.
Fu portato in catene presso il nipote, e con lui anche sua
moglie, che l’aveva seguito dapprima nella latitanza, e poi nella fuga.
Adalberto colse l’attimo, così come lo zio, a suo tempo,
aveva saputo perderlo; di fronte ai suoi guerrieri, decapitò il traditore senza
pietà e senza dire una sola parola. Nulla, se non il suo sangue, avrebbe
saziato il disordine interno in cui versava il Ducato da fin troppo tempo.
Dopo lo scontro nella radura, i Winnili avevano combattuto
ovunque, e i centri abitati erano stati duramente perquisiti, alla ricerca di
fuggitivi(1). I Romani per tutto il tempo si erano limitati a tremare ogni
volta che gli zoccoli dei loro cavalli avevano fatto tremare la terra, e a
farsi il segno della croce quando uno dei traditori veniva scovato e ucciso sul
posto. Così il Duca voleva.
Questo era stato un periodo di relativa pace per la
popolazione sottomessa, finché i conquistatori si erano scannati da soli. Ma
con la morte di Wald, ogni sacco di resistenza era da considerarsi conclusa,
giacché nessun altro, di fronte a tale spietatezza, avrebbe preso il suo posto.
La fara tornò ad essere unita, e alla moglie di Wald, zia di
Adalberto, fu salvata la vita. La donna, una discendente dei Gepidi(2), dopo
aver assistito alla morte del marito si era gettata al suolo ed aveva implorato
pietà.
Si era dimostrata innocente, ed aveva giurato sulla Bibbia
che mai si era recata con il coniuge a compiere riti demoniaci nel bosco, né
aveva mai pensato male dei suoi nobili parenti.
Rufillo aveva fatto da intermediario; aveva chiesto che il
volere di Dio fosse rispettato. Adalberto aveva avuto la sua vendetta e la sua
vittoria, ma non doveva infierire oltre sui vinti, se non voleva incorrere a
sua volta nella punizione divina.
Così, il ragazzo aveva dato retta e si era limitato solo a
mettere sotto sorveglianza la parente, privandola però dei suoi due figli
piccoli. Essi furono mandati presso la corte del Duca del Friuli, che ne
avrebbe avuto cura e li avrebbe fatti crescere senza rancori, rendendoli suoi
fedeli servitori, in modo che dimenticassero tutto e non tornassero mai più a
Mutina.
I due prigionieri Romani sottoposti all’ordalia, nonostante
le ustioni riportate durante il rito, erano probabilmente riusciti a
svignarsela a carponi durante lo scontro, e non erano più stati ritrovati, né
erano stati cercati.
Anni dopo il monaco aveva ascoltato l’ultima confessione di
Romualda, la madre che aveva perso il perfido marito, e i cui figli, cugini di
Adalberto, erano stati allontanati per sempre. Il suo cuore era a pezzi, e non
era riuscita a sopravvivere molto a lungo dopo la separazione dai bambini.
In punto di morte, chiedendo il segreto, aveva rivelato a
Rufillo che era stato Rhotar stesso a richiedere al fratello minore di
avvelenarlo, anche se non voleva che nessuno lo sapesse, poiché togliersi la
vita era qualcosa di estremamente disonorevole e vile, per un guerriero.
L’anziano Duca infatti aveva cominciato ad accusare dolori al basso ventre, e
urinava sangue.
Non voleva lasciare che la malattia incurabile lo rendesse
uno spettro vulnerabile(3), giacché aveva presto cominciato a faticare a far
ogni cosa, e logorava il suo corpo e la sua personalità. Poi, cosa avesse
spinto Wald a prenderci gusto e a giungere ad uccidere il nipote maggiore e a
tramare contro il minore, portando avanti anche pratiche inaccettabili nel
bosco, beh, questo nemmeno lei lo sapeva.
Rufillo invece capiva; era stata la sete di potere ad averlo
danneggiato per sempre. L’uomo aveva capito che uccidere un Duca non era poi
così difficile come poteva sembrare, e ci aveva preso gusto.
I rituali pagani avevano attratto poi la parte più
intransigente della fara stessa, gli arimanni che detestavano la religione dei
Romani e la denigravano.
Così, Wald
aveva scelto il proprio destino, e assieme ad esso anche un’eterna permanenza
nell’inferno.
NOTE
(1)non potevo non inserire una parte di Storia turbolenta, in
questo racconto. Ci troviamo infatti nel cosiddetto periodo di interregno(cioè
il periodo di tempo compreso tra la morte di un re e l’elezione del suo
successore). Il periodo di interregno durò dieci lunghissimi anni(574-584), a
seguito dell’assassino dapprima di Alboino, e poi di Clefi. Si tratta del primo
periodo di Storia longobarda in Italia, e fu durissimo, non solo per la
popolazione sottomessa, ma anche in generale per ogni fara e famiglia; senza
più alcuna guida, e in preda alla frenesia per la spartizione delle terre
appena conquistate, i Winnili combatterono ferocemente anche tra loro. Molti
nobili vennero assassinati, le fare si spaccavano, e a volte non mancavano eccessi
di violenza contro i locali. Stiamo rivivendo questo periodo grazie ai fervidi
ricordi del nostro coraggiosissimo Rufillo.
(2)Cosa centrano i Gepidi, in questo racconto? Per chi
conosce bene la Storia longobarda, si ricorderà senza dubbio che essi furono
tra i più grandi nemici dei Longobardi stessi.
Ai tempi dello stanziamento in Pannonia, le due popolazioni
germaniche erano in continuo alterco tra loro; eppure, entrambe rientravano
nell’orbita degli Avari, la popolazione delle steppe orientali che era riuscita
a spargere il terrore e a stanziarsi nei territori settentrionali dei Balcani.
I Longobardi, popolo originario dell’attuale Svezia, non
possedevano nulla se non ciò che si erano portati con loro dopo una lunghissima
migrazione; i Gepidi erano un po’ i tiranni della situazione. Allora, i
Longobardi provarono a combatterli(inizialmente con un minimo aiuto dei
bizantini) ma tra i due popoli non ne uscirono vincitori.
La mossa disperata dei Winnili allora fu quella di chiedere
l’aiuto degli Avari, al fine di sconfiggere per sempre gli acerrimi rivali; furono
promesse le loro terre, in caso di vittoria.
Ebbene, le forze coadiuvate di Longobardi e Avari travolsero
i Gepidi; alla fine di una rapida campagna militare, questo popolo fu spietatamente
sconfitto, e tutti gli uomini capaci di combattere furono massacrati.
Fu una vittoria molto amara, per i Longobardi, poiché il
nemico era sì stato sconfitto ed era sparito dalla faccia della Terra, ma c’era
un prezzo alto da pagare. Tutte le terre dei Gepidi divennero degli Avari, e i
Winnili si ritrovarono di nuovo senza niente ed obbligati a prestare servizio
presso i veri vincitori. Questo portò presto all’ennesima e ultima migrazione,
con l’elezione di Alboino e l’ennesimo spostamento di massa, proprio verso
l’Italia.
Del popolo dei Gepidi, erano rimasti solo vecchi, donne e
bambini piccoli; essi furono assorbiti dai Longobardi. In questo racconto,
Romualda è una discendente di questi sopravvissuti, naturalmente ormai
fortemente imparentata coi Winnili.
Lo stesso Alboino sposò la figlia del re dei Gepidi,
Rosmunda. Dopo averla rapita, ed aver partecipato alla sconfitta del padre,
decapitò l’uomo e ricavò una coppa dal suo cranio, per poi costringere la donna
a berci pubblicamente, prima di sposarla. Rosmunda però si vendicò
dell’umiliazione estrema a cui era stata sottoposta, giacché fu proprio lei ad
organizzare l’assassinio del marito, evento che genererà la situazione di
interregno che già conosciamo.
(3)per un guerriero, era grande vergogna morire nel proprio
letto, magari malato e debole, il corpo privato delle forze necessarie per
combattere o affrontare una campagna bellica. La scelta quindi di morire in
questo modo rientra un po’ in un’ottica del tempo; in un caso del genere,
essere avvelenati poteva rendere beati agli occhi del prossimo, una morte quasi
sacrificale e avvolta da un mistero che avrebbe permesso l’accesso del defunto
nel vasto(e ritenuto eterno) limbo delle leggende orali. Rothar ha preferito
che il fratello minore lo avvelenasse, piuttosto che morire “con disonore”.
NOTA DELL’AUTORE
Ancora grazie, a tutti voi ^^