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Autore: IndianaJones25    22/05/2018    7 recensioni
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il mondo - diviso in due blocchi contrapposti e invisi l’uno all’altro - ha cominciato a mutare ad una velocità sconvolgente, subendo trasformazioni impensabili fino a pochi anni prima. In questo scenario, Indiana Jones dovrà scegliere se adeguarsi ai tempi nuovi o ritirarsi per condurre un’esistenza tranquilla e lontana da tutto e tutti. Spesso, però, basta poco per ritrovare sé stessi e la propria ragione di vita…
Un breve racconto scritto in occasione del decimo anniversario dell’uscita nei cinema di “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo”, 22 maggio 2008.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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   RITORNO

   Columbus, Ohio, 1957

   Il cielo era terso e completamente sgombro da nuvole, nelle prime ore di quel pomeriggio di primavera, e la temperatura si era mantenuta mite, proprio come nei giorni precedenti. Il clima ideale per intraprendere il lungo viaggio fin nello Yucatan, dove avrebbero compiuto gli scavi preliminari che avrebbero dato avvio, nell’estate successiva, ad una vera e propria campagna di ricerche archeologiche finanziate dal Marshall College. Purché, naturalmente, Mac si sbrigasse ad uscire di casa.
   In piedi sull’asfalto che cominciava a scaldarsi sotto i raggi del sole, Indiana Jones fece passare il braccio attraverso il finestrino aperto della sua Dodge Coronet azzurra e bianca con le cromature e i copricerchi lucidi - un’auto elegantissima e lussuosa, acquistata l’anno precedente, uno dei pochi vezzi che si era voluto concedere, con la quale, messosi in strada ancora a notte fonda, era partito dalla sua casa di Bedford, nel Connecticut, per arrivare poco dopo mezzogiorno in quel ridente quartiere di casette tutte uguali e colorate del sobborgo di Columbus - e diede due colpi di clacson.
   «Mac! Insomma, muoviti!» urlò, rivolto verso l’abitazione.
   «Ancora un momento soltanto, Jonsey, sto finendo di preparare la valigia!» rispose dall’interno la voce dell’amico.
   Jones sbuffò spazientito, appoggiandosi al tettuccio nero della sua automobile. Era mezz’ora che aspettava, ed il viaggio che li attendeva non sarebbe certo stato breve: avrebbero viaggiato in automobile fino a New Orleans, in Louisiana - più di mezza giornata di strada, giusto per tenerlo a mente - e, da lì in poi, avrebbero proseguito in aeroplano sin nello Yucatan, dalla parte opposta del Golfo del Messico. Possibile che Mac non avesse ancora finito di sistemare i bagagli? Eppure, erano settimane, ormai, che quel primo sopralluogo sul possibile sito dei futuri scavi era in programma e sapeva perfettamente che sarebbe passato a prenderlo proprio a quell’ora. Da quando non erano più in servizio attivo presso i servizi segreti, quell’uomo si stava facendo di giorno in giorno più pigro e indolente; avrebbe dovuto cantargliene quattro, prima o poi.
   Intanto, dentro casa, George McHale, soprannominato Mac, era alle prese non tanto con la valigia, quanto, invece, con la propria coscienza, che gli stava cominciando a pesare addosso come un macigno.
   Che fare, infine? Accettare di vendere il vecchio amico ai sovietici, comportandosi come un verme e tradendolo dopo anni di avventure trascorse insieme, spesso salvandosi la vita a vicenda, oppure spifferargli tutto ed evitare di farlo finire in quella situazione spiacevole? Non era una scelta facile. Ma i creditori gli stavano ormai col fiato sul collo e non sarebbe di certo stato Jones a fornirgli le forti somme necessarie a saldare i debiti…
   Scuotendo la testa, sollevò la cornetta e compose il numero sulla ghiera, per fare una brevissima telefonata al colonnello Antonin Dovchenko, poche parole soltanto: «Domani mattina saremo in Messico.»
   Fuori in strada, sempre più innervosito per quell’attesa imprevista, Jones decise di leggere la corrispondenza che, la sera prima, prima di mettersi in viaggio, aveva tolto dalla cassetta della posta ed aveva infilato in tasca; non che aspettasse lettere importanti, ma sarebbe comunque stato un modo come un altro per passare il tempo in attesa che Mac si desse una buona volta una mossa.
   Si tolse le buste dalla tasca del giubbotto di pelle e se le fece scorrere tra le mani, osservandole.
   La prima che aprì conteneva un invito da parte del governo a prendere parte alla riunione in cui un solerte funzionario avrebbe istruito la cittadinanza sul modo più corretto per sopravvivere ad un attacco nucleare, nel caso l’Unione Sovietica avesse infine rotto gli indugi decidendosi a dichiarare guerra al capitalismo. Con un sogghigno ironico, Jones stracciò la lettera e la gettò sul sedile in pelle bianca della macchina: sapeva perfettamente che, se per caso una bomba atomica gli fosse scoppiata sulla testa, ci sarebbe stato ben poco da fare, altro che riunioni illustrative. In verità, un fisico che aveva preso parte al Progetto Manhattan gli aveva raccontato che, se si fosse presentata la remota possibilità di essere sopravvissuti all’esplosione, si sarebbe potuti sfuggire alla successiva ondata di radiazioni rinchiudendosi in un sarcofago di piombo. Di certo, non un ammennicolo in vendita nel supermercato Big Y del suo quartiere.
   Passò alla seconda lettera, che recava impresso lo stemma del Marshall College, la sua università, sovrastante il motto Sapientia et Lux e l’anno della fondazione, il 1772; vi era dentro un cartoncino scritto a macchina e firmato con la sottile ed elegante grafia del rettore Stanforth: il suo amico Charlie gli augurava buona fortuna per l’imminente scavo in terra messicana e si prendeva anche la libertà di rammentargli che il suo corso di archeologia sarebbe ricominciato di lì ad una settimana, per cui lo invitava caldamente a non mancare alla prima lezione. Un altro ghigno sghembo si allargò sul volto di Jones, segnato dal tempo e dalle numerose avventure: quando mai aveva mancato ad una prima lezione?
   La terza proveniva da una biblioteca newyorkese di cui non aveva alcun ricordo; incuriosito, decise di leggerla. Era una missiva davvero infuocata, Cristo! A quanto pareva, il professor Jones aveva preso a prestito un libro sulle crociate diciannove anni prima e non lo aveva mai più restituito. Quanta fretta! Alla fine il loro libro sarebbe ritornato a casa, che stessero pure tranquilli. Anche quel biglietto, insieme al cartoncino di Stanforth, andò a raggiungere l’invito del governo sul sedile.
   Il resto erano solo bollette ed opuscoli pubblicitari, come quello che reclamizzava il nuovo frigorifero della King Cool che, stando alle esagerazioni del volantino, era addirittura considerato a prova di bomba; tutta inutile cartaccia che l’archeologo appallottolò senza pensarci troppo e buttò sul sedile. Non arrivava mai nulla di interessante, per posta. Una volta suo padre gli aveva spedito un pacchetto da cui era scaturita una delle più audaci e fantastiche imprese a cui avesse mai preso parte; adesso, invece, solo promemoria, reclami, pubblicità e fatture. Possibile che nessuno gli scrivesse più della possibilità di una grande scoperta nella quale avrebbe voluto coinvolgerlo?
   Si allontanò dalla Dodge per sgranchirsi le gambe, guardandosi attorno.
   Il mondo, dopo la fine dell’ultima guerra - sperando che fosse realmente stata l’ultima - stava cambiando ad una velocità sconvolgente, catapultato verso chissà quale futuro, in una maniera tanto repentina che era quasi difficile starle al passo. La vecchia eleganza aveva ceduto il passo ad un consumismo sfrenato a cui si faticava a credere; ovunque spuntavano come funghi i drive-in, oltre a quei locali privi di qualsiasi gusto estetico in cui si servivano solamente hamburger, frappé e Coca-Cola a giovani scervellati, mentre nei grandi magazzini venivano presentati di continuo nuovi ed inutili modelli di elettrodomestici, di automobili e di televisori; addirittura, c’era anche chi si occupava di vendere case prefabbricate che, all’occorrenza, potevano essere spostate da un luogo all’altro. Un consumismo impazzito che, partendo da lì, dagli Stati Uniti d’America, era dilagato anche nell’Europa finalmente libera dai regimi totalitari, sebbene ad Est si stesse ammassando un fronte temporalesco che, se non fosse stato trattato con le dovute cure, avrebbe potuto rivelarsi anche peggiore del nazismo e del fascismo. Era un mondo nuovo, per gente nuova, dove gli uomini più anziani non avrebbero più avuto una grande parte; la vecchia guardia era una generazione che doveva ormai rassegnarsi a cedere il passo e farsi da parte.
   Dal canto suo, Indiana Jones - pur avendo qualche ruga in più a solcargli il viso ed i capelli ormai ingrigiti - non si reputava affatto vecchio, eppure non trovava più molti stimoli in ciò che faceva, perché non sentiva che ci fosse più nulla, a trattenerlo in America; dopo una vita trascorsa a combattere ed a battersi nel nome della libertà e della giustizia, era divenuto una specie di relitto, che non poteva avere più alcuna parte in questo mondo nuovo, segnato da una falsa sensazione di libertà ed oppresso dalla presenza costante di missili e bombe che, in un attimo solo, in un solo istante terribile, avrebbero potuto cancellare l’umanità e tutte le sue opere.
   E nessuno, in effetti, da ormai qualche anno si dava più la pena di rivolgersi a lui per essere aiutato in chissà quale impresa al limite della follia. Si sentiva sorpassato, inutile, senza più uno scopo nella vita. Che cosa poteva fare, ancora? Come archeologo credeva di avere ormai dato tutto. Una famiglia non l’aveva, non era mai riuscito a stabilire una relazione stabile con una  donna - anche se, in verità, c’erano stati un paio di momenti in cui era andato molto vicino a farlo - figurarsi, quindi, a generare dei figli. Con moglie e figli sarebbe stato tutto molto diverso, ma così… Anche coloro che costituivano i suoi ultimi affetti in quei luoghi - Marcus Brody e suo padre - se ne erano ormai andati per sempre, lasciandogli addosso uno sconfortante senso di solitudine che non aveva mai provato prima.
   Forse, avrebbe dovuto cercare il suo destino altrove, per esempio in Europa.
   Il suo amico Heinrich, a cui tempo prima aveva fatto un favore non da poco, gli aveva più volte detto che si sarebbe sdebitato volentieri facendogli ottenere un buon posto da docente nella prestigiosa Università di Lipsia, in Sassonia. Sarebbe stata una cosa ben strana, dopo quarant’anni trascorsi a combattere quasi senza sosta contro i tedeschi - prima le truppe del Kaiser, poi quelle di Hitler - entrare in una Germania pacificata e serena, anche se divisa in due blocchi contrapposti, al centro della cortina di ferro. Lipsia, poi, avrebbe significato Repubblica Democratica di Germania, quella aderente al Patto di Varsavia: sarebbe riuscito a vivere, proprio lui, conservatore e repubblicano, in uno stato improntato al comunismo? Fino ad un paio d’anni prima, aveva saltuariamente servito come spia al soldo del governo americano, per scoprire che cosa combinassero i sovietici e gli altri comunisti sparsi nel mondo: era stato più volte in Russia, in Cina, in Corea del Nord, nel Vietnam, e non gli era piaciuto poi tanto ciò che aveva visto. La Germania, tuttavia, rimaneva pur sempre la Germania, non era l’Unione Sovietica, pur essendo praticamente dipendente da essa.
   Il comunismo ottenebrante contrapposto al consumismo dilagante, l’era atomica, la Guerra Fredda… per non parlare, poi, della psicosi collettiva che sembrava essersi impadronita dei suoi contemporanei che, ogni volta che avevano l’occasione di alzare gli occhi al cielo, vi vedevano sfrecciare un disco volante - una pazzia scaturita da quella sciocca bufala dell’incidente di Roswell, nel New Mexico, come se gente che non sapeva nulla di quella faccenda potesse spiegare ciò che neppure lui, condotto sul luogo degli eventi da alcuni militari, aveva saputo identificare di preciso. Quel che era peggio, poi, era l’isteria che si era impadronita anche delle migliori menti, inducendole a vedere ovunque complotti e tradimenti; non passava giorno senza che giungessero notizie di arresti arbitrari di presunte spie sovietiche da parte di agenti federali, oppure senza che si sentisse che, da qualche parte, fosse stata organizzata una manifestazione al grido di “Meglio morti che rossi!”. La pazzia serpeggiava ovunque e non risparmiava nessuno: artisti, musicisti, registi, attori, militari, politici, semplici cittadini che, per un nonnulla, venivano incarcerati e, in alcuni casi, persino condotti alla sedia elettrica. Per il momento gli accademici sembravano non essere ancora stati colpiti da certe cose, ma qualora fosse successo… meglio non pensarci, per adesso.
   Che razza di mondo! Non era più quello in cui era nato e cresciuto, quello in cui aveva trascorso i migliori anni della sua vita. Era tutto così differente, invece, così diverso, al punto da non riconoscersi più in nulla. Forse, dal momento che non poteva tornare giovane e rivivere gli anni difficili ma divertenti e indimenticabili dei decenni passati, avrebbe fatto davvero meglio a lasciarsi alle spalle tutto - gli Stati Uniti, lo spionaggio, la frusta, lo stesso Indiana Jones - per trasferirsi in Germania come un qualsiasi e bonario Henry Jones, jr. e trascorrere gli anni che gli sarebbero rimasti come un anonimo docente, vecchio e senza null’altro a cui pensare che non fosse la propria materia d’insegnamento.
   Ci avrebbe pensato a tempo debito, però. Non se la sentiva ancora di mollare tutto perché, per quanto quel mondo non fosse più esattamente il suo mondo, a conti fatti ne avrebbe di sicuro provato nostalgia. Per il momento, dunque, si sarebbe accontentato di continuare a lavorare per il Marshall College - l’ovile in cui aveva fatto ritorno una decina di anni prima, dopo che il suo contratto presso il Barnett College di New York non era stato rinnovato a causa delle sue frequenti e ripetute assenze - e di condurre quella ricerca nello Yucatan. Meglio concentrarsi sul presente, per adesso, senza scervellarsi troppo riguardo al futuro.
   Sempre, beninteso, che Mac si sbrigasse, una volta per tutte.
   «Insomma, andiamo o no?!» gridò, avviandosi a grandi passi lungo il vialetto. «Non te lo ripeto più! Se non sei fuori da quella porta entro mezzo minuto, giuro che vengo a prenderti e ti chiudo nel bagagliaio fino a destinazione!»
   In quel preciso momento, Mac apparve sulla soglia, sorridendo sotto i baffetti sottili e tenendo in mano una pesante sacca da viaggio.
   «Non c’è bisogno di scaldarsi tanto, Jonsey, specialmente alla tua età!» esclamò allegramente, chiudendo la porta e raggiungendolo. «Poi quelle rovine che dobbiamo metterci a scavare sono sepolte da centinaia di anni, cosa vuoi che sia, per loro, restare sotto terra qualche oretta di più?»
   «Andiamo» brontolò Jones, tornando verso la Dodge.
   Prima di mettersi al voltante, tolse tutta quell’inutile ammasso di carta dal sedile e lo buttò su quello posteriore. Gli diede un’ultima rapida occhiata, senza neppure poter immaginare che, solamente pochi giorni più tardi, un bullo in motocicletta gli avrebbe consegnato un’altra lettera che, questa volta, avrebbe fatto la differenza. Una lettera che - grazie all’involontario aiuto di alcuni agenti del KGB - gli avrebbe fatto del tutto scordare la Germania nonché la sua presunta inadeguatezza, regalandogli un’inaspettata nuova occasione di riscatto e di vita, facendogli scoprire di avere ancora qualcosa, qualcosa di veramente molto importante, per cui combattere ed andare avanti. Avrebbe ritrovato, in maniera totale, la propria giovinezza e, con essa, la voglia di rimettersi completamente in gioco, anche in quel mondo in cui stentava a riconoscersi.
   Dopo anni passati quasi in silenzio, Indiana Jones sarebbe ritornato.

 [scritto: gennaio - maggio 2018]
   
 
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