Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: _Agrifoglio_    23/05/2018    18 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Crescere
 
André si svegliò alle dieci del mattino, con la testa appesantita dai fumi residui della sbornia notturna e con la nuca ancora dolorante per il colpo ricevuto. Il malvivente che lo aveva percosso, per fortuna, non aveva ecceduto in violenza e, a parte un bernoccolo, il giovane non aveva riportato ulteriori conseguenze.
Guardatosi allo specchio, notò un gran pallore e profonde occhiaie e ciò lo indusse a rinfrescarsi il volto con dell’acqua attinta dal lavabo, allo scopo di recuperare un po’ di colorito. Dopo avere provveduto alla propria igiene personale ed essersi abbigliato, scese in giardino, in un punto che sapeva essere poco frequentato a quell’ora del giorno.
Seduto su una panchina di pietra e fissato lo sguardo sulle siepi antistanti, la mente di lui iniziò a vagare negli infiniti spazi dell’anima.
Oscar era perduta e, anzi, non gli era mai appartenuta.
Soltanto l’ostinazione mista ad autolesionismo che lo aveva sempre contraddistinto lo aveva spinto a perseverare in un inseguimento senza speranza. Era la stessa ostinazione mista ad autolesionismo che gli aveva impedito di lasciare le briglie del cavallo della Principessa e che lo aveva indotto a togliersi le bende per mettersi alla caccia del cavaliere nero, andando incontro a una cecità quasi sicura, senza investire della questione il Generale, Girodel o chiunque altro e senza vagliare soluzioni alternative, nella presunzione di essere l’unico individuo in grado di salvare Oscar.
Sin da bambino, aveva posto Oscar al centro di ogni suo pensiero, ne aveva fatto materia di una crescente passione, sfociata, a tratti, in un’ossessione.
Rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età – una polmonite se li era portati via nel giro di pochi giorni – soltanto la permanenza a Palazzo Jarjayes e la vicinanza di Oscar lo avevano salvato dal gorgo di dolore che lo stava risucchiando. La nonna, il Generale, Madame e, soprattutto, Oscar erano diventati, per lui, una seconda famiglia, l’unica che gli fosse rimasta. Si era subito affezionato a quel musetto impertinente e altero, a quello spirito libero e prepotente, ma anche molto affettuoso e leale. In poco tempo, si era trovato nella condizione di non poterne più fare a meno.
Cresciuto a metà strada fra i nobili e i popolani e non accettato pienamente dagli uni e dagli altri, aveva presto compreso che Oscar, seppure per motivazioni differenti, era l’unica a condividere con lui una condizione di ibrido e la sola in cui potesse, in qualche modo, rispecchiarsi.
Il sentimento totalizzante che aveva sempre provato per lei non gli aveva fatto prendere in considerazione scelte alternative allo starle accanto. Se avesse chiesto al Generale di farlo proseguire negli studi o di farlo entrare in seminario, difficilmente avrebbe ricevuto da lui un diniego. Una simile decisione, però, lo avrebbe allontanato da Oscar senza, peraltro, conferirgli una posizione sufficientemente elevata da renderlo degno di lei. Nessuna collocazione nel mondo, del resto, gli sarebbe mai calzata a pennello, perché ben pochi erano gli individui che avevano beneficiato di un’educazione da gentiluomini pur essendo nati popolani. Nessuna moglie, nobile o plebea, sarebbe stata, per lui, un adeguato completamento. Nessun amico, nobile o plebeo, avrebbe mai condiviso con lui speranze, problemi e ideali. Il grande dolore subito in tenera età, oltretutto, lo aveva reso insicuro del domani e poco attaccato alle cose terrene. Che senso avrebbe avuto acquistare una casa che un terremoto avrebbe potuto distruggere o costruirsi una famiglia che un’epidemia avrebbe potuto annientare? Se avesse voluto veramente una moglie e dei figli, avrebbe perseguito l’obiettivo con la testardaggine che lo aveva sempre caratterizzato, ponendo fine, per tempo, a una passione senza futuro, ma perché privarsi della genuinità e della bellezza di un sentimento nobile e puro? Per rincorrere una vita vera che, da un momento all’altro, avrebbe potuto disarcionarlo e gettarlo a terra, con le ossa rotte e l’anima a pezzi? Si era trovato, pertanto, senza neanche rendersene conto, a superare il punto di non ritorno, rimanendo invischiato, per sempre, in una passione che era diventata una benedizione e una maledizione, tormento ed estasi.
L’incidente equestre occorso, tanti anni prima, alla Principessa aveva impresso un’importante svolta all’esistenza di lui. Il periodo in cui era capitato – particolarmente travagliato, perché funestato dalla gelosia per il legame amicale che si era instaurato fra Oscar e Maria Antonietta e dalla consapevolezza che, finiti i tempi dell’infanzia, la divaricazione dei ruoli sarebbe inesorabilmente cresciuta senza mai arrestarsi – era stato scandito da incubi ricorrenti e da fastidiose paranoie che avevano avuto per protagonista una Oscar ormai proiettata verso una brillante carriera, completamente dedita alla nuova amica e non più interessata a colui che sarebbe rimasto, per sempre, un semplice attendente. Quando la Principessa era stata riportata esanime alla reggia e un nugolo di cortigiani era volato negli appartamenti di lei per conoscerne le sorti, per un fugace e terribile istante, si era trovato a pensare che, se ella fosse morta, Oscar sarebbe stata, finalmente, di nuovo tutta per lui. Si era subito riscosso da quell’abominevole pensiero e ne aveva provato un tale orrore che, quando, subito dopo, le Guardie Reali lo avevano trascinato davanti al Re per rispondere del crimine di attentato alla vita di un membro della famiglia reale, quasi aveva pensato di meritare ciò che gli stava capitando, quale giusta punizione della propria crudeltà. In quell’occasione, Oscar ne aveva preso le difese, offrendosi di salire sul patibolo al posto di lui ed egli si era sentito, da un lato, sollevato per l’infondatezza dei propri sospetti, ma, dall’altro, ancora più meschino e indegno. Da quel giorno, era iniziata la crescente passione di Oscar per il Conte di Fersen ed egli, col senno di poi, aveva, a volte, pensato a una sorta di castigo divino per avere augurato la morte alla Principessa. A causa dell’ingente perdita di sangue, Oscar aveva perso i sensi subito dopo che il Re era uscito dalla sala del trono e le riserve sulla sopravvivenza della giovane erano state sciolte al termine di molte ore di attesa che avevano gettato tutti nella costernazione. Dopo che Oscar si era ripresa, a conclusione di quella terribile avventura, egli aveva giurato solennemente che, se fosse stato necessario, un giorno, avrebbe dato la sua vita in cambio di quella di lei. Quella maledetta mattina di pochi giorni addietro, invece, era stato proprio lui che, per incoscienza e superficialità, ostinandosi a dissimulare la propria menomazione per finalità esclusivamente egoistiche, aveva esposto Oscar all’attacco dei sicari.
André si prese la testa fra le mani e la strinse più che potè, pensando ai due grandi ostacoli che lo separavano da Oscar: l’abisso sociale e la fiera, feroce e ferma determinazione di lei di tendere, con ogni fibra del proprio essere, a un modello etico irraggiungibile perché ultra umano.
Il divario di censo e di rango li separava come l’oceano divideva l’Europa dal nuovo mondo ed egli, a dispetto della spavalderia che, il giorno prima, aveva ostentato di fronte al Generale, ne era sempre stato pienamente consapevole. Un divieto matrimoniale fra nobili e plebei non esisteva, ma la differenza di classi fra nubendi, di solito, era superata soltanto quando la convenienza lo rendeva opportuno e, infatti, l’ex fidanzato della sorella di Alain, un nobile povero, si era risolto a lasciare la giovane Diane per contrarre matrimonio con una ricca borghese. I nobili non erano tutti uguali, essendoci quelli ancora ricchi e quelli ormai decaduti, quelli in possesso di un titolo elevato e quelli che erano soltanto signori di qualche terra, quelli di provincia e quelli vicini al Re. La famiglia Jarjayes avrebbe potuto essere comitale e povera; comitale e di medie sostanze; comitale, ricca e di provincia; comitale, ricca, parigina e priva di buone conoscenze. Nella realtà, invece, la famiglia Jarjayes era comitale, ricchissima ed estremamente vicina alla Corona. Era, cioè, collocata al vertice della società e totalmente agli antipodi rispetto a lui che, invece, neppure era un borghese, ma un semplice popolano, figlio di due poveri contadini che lo avevano lasciato orfano e solo in tenera età. Neanche un nobile decaduto e di provincia avrebbe trovato conveniente e onorevole un’unione con lui, figurarsi la famiglia Jarjayes!
La verità era che non aveva granché da offrire a Oscar e ciò non era colpa di lui, di lei, del Generale, di Madame, del Re, della Regina, del Primo, del Secondo o del Terzo Stato. Era così e basta.
Ripensò alle diverse fasi della sua vita in cui era progressivamente maturata in lui la consapevolezza del proprio posto nel mondo.
A Palazzo Jarjayes, ognuno aveva il proprio ruolo e nessuno era disprezzato o trattato con sussiego. Nessuno dei servitori avrebbe messo in discussione l’autorità dei padroni e nessuno dei padroni avrebbe abusato della propria posizione per avvilire o mortificare un servitore. Ogni membro della servitù riceveva la giusta considerazione per il lavoro svolto, encomi o biasimi a seconda del merito o del demerito. La confidenza, l’insolenza, la prevaricazione, la promiscuità, la disonestà erano bandite e tutto si svolgeva in un clima di austera sobrietà. Poi, c’erano lui e la nonna che godevano di un trattamento privilegiato, beneficiando di una maggiore familiarità. Soprattutto lui, che era cresciuto a mezza strada fra il piano nobile e l’ala della servitù, era un fedele amico per Oscar e un pupillo per il Generale che lo trattava bonariamente e non disdegnava di ricercarne il consiglio, soprattutto quando si trattava di interpretare i comportamenti della figlia.
A Palazzo Jarjayes, egli aveva acquisito, senza traumi, la consapevolezza delle differenze di censo e di rango, come normale declinazione di un più esteso ordine naturale. Si era sentito parte di un ingranaggio. Si era sentito un lavoratore.
A Versailles, le cose erano mutate. A Versailles, i ruoli si erano definiti e le differenze si erano accentuate. A Versailles, poteva parlare soltanto se interpellato, non poteva contraddire pubblicamente Oscar e doveva camminarle sempre un passo indietro.
Fuoriuscito dal consueto ambiente familiare, aveva appreso che il mondo adulto era tutt’altro che benevolo, soprattutto con chi non aveva la forza e lo spessore per far volgere le cose a proprio favore. Aveva appreso che i meriti individuali contano poco o nulla, se non sono supportati da un sostegno più concreto, soprattutto in una società statica e poco propensa alla valorizzazione dell’individuo. Aveva appreso che i discorsi, i ragionamenti, i pensieri e finanche le facezie di un Duca d’Orléans o di un Duca di Germain valevano infinitamente più di quelli di un uomo come lui. Aveva appreso che la vita di un uomo qualsiasi era costantemente appesa a un filo e che, nel convergere di una serie di circostanze estremamente sfavorevoli, sarebbe potuta valere quanto quella di un lombrico.
Un episodio gli aveva chiarito molte cose, a poche settimane dall’assunzione del grado di Capitano da parte di Oscar. Una mattina, mentre aspettava che Oscar finisse di conferire con i suoi superiori, si era imbattuto in un gruppo di cortigiani che discutevano fra di loro, chiedendosi chi fosse la donna filosofo pagana linciata da un gruppo di fanatici cristiani. Uno di loro, sbagliando personaggio, epoca storica e disciplina coltivata, aveva affermato trattarsi di Saffo. Un altro, attingendo direttamente alla mitologia e tirando a indovinare, aveva citato Cassandra.
Egli, avvicinandosi al gruppo e pensando di rendersi utile, come, a volte, gli era accaduto a Palazzo Jarjayes, quando il Generale lo aveva interpellato su qualcosa, aveva detto che il personaggio in questione era Ipazia di Alessandria.
Sulla piccola comitiva, era sceso un repentino silenzio, rotto, qualche istante dopo, da una frase pronunciata, con tono paternalistico e, al contempo, brillante, da uno dei cortigiani:
– Com’è perspicace cet jeune homme!
Erano seguite delle lievi risate di circostanza e, subito dopo, il gruppo si era allontanato.
Aveva capito molto presto che, a Versailles, la spontaneità doveva essere messa al bando e che i peccati d’ingenuità sarebbero stati quelli più difficili da perdonare. Non ci si poteva aggirare per il mondo e, soprattutto, per il bel mondo facendo le stesse cose e assumendo gli stessi atteggiamenti tenuti in ambienti più conosciuti e familiari.
Era a Versailles che aveva compreso l’autentico significato della parola “servo”.
Erano, poi, seguite l’età adulta e la presa di coscienza che c’era qualcosa di dissonante nel mondo in cui viveva, fratturato fra il lusso di pochi individui e la straziante miseria di una vasta pletora di persone lacere, grigie, anonime e sempre più inquiete. Si era imbattuto, quasi per caso, nelle riunioni di intellettuali che si svolgevano in una chiesetta di campagna, dove erano evidenziati i maggiori problemi della società, quali la concentrazione di gran parte delle ricchezze in mano a poche famiglie che erano, poi, le uniche a non pagare le tasse se non sotto forma di decima alla Chiesa e la preclusione delle cariche più importanti, fossero esse ecclesiastiche, militari, giudiziarie o amministrative, a chi non appartenesse da più generazioni alla nobiltà. Queste riunioni gli erano apparse, ben presto, alquanto velleitarie, perché molti partecipanti avevano un’idea assai vaga e quasi sentimentale del mondo che avrebbero voluto in sostituzione di quello esistente e scarsissime soluzioni su come attuarlo in concreto. Le proposte, in realtà, non mancavano, ma raramente convergevano, spaziando dalla persuasione inculcata tramite la cultura al colpo di stato. Di concretezza, invece, ve n’era ben poca. Soprattutto, aveva dovuto ammettere con se stesso, seppure a malincuore, che qualunque cambiamento legislativo ci fosse stato, avrebbe dovuto fare i conti con la mentalità degli individui che necessita dell’avvicendarsi delle generazioni per mutare e con le condizioni socio economiche, perché si possono possedere, in astratto, tutti i diritti, ma, poi, occorrono i mezzi economici e la preparazione culturale per farli valere. Aveva dovuto ammettere che qualunque idea politica gli si fosse insinuata nella mente avrebbe dovuto misurarsi con la scissione su cui aveva costruito la propria vita: origini plebee perse nell’infanzia remota ed educazione gentilizia ricevuta; provenienza da una classe sociale di cui aveva un’idea tutto sommato vaga e debito di riconoscenza verso chi lo aveva accolto; malessere e amore. Con il popolo condivideva la nascita e le limitazioni, ma non le esperienze, le privazioni, il modo di vivere e la disperazione, perché un conto è provare indignazione per la vista della povertà e un altro è viverla sulla propria pelle. La lacerazione interiore di cui era vittima non gli avrebbe fatto assumere alcuna posizione netta e definita. Era né carne né pesce. Aveva dovuto ammettere, in special modo, che ogni idea politica da lui vagheggiata ruotava intorno a un solo motore immobile: Oscar. Ogni auspicato cambiamento sociale era incentrato sul desiderio che aveva di sposarla anche se gli doleva constatare che un divieto legale di matrimonio fra persone appartenenti a classi sociali diverse era raramente esistito nella storia e che l’ostacolo principale era e sarebbe sempre stato di ordine pratico. Come potrebbe un uomo povero sposare una donna ricca senza trascinarla in miseria e senza esporla alla perdita di prestigio e, peggio ancora, al ridicolo? Mai avrebbe voluto che a Oscar succedesse questo. Oscar andava protetta non soltanto da aggressioni e imboscate, ma soprattutto dalla passione di lui e dalle conseguenze negative di una mésalliance. L’amore dà e non toglie. L’amore si sacrifica e non possiede. L’amore pospone se stesso al bene dell’altro. Diversamente, sarebbe passione egoistica, desiderio di prendere, fame di affermazione personale, strumentalizzazione dell’altro che diventerebbe un oggetto, un trofeo, uno specchio della propria vanità. No, non voleva questo per Oscar!
Oh, Oscar, vorrei afferrare le stelle del cielo e incastonarle in una corona con cui cingerti il capo! Vorrei intrecciare fili di seta bianchissimi e tesserti una veste degna di una regina! Vorrei raccogliere le gemme della terra e le perle del mare e fartene dono! Ma le mie mani sono vuote e il solo cuore non può bastare.
Ripensò, poi, all’ostinazione di Oscar di vivere come un uomo e, anzi, come un semidio. Si trattava di un’idea inculcatale, sin dalla primissima infanzia, dal padre e da lei fatta propria con entusiasmo, dopo che aveva intuito la libertà e l’autorevolezza che ne sarebbero derivate. Tale forma mentis le avrebbe reso inimmaginabile adattarsi alla condizione femminile, da lei considerata sorgente di debolezza e a un legame matrimoniale, ritenuto l’antitesi della libertà e della dignità. Un sentimento d’amore, autentico e concreto e non idealizzato e angelicato, per Oscar sarebbe stato una fonte di distrazione dai propri doveri e una causa di inebetimento.
Ripensò a come era finito dall’essere l’ombra devota della donna che amava all’autore di un odioso tentativo di violenza ai danni di lei.
Ripensò alle parole di sua nonna e a quel qualcosa di eccessivo e di pericoloso che ella aveva sempre notato fra loro due.
Effettivamente, sin dalla primissima adolescenza, il profondo attaccamento che li aveva uniti nell’infanzia si era tramutato in un’attrazione selvaggia e viscerale e tutti i duelli, le scazzottate e gli accesi confronti verbali che li avevano visti protagonisti ne erano stati una tangibile testimonianza. Dai loro duelli e dalle loro liti adolescenziali, si sprigionavano una tensione sessuale e un’attrazione spirituale e fisica scaturite dall’inconscio e non mediate dall’intelletto e, proprio per questo, impossibili da dissimulare.
Il risveglio della sessualità, l’attrazione, la possessività, la gelosia e il desiderio di avere Oscar tutta per sé, senza subire la fastidiosa interferenza della Principessa, di Fersen e dei cortigiani tutti, lo avevano tormentato, ma il grande bagaglio di valori, di precetti, di senso dell’onore, del dovere e della disciplina che aveva appreso dal Generale e dalla stessa Oscar erano prevalsi ed egli era diventato un campione di autocontrollo e di rigore intellettuale e morale. Gli impulsi, le passioni, gli slanci egoistici o soltanto sconvenienti erano stati rimossi dalla sfera cosciente e costantemente tenuti sotto controllo dal senso morale. Essi, di tanto in tanto, riaffioravano dall’inconscio, sotto forma di incubi o di attacchi di gelosia, ma riusciva a tenerli a bada. Aveva preso l’aggressività e la pulsione sessuale e le aveva sublimate nella cura costante, meticolosa e quasi ossessiva di Oscar. Si era appropriato dell’energia scaturente dalla sessualità e dall’aggressività e, lasciandone invariati l’impeto, l’intensità e la funzione creatrice, ne aveva cambiato la meta, convogliandola verso la protezione di colei che amava, diventando un attendente perfetto e inappuntabile. Tutto ciò, probabilmente, gli sarebbe bastato per l’intera vita, nella consapevolezza di non potere pretendere di più e che qualunque legame fra lui e Oscar avrebbe danneggiato lei e la famiglia Jarjayes che tanto bene aveva fatto a lui.
Poi, si era messa di mezzo la passione di Oscar per Fersen che, seppure priva di ogni effettiva possibilità di concretizzarsi, lo aveva fatto soffrire, ma tutto ciò non aveva scalfito la struttura morale che si era creato né aveva interferito con la canalizzazione di tutte le energie e di tutti gli impulsi nella cura di Oscar.
In quella brutta sera che tornava a tormentarlo di frequente sotto forma di incubo, però, Oscar lo aveva brutalmente congedato, definendolo superfluo e indesiderato e sottolineando il tutto con sguardi furenti, toni di voce concitati, schiaffi e domande inquisitorie e incalzanti, seguite ad alcune frasi di lui che, col senno di poi, riconosceva essere state inopportune ed evitabili. L’aggressività e la pulsione sessuale, per anni convogliate nella cura di Oscar, si erano, nel giro di pochi istanti, ritrovate adespote e prive di meta, gli argini si erano rotti e il fiume era esondato, tramutandosi in furia, frustrazione, tempesta devastatrice ed energia distruttiva. Tutte le pulsioni rimosse e relegate, per anni, nell’inconscio avevano ricevuto la stura e si erano scatenate. Si era ritrovato, senza neanche capire come, con le proprie labbra ansanti e roventi sopra quelle di lei e con un lembo della camicia di Oscar fra le mani, a rimirare la spalla nuda della sua amata e il volto di lei allucinato e carico di costernazione. Si era trattato di pochi attimi, sufficienti a rovinare un’amicizia e a minare un rapporto di reciproca fiducia, dopo i quali la morale e il senso del dovere e dell’onore avevano ripreso il sopravvento, ricacciando negli abissi il selvaggio e riportando in superficie l’uomo. Era tornato al suo ruolo di ombra, di fido servitore, amico e consigliere e aveva ripreso a incanalare la pulsione sessuale e l’aggressività nell’adempimento della propria missione, sublimandole nella devozione a Oscar.
Erano iniziati un inseguimento senza sosta e una lotta senza quartiere contro il rifiuto di lei, culminati in quella maledetta giornata di maggio in cui la cecità che incombeva su di lui era stata sul punto di mettere a repentaglio l’incolumità della compagnia, la vita di Oscar e di un Imperatore e la pace fra due nazioni.
Era stato allontanato, questa volta definitivamente e l’aggressività e la pulsione sessuale si erano trovate nuovamente acefale, senza la possibilità di sublimarle in qualcosa di superiore, essendo rimaste prive di meta. Non erano seguiti altri scatti d’ira, ma uno strisciante istinto di autodistruzione si era impadronito di lui, soggiogandolo, stordendolo e portandolo a ubriacarsi e a ridursi alla stregua di quel vagabondo demente che tanto aveva addolorato la nonna.
André si strinse ancora di più la testa fra le mani, per, poi, serrarle a pugno, così da racchiudere, nella stretta, alcune ciocche di capelli neri.
Si era crogiolato in un sogno, aveva rimuginato su Oscar e su ciò che provava per lei e, così facendo, l’idea era diventata chiodo fisso, l’inclinazione era sfociata nel sentimento e l’affezione si era tramutata in passione. Aveva trasformato un lavoro in un sacerdozio e la sua padrona nell’amore di tutta una vita senza che nessuno lo avesse mai illuso sui possibili esiti di tale cieca abnegazione. L’amore che provava per Oscar era diventato, a tratti, molto possessivo, al punto da indurlo a seguirla ovunque, nella convinzione che lei non potesse farcela senza di lui e che lui sapesse scegliere meglio di lei. La percezione che aveva di se stesso, adesso, era quella di un uomo prostrato e sconfitto che si trovava con un pugno di mosche in mano. Desiderare troppo è come non desiderare affatto e prefiggersi degli obiettivi eccessivamente elevati è il miglior modo per non concretizzarne alcuno. Finalmente, lo aveva capito. Aveva anche smarrito il senso della misura e delle priorità, struggendosi per un dolore morale quando materialmente aveva tutto mentre gli ex commilitoni di lui e i figli del popolo si dimenavano nella miseria, impossibilitati a mettere insieme il pranzo con la cena e a curare i propri cari. Aveva osato criticare la frivolezza della Regina, ma lui era stato altrettanto cieco ed egoista!
Ripensò alle accuse di sua nonna che lo aveva trattato come un flaccido smidollato che aspira alla luna senza essere in grado di calzarsi le scarpe. Ripensò alle giuste osservazioni di lei che dubitava di come avrebbe potuto reggere il timone di una famiglia, provvedere alle cure parentali e fronteggiare i dolori che la vita, da sempre, dissemina sul cammino di ogni vivente, se soltanto si ubriacava per un amore impossibile. Gli risuonò nelle orecchie il grido di lei: “Cresci, André! Cresci! Cresci! Cresci!”.
Pensò che, in quei terribili giorni, aveva toccato il fondo e che, dopo, non gli sarebbe rimasto altro da fare che risalire.
Oscar, non posso essere il compagno che meriti, perché io non ho niente mentre per te voglio tutto…. Devo lasciarti vivere la tua vita, devo farti fare le tue scelte…. Devo capire chi sono, cosa voglio e dove desidero andare…. Devo crescere….
 
********
 
Oscar cavalcava per i sentieri boscosi della tenuta Jarjayes. Le dolci pendenze del paesaggio agreste e la brezza che le scompigliava i capelli le ricordavano il tempo dell’infanzia e dell’adolescenza, quando le uniche occupazioni che la riguardavano erano lo studio, gli allenamenti e, poi, correre, giocare e cavalcare per quei sentieri….
Gli alberi di ciliegio, nell’ultima settimana di maggio, avevano ormai perso i loro petali rosa pallido che erano planati a terra, dove avevano formato un delicato e soffice tappeto, prima di essere spazzati via, chi sa dove, dal vento. Le foglie lanceolate avevano assunto un colore rosso bruno così scuro da rasentare il marrone violaceo.
Oscar guardava ciò che la circondava, ma il risveglio della natura, in quello scorcio di primavera inoltrata, non riusciva a rasserenarle l’animo come accadeva in passato.
Troppi erano i pensieri che le ingombravano la mente senza trovarvi una giusta collocazione o una via d’uscita.
Il padre…. Aveva ripudiato la natura femminile di lei, ne aveva salutato la nascita con un urlo di disappunto, quasi fosse stata una sciagura…. Le aveva fatto iniziare la vita con un rifiuto…. Aveva davvero agito per compiacerlo? Si era sottomessa a un’imposizione per il bene del casato o, fingendo di ottemperare, aveva semplicemente assecondato la propria natura selvaggia, indomita, affamata di libertà e atterrita dai vincoli? Non aveva indossato quell’uniforme per suo padre…. Quell’uniforme l’aveva protetta dalle limitazioni del proprio sesso e dalle angherie del mondo, conferendole uno stato libero e onorato, ma l’aveva anche resa diversa da tutte le altre creature. Molto aveva dato e molto aveva preso…. Un vero patto col diavolo…. Nonostante tutto, mille volte fosse rinata, mille volte avrebbe rifatto la stessa grande scelta. Non si può avere tutto, ma è ineluttabile tendere con ogni fibra del proprio essere e con ogni anelito di vita a ciò che dà significato e pienezza al proprio spirito.
Arrivata in prossimità del laghetto, scese da cavallo, strinse una foglia fra le dita, facendo flettere leggermente il ramo cui era attaccata e, poi, lasciò la presa.
Fersen…. Non poteva ricambiarla né, tantomeno, vedere in lei una donna…. Cosa provava per lui? Lo aveva desiderato per gran parte della vita, malgrado fosse il segreto amore e l’unico raggio di sole di quella Regina, di quell’amica alla quale aveva giurato fedeltà e obbedienza. Con un angolo del cuore aveva giurato e con l’altro aveva tradito. Cosa provava per lui? Quali erano la profondità e la radice di quel sentimento? Cosa li univa? Cosa li accomunava? Cosa avrebbe potuto tenerli insieme? Sognare è bello, ma vivere è un’altra cosa. Avrebbe davvero sacrificato tutto e cambiato radicalmente ogni cosa di sé per quell’uomo?
Si avvicinò al lago e attinse dell’acqua per rinfrescarsi il viso. Il cavallo, che si stava abbeverando, avvicinò la sua testa al volto di lei, sfiorandolo delicatamente e annusandolo ed ella, di rimando, gli accarezzò amorevolmente il muso.
Girodel…. Non poteva assolutamente ricambiarlo…. Era stata di un’inurbanità agghiacciante con lui, reo del solo crimine di averla trovata amabile e degna al punto di volerne fare la propria consorte. Non poteva sposare un uomo che aveva sempre comandato…. Non poteva sposare un uomo che la trovava tanto meritevole…. Non poteva sposare un uomo che l’aveva vista tanto donna…. Non poteva sposare un uomo tanto educato…. Non poteva sposare un uomo tanto ragionevole e assennato…. Non poteva sposarsi e basta…. Libera, indipendente, orgogliosa, fiera, impetuosa come il vento e sfuggente come l’acqua, forte come agosto e imprevedibile come marzo…. Era così che si vedeva e che voleva essere….
Si sdraiò sull’erba, con le braccia incrociate sotto la testa, a scrutare il cielo attraverso le fronde.
André…. Non poteva assolutamente ricambiarlo…. La quadratura del cerchio perfetta…. Il perfetto amico, il perfetto fratello, il perfetto consigliere, il perfetto attendente…. All’occorrenza, se ne usciva sempre con un consiglio, con un sorriso, con una battuta di spirito, con un vassoio colmo di pasticcini e di cioccolata, con un mantello e senza mai chiedere alcunché e senza essere troppo invadente…. Troppo perfetto…. Non si era mai chiesta perché non si fosse mai sposato, non l’aveva insospettita l’indefessa devozione che le tributava…. L’ombra inseparabile, amica e ristoratrice…. Il conforto, l’ascolto, l’appiglio onnipresente…. La salvava dai guai, ne mitigava le intemperanze, trovava sempre il modo per rasserenarla…. La perfetta quadratura del cerchio…. Non le era mai convenuto porsi delle domande alle quali far seguire delle scomode e inaccettabili risposte…. Molto meglio andare avanti così, all’infinito…. I segreti, però, li sapeva tenere bene…. Troppo bene…. Finché la calma si era tramutata in furia, la pazienza in collera e la devozione in distruzione…. I consigli di lui, adesso, non erano più i bene accetti…. Da quando aveva iniziato a parlare di rose e di lillà e lei si era accorta che i discorsi floreali non l’aggradavano affatto…. Da quando era diventato elemento di conflitto e non di composizione…. Finché le avevano fatto comodo, però, i consigli di lui erano stati i bene accetti….
Oscar si riscosse e si mise in piedi, con un movimento repentino, agile e stizzito.
Oscar, basta, non è bene indugiare in questi pensieri!
Montò, quindi, a cavallo, spronandolo verso casa.
Sono io meritevole d’amore?
   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: _Agrifoglio_