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Autore: Emmastory    25/05/2018    3 recensioni
Tutto ha inizio nella vasta e verde foresta vicina ad un villaggio di umani dove la quiete regna sovrana. Il mondo magico e quello dei mortali coesistono perfettamente, e pare che fra i due non ci sia mai stato il caos. Kaleia è giovane, e fa parte del primo. Abituata a vivere nella calma del suo amato bosco assieme a suoi simili e ad altre creature, è felice e non potrebbe chiedere di meglio, ignara però di un solo e intrascurabile dettaglio. Un giorno le cose cambieranno, e che non vi sarà altro che un conflitto fra luce e ombra. Seguitela nella sua avventura fra bellezze naturali, battiti d'ali leggere e sottile polvere di fata.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-I-mod
 
Capitolo XIV

Le viole del pensiero

Dopo altre tre settimane, un mese intero era scomparso, e di nuovo sdraiata fra erba e fiori, con mille odori a entrarmi nel naso e altrettanti steli ad accarezzarmi la pelle, pensavo. Ormai erano passati ben trenta giorni, e pur potendo distrarmi e godere della compagnia di Sky, Christopher e Bucky, un singolo pensiero si rifiutava di abbandonare la mia mente e lasciarmi in pace. Lucy. L’avevo trovata nel bosco per puro caso, e ora stava con me. Ad essere sincera, ero felice di averla incontrata, anche se casualmente. Io non avevo mai conosciuto i miei veri genitori, ma lei era stata separata dai suoi, e nonostante potesse sembrare una follia, volevo aiutarla. C’era  solo un problema. Non sapevo come muovermi. Pensandoci, osservavo il lento moto dell’acqua silente, imitando senza volerlo i comportamenti di Christopher. Più di una volta l’avevo visto lanciare sassi nel lago, specialmente quando sentiva di dover prendere una decisione importante, e malgrado non facessi la stessa cosa, preservando la purezza dell’acqua e limitandomi a muoverne alcuni tramite la magia, cercavo di rilassarmi. Ero sola, e con i soli suoni della natura come miei compagni, mi voltai. Fu quindi questione di un attimo, e i miei occhi incontrarono i suoi. Verdi come l’erba che avevo intorno, riuscivano sempre ad attrarmi, e non persero quel potere nel momento in cui mi accorsi di un particolare. Christopher stava vicino a Lucy, e giocando, le teneva compagnia. Ridendo, la guardava volare, e prendendola in braccio, le faceva fare mille giravolte su sé stessa. Divertita, la piccola non faceva che ridere, arrivando vicina smettere di respirare. Era bello vederli insieme, sentire le loro risate in lontananza e vedere il sorriso della piccola Lucy. Aveva appena sei anni, ed essendosi persa da poco, ero certa che avesse già vissuto momenti del genere, ma anche sicura che vivere una sorta di deja vu di questo calibro non le avrebbe fatto del male. Lentamente, il tempo passava, e di attimo in attimo, notavo che la fatina sembrava emettere una luce tutta sua. Seppur lontana, riuscivo a vederla chiaramente. Era color dell’oro, e la faceva sembrare più bella, dolce e tenera di quanto già non fosse. A quella sola vista, sorrisi, e sollevando una mano, cercai di salutarli. Da tutt’altra parte del bosco, non riuscirono a vedermi, e muovendo qualche incerto passo verso di loro, vidi la bambina sussurrare qualcosa all’orecchio  di Christopher. Lasciandola andare, lui le sorrise, per poi scivolare nel silenzio e guardarla dirigersi verso uno specifico punto dell’immensa macchia di verde che ci circondava. Accucciandosi fra i fili d’erba per qualche attimo, strappò alcuni fiori dal loro letto di terra, e spostando lo sguardo dal terreno al mio viso, mi chiamò per nome. Rispondendo a quella sorta di richiamo, fissai i suoi occhi marroni, vedendola corrermi incontro. Ferma e immobile come una statua, attesi che fosse abbastanza vicina, poi l’abbracciai. La tenni stretta a me solo per qualche secondo, e quando il nostro abbraccio si sciolse come neve al sole, lei mi mostrò il mazzo di fiori che aveva colto. Erano viole, dello stesso colore del suo vestitino. “Lucy, tesoro… grazie.” Biascicai, lasciandomi vincere dalle emozioni e stringendo i gambi fra le dita. Appena un attimo dopo, chiusi gli occhi e li annusai, inalandone il dolce profumo. “Ti piacciono? Sono per te.” Mi disse, incrociando i piedini nell’azzardare quella domanda. “Certo che mi piacciono, ma… perché me li hai presi?” risposi, sorpresa da quel gesto e spinta da una genuina curiosità. “Perché i fiori sono un simbolo di amicizia, e tu sei mia amica. Ti voglio bene, sai?” replicò la piccola, mentre la fioca luce che emetteva cambiava colore, passando dall’oro al rosso acceso. A quanto sembrava, provava vergogna nel confessarmi quella piccola verità, ma stringendo ancora i fiori, provai a rassicurarla. Con un solo gesto della mano libera, la invitai ad avvicinarsi, e non appena ci abbracciammo ancora, le rigirai quella che per lei era stata una difficile confessione. “Ti voglio bene anch’io, Lucy.” Dissi soltanto, per poi sfiorarle la guancia con le labbra e lasciare che si allontanasse per tornare a giocare. Sempre vispo e attento, Bucky la osservava dall’alto della sua quercia, scendendone con un solo balzo e offrendosi come compagno di giochi. Quasi inciampando in una buca mal coperta dall’erba, la bimba perse l’equilibrio, ma nonostante tutto si rialzò, pronta all’ennesimo inseguimento o ad una nuova partita di nascondino. Quelli erano solo due dei loro passatempi preferiti, e quando sceglievano il secondo, si poteva dire che Bucky giocasse in casa. Lucy era tanto piccola quanto scaltra, ma lui lo era ancora di più, tanto da risultare introvabile perfino per me. Mantenendo il silenzio, pensai alle mille e mille volte in cui credevo di averlo perso, salvo poi ritrovarlo in quel solito tronco cavo che era la sua tana prima dell’attuale quercia. Non avendo ancora incontrato Midnight e formato un legame con un animale, Sky mi prendeva in giro, e a quel solo ricordo, risi. A volte, perdermi nei ricordi equivaleva per me a trovare un rifugio, stare tranquilla e riuscire a riflettere su me stessa. Lenta e inesorabile, la notte stava per scendere, e assieme al buio, la luna e le sue compagne stelle. L’aria e il vasto cielo non erano il mio elemento, ma ad essere sincera, la notte mi piaceva molto. Era sempre calma e silenziosa, e oltre che buia, anche piena di mistero. La quiete era spesso disturbata dal sibilare del vento o dal bubolare dei gufi, ma la cosa non mi toccava minimamente. Alzando lo sguardo, mirai il cielo per un attimo, e alla vista della potente regina del cielo, compresi che era troppo tardi per restare fuori casa. Così, salutai Lucy con un cenno della mano, e non cedendo alle sue richieste di giocare ancora con me solo per non vedermi andar via, raggiunsi a passi lenti la porta di casa. Decisa, afferrai la maniglia, e proprio in quel momento, la mia mano tremò. Non era mai successo prima, e protetto dal velo dell’oscurità, qualcuno rimaneva in piedi alle mie spalle. “Christopher, sei.. sei tu?” azzardai, incerta e improvvisamente spaventata. Per tutta risposta, la figura annuì, e avvicinandosi, mi prese la mano. “Devi vedere una cosa.” Mi disse, guidandomi nel buio e prestando attenzione ai suoi passi e ai miei finchè non arrivammo in un luogo a me sconosciuto. Una radura in cui non ero mai stata, e un’altura dalla cui sommità poteva scorgersi il villaggio degli umani a noi fedeli, da quell’altezza piccoli come nere e operose formiche. Divertita da quella vista, mi lasciai sfuggire una piccola risata, e Christopher parve notarlo, ma qualcosa mi diceva che no, non aveva finito. “Guarda.” Disse infatti, puntando il dito davanti a sé. Obbedendo, seguii la sua indicazione, e sedendomi in terra a gambe incrociate, lo vidi imitarmi. Di lì a poco, non vidi che mille piccole luci. Stavolta non si trattava di fate, pixie o esseri a noi simili, ma di semplici lucciole. A quanto sembrava, gli umani avevano questa specie di tradizione, e quella era la sera in cui la celebravano per mantenerla viva. Splendendo come piccoli astri, gli insetti si muovevano a ritmo gli uni con gli altri, formando cerchi e figure nella notte. Ero attonita. Non avevo mai visto qualcosa di simile prima d’ora, ed ero felice che fosse successo. Incantata, non riuscivo a staccare gli occhi da quello spettacolo, e nel silenzio, non mi resi conto che la mano di Christopher aveva sovrastato la mia. In quel momento, la mano mi bruciava e faceva male, ma ero troppo emozionata per pensarci. Per qualche strana ragione, anche il mio segno doleva ed emetteva una stranissima luce, ma distogliendo lo sguardo, scelsi di non badarci. Per pura sfortuna, il mio stratagemma parve non funzionare, e nell’istante in cui spostai la mano, anche Christopher si ritrasse. Dal mio canto, avevo il cuore a mille, e la causa delle mie emozioni non era da imputarsi allo spettacolo naturale che avevo davanti ai miei occhi, ma proprio a  lui, a quel ragazzo che avevo conosciuto per caso, e che fino a quel momento mi aveva guidata nella scoperta dei miei poteri. Guardandomi, non diceva una parola, e proprio come lui, avevo la lingua impastata. Avrei voluto calmarmi, ma il mio cuore si rifiutava di obbedire. Non sapendo cosa fare, sussurrai il suo nome, e in quel preciso istante, lui fece lo stesso con me. “Christopher.” “Kaleia.” Due nomi che ripetemmo all’unisono come gemelli, e che appena  un attimo dopo, mi fecero tossire, profondamente imbarazzata. In quel preciso istante, lui mi sorrise, e sciogliendomi come candida neve al caldo sole, non vidi più nulla, dimenticando tutto. Niente più luci, niente più piccoli insetti, nulla. Solo il battito del mio cuore e le mie labbra incollate alle sue per un tempo che non riuscimmo a definire, e allo scadere del quale, ci rialzammo da terra. Mi riaccompagnò a casa con il favore del suo orientamento nonostante l’oscurità che ci avvolgeva, e quando finalmente riuscii a calmarmi, non dimenticai di mettere i fiori ricevuti da Lucy in un vaso d’acqua fresca, così che il tempo non avrebbe permesso loro di appassire, o almeno non subito, come invece accadeva alle piante brutalmente strappate al loro nido di nuda terra e forti radici. Poco prima di dormire, tenni accesa una luce sul mio comodino, e osservandole meglio, capii che erano viole del pensiero. Non ero un’esperta di botanica, ma sapevo che il vero significato di quei fiori era incerto. Alcuni, come ad esempio la piccola Lucy, dicevano che erano un simbolo di amicizia, mentre altri, stando a semplici voci che avevo sentito circolare, fosse collegato in qualche modo all’amore. Non lo sapevo, né ne avevo la certezza, ma ad ogni modo, sdraiandomi finalmente sotto a una coperta, mi addormentai pensando all’importanza dei legami che avevo creato attorno a me, tutti forse spiegati da bianche lanterne di novità e aulenti fiori conosciuti proprio come viole del pensiero.

 
   
 
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