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Autore: LiciaTavanzi    27/05/2018    0 recensioni
Sensualità al femminile.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA  VICINANZA                             
 
I nostri letti sono tutti accosti al camino; questo è posto al centro dello stanzone che è tutta casa nostra. Su quei giacigli stiamo tutti vicini gli uni agli altri: Peter con la moglie, mamma con Susan e sul soppalco io col mio gemello Frank e con Tom, dodici anni, ultimo della cucciolata. Solo così nella nostra fattoria evitiamo di gelare.
Non c’era un podere migliore di questo in vendita e perciò i miei genitori vennero a stabilirsi qui vicino alle sorgenti del Mississippi.
Sarà il padre di tutte le acque come dicono i Chippewa ma d’inverno è un morire qui: tolto quel poco da fare con le bestie si può solo starsene distesi sotto le coltri e stretti se non si vuole tremare per il freddo.
Papà lo trovarono morto in un burrone e come ci sia finito non ce l’ha mai detto nessuno. Si trovò lui ma non il suo fucile. Se non ci avesse lasciato le penne, un pezzo d’uomo come lui avvezzo a mettere incinta la mamma una volta all’anno, sa’ quanti fratelli da ammassare vicino al camino mi avrebbe dato: pure alla media di uno vivo ogni quattro nati oggi avrei altri tre fratelli.
È un fatto che una ragazza come me debba passare ogni notte a rosolarsi come un tacchino ora nel fiato di un fratello e ora in quello dell’altro. Infatti, qualunque sia il motivo, e su questo non ho mai voluto ragionarci troppo, è assodato che il mio posto sia in mezzo a loro come una fetta di lardo in mezzo al pane.
Non ci si tiene caldi solo col fiato e quelli sono maschi, e come se lo sono. Io continuo a dirmi: ‘Povero chi mi piglia’ perchè riconosco che questo continuo provare addosso a me il loro vigore mascolino non solo non mi dà fastidio ma spesso mi piace proprio. E allora povero chi mi sposerà.
E quasi ci sono. Sto per fare i quattordici anni e il mio ciclo di donna è cominciato alcune lune fa. Potrei essere chiesta da qualcuno da un momento all’altro.
 
Siamo sole al torrente a lavare i panni e io mi butto ad affrontar la cosa. Mamma mi guarda un po’ allarmata:
“Mi stai dicendo che ti conoscono come dice la Bibbia?”
“No, non è questo.”
“Ah, Miriam, che paura che mi hai fatto prendere ... .
Te lo ripeto ancora una volta e lo sanno bene anche gli uomini di casa; glielo abbiamo ripetuto da sfinirli: quella, la verginità è l’unica cosa da salvaguardare per la fanciulla non ancora sposata. È un bene da portare come dote di nozze al marito anche più che un paio di lenzuola. Se la perdi nulla potrà salvarti dal bordello.”
“Però quelli mi si strusciano contro con un affare così.”
“Non fare la sboccata.
Contro è una cosa, dentro è un’altra. E poi che c’è da scandalizzarsi? Lo sappiamo bene come siamo fatti. Come si fa a tenere sempre tutto coperto, ben nascosto?”
“Mamma, lo so. Ma quelli con me fanno proprio come Peter fa con Gretel. Mi lasciano la camicia bagnata.”
“Figlia mia, i maschi sono così. Fino a quando non vi sposerete e affianco avrete mogli e mariti vostri dovrete continuare ad arrangiarvi così.
Credi che non ci sia passata pure io fino a quando ho sposato papà? Credi che non sappia che pure tu sei tentata da pensieri peccaminosi e che quando ti chiudi nella latrina non è sempre per andare di corpo?”
“Mamma, ti prego, io mi vergogno.”
“E ti devi vergognare! come si vergognano tutte le donne che non ottengono una soddisfazione della carne sufficiente: Susan, io e anche Gretel, nonostante abbia vicino il nostro Peter.”
“Mamma, che dici?”
“È la verità e sei tu che hai voluto introdurre l’argomento. È più facile rubare che ammettere di cedere a questi istinti bestiali. Ma, vergognosa più di una ladra, devo ammettere questa mia debolezza. Constatare poi che, almeno in questa casa, siamo tutte così mi consola non poco.”
Mi viene da stringerla e baciarla:
 “Mamma, quanto ti voglio bene.”
Torniamo a torcere e sbattere i panni. Poi, considero:
“Stavo pensando che la purezza per una fanciulla dovrebbe essere il non sapere niente di queste cose, il tenersi lontana dal pipì dei maschi, evitare di guardarlo quando stanno nudi, cercare di non pensarci continuamente...”
“...e saresti già in Paradiso. In che si distinguono i santi da noi, allora?”
“Quando farò quella cosa con mio marito non ci sarà niente di nuovo perchè in pratica conosco già tutto. È come se lo avessi già fatto mille volte.”
“Qui ti devi fidare, Miriamuccia: il peccato si fa solo penetrando in profondità quello che abbiamo sotto e solo se non lo facciamo con il consorte consacrato in chiesa. Ne ho parlato con padre Mc Farlan.
Lui dice anche che il peccato che si compie a toccarsi sotto è ben peggiore negli uomini che nelle donne. Si chiama peccato di Onan e sta in una parte della Bibbia che non vi ho mai letto: i maschi con quel liquido ci rendono fertili e madri e non è consentito loro sprecarlo senza una partecipazione femminile.
Cerca di capire e di essere tollerante con i tuoi fratelli, dato che l’istinto li spinge irresistibilmente: sanno che, finchè non si procurano una donna tutta loro, potranno penetrare solo delle prostitute.
Con te, per esempio, non si sognerebbero minimamente di cercare un congiungimento. Pòstosi questo limite, però, non se ne pongono altri; ed è opportuno che sia così.
O lo fanno da svegli o dormendo, purchè non attentino alla tua verginità, tu lasciali fare: quando si accostano a te è come se usassero con una moglie. Questo, anche se il reverendo non l’ha detto, credo che per i tuoi fratelli sia un peccato minore che rendersi onanisti.”
“Mamma, tu hai capito che ogni volta è come se un marito mi tenesse sotto? come se fossi già sposata? Loro, limitatamente come dici tu devono godere; e io? io prendo fuoco.
Sono vergine ma è come se non lo fossi: mi sento usata dappertutto e quando succede, o solo a ripensarci, ho voglia di toccarmi e quando mi tocco non ho mai capito che cosa mi succede.”
“E con questo? È normale, Miriam. Non esiste donna più ingenua e pulita di te. Fìdati.”
“Mi conviene fidarmi, mamma, e mi sforzerò di credere che chi mi sposa fa un affare.”
“Ma certo che lo fa: chi lava, per esempio, con più buona volontà di te? nonostante il freddo che ci fa cader le mani.
E poi sta sicura che lui dovrebbe farsi perdonare per essersi strofinato addosso alle sue sorelle e alla mamma.”
Ridiamo, chiacchieriamo di altro, ci sentiamo vicine e nella valle, col parlottìo e le risate, si accompagnano i tonfi dei panni sulle rocce.
 
Licia Tavanzi
 
 
IL  CASINO                                                                      
 
La fortuna di Mimì era dipesa da due fattori: un deputato, vecchio frequentatore della mamma, che lo aveva raccomandato e una senatrice che, fortunatamente per lui, non aveva mai voluto prendere la patente.
Ecco perchè da un anno buono faceva l’autista a quella signora e in molte occasioni ne raccoglieva sbotti e confidenze. Lei gli parlava dal sedile posteriore e ne otteneva in risposta, non desiderando certo altro, ‘sì, signora senatrice’, ‘è proprio vero, signora senatrice!’, ‘ma che mi dice, signora senatrice?’.
“Domenico, ci siamo lo sa?” squittì un giorno la signora, scarrozzata verso la sua destinazione.
“Davvero, signora senatrice?”
“Sì, i tempi sono maturi perchè presenti la mia legge in parlamento e ho i numeri perchè venga approvata.”
“Sono contento per lei, signora senatrice.”
“Tempo un anno e quelle case scompariranno. Si règoli: ci vada pure a sparare le ultime cartucce.”
“Cosa dice, signora senatrice? Io non ho mai avuto a che fare con quei postacci.”
“Ma certo, Domenico, lo so bene; stavo scherzando.”
Alla prima occasione, invece, Mimì corse al casino, quello dove era nato una domenica e dove la mamma era diventata tenutaria e proprietaria. Gli costò un viaggio a Napoli con l’auto personale, ma era necessario.
“Mammà” ansimò, abbracciandola, “chella pèreta (quella scorreggia) della Merlìn presenta la legge che t’ho detto. Ci fa chiudere.
Se non ti muovi adesso a cedere l’attività ci troviamo con un immobile inutile che nessuno vorrà più.”
“Mimì, lo so, nun te fa sentì da nisciune; nun s’adda capì niente (... non farti sentire da nessuno; non si deve capire ...).
Ije me sò già mosse, stà tranquillo (Io mi sono già mossa ...).”
“Allora, bene! tu cedi e te ne vieni a Roma da me, sennò, quando si comincia a sapere della legge, te fann’u pièlle (... ti fanno la pelle).”
“U mmìnime... È n’anne ca me staje dint’e rrecchie (... come minimo... È un anno che mi stai nelle orecchie); non ti davo risposta ma lo sapevo che dicevi sul serio ... . È un sacco di tempo che sto facenne gir’a voce ca me sò stancàte: è na vite ca faccie (... facendo girare la voce che mi sono stancata: è una vita che faccio ...) fottere e questo ambiente non lo sopporto più. Questo ho detto e, Mimì, è la verità.”
“Se lo comprano? chi? a quanto?”
“Io ho detto cento milioni. Credo che a ottanta, tutt’assieme, si conclude.
Sono quattro zòccole (prostitute), quelle fisse da me da tre anni, che lo vogliono. Aìzene sord’assaje pecchè so’ bbelle (Guadagnano molti soldi perchè sono belle).”
“Ovère (Davvero), mammà? Ottanta milioni? Dove sto io, a centro Roma, si trova a quindici milioni un appartamento.”
“Queste qua te l’immagini quando il casino chiude? Quando non sarà buono manco per alloggi o per albergo?
Finquando la gente non perde il ricordo di quello che ci facevamo.”
“Le vuoi proprio bene a queste zoccole.”
“E già, per i quattro soldi che mi danno. Loro so’ giòvene, tènene a rrobba fresche e t’a mènene n’facce. Mò ce facìmme pur’a rìverenzia(sono giovani, tengono la roba fresca e te la buttano in faccia.  Adesso facciamo loro pure l’inchino).”
“Ma sì, mammà, lore so’ abbituat’alli n’culàte: una chiù, una mene(loro sono abituate alle ‘bidonate’: una più, una meno).
Mammà, l’appartamento dove sto io ce lo compriamo, sì? Almeno mi risparmio il fitto. Lo mettiamo in comunione, eh?”
“Coi soldi miei! E vva buo’; tu sì nu figli’e puttàne, u ssàje? ( va bene; tu sei un figlio di puttana, lo sai?)”
“Se lo dici tu, mammà
 
Licia Tavanzi
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Appuntamento a domenica prossima, 3 giugno, con un’altra storia)
   
 
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