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Autore: Mikirise    28/05/2018    2 recensioni
"Appunta sul calendario il giorno dei suoi primi passi. 21 Aprile. I primi passi dell'indipendenza, dice sempre. Un minuto prima camminano incerti per il salotto, il minuto dopo, eccoli con la loro ribellione adolescenziale. Peter riderà della melodrammaticità, poi ribatterà con un non dovrei ribellarmi se le vostre regole non fossero così stupide! Finiva così Le mani di papà. Con un'enorme disegno delle mani del papà che lascia andare il proprio bambino."
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Peter è un parlatore tardivo.

Tony non vorrebbe leggere troppo in questo dettaglio, ma non è colpa sua. La sua mente corre veloce. Ha letto troppi libri sulla crescita dei bambini per sapere che, proprio perché la prima parola di Peter sia arrivata soltanto pochi mesi prima, è possibile che suo figlio abbia problemi di attenzione o di comunicazione. Potrebbe avere un disturbo del linguaggio. O potrebbe essere affetto da autismo. O potrebbe essere un bambino affetto da ADHD.

“O potrebbe essere un parlatore tardivo” ribatte Scott, davanti al suo computer, con la mano chiusa in un pugno e le sopracciglia aggrottate. Bruce annuisce distrattamente per dimostrare il suo sostegno e Tony si gira a guardare Peter, intento a giocare con il cucchiaio con cui poco prima ha mangiato dell'omogeneizzato alla frutta. “Sai quante persone in questo mondo hanno iniziato a parlare tardi? L'importante è che a due anni sappiano dire papa ti voglio bene. Tutto il resto? Roba inutile.”

“Baba!” grida Peter e Tony inclina la testa e lo guarda muovere le gambine nel seggiolino e tenere alte le braccia. Peter ride quando si rende conto di aver ottenuto la sua attenzione. Tony arriccia le labbra e poi lo prende in braccio, per pulirgli la bocca dalla frutta e per sentirlo vocalizzare un po' più da vicino. E dire. Sembrava che sarebbe stato un parlatore provetto.

“A trentasei mesi fanno la diagnosi” borbotta, togliendogli il bavaglino e facendo boccacce a suo figlio, che risponde divertito. “Peter ne ha diciotto.” Indica un lato della stanza, ma il bambino rimane a fissare il suo dito per tre, quattro, cinque secondi prima di seguire la direzione. Corruga anche la fronte quando non vede niente di interessante sulla parete.

“È davvero così importante?” chiede Bruce, girandosi verso di lui e lasciando il tablet sul tavolo. Tony sbatte un paio di volte le palpebre, poi gli lancia uno sguardo non molto convinto e sospira.

“Non è come pensi” risponde. Torna a fare boccacce a Peter, che ha comunque perso interesse. Ha preso a giocare con il tessuto della giacca. Buon intenditore, ovviamente. Con un padre come il suo. “Voglio solo essere pronto. Per qualsiasi evenienza, okay? Così Peter si potrà sempre vantare di aver avuto il papà più incredibile del mondo. Vero, Peter? Vero campione?” Gli fa fare dei piccolissimi salti tra le sue braccia e Peter ride, allungando le braccia verso di lui.

“Baba” risponde e ride.

“Senza offesa, eh, Scott” aggiunge in un secondo momento.

“Uhm? Oh, sì. Io rimango il papà cool perché sono stato in prigione.”

Bruce scuote la testa e non sembra molto divertito dalla frase, ma decide, probabilmente per quieto vivere, di non commentare. Torna al suo quaderno e alla sua matita. Tony lascia un bacio sulla fronte di Peter, che risponde con un'altra risata, prima di essere infilato nel suo seggiolino. “Anche lo zio Clint è stato in prigione.” Arriccia le labbra. “Ma lui non potrà mai essere più figo dello zio Scott, vero campione? E nessuno dei due può essere più figo del tuo papà che ti costruirà un robot. Vero?”

Peter apre la bocca e ride.







Natasha si porta alla bocca una manciata di patatine, mantenendo il contatto visivo con Steve, che la sta osservando come se fosse la cosa più disgustosa che abbia mai visto. “Tony?” chiede, lasciando cadere delle briciole ai suoi fianchi. “Tony Stark?” chiede un'altra volta, spingendo contro il fianco di lui con una scarpa.

Steve ruota gli occhi e calcola mentalmente quanto tempo ci vorrà per ripulire tutto dal disastro che lei sta combinando volutamente. “Sì” sbuffa dopo qualche secondo. Natasha ha preso a mangiare con la bocca aperta. “Come puoi essere così sciatta?” le chiede e lei scrolla le spalle e continua a masticare a bocca aperta. Lo fa veramente soltanto per farlo irritare.

“Ovviamente conosco Tony” risponde dopo averlo studiato per qualche secondo. “Suo figlio è in cura da me.” Gioca con la caviglia, facendo ruotare il piede. “Siamo amici.”

“Non pensavo tu avessi amici” ribatte Steve, con una smorfia.

“Sei tu che non hai amici” ride lei, tirando su la testa e poggiandola sulla mano aperta.

Steve arriccia le labbra e poi sospira, lasciando correre le parole di lei. “Non potresti -ti ricordi quella cosa che hai fatto per tranquillizzarmi? Non puoi fare quella cosa -scrivermi un rapporto su Tony Stark? Come hai fatto con Clint e anche con -il rapporto su Sam era veramente molto bello. Dettagliato. Profondo. Potrebbe essere un best seller.”

“Lo so, sono sempre molto brava a stilare profili di persone. Dovrei renderlo il mio lavoro.” Però sorride. Torna a mangiare le patatine fritte, mezza sdraiata, con le scarpe sui pantaloni di Steve, perché in fondo a nessuno piacciono i suoi pantaloni.

“Beh, perché non me ne puoi fare uno su Tony Stark?”

Lei alza un lato delle labbra. “Perché dovrei farlo?”

“Perché…” Si blocca. Perché. Non riesce a capire pienamente il perché. Perché non riesce a inquadrarlo. A comprenderlo. Però, poi, allo stesso tempo, riesce a capirlo. E lui di solito su certi dettagli preferisce sorvolare. Ma quando parla con Tony si sente in pericolo. E poi completamente al sicuro. Com'è possibile? “Progettava le armi della SI?”

“Ovviamente.”

“Ed è amico o nemico?”

“Cosa?” Natasha scoppia a ridere, tira la testa indietro e si mette a sedere, tirando indietro i piedi. Steve si è seduto accanto a lei solo perché non sporcasse il suo divano. Adesso lei ha le scarpe sui cuscini e sta continuando a sorridere. Fa paura. “È un civile, Steve.”

“Lo è anche Norman Osborn. Harnold Meachum. Victor von Doom e-...”

“Non penso che ora Victor von Doom sia un civile” obietta lei, con un dito alzato. Continua ad avere questo sorriso di scherno, che Steve mal sopporta, ma che si rende conto di non poterle togliere dal viso. “Non più. Sai, con la faccenda del paesino in…”

“Tu sai quello che voglio dire.”

“Ovviamente lo so” ammette Natasha, scuotendo la testa. “Ma non vorrai paragonare Tony, Tony Stark!, con Victor von Doom!”

“Ti ho solo chiesto se è amico o nemico. E di stilarmi un rapporto su di lui.”

Natasha ruota gli occhi e gli dedica una delle sue migliori occhiatacce, cosa che fa abbassare lo sguardo a Steve. “Non scriverò un rapporto su Tony, Steve” dice alla fine. “E non siamo in un campo nemico, in cui devi avere un rapporto di ogni persona che incontri.”

“Ma per Clint lo hai fatto!”

“Era uno scherzo!”

“Uno scherzo di trentadue pagine?”

“Le cose o le fai bene o non le fai.”

Steve sbuffa e guarda dritto davanti a lui. Natasha incrocia le gambe e sbuffa, passandosi una mano sulla guancia.

“È una brava persona” lo rassicura, dicendoglielo come se fosse un segreto. “Un po' narcisista e quando si tratta di Peter un bel po' ansioso, ma è una brava persona, va bene?”

“E vuole davvero…?”

Natasha alza una spalla. “Ha ancora l'ottimismo degli scienziati.” Sospira, facendo un gesto vago con la mano. “Pover'uomo” borbotta, prima di ricominciare a mangiare patatine.






I tasti sono bianchi e neri, e questo è il primo ricordo di Peter.

È seduto sulle ginocchia del suo baba e tiene le mani sulle sue mentre lui suona il pianoforte. Ha mani veloci, il suo baba e anche una barba che pizzica. Dopo qualche secondo toglie le mani da sopra la tastiera e Peter preme tutti i tasti che può premere con le sue due mani. Esce fuori un bruttissimo suono, non sembra lo stesso strumento che ha suonato baba, quindi Peter aggrotta le sopracciglia e alza lo sguardo.

Baba ride. Allora ride anche lui.

“Howard non è stato un padre. Come può essere un nonno?” chiede a Jay e Peter aggrotta le sopracciglia.

“Dia almeno alla signora Stark l'occasione di entrare di nuovo nella sua vita.”

Peter alza di nuovo il mento per guardare il suo baba che gli sorride. Allunga il braccio per prendergli il naso. Baba è più veloce a spostarsi, però. Per questo Peter ride. Apre la bocca e posa la testa sulla pancia del suo papà e sente tutti i rumori del suo stomaco e ride di nuovo.

Questo è il primo ricordo di Peter.






Steve suona alla porta di Tony e nessuno risponde. Lo fa una volta, con le nocche, e nessuno risponde. Quindi aggrotta le sopracciglia e si muove nervosamente sul posto, perché non saprebbe cosa dovrebbe fare. Forse tornare a casa sua. C'è un tonfo dietro la porta, allora Steve aggrotta le sopracciglia e prova a bussare di nuovo, dicendo: “Va tutto bene?” C'è un altro tonfo e Steve sta per posare tutto per terra e sfondare la porta, ma questa viene aperta prima che lui possa farlo. Tony lo guarda col mento insù, la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati. Fa un passo indietro. “Ho sentito un tonfo” dice Steve e Tony aggrotta le sopracciglia e fa un passo indietro.

“Mi è caduto un prototipo dalle mani.” Cerca di guardare dietro le sue spalle e tiene una mano sul pomello. È pronto a chiudere la porta, per qualche motivo. Rilassa le spalle solo in un secondo momento, quando vede il cibo tra le mani di Steve. A quel punto sembra leggermente confuso. “Tutto bene?” chiede.

“Uhm? Oh, sì, ovviamente. Volevo solamente -lo so che sei Tony Stark.”

“Non lo nascondo.”

“Sì, lo so. Quello che volevo dire è che dopo la storia della bomba -penso che forse tu ti possa… o che io… non so la... okay, questo è più difficile di quello che pensavo… Io…”

“Cos'hai lì?” chiede Tony, avvicinandogli si è lasciando andare il pomello della porta. “Non sembra una torta di mele.”

Steve sorride nervosamente, accarezzandosi il collo. “Avresti preferito una torta di mele?”

“No.” Tony ride, portandosi una mano sulle labbra. “No, solo che mi sembrava più nel personaggio. Una torta di mele. Il dolce preferito dell'America. Cose così.”

“Perché avrei dovuto…?”

“Invece è un… uhm…” Assottiglia lo sguardo, per poi stropicciarsi gli occhi. Non sembra vederci bene. La luce del pianerottolo scatta e si ritrovano al buio. Tony ride. “Una torta di patate?” chiede comunque, con la testa inclinata e Steve si morde via un sorriso.

“Un pasticcio di patate” lo corregge e Tony allunga la mano per arrivare all'interruttore sul muro. Con lo stesso movimento chiude la porta alle sue spalle. “La ricetta Rogers” propone, allungando il contenitore. “Sono venuto adesso perché è tardi, quindi, ho pensato, magari adesso Peter sta dormendo e non disturbo e poi non so se -e volevo essere sicuro che tra noi non fosse strano.”

Tony prova a sorridere, mentre aggrotta le sopracciglia. “Strano” ripete lentamente con un cenno della testa.

“Sì, per la cosa del -non sono un pazzo che si è trasferito qui per vendicarsi, quindi…”

“Questo lo so.” Scrolla le spalle, sorride con una punta di senso di colpa. “Me lo ha detto Natasha che non lo sei” ammette. Alza le mani in aria e poi sorride genuinamente. “Dice anche che sei una brava persona.”

“Dice la stessa cosa di te.”

“Quindi tutt'e due conosciamo Natasha. E siamo tutti e due delle brave persone, secondo lei. Un urrà per noi” ride Tony, prima di prendere il contenitore di plastica dalle mani i Steve. “Voleva scrivermi un rapporto su di te.” Scuote la testa.

“Stava scherzando.”

“È difficile da dire...”

“Vero.”

Ridono tutti e due. Tony si inumidisce le labbra e guarda verso il basso. C'è un secondo di silenzio è la luce del pianerottolo scatta di nuovo e si ritrovano di nuovo al buio. “Beh, io…” inizia a dire, ma Steve prende un respiro e vorrebbe fermarlo con la mano, ma si ferma giusto in tempo.

“Hai senso” dice, e questo funziona come potrebbe funzionare una mano sulla spalla. Tony torna ad alzare leggermente il mento per poterlo guardare negli occhi.

“Cosa?” chiede in un fil di voce.

“Tu hai -da quando sono tornato, tutto questo non ha avuto senso. Brooklyn non ha senso, okay? Non ha senso le cose che passano in televisione. Internet è completamente senza senso! I negozi, le persone!, tutto è così difficile da capire e da riordinare nella mia testa, okay? Vedo spie che si prendono cura di bambini. E persone che non tornano e… A volte mi chiedo se la lingua sia la stessa che parlavo io. E poi invece tu hai senso. Sei la prima persona che ha senso, per me. Riesco a capirti. Linguisticamente. E mi è piaciuto parlare con te.” Si morde l'interno della guancia e prende un respiro. “Pensavo che potremmo… uhm, continuare a parlare. Un'altra volta. Quando vuoi. Se vuoi. Io non-”

“Vuoi entrare?” lo invita Tony, interrompendolo. Apre la porta con una semplice spinta e c'è una luce calda alle sue spalle. Loro due, sul pianerottolo sono ancora al buio.

“Scusami?”

“Per mangiare il pasticcio di patate” risponde lui. “Non possiamo certo mangiarlo sul pianerottolo. Non con la luce che si spegne quando vuole lei. O Clint.”

“O Clint?”

Tony scuote la testa. Steve è sicuro che non vuole sapere. Alza la mano, in un cenno perché l'altro si fermi dallo spiegargli qualsiasi cosa e poi fa spallucce con un piccolo sorriso. “Era… volevo solo portarti il pasticcio di patate. Perché, ugh, dovrei andare a… dormire. Ma davvero, mi piacerebbe… e poi non vorrei addormentarmi mentre… e quindi preferirei… perché… sì, okay. Prima o poi finirò una frase. Voglio dire che…”

“Non ti devi giustificare” ride Tony, ed è immerso in quella luce calda che Steve sente ingiusto raggiungere. Per ora.

Si gratta il retro del collo. “Il fatto non è che non voglio, davvero.”

“Okay, non ti devi preoccupare di -non ti stavo chiedendo di venire a casa mia a fa-…”

“Non ci avevo nemmeno pensato!” lo interrompe Steve e si rende conto di avere le mani aperte tra loro. Vuole dimostrare di essere innocente. Di non aver pensato a… Non lo ha fatto, davvero. Tony ride di nuovo e scuote la testa. “Non era certamente mia intenzione. Non volevo sottintendere niente e -oh mio Dio.” Si accarezza la fronte con due dita e tutto questo è solo un continuo cadere più in basso.

“Questa è la conversazione più surreale e imbarazzante della mia vita” dice in una risata. “È incredibile.”

“Vorrei poter dire la stessa cosa” borbotta Steve in risposta è la cosa fa solo ampliare il sorriso di Tony, che inclina teneramente la testa. Forse Steve ha un leggero broncio. Forse la conversazione non sta andando come dovrebbe andare. “Beh, allora io vado.” Indica con un dito il buio accanto a lui. Lo fa in modo impacciato.

“Allora tu vai” gli fa eco Tony, sempre con quel mezzo sorriso. Steve fa un passo di lato e assottiglia lo sguardo per essere sicuro di non aver nessun ostacolo nel suo cammino. Certamente non accenderà la luce per due o tre passi. “Comunque, grazie” lo saluta Tony, facendo un passo indietro e chiudendo la porta.

E adesso è tutto buio sul pianerottolo.







Questo ricordo viene da un video, il che è strano, perché è come se qualcuno gli avesse fatto vedere la sua vita con altri occhi. Lo ha fatto zia Janet.

La vita è molto bella e a Peter piace tantissimo la sua casa. Nella sua casa ci sono le scale e anche gli ascensori. Di solito lui prende le scale, perché a zio Rhodey piace così. A casa sua ci sono lui e baba e zio Rhodey. Baba dice che zio Rhodey non paga l'affitto ma che è okay, perché gli vuole bene. Zio Rhodey dice che sopportarlo è un pagamento. Poi ridono tutti e due. E zio Rhodey c'è in ogni suo ricordo di quando era molto piccolo. È stato lui che gli ha insegnato a nuotare. Lo ha accompagnato anche il primo giorno di scuola, insieme a baba. Poi però non sono solo loro tre. C'è anche Jarvis, che Peter a volte chiama Jay e a volte chiama nono. Quando lo chiama nono gli occhi di Jay diventano umidi e sorride. Ha deciso che lo chiamerà così più spesso. Poi c'è zia Janet e la cugina Nadia, che sorridono sempre. C'è lo zio Scott e la cugina Cassie, e lo zio Scott gli piace, ma Cassie gli morde sempre l'orecchio, quindi preferisce quando non sta lì. C'è zio Clint, che dice che deve fargli da baby-sitter e che non lo deve chiamare zio, perché lo fa sentire vecchio. E zio Bruce. E, ultimamente, con lo zio Bruce c'è il suo fidanzato Thor, che è Thor e basta. È bella la vita, perché ha tanti zii e vuole tanto bene al suo baba.

“Ma guarda te” dice zia Janet dietro la macchinetta fotografica. “Questi bei tre ometti.” Ride. “Peter e i suoi papà.”

Allora Peter scoppia a ridere, mostrando i denti e lancia un'occhiata al suo baba. “Nooo!” dice, allungando la o e con il naso arricciato. “No” ripete e si copre la bocca con le mani. Gli cade dalla testa il berretto del festeggiato. Sta facendo gli anni. Tre. Non ci sono molti bambini a festeggiare. Lui è le sue cuginette. Zio Bruce gli ha fatto una provetta per regalo. (Peter la conserva neanche fosse un cimelio.)

“Perché no?” chiede zia Janet, mentre zio Rhodey e baba ridono e si inginocchiano per parlare faccia a faccia. Lo fa anche la zia. “È strano avere due papà?”

Tony la fulmina con lo sguardo. Peter non si rende conto di questo dettaglio, perché sta contando sulle dita. (Davvero, il video è come guardare la sua vita da altre paia di occhi.) “Nooo!” ripete lui col suo tono cadenzato e prende la mano dello zio. “Zio Rhodey è padrino!” spiega, alzando lo sguardo. “Baba è papà. E zia Jan è madrina.”

“E quindi?”

“Quindi sei madrina, non mamma!” Si tappa la bocca di nuovo con le due mani, per coprire la sua risata. “Non puoi fare tutti e due.”

“E zio Clint? Potrebbe essere il tuo altro papà?” chiede divertita zia Janet.

Peter si porta una mano sotto il mento e assottiglia lo sguardo, puntandolo verso l'alto. “Uhm” inizia. “Preferisco Thor come nuovo papà!” decide con un enorme sorriso e tutti scoppiano a ridere.

Baba gli scompiglia i capelli. “Oh, ma davvero?” gli chiede, facendogli il solletico e Peter lancia un grido e scoppia a ridere con tutti i polmoni.

Poi il video di blocca. È finito.

Quanto è strano quando qualcuno ti racconta un tuo ricordo.







“Come ti senti?” chiede con l'orecchio attaccato al cellulare è una mano stretta sul tavolo. Le nocche sono diventate bianche. Sta cercando di tenere tutto sotto controllo. Le parole. La voce. “Secondo te, va tutto bene?”

Bucky risponde a monosillabi e solo qualche volta. Dice: “Il braccio mi prude.” E poi grugnisce. “Lo chiamano arto fantasma ed è un vero schifo.” Della persona che lui ricordava rimane veramente poco, ma questo non toglie che continui a volergli bene. Che vorrebbe per lui solo un altro pom di felicità.

Steve sospira e si stropiccia gli occhi con le dita, prima di tornare a guardare la finestra. Rimangono in silenzio. C'è il rumore del frigorifero nella cucina, che scatta appena sono stati superati i due gradi centigradi. C'è anche il rumore in sottofondo delle strade, sempre loro. E una lampadina che è rimasta accesa e che è ad un passo così dal fulminarsi. Ma loro due non parlano molto. Rimangono in silenzio ad ascoltare ognuno il vuoto dell'altro. Ci sono poche persone in questo mondo con cui lo puoi fare. C'è chi lo spazio cerca sempre di riempirlo. Steve si inumidisce le labbra e decide che non vuole muoversi dalla sua posizione, nel caso possa cadere la linea. La linea non cade mai a Brooklyn ma è comunque un suo modo per tenere tutto sotto sotto controllo. Non si muove.

“Stavo pensando” dice Bucky, dopo un po'. “A quella volta che siamo andati in Chiesa con tua mamma. Avevi riempito le scarpe di giornale, per sembrare un po' più alto e un po' più grande.”

Steve non risponde perché sa che non deve rispondere per forza. Muove la mano, trattiene il respiro. Poi torna a respirare lentamente, profondamente. Bucky si è preso una lunga pausa. Si chiede se il suo ragionamento fosse finito lì. Se il suo fosse un solo e semplice rivangare il passato.

“Sei finito a prendere pugni e calci dai chierichetti.”

“Uau. Davvero?” gli chiede, scuotendo la testa e poi sospirando. “È di questo che vuoi parlare?”

“Il giornale nelle scarpe non ti hanno fatto sembrare più grande” continua Bucky con lo stesso tono. “Però volevi veramente prenderle da quei chierichetti.”

Steve sbuffa. “Sono felice che ti stia tornando il senso dell'umorismo” commenta sarcasticamente e sente Bucky ridere. Ridere. Non lo sentiva ridere da mesi. Sbatte lentamente le palpebre e guarda verso il basso. Sam sta facendo un ottimo lavoro. Sorride. Bucky che ride.

“Tu non ne hai mai avuto uno” risponde dopo qualche battito e poi tornano in silenzio, a sentirsi non parlare per qualche minuto. “Forse sarebbe ora di trovartelo, invece di dare il tormento a me, non credi?”

“Io non ti do il...”

“Fatti una vita” lo interrompe. “Lo dico sul serio. Esci da quel tuo appartamento e vivi una tua vita, invece di chiamare me. In continuazione.”

“Tu sei il mio migliore amico” risponde ostinatamente Steve, con le sopracciglia aggrottate e lanciando uno sguardo veloce al cellulare. “Io non potrei…”

“È proprio per questo che te lo sto dicendo.” Bucky dall'altra parte del telefono interrompe la comunicazione. Attacca. Steve rimane in silenzio, a guardare il vuoto davanti a lui. Sospira. Non era esattamente così che sperava che sarebbe andata la chiamata.

Però Bucky ha riso. Quindi, lui qualche passo avanti lo sta facendo. Almeno lui.







Ci sono giorni in cui baba ha tanto da fare e non può stare con Peter. Gli lascia un bacio sulla fronte, dice che gli vuole veramente tanto bene e lo lascia con zio Clint, o con zio Rhodey, e Peter ha imparato tante cose che sa dai suoi zii.

Zio Rhodey gli lancia una palla da baseball e Peter la prende al volo. Rimane a guardarla nel suo guantone e poi alza lo sguardo solo per sorridere verso lo zio, che ride con la bocca aperta. È la prima volta che riesce ad afferrare una palla da baseball. Allora alza le braccia e esulta e zio esulta insieme a lui, in mezzo al parco. Baba lo deve proprio vedere! Corre in circolo e ride e ride e ride. Poi piange. Non riesce ancora a capire il perché ma scoppia in un pianto disperato. Zio Rhodey corre verso di lui, lo prende in braccio gli fa ssh, ssh, e gli chiede perché piange. E Peter risponde che avrebbe voluto che anche baba lo vedesse, ma che baba ultimamente è veramente tanto impegnato.

Allora zio lo sistema sul braccio e dice che baba lo può vedere quando vuole e che comunque è un po' offeso, perché c'è lui. C'è il suo padrino. E Peter alza un lato delle labbra e dice sì, in fondo può andare bene. Zio Rhodey gli scompiglia i capelli.

Dice beh, lo sai che se non c'è baba ci sono io. Su di me puoi sempre contare.

C'è una foto di Peter e zio Rhodey al parco. Peter è un po' più grande. Il guantone gli sta un po' più stretto. Zio Rhodey sorride e baba sta dietro all'obiettivo. Ha sempre detto che loro son due delle persone che ama di più al mondo.







“E tu, Steve?” chiede Sam, con le mani intrecciate e la voce grave. “Hai parlato con qualcuno?”

Natasha alza un sopracciglio e si gira vistosamente verso di lui. Aspetta la sessione di gruppo per spettegolare, lo ha sempre detto. Quando Steve le ha detto che lei non sembra il tipo di persona che spettegola (non come lo fanno le altre persone), lei ha riso e ha cacciato via le sue parole con una tranquillità disarmante. Questo non vuol dire che Steve non ha ragione. Natasha estorce informazioni. Spettegolare è uno scambio di informazioni. E Steve sta rimanendo in silenzio, sta guardando dritto davanti a sé, senza dire nulla. “Uhm” riesce a dire, sistemandosi sulla sedia.

“Ha parlato col papà” fa la spia Natasha, indicandolo. Gli dedica un sorriso divertito e poi torna a poggiarsi allo schienale della sedia, con le braccia incrociate. Sam ha provato a lanciarle un'occhiataccia, ma le occhiatacce non hanno valore né conseguenze su di lei.

“Questa chiacchierata,” prova il ragazzo, attirando l'attenzione di Steve. “Come ti ha fatto sentire? Che voto gli dai?”

Steve ci deve pensare. Muove la caviglia, posa i gomiti sulle cosce e sospira. “Alla prima darei un discreto” risponde dopo un'attenta analisi. “Perché abbiamo parlato e sembrava una conversazione normale. Alla seconda darei insufficiente. Perché lui ha detto di non aver mai avuto una conversazione così surreale.”

“Tipico” borbotta Natasha. “Gli hai chiesto i voti” dice girandosi si verso Sam, scuotendo la testa. È un gioco che gli piace, far dubitare Sam dei suoi metodi. Sorride di lato e Sam sospira, mentre Steve inclina la testa e tiene le braccia incrociate.

“In cui un discreto sarebbe un sette, giusto?” la ignora il ragazzo.

Steve non ne è molto sicuro, ma crede che Luke stia ridendo, con la mano che gli copre tutto il viso. Calcola le possibilità che tutto questo finisca con lui che non deve dire neanche una parola. Le probabilità sono veramente poche. “Direi di sì.”

“E un insufficiente è un due, tre, o un quattro?” continua a chiedere.

“Già, sì, Steve” commenta alla fine Jessica, con la testa inclinata e la sua espressione perennemente arrabbiata. “Che voto è numericamente?” Stira le gambe e incrocia le caviglia in mezzo al cerchio che hanno creato con le sedie. “Per la scienza. Per la pace nel mondo. Condividi, Steve.”

Steve chiude gli occhi e sospira. “Tre?”

“È una domanda?” chiede Luke e non può sopportare questa tortura oltre. “Non ne sembri molto sicuro.” Steve gli lancia un'occhiata tra l'annoiata e l'infastidita. Luke alza le mani in segno di resa, ma sta continuando a ridere e la cosa infastidisce Steve ancora di più.

“Sta facendo lo sguardo da soldato.” Natasha alza il dito per indicare il suo viso. “Lo fai per allontanare le persone.”

“Ahi ahi” le dà man forte Jessica, con le mani nella sua giacca di pelle. Sbatte lentamente le palpebre. “Non dobbiamo allontanare le persone, Steve.” Fa un piccolo broncio, come se la cosa la potesse rendere triste.

Steve si gira verso Sam, per chiedere aiuto, almeno qualcuno che stia dalla sua parte, ma il ragazzo alza un lato delle labbra e fa spallucce. Se n'è lavato le mani. “Hanno ragione” dice. “Non dovresti allontanare le persone.” Sbatte le mani contro i polpacci.

Steve ruota gli occhi. “E se me lo dicono persone così brave a non farlo” borbotta e Jessica sembra star sorridendo, non esattamente uno dei sorrisi più luminosi che lui abbia mai visto, ma un sorriso divertito. Dev'essere raro quanto un sorriso di Bucky, Luke scuote la testa.

Ma perché si ostina ad andare a queste terapie di gruppo?





Casa della nonna è molto diversa da casa sua. È alta. Bianca, molto bianca, e ci sono pochissime cose. Sembra che nessuno abiti a casa di nonna. Ma c'è nonna, Peter ne è sicuro. E c'è anche il nonno, anche se nonno lo ha visto veramente poche volte nella sua vita. E preferisce Jarvis come nonno. E forse anche Jarvis preferisce Peter come suo nipote. Nonno non sembra entusiasta di lui.

La prima volta che sono andati a casa di nonna, Peter tiene la mano di baba e baba continua a giocare con una parte del suo abito scuro e sospira tanto. Sospira veramente tanto. Allora anche Peter sospira e poi alza lo sguardo verso baba che scuote la testa con un mezzo sorriso. La prima volta baba era veramente molto nervoso.

Ci sono persone che Peter non ricorda di aver mai conosciuto. Nel senso, non ricorda la prima volta che le ha incontrate. Zia Jan è lì da tutta una vita, insieme a Nadia e così anche zio Scott. Zio Rhodey è sempre stato lì, a comprargli dolcetti e fargli mangiare carne vera, non tofu. Peter e zio Rhodey odiano il tofu di baba. Anche Jarvis è sempre stato lì e lo cullava sempre, il suo primo ricordo con lui è Jarvis che lo culla e poi dice che non dovrebbe tenere sempre la mano in bocca. Ma la nonna... Peter ricorda perfettamente il giorno in cui ha conosciuto nonna.

Li aspetta alla porta con un sorriso e quando vede baba apre le braccia e lo soffoca, con una risata sollevata, e poi, quando guarda Peter sorride e si inginocchia, gli posa le mani sulle spalle e poi abbraccia anche lui e li guarda. Li studia. Guarda Peter, poi baba e abbraccia di nuovo Peter.

“Ho sognato questo momento per così tanto tempo” dice e Peter aggrotta le sopracciglia, perché non ha mai sentito parlare di nonna, se non due o tre giorni prima, quindi non capisce. “È uguale a te alla sua età.”

Baba sorride a metà, poi si guarda intorno. “Papà?” chiede e nonna si alza in piedi e scuote la testa, prima di prendergli la mano e stringergliela forte. “Sì, un po' me lo aspettavo” dice baba, scrollando le spalle. “Allora mangiamo?”

Peter, per tutto il tempo, non lascia andare la mano di baba.




Steve saluta con un gesto impacciato della mano, e stringe le labbra una contro l'altra e prima di sospirare e guardare come Tony sbatta velocemente le palpebre, prima di sorridere e girarsi verso di lui. Tiene per la mano Peter. Steve riesce a vederlo solo adesso e il bambino continua a lanciare occhiate veloci all'ascensore, come se stesse aspettando che qualcosa o qualcuno si faccia vedere da un momento all'altro.

“Hai di nuovo un problema con l'antenna?” ride Steve, salutando con la mano Peter, che si stringe nelle sue spalline. “O l'ascensore?”

“Uhm, no” risponde con un sorriso. “Peter pensava di aver sentito qualcuno uscire dall'ascensore” inizia a spiegare, girandosi verso il bambino, che con i lati delle labbra piegati verso il basso e un'espressione accigliata. “Quindi siamo venuti a controllare. Ma, a quanto pare zio Rhodey ancora non-...”

“Allo zio non piace l'ascensore” borbotta Peter, con una smorfia, alzando la testa verso Tony, che cerca di sorridere, stringendogli la mano. “Quindi forse è ancora sotto e non vuole prenderlo. Magari è così.”

“O forse ancora non è arrivato.” Tony si inginocchia e gli scompiglia i capelli. “Perché è abbastanza presto, sai?” Alza una spalla, girandosi verso Steve e poi sospirando. “Penso che staremo qui fuori per davvero molto tempo.”

Steve sorride e scrolla le spalle. “Beh, allora sarà divertente” commenta, prendendo un respiro profondo e guardandosi intorno.

“Oh, sì” risponde gentilmente Tony, girandosi verso di lui e costringendo, con un gesto gentile il bambino a girarsi verso Steve. Peter fa il broncio, prima di trattenere il respiro e incrociare le braccia. Quando i loro sguardi si incontrano non sembra estasiato. “Io e Peter potremmo anche tornare dentro casa e aspettare zio Rhodey, che prima o poi arriverà, te lo prometto, dentro il nostro bellissimo appartamento che pago mensilmente anche un bel po'. Che dici?”

“No” borbotta Peter e si morde il labbro con violenza. “No, dobbiamo aspettare qui” insiste e piega le labbra verso il basso e stringe la mano di suo padre un po' più forte e Tony sospira. “Lo dobbiamo fare perché zio Rhodey...”

“Odia gli ascensori” sospira Tony e scuote la testa, passandosi la mano libera sugli occhi. “Va bene. Okay.” Si siede per terra e Peter sorride un po', sedendosi vicino a lui e alzando i suoi occhi marroni su Steve, che si muove nervosamente sul posto. Peter gli sorride, mostrando un dente che sta crescendo lentamente. “Non hai salutato Steve” mormora.

“Oh” esclama Peter. Si porta una mano sulla fronte, mentre si siede vicino al papà, e inclina la testa. “Io... ciao Steve.”

“Ciao Peter” lo saluta indietro lui, con mezzo sorriso, e quindi anche il sorriso di Peter si amplia un po'. Cerca lo sguardo di Tony, che sta prendendo il cellulare dalla tasca e alza le sopracciglia per invitarlo a continuare a parlare. Lascia il cellulare per terra e sospira. “Stai aspettando qualcuno” prova a conversare.

Il bambino ridacchia. “Sì. Vuoi unirti a noi?” lo invita, indicando il pavimento. “Possiamo sederci come i nativi americani e fumare la pipa.”

“Non ti lascerò fumare una pipa, rag-...”

“Una pipa immaginaria, baba.”

“Non fumo nemmeno con l'immaginazione” risponde Steve, sedendosi con le gambe incrociate davanti a loro. “Mi dispiace.”

Tony alza un sopracciglio e condivide un'occhiata veloce con suo figlio, che scoppia a ridere con la bocca aperta e tirandosi in avanti. “Oh, no, campione” gli dice. “Invece tu lo ascolti. Sono sicuro che Steve non dice nemmeno parolacce.”

“Tutti dicono le parolacce” protesta Peter.

“Steve.”

“Mi spiace tantissimo” risponde. “Le parolacce sono il modo di esprimersi di chi non ha parole.”

Tony che allarga il suo sorriso, cercando di morderselo via, è uno spettacolo bellissimo, si dice e forse per questo motivo si perde Peter che si porta una mano sulla fronte e scuote lentamente la testa, sussurrando un: “Non ci posso credere.” Non è ancora molto bravo a capire l'ironia, quindi. “Sei un soldato, vero?” chiede il bambino, raddrizzando la schiena. “Zio Clint dice che sei un soldato e che una volta hai salvato trecento bambini da un'esplosione, tutti insieme. Come hai fatto a salvare trecento bambini tutti insieme?”

Steve aggrotta le sopracciglia. “Quella storia me la ricordavo diversa” borbotta e gli occhi del bambino si illuminano, mentre Tony sbuffa una risata.

“Quindi sei un soldato!”

“Davvero è questo che gli vuoi chiedere?”

Peter aggrotta le sopracciglia e arriccia le labbra. “Sei un soldato come zio Clint?” chiede dopo averci pensato per qualche secondo. “Zio Clint era una specie di ninja, vero baba? Faceva di qua e di là e nessuno se ne rendeva conto. E zio Scott non era tanto un ninja quanto un Robin Hood e per questo non ha potuto fare il soldato, vero baba? Zio Rhodey invece era tipo un soldato che volava.” Alza le braccia e la sua espressione è terribilmente seria. “Poi non ha più potuto volare. Tu sei un ninja? Zio Clint era un ninja, vero baba?”

Tony sospira. “Tuo zio continua a fare il ninja. Ecco il probl-...”

“Mi ha insegnato come arrampicarmi sui muri, lo sai?” chiede estasiato il bambino, saltellando sul posto. “Zio Clint è proprio forte. Steve, sei un ninja?”

“Purtroppo no.”

“Allora sei tipo Robin Hood.”

“Rubi ai ricchi per dare ai più poveri?” Steve ride. “Questo non è più tuo padre?”

Peter sbatte le palpebre lentamente e lancia uno sguardo veloce a Tony, che non sta nemmeno facendo finta di coprire la sua risata. “Noi siamo dall'altra parte del capita-lismo, Steve” dice dopo un po'. “Mia nonna ha una casa grande quanto Central Park. No. Non come Central Park. Sto usando qualche cosa che usano i poeti normalmente, vero baba? Comunque, hai capito. Noi siamo ricchi e ai miei ventuno anno, baba smetterà di farmi vivere come un bambino povero e finalmente potremo andare a vivere in un castello.”

“Non ho mai detto niente del genere.”

“Era sottinteso” risponde con un sorriso.

“Scusa, ma quando ti avrei fatto vivere come un bambino povero?”

“Cassie mi prende in giro perché a scuola porto sempre lo stesso zaino.”

“Tu adori quell-...”

“Sì!” lo interrompe ancora una volta Peter. “Ma lei mi prende in giro, perché zio Scott gliene compra uno nuovo ogni anno.”

“Tuo zio Scott non è molto bravo ad amministrare soldi.”

“Soldi? Cos'altro si può amministrare?” chiede Steve, con le sopracciglia aggrottate e vede ancora una volta Tony alza un lato delle labbra verso di lui.

“Case” risponde il bambino. Okay. La cosa sta diventando sempre più divertente per lui. “Cassie amministra orsacchiotti.”

“Come fa a...?”

“Cassie per me è un mistero che non voglio svelare. Tipo quelle cose che sai che se capirai ti faranno diventare una persona peggiore. Secondo me lei è un po' così.”

“Non puoi parlare male di tua cugina.”

“Non è veramente mia cugina.”

Tony lo rimprovera con lo sguardo e Peter abbassa lo sguardo e si morde le labbra. “Scusa” sussurra, tirando su le ginocchia e scrollando le spalle. Gioca con le mani, sembra togliersi qualche pellicina accanto alle unghie e poi sospira, tornando a guardare Steve. Tony ha posato la testa contro il muro e ha chiuso gli occhi, accarezzandosi il ponte del naso. “Quindi sei un soldato come zio Rhodey? Volavi anche tu?” Steve scuote la testa e sta per rispondere, ma il bambino prende un respiro e torna a parlare. “È un peccato che tu non volassi, sai?, perché zio Rhodey dice sempre che è una sensazione bellissima. Che quando sei in mezzo alle nuvole tutto sembra essere molto diverso da quando invece sei quaggiù. Zio Rhodey dice sempre che è la sensazione più bella del mondo, sai? Ho sempre pensato che fosse bello.”

Steve gli sorride dolcemente e annuisce. “Deve esserlo stato.”

Peter assottiglia lo sguardo e allunga la gamba, dandogli un calcio sugli stinchi e poi tornando a guardare negli occhi. “Ti ha fatto male?” gli chiede e Steve aggrotta ancora una volta le sopracciglia.

“Peter” lo rimprovera Tony, prendendolo per il braccio.

“A zio Rhodey non fa male” continua il bambino, tornando a incrociare le gambe. “Quando gli do un calcio, lui dice che non gli fa male. Ci abbiamo provato tante volte. Prima giocavamo a baseball.” Lancia uno sguardo al suo papà, poi torna a guardare Steve. “Ma tu le gambe le sai usare.”

“Tuo zio non sa usare le gambe?” gli chiede dolcemente, inclinando la testa e cercando lo sguardo del bambino.

Peter, però, gira la testa verso l'ascensore e sembra dimenticarsi di trovarsi lì. I suoi occhi diventano vuoti. Li sbatte un paio di volte, ma Peter non sembra essere più lì. Tony si gira verso di lui e sospira, scompigliandogli i capelli e facendogli posare la testa sulla sua spalla. Il bambino gli lancia un'occhiata curiosa, poi chiude gli occhi e sospira. “Oh” inizia, nascondendo il viso tra le mani. “Scusa, baba” mormora e Tony scuote la testa, forse per ricordargli che non deve scusarsi di niente. Lancia uno sguardo a Steve e alza le spalle.

“Ogni tanto gli si scaricano le batterie” spiega a bassa voce, tirando teneramente indietro la frangia, con una carezza delicata.

Steve li osserva in silenzio, annuisce lentamente. Il bambino con le batterie scaricabili e suo padre. Eccoli, proprio davanti a lui.




Zio Rhodey è rimasto fuori dalla palestra, mentre baba parla con la maestra e Peter ha provato a dirgli che è tutto un malinteso e che non voleva veramente mordere quel bambino, ma soltanto un modo per poter difendere i propri amici, che non possono stare sempre lì, ad aver paura di Flash. Flash non può fare bello e cattivo tempo. Glielo ha insegnato proprio lui. E anche baba, ovviamente. Zio Rhodey lo tiene sulle ginocchia e lo ascolta pazientemente, non come il nonno, che ha sentito il suo nome, lo ha guardato a malapena e poi ha fatto quello strano gesto con la mano, come se volesse andare oltre. Lo sente dire: “Ma non puoi rispondere alla violenza con la violenza. Devi usare le parole.” E Peter sente questo peso nel petto che deve essere un po' di vergogna. Perché lo sa che deve usare le parole, ma a volte le parole non vengono. Viene solo questa grande rabbia che non lo fa respirare e poi gli si offusca il cervello e dimentica cosa sta facendo e non le trova le parole. Le parole non ci sono sempre. Agli altri bambini, le parole vengono sempre? Allora perché a lui no? “Scusa zio” dice allora e lo zio sorride, ride dopo un po'. “Beh, ma almeno hai vinto” dice, per farlo sorridere.

Peter sorride, anche se non crede di aver proprio vinto. Lo abbraccia. Le parole arriveranno.

Baba esce dalla palestra e Peter vuole correre tra le sue braccia e abbracciarlo, fargli una carezza sulle guance e dirgli che non è come dice la maestra. Non è veramente come dice lei. C'è un motivo se ha fatto tutto quello che ha fatto e alla maestra lui non piace tantissimo, perché dice che sta sempre a chiacchierare e che dovrebbe fare più cose che lei dice di fare. Ma l'espressione di baba. Quell'espressione è così persa, così strana da fargli fare un passo indietro e tornare tra le braccia dello zio. Alza il mento. Chiede mute spiegazioni.

“Cosa succede?” sente zio chiedere, e baba sbatte velocemente le palpebre e finalmente sembra essere lì. Sorride, scuote la testa, prende Peter da sotto le ascelle e gli sorride dolcemente e allora Peter non può fare nient'altro se non abbracciarlo forte. Sospira e sente di essere a casa.

“Abbiamo ancora...” Sbatte le palpebre e sospira. Peter lo stringe un po' di più, sistemandosi tra le sue braccia. Sente baba ridere. “Penso di dover parlare col professor Xavier.” Posa il mento sulle spalline di Peter. “Per un consiglio.”






“Riesco a prenderlo in braccio” protesta Tony, dietro alle sue spalle, seguendolo dentro casa sua come se fosse un ospite. “Davvero. Ha solo sei anni, ancora non è un mostro. Riesco a prenderlo davvero in braccio!”

Steve gli lancia un'occhiata veloce e si rende conto di star entrando in casa sua come se fosse un completo estraneo. Gli fa cenno con la testa di mostrargli dove portare Peter, mentre Tony continua a sbuffare, come se avesse preso la storia del prendere in braccio Peter troppo sul personale. Lo supera velocemente, per poi correre nel corridoio e aprire una porta, invitandolo ad entrare con un gesto melodrammatico delle braccia. Steve gli sorride.

“Preparo del caffè” lo sente mormorare.

“Oh, io non bevo caffè” scherza Steve e Tony gli lancia un'occhiata veloce e poi scuote la testa.

“Meno male” borbotta. “Non avevo intenzione di fartelo.” Poi sorride e mentre Steve posa Peter sul suo lettino, in una stanza che non sembra essere quella di un bambino di sei anni, ma di un adolescente. Peter si gira automaticamente sul fianco, poi sospira e si rannicchia, coi pugni chiusi. Ha aspettato per un'ora sul pianerottolo. Si merita un po' di riposo.

Steve si muove lentamente e senza fare rumore, uscendo dalla stanza e studiando la casa, cercando di seguire i rumori della cucina. Tony è una persona rumorosa. È un po' la sua caratteristica principale, pensa Steve, e questo non potrebbe dirlo ad alta voce, ma prima di vedere il suo viso ha sentito la sua voce. È stata la sua voce ad aiutarlo a dormire, a guidarlo, in un certo senso, e, uau, questo sembra essere ancora più inquietante, quindi no, continua a camminare, continua a cercare di non pensare e si siede al tavolo, davanti a un Tony con le sopracciglia aggrottate e una tazza in mano. Una tazza vuota. La guarda come se fosse il suo peggiore nemico. “Era piena cinque secondi fa” borbotta e si guarda intorno. Sembra essere un disastro, quest'uomo.

Steve sorride, mentre lui si gira e torna a prepararsi altro caffè. “Peter è un bravo bambino” cerca di iniziare una conversazione, posando i gomiti sul tavolo e con un mezzo sorriso. Vede Tony girarsi verso di lui, e lanciargli uno sguardo veloce da dietro le spalle, prima di riempire la sua tazza e alzare le spalle.

“Deve essere il mio DNA,” scherza, girandosi verso di lui e sedendosi dall'altra parte. Gli passa la tazza, facendola scivolare sull'isola di marmo. “Io alla sua età ero un disastro” ride, alla fine, prendendo un'altra tazza.

“Tutti a sei anni erano un disastro” risponde prontamente Steve, con il suo me mezzo sorriso e senza capire cosa dovrebbe fare esattamente con quella tazza non voluta davanti a lui. “Aspetta di sedici.”

“Ho un vago ricordo dei miei sedici anni…”

“Beh...”

“Probabilmente ho rimosso l'ottanta percento di quello che ho fatto a sedici anni.”

Steve sorride verso la tazza e scuote dolcemente la testa. “Cosa mai avrai fatto per dimenticare così tanto di quello che hai fatto da adolescente?” gli chiede, a mo' di scherzo e vede Tony arricciare le labbra e poi alzare una spalla.

“Ho iniziato a mescolare alcol e droghe varie tutte insieme” dice e la frase viene seguita da un momento di silenzio che non è nemmeno troppo teso. Steve aggrotta le sopracciglia e Tony scoppia a ridere. “Tu non hai mai provato le droghe, eh?”

Steve ci mette qualche secondo a rispondere. Sta guardando Tony, che sorride come se stesse dicendo le cose più naturali del mondo, come se quello di cui parla lo hanno fatto tutti. Quindi ci mette un po' ad alzare un lato delle labbra. “Sembra essere un rito di passaggio” risponde.

“Non come l'ho fatto io, ma sì.” Gira la tazza tra le mani e si morde il labbro inferiore. “Tutti i genitori cool si fumano un po' di erba.” Alza lo sguardo e poi arriccia le labbra. “Tu fumi erba?”

“No.”

“Ed è vero che non dici parolacce?”

“Preferisco non farlo.”

Tony si passa una mano sul viso e sorride divertito. “Non puoi essere reale” ride, sistemandosi sulla sedia e posando la guancia sulla mano. “Sei -una specie di personaggio venuto fuori da un libro per bambini?”

“No...?”

“Sei sicuro?”

“No, a volte mi sveglio, mi guardo allo specchio e ho lo strano impulso di chiedere a persone che non esistono dov'è finita la mia maglietta? E poi rimango immobile a fissare il vuoto. La maglietta, di solito, sta proprio vicino a me.”

Tony scoppia a ridere. Steve lo osserva mentre si porta la mano davanti alla bocca ed è come se si stesse nascondendo tra le sue spalle. C'è un momento in cui chiude gli occhi e quando smette di ridere continua a sorridere. Steve non è bravo a descrivere certi momenti, è uno dei motivi per cui ha voluto imparare a dipingere e questo? Questo è un sorriso che dipingerebbe. Sbatte lentamente le palpebre e continua a studiarlo, mentre continua a mordersi via quel suo sorriso. “Meno male che i bambini ti aiutano tutti i giorni a ritrovare quelle fantastiche magliette.”

“Hai qualcosa contro le mie magliette?”

La risposta non arriva a parole. C'è un mezzo sorriso e una spalla che si alza, poi nient'altro. Tony torna a giocare con la sua tazza mezza vuota. “Sono riuscito a farti entrare in casa” dice, piuttosto e non lo sta nemmeno guardando in faccia. Ha lo sguardo basso, sembra starsi concentrando su qualcos'altro. “E ora ti renderò la permanenza altamente imbarazzante.”

Steve scuote la testa. “No, niente potrà mai superare quella conversazione.”

“Cosa? Vuol dire che non sai fare di peggio?”

“È una sfida?”

Tony assottiglia lo sguardo. “Diciamo che è una sfida.” Passa il dito sul bordo della tazza e alza lo sguardo, e sta guardando proprio lui. “C'è un manuale per rendere le conversazioni imbarazzanti?”

“Rendere le conversazioni imbarazzanti per idioti.”

“Quella collana ormai ha tutti i tipi di libri.”

“È molto utile.”

“Come fai a dire cose del genere con un'espressione seria?” gli chiede, tirandosi in avanti. “Hai fatto un corso?”

“Fai tante domande.”

“Tu no?”

“Dovrei farle?”

“Non sei curioso?” gli chiede Tony con un mezzo sorriso. “Io sono curioso. Non ho mai incontrato un ex soldato che si è dato all'arte per vivere dopo l'esercito. Vicino al mio appartamento, poi. Nell'appartamento che volevo comprare per rendere il mio appartamento più grande, capisci che cosa brutta che hai fatto?”

“Volevi -cosa?”

“Ho iniziato ad affittare questo appartamento sei... sette anni fa? Credo, sì, più o meno sette anni fa.” Aggrotta le sopracciglia e fa una smorfia. “Poi la coppia dell'appartamento di sopra se ne sono andati e ho detto a Clint ehi, amico, lo prendo in affitto, posso farci dei piccoli rifornimenti? E, sbem, ho un appartamento su due piani. Così avrei uno spazio per lavorare e uno solo per Peter. E poi gli studenti accanto all'appartamento di sopra se ne sono andati e ho detto, ehi, perché no? Mi manca il tuo appartamento.”

“Cosa?” Steve sbatte velocemente le palpebre. “Non fai prima a comprare il palazzo?”

“Stai scherzando? No. No no no. Clint è un fantastico padrone di casa e nessuno dovrebbe togliergli questo ruolo. Ho altre cose da fare, comunque.”

“Non ti darò il mio appartamento.”

Tony fa una smorfia. “Troverò un modo per averlo” sbuffa poi. “È una sfida anche questa.”

“Oh, va bene.”

“E tu non sei curioso?”

Steve ride nervosamente, accarezzandosi il collo e poi grattandosi proprio sotto l'orecchio. Tony apre la bocca e lo punta con un indice.

“Ah!” grida, appoggiando la gamba per terra e rimanendo a metà tra il seduto e in piedi. Cerca di riprendere l'equilibrio e ripete: “Ah!” Si tira in avanti, ancora una volta. “Lo sapevo, sei curioso!”

“Non so di cosa tu stia parlando.”

“Okay, che cosa ti incuriosisce? È tutto su internet.”

“Non penso sia vero che sia tutto su internet. Non si dice nemmeno il nome di Peter…”

“Allora sei andato a cercarmi!” Tony assottiglia lo sguardo con un sorriso, poi aggrotta le sopracciglia. “Ovviamente non ci sono informazioni su mio figlio. Ha sei anni e so come fare per proteggere la sua identità. Pensa che cosa strana per lui, che degli estranei sappiamo il suo nome. Mi sembra giusto per la sua crescita sana.”

“Per questo hai un triplo appartamento a Brooklyn?” chiede Steve con un sopracciglio alzato. “Non per il potenziale intellettuale.”

“Per entrambe le cose. Quindi, dimmi, tu a Brooklyn, alla ricerca delle tue origini lontano da una tua ipotetica famiglia?”

“Mia madre vive a pochi palazzi da qui.”

“Ma non vai a trovarla spesso.”

“Cosa fai? Spii dalla finestra quando uno degli inquilini esce dal palazzo?”

“Cosa? No!” risponde indignato Tony, poi ride. “Ho un sistema di protezione che filma tutti i vostri movimenti. Secondo te, lascerei Peter da solo con Clint senza una specie di baby monitor?”

“Sei un papà ansioso.”

“Sì, me lo dicono tutti.”

“Non fa bene né a te né a Peter.”

“Peter non saprà mai che sono un papà ansioso.”

“Ah, no?”

“Ah. No.” Sospira pesantemente prima di grattarsi la testa. “Facciamo una domanda alla volta. Così tutti e due smetteremo di essere curiosi dell'altro e potremo diventare dei bravi vicini di casa. E potrò rubarti l'appartamento senza sentirmi in colpa.” Fa un gesto veloce della mano. “Graphic Designer?” chiede poi.

“Devo pur vivere di qualcosa.”

“Fai le copertine delle riviste? Dei libri? Siti web? Come hai iniziato?” Alza le sopracciglia, si sistema sulla sedia, tiene le spalle in avanti e sembra voler annullare la distanza dovuta all'isola di marmo tra loro. Sorride anche. Sembra davvero interessato in quello che Steve potrebbe rispondere. “Hai iniziato durante il periodo da soldato? Oppure dopo? Prima? Lavori solo al computer? Sei vecchia scuola e prima fai gli schizzi a mano?

“Sto facendo dei corsi per i disegni digitali” inizia, con una punta di diffidenza. Poi vede Tony sorridere e sbuffa una risata. “Per ora mi occupo di alcune pubblicità per piccole imprese.”

“Si inizia sempre dal piccolo.”

“Sì, ma,” Steve alza una spalla e si morde il labbro. “In realtà sono in trattative per un posto d'insegnate d'Arte in una scuola privata, poco lontano -beh, in realtà, abbastanza lontano da qui. Un certo professor Xavier ha aperto un centro ascolto per dei ragazzi…”

“Con difficoltà?” completa Tony, annuendo lentamente. “Sì, conosco Charles.”

Steve aggrotta le sopracciglia. “Sta pensando di aprire una scuola e -ma tu conosci tutti?” gli chiede, inclinando la testa.

Tony fa spallucce. “Le persone idealiste tra loro si conoscono. E poi, Charles è un evoluzionista e anche uno psichiatra.” Arriccia le labbra. “Mi ha aiutato nei primi anni da papà.” Fa una breve pausa, senza rompere il contatto visivo con Steve. “Hai deciso di accettare? Sto parlando del posto di lavoro come professore d'Arte.”

“Penso che lo farò, sì.”

“E allora,” Tony aggrotta le sopracciglia e si stringe nelle sue spalle. “Che cosa ci fai con un appartamento a Brooklyn?” chiede, grattandosi la nuca. “Non sembra essere qualcosa che farebbe un professore di provincia fuori dalla città. Ci devi pensare? A cosa pensi? Ti piace troppo fare l'artista libero da ogni legame?”

Steve sbatte velocemente le palpebre e guarda verso il basso, giocando con le dita intorno alla tazza. Scrolla le spalle. “Non lo so” risponde in un sussurro. Ed è la verità. Non lo sa che cosa ci fa qui. In questo appartamento, in questo momento. Natasha ha ragione. È perso. “Non ne ho la più pallida idea, in realtà.” Non sa nemmeno dove si trova precisamente.

Tony alza un lato delle labbra e sembra capire. Abbassa lo sguardo verso la sua tazza, ancora una volta, e si acciglia, probabilmente trovandola vuota e questa semplice espressione fa riprendere il respiro a Steve. Sente come se riuscisse a respirare. Come se adesso invece sapesse perfettamente dov'è. Deglutisce.

“Conosci Xavier per via di Peter?” gli chiede, continuando a giocare con le dita. E Tony alza lo sguardo.

“Ah, no no. Non era quello il senso” risponde con una risata non molto nervosa. “Dopo la nascita di Peter ho avuto una -Janet la chiama depressione post-partum, ma la verità è che è stata solo una coincidenza. Peter è nato e io ho avuto un attacco depressivo.” Scrolla le spalle, non sembra star dicendo nulla che lo metta a disagio. Steve si chiede se il suo parlarne così apertamente, di cose che tante altre persone non direbbero, non farebbero nemmeno sapere, sia dovuto al suo modo di vivere con tutte le carte in tavola. Tony si fida in fretta. Si apre ancora più in fretta. Si rende vulnerabile in ancora meno tempo. “Il professore è stato il mio psichiatra.”

“E Natasha segue Peter” continua Steve, con le sopracciglia aggrottate.

Vede Tony annuire lentamente. “È affetto da ADHD.” Fa di nuovo spallucce. “Avrebbero potuto diagnosticarlo prima, ma tutti mi dicevano che ero un papà ansioso.” Ride un po' e si stropiccia l'occhio. “Peter è stato un parlatore tardivo, okay?, e gli mancavano alcune parole e a volte capita che gli si scarichino le batterie sociali e rimanga incastrato in altri pensieri o -vabbè, comunque. Ci hanno mandato da Natasha dopo che ha preso a pugni un bambino a scuola.”

“Peter?”

“Proprio Peter. Pare che questo bambino desse fastidio a un suo amichetto e…” Scuote la testa e sospira. “E Natasha è entrata nelle nostre vite. Lo segue, non prescrive farmaci e lo segue con una psicoterapia per lo più. Per lo più psicoterapia. Non ero sicuro dell'Adderall quindi... Come è entrata nella tua?”

“Gruppo di sostegno” risponde brevemente Steve. Tony apre la bocca e poi la richiude, annuendo. “E Peter ha una mamma?”

“No.”

“Un altro papà?”

“Ora chi fa tante domande?”

“Hai detto che potevo farti tutte le domande che volevo.” Steve alza le sopracciglia e Tony fa una smorfia.

“Le fai su mio figlio.”

“Tony Stark, figlio di Howard Stark che abbandona tutto e si impegna per rendere il mondo un posto migliore” inizia Steve, tirando avanti le spalle. “C'è ovviamente un prima e un dopo.”

Tony scuote la testa, ma sorride. “La madre biologica di Peter non lo voleva. È una scienziata ed eravamo entrambi veramente molto giovani. Avevamo tra le opzioni l'aborto ma -lei era una microbiologa che non se la sentiva si uccidere neanche una mosca, figuriamoci un essere vivente dentro di lei. Quindi adozione? Io sono stato convinto da Clint che sarei riuscito ad essere un miglior papà dei suoi padri, che erano padri affidatari e Peter sarebbe arrivato fino a lì? Sarebbe stato adottato? Io non… e quindi… lei comunque non ha cambiato idea e mi ha detto se vuoi fare questa cosa del papà, dalla da solo. E poi, ah, sì, lei era molto brava nel capire le persone. Mi ha detto che avrei rovinato il ragazzino.” Sospira, posando le dita della mano in fronte, forse per nascondersi il viso. “Lo ha detto in buona fede, però.”

“Quindi sei un papà single.”

“Ah, ho capito. Ci stai provando con me” ride ancora una volta Tony, e Steve sente le orecchie iniziare a diventargli rosse, mentre abbassa lo sguardo e continua a ripetere: “No, no, non era quello…” e Tony gli sorride. “Non male, si vede che non ho ancora perso il mio tocco magico.”

“O che sono disperato.”

“O entrambe le cose.”

“O entrambe le cose” ride Steve. “Sarebbe veramente una brutta combinazione, non pensi anche tu?”

“Ne ho viste di brutte combinazioni” risponde senza dare troppo peso alle loro parole. “Questa non sarebbe davvero una delle peggiori. Beh, se in mezzo non ci fossi io.”






Peter aveva dimenticato questo tema. Baba conserva tutto quello che lo riguarda in tanti scatoloni, classificati per anno, con addirittura delle sottosezioni e la cosa può risultare malata, forse, ma è anche così tanto da baba che non può sorprendersi. Ha conservato il suo tema sui suoi nonni. Deve aver avuto, chissà, forse cinque anni. Suo figlio ingiallito c'è il disegno di nonna, nonno e Jarvis e nonno ha le sopracciglia aggrottate e le braccia incrociate. È divertente perché passa il tempo ma lui non cambia mai.

Nel tema Peter ha scritto:

“Io ho due nonni e una nonna. Nonno Jarvis è vecchissimo. Baba lo prende sempre in giro perché ha visto i dinosauri e io questo lo trovo tanto forte. Nonno Jarvis è il nonno che ci prepara le verdure e ci prepara sempre la colazione, che mangiamo tutti insieme, e dice sempre che forse noi saremmo morti senza di lui. Baba dice che è vero, ma che non gli vuole dare ragione. Io non lo dico a Baba, ma a volte dico a nonno Jarvis che è vero, perché mi piace e così capisce che gli voglio bene. Nonno Jarvis è il migliore.

“Nonna l'ho conosciuta dopo, ma mi piace tanto anche lei. Sa suonare il pianoforte e lo suona tante volte con Baba. Suonano roba difficilissima e nonna dice che baba cambia qualche nota solo per darle fastidio. Dice che lo fa da quando era piccolo così. Sembra difficile pensare a Baba piccolo così. A volte fanno suonare anche me. Mi metto sulle ginocchia di nonna, o di baba, e premo tasti a caso e baba ride e nonna dice sei bravo sei bravo, ma io lo so che sta solo facendo finta.

“Nonno Howard anche mi piace. È un po' brontolone e fa sempre un'espressione annoiata, ma penso che gli piaccio anche io. Mi lascia entrare nel suo laboratorio. Una volta mi ha detto che avrei potuto stare lì solo se fossi stato zitto. Allora io sono stato zitto e ho progettato un aereo. Per zio Rhodey. E lui a un certo punto è comparso e ha guardato il mio disegno e ha sorriso. Poi mi ha fatto pat sulla testa. E allora ho capito che mi vuole bene. Solo che non è bravo a farlo vedere. A far capire che vuole bene alle persone. Baba ci ha messo anni per capirlo. Dice che sono fortunato. Io ci ho messo pochi mesi.”

Peter prende un respiro profondo e controlla l'anno. Poi sorride. Certo. A quei tempi erano ancora solo lui e baba.





“E tu non...” Natasha non riesce nemmeno a finire la frase, alza le mani in alto e scuote la testa. “Era ovviamente un modo per... Sam!”

“Ehi, non eri tu l'esperta?” ride il ragazzo, passandosi una mano sul viso e tornando a guardare Steve. Lo stesso Steve che sta cercando di non guardare nessuno di loro negli occhi. “Vorrei concentrarmi sulle parti positive delle tue azioni, va bene?” inizia con il suo tono più gentile e Steve ruota gli occhi, grattandosi via le pellicine ai lati delle mani e sbuffando. “Voglio dire. A quanto pare questa persona ti piace, o ti piaceva, e ti sei buttato. Nonostante quello che sarebbe potuto succedere e...”

“E che è successo” sbuffa Jessica, in mezzo ad una risata. Tiene le le gambe larghe e un mezzo sorriso decisamente troppo divertito. “Voglio dire. È successa la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere, giusto? Questo tipo -com'è che si chiama?” Non riesce nemmeno a parlare seriamente. Deve dire di non averla mai vista così sorridente e divertita. Quindi Steve fa una smorfia e fa la stessa cosa che farebbe un bambino delle elementari. Cerca di farla scomparire dal suo campo visivo.

“Tony” risponde Luke, lanciandole un'occhiata veloce e sorridendo per una frazione di secondo, prima di tornare serio e guardare Steve, che li sta ascoltando mortificato. Perché sembra che in queste sessioni si divertano tutti così tanto a volerlo umiliare con le sue stupide avventure quotidiane. “Fossi in te, amico” continua Luke. “Accetterei il lavoro in periferia e sparirei.”

Sam ruota gli occhi, e lo fa anche Natasha, che comunque rimane in silenzio, osservandoli e probabilmente decidendo quali informazioni condividere con il gruppo e quali no. Natasha è amica di Tony.e avrebbe dovuto chiedere a lei, privatamente. Magari. “Io sono invece molto fiero dei passi avanti di Steve” dice Sam, con le mani unite e un sorriso che dovrebbe nascondere una risata. “Chiedere a Tony di uscire è stata una mossa coraggiosa e...”

“Dolorosa.”

“Umiliante.”

“Ma sono sicuro che è stato un modo per aprirti al mondo, a quello a cui avevi detto che avresti rinunciato senza problemi e tu...”

“Steve non ha chiesto a Tony di uscire” s'intromette Natasha, accarezzandosi le tempie e sospirando. Tiene gli occhi chiusi e la fronte corrugata. Sembra starsi concentrando per non uccidere nessuno dei presenti. “Ha fatto capire che sarebbe interessato a farlo, ma quando Tony ha scherzato su quanto sarebbe stato difficile, si è tirato indietro.”

“Non è andata così!” cerca di protestare Steve, ma Natasha lo fulmina con lo sguardo e lui aggrotta le sopracciglia, tirandosi leggermente indietro. “Ne sono ragionevolmente sicuro” prova poi.

Natasha sospira. “La cosa non m'interessa” sbuffa, alzando le mani in aria.

“Ma?” chiede Jessica, con un sopracciglio alzato. “La cosa non t'interessa ma?”

“Ma sono tutti e due così stupidi” sbuffa l'altra. “Sarebbe stato davvero coraggioso se avesse veramente chiesto a Tony di uscire, invece di parlare per sottintesi. Quanti anni hai, Rogers? Quindici? E tu, Sam? Tu sei davvero orgoglioso di lui?” Sbuffa. “Patetici.”

Jessica ridacchia, sistemandosi i guanti che non le servono nemmeno al chiuso. Torna a guardare Steve, e così fa anche Luke, interessato dai risvolti della conversazione. “Quindi?” chiede.

“Quindi cosa?”

“Quindi che cosa hai intenzione di fare?” Jessica ruota gli occhi e dà una gomitata a Luke. “Spero che si umili definitivamente” sussurra, come se Steve non potesse sentirla.

“Qualunque si la tua decisione” inizia Samlanciando occhiatacce un po' a tutti. “Noi saremo fieri di te. Vero Natasha?”

“No” risponde lei seccamente. Poi ruota gli occhi, scivola sulla sedia, e torna a fingere di non star ascoltando nessuno. Sam sospira e si passa una mano sul viso.





Peter ricorda quel giorno, perché è stato il giorno più triste della sua vita. Era tra le braccia di zio Rhodey, ma zio Rhodey aveva la sua uniforme che lo faceva sembrare più un militare che uno zio. Gli aveva toccato il naso con l'indice e aveva aspettato che sorridesse, prima di lasciarlo a terra, accanto a baba. E stava dicendo addio.

“Ora dovrò trovarmi un vero baby-sitter” aveva mormorato baba, cercando di scherzare. Peter aveva alzato lo sguardo e li aveva guardati, con la testa inclinata. Zio Rhodey aveva sorriso. E baba anche aveva sorriso, soltanto che erano sorrisi così tanto tristi che Peter non era riuscito a capire molto bene.

“Basta che non provi ad insegnare al nostro campione come tirare una palla da baseball, no?” aveva detto lo zio, chinandosi su Peter e scompigliandogli i capelli. E Peter aveva riso, arricciando il naso. “Sappiamo entrambi che baba non sa lanciare una palla.”

“Quando torni dobbiamo andare al parco!”

“Dove vuoi. E verrà anche baba, così anche lui potrà finalmente vedere che cosa vuol dire fare sport.”

“Io so lanciare meglio di baba” aveva detto Peter, con le sopracciglia aggrottate. “Lo prendi tu nella tua squadra.”

“Molto bene” aveva sbuffato baba. “Sto avendo un flashback delle medie. Complimenti a tutti e due.”

Zio Rhodey gli aveva sorriso. Lo aveva ripreso in braccio e lo aveva abbracciato forte. Stretto stretto. Poi aveva preso il braccio di baba e aveva abbracciato anche lui. E non c'erano state parole tristi. Solo battute. Solo sorrisi. Ma si sentiva che c'era qualcosa che non andava. Si sentiva l'aria d'addio.

Ecco, questo. Questo è il ricordo di Peter che saluta suo zio che va in guerra.







Ad aprire la porta è un uomo sulla sedia a rotelle. Steve ha il fiatone e quindi non riesce a capire immediatamente che cosa sta succedendo, ma l'uomo alza un sopracciglio e subito dopo Peter corre verso di lui e si arrampica sulle gambe dello zio, prima di girarsi e gridare: “Steve!”

Steve deve ancora riprendere fiato. Ha fatto le scale tutte insieme, dopo aver corso nel condominio dal luogo in cui si tengono gli incontri del gruppo di sostegno, e, ora che ci pensa, è stata una mossa stupida. Apre la bocca per rispondere al bambino e aggrotta le sopracciglia e chiede: “Chi è Steve?” a Peter, cosa abbastanza bizzarra, al pensarci.

Il bambino gira la testa verso l'uomo, sistemandosi sulle sue gambe e dondolando i piedi. “Ah, sì, certo” risponde lui con un aperta. “Zio Rhodey, lui è il nostro vicino di casa. Steve. Era un ninja, ha salvato trecento bambini tutti d'un colpo e penso che abbia una cotta per baba.”

“Cosa?” È l'unica parola che esce dalla bocca di Steve, mentre Rhodey ride piano, scuotendo la testa.

“È quello che dice zio Clint” spiega Peter, girando la testa per poter vedere entrambi. “Uhm. E Steve. Lui e mio zio Rhodey, lo zio che volava con gli aerei, mi ha insegnato ad allacciarmi le scarpe e... c'è qualcosa di importante, zio? Ah, sì, ha insegnato anche a baba come allacciarsi le scarpe.”

“Una presentazione spettacolare, campione” si congratula Rhodey e Peter mostra il suo sorriso con denti mancanti, prima di girarsi di nuovo verso Steve e aggrottare la fronte. “Penso che il nostro ospite abbia bisogno di un bicchiere d'acqua, glielo vuoi portare tu?”

Il bambino scivola di nuovo verso terra, annuendo. “Chiamo anche baba, così si sbriga e andiamo al parco.”

“O potremmo lasciare baba qui a lavorare.” Rhodey sorride e alza lo sguardo verso Steve. “O con Steve.”

“Perché dovremmo lasciarlo da solo con Steve?” chiede Peter confuso, prima di scomparire trai corridoi della casa. E nel frattempo Steve ha ripreso il fiato e potrebbe anche riuscire a parlare, se solo sapesse che cosa deve dire. Okay. Quindi ha finalmente conosciuto questo fantomatico Rhodey. Deve essere una cosa buona. O una cattiva, visto che a presentarlo è stato un bambino di sei anni.

Rhodey lo osserva con mezzo sorriso stampato sulle labbra. Lo indica con un dito. “Questa è la parte della commedia romantica in cui capisci di amare il co-protagonista e fai la classica corsa fino ad arrivare a casa sua per fargli una lunga dichiarazione d'amore?” Ride passandosi una mano sul viso. “Ma perché queste cose capitano solo a Tony?” chiede, quando Steve chiude gli occhi e sospira. “Sei veramente un soldato? Ex-soldato? Perché questo debole che ha Tony per il mondo militare è addirittura tenero.” Si sistema i pantaloni e torna a guardarlo. “Tutto bene?”

“Sei il famoso Rhodey” risponde Steve, con una risata nervosa e Rhodey sorride un po' di più.

“Non devi essere nervoso nel conoscere me” lo rassicura, con una risata. “Dovrai essere nervoso quando conoscerai Jarvis.”

“Cosa?”

“Chi stai spaventando, Orsacchiotto?” chiede Tony. Peter è tra le sue braccia ed è un dettaglio strano. Questo voler tenere in continuazione in braccio un bambino nonostante sia considerato abbastanza grande per camminare da solo. Quando vede Steve, lo saluta così. Con un sorriso e a Steve manca un battito e poi lo riprende d'un colpo, sentendo come il cuore gli inizia a battere all'impazzata. Perfetto. “Steve!”

“Steve è venuto per fare la sua dichiarazione d'amore alla commedia romantica” avverte Rhodey, girando la sua sedia a rotelle. Peter ride, nascondendo il viso tra le clavicole di Tony. “E che bello. Io sono di nuovo qui.”

“Oh, bene. In realtà speravo la facesse entro oggi, altrimenti avrei trovato qualcun altro che potesse recitarmi qualche monologo triste... o mi sarei dato all'Amleto.”

“L'Amleto ti si addice” ribatte Rhodey, alzando una spalla. Steve li osserva con lo sguardo assottigliato e mezzo sorriso e non sa nemmeno il perché.

“Vero?” Tony sistema Peter tra le sue braccia e lancia un'occhiata veloce a Steve, per sorridergli. “Sto solo aspettando che Obadiah uccida mio padre per poter finalmente portare il mio dramma sul teatro della vita.”

“E nell'Amleto ci sono anche io, baba?”

“No, tesoro. Alla fine della tragedia dobbiamo morire tutti. Io e zio Rhodey ce ne andremo via su un aereo, che dici?”

“Baba no!”
“Tony!”

“Che c'è? Okay, vuoi che la facciamo diventare una commedia shakespeariana? Tipo Tanto rumore per nulla? Di cui non ricordo la trama, però.”

Rhodey si schiarisce la gola e anche questa volta Steve riceve un'occhiata nervosa. “Tony,” lo chiama. “Tony, stai dimenticando la dichiarazione d'amore alla commedia romantica.”

“Ti giuro che non l'ho dimenticato” gli risponde, con le sopracciglia aggrottate. “Solo che non penso sia il momento di rispondere, proprio ora.”

“Sei crudele.”

“Sono un padre.” Sorride e scrolla le spalle. “E devo ancora pensare ad una risposta da commedia romantica.”

“Non ce ne sarebbe bisogno” risponde Steve, alza una spalla e si ritrova sei occhi che lo scrutano, come se avesse detto la cosa più particolare del mondo. “Nel senso, magari la dichiarazione da commedia romantica, non era esattamente una dichiarazione da commedia romantica.”

“Troppo sofisticata?”

“Troppo. Sarei arrivato qui per dire ehi bro vuoi un po' di fonduta?”

“Un po' di fonduta?” ride Tony, mentre Peter stringe le braccia al collo, lanciando sguardi curiosi allo zio. “Davvero?”

“Sono entrato nel panico.”

“Baba. Anche io voglio la fonduta.”

“Vacci piano campione.”

“Quindi...”

“Tony,” lo richiama di nuovo Rhodey. Sta ridendo, passandosi la mano sul viso. “La risposta.”

“Oh, sì, certo. Vada per la fonduta.”

“La fonduta.”

Steve guarda verso il basso, con la fronte corrugata e un braccio che cade sui suoi fianchi. “Non ho mai mangiato fonduta” ride piano e poi alza lo sguardo verso Tony che sbatte lentamente le palpebre.

“Che voi ci crediate o no, questo, non supera minimamente il livello di imbarazzo di quella conversazione.”

È la volta di Steve di ridere piano, nascondendosi il viso dietro la mano.






Peter ricorda il letto bianco. Il bip delle macchine. Quella maschera sul viso dello zio. E ricorda baba con la mano sulla bocca, come se stesse cercando di non far uscire parole, o qualcos'altro, da dentro di lui. E zio sembrava star solo dormendo.

Peter gli aveva accarezzato piano piano la fronte, poi la guancia e aveva sorriso. “Ti devi svegliare presto, zio” aveva sussurrato. “Ché sono mesi che non gioco a baseball, perché baba non sa tirare le palle.”

“Ti devi svegliare presto, Rhodey” gli aveva fatto eco baba con la voce spezzata. “Ché altrimenti io come faccio?” Aveva scosso la testa e chiuso gli occhi, prima di sedersi accanto allo zio, sulla poltrona vicino al letto.

Peter lo aveva osservato, ma non aveva capito bene, quindi aveva continuato ad accarezzare la faccia di zio Rhodey e a pensare a quale gara avrebbero potuto fare, una volta che lui si fosse svegliato. Si era sdraiato accanto a lui e aveva preso a guardare intensamente il soffitto. Gli avrebbe lasciato baba in squadra, aveva pensato. E poi doveva chiedergli di insegnargli come fare il calcio rotante.

 
  
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