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Autore: Nina Ninetta    28/05/2018    9 recensioni
Viola è una ragazza disposta a tutto pur di conquistare il cuore della persona che ama, anche fare qualcosa di stupido come fraternizzare con il "nemico", ma talvolta ciò che noi detestiamo può rivelarsi un'autentica benedizione. La giovane si ritroverà a fare i conti con i problemi tipici degli adolescenti, un amore a due facce, un'amicizia persa e una madre emotivamente scompensata.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5
Dite cheese!

 
L’idea della mano fu una grande trovata, poiché lo sguardo di Christian si posò sulle nostre dita intrecciate ancor prima che su di noi.
Ci avvicinammo piano, Willy non faceva che sussurrarmi di sorridere:
«Sorridi. Sorridi. Sorridi.»
E io mi sforzai di farlo, tanto da farmi dolere la mascella, ma tenni duro. Christian non rispose ai nostri saluti, mentre porgevamo alla festeggiata i nostri migliori auguri e il nostro regalo.
Perché è così che si fa, no? Una coppia fa tutto insieme, tutto diventa al plurale.
In realtà a pensarci fu Willy, fosse stato per me le avrei semplicemente detto: «buon compleanno, Jenny».
Lei era uno spettacolo: un abito chiaro, con la gonna a palloncino, metteva in risalto la sua pelle leggermente dorata, i capelli lunghi e lisci splendevano di luce propria, le ciglia folte incorniciavano il suo sguardo dolce e caldo.
Sentii il trucco che mia madre aveva steso sul mio viso bruciare come acido sulla pelle. Se avessi potuto lo avrei sfregato via con il polsino della felpa, però mi sforzai di sorridere – in ogni caso - anche con lo sguardo indagatore del ragazzo che mi piaceva puntato addosso.
Jenny scartò il nostro regalo e il volto le si illuminò dinnanzi a quel paio di orecchini che aveva visto in una vetrina al centro commerciale qualche mese prima, quando ancora ci divertivamo passeggiando per interi pomeriggi. Mi strinse forte:
«Ti sei ricordata» disse e provai un lieve senso di colpa in fondo alle viscere. In quel preciso istante realizzai che se avessi raggiunto il mio scopo – strapparle il suo Cri Cri – a soffrirne sarebbe stata soprattutto lei e, con il senno di poi, so che non se lo meritava affatto. Ringraziò imbarazzata anche il “mio” ragazzo, poi ci indicò il buffet e, prendendomi di nuovo per mano, Willy mi guidò verso il tavolo imbandito di leccornie. Quando fui certa che lo sguardo di Christian non poteva più scorgerci, lasciai la presa con uno strattone:
«Non riesco a capire se ti imbarazza di più stare mano nella mano con me o è per la presenza del tuo moroso» disse William, versandosi una bevanda rossastra. Il ghiaccio tintinnò contro il vetro della brocca e improvvisamente la mia gola divenne avida di qualcosa di fresco, lui mi porse il bicchiere in maniera spontanea, un gesto gentile e inaspettato, almeno per me:
«È inutile che fai il carino, Christian non ci sta guardando adesso» risposi sarcastica, bevendone comunque un sorso. Era proprio come sembrava: fresca e dissetante. Willy si versò la bevanda per sé.
«Non posso essere semplicemente gentile con la mia ragazza…» fece oltrepassandomi «Pel di carota?» Di nuovo mi prese per mano e ci avviammo verso un tavolino libero.
«Mi terrai la mano tutta la sera?»
«Si, Verdina, ho deciso così. Problemi?»
«Sempre meglio dei baci» risposi facendo spallucce.
«Illusa» sghignazzò. Il drink mi andò di traverso, tossii guardandolo male mentre lui se la rideva di gusto.
 
La croce peggiore quella sera non fu tanto la presenza di Jenny e Christian o praticamente quella di tutti i miei compagni di classe che mi inviavano sguardi di sottecchi in continuazione, facendomi sentire in una specie di reality show, bensì la mamma della festeggiata. Una giovane signora con la fissa per la fotografia e quando ci vide fu l’inizio della fine. Si presentò senza troppi complimenti a Willy, il quale sembrò divertirsi molto nel raccontare dal principio la nostra storia d’amore, commuovendo la padrona di casa che lo ascoltava completamente rapita, di tanto in tanto mi lanciava sguardi di consenso e approvazione. Per tutto il tempo Willy non mi lasciò la mano, portandosela in grembo e accarezzandomela.
Disse che lui era da sempre innamorato di me, ma che sapeva di non avere chance, in fondo chi vorrebbe fidanzarsi con un ragazzaccio che non riesce ad attirare l’attenzione della persona che ama se non prendendola in giro? A quel punto si voltò a guardarmi negli occhi, il suo sguardo era mutato, come sempre quando c’erano dei presenti, aveva qualcosa di affettuoso, e io a volte facevo fatica a capire chi fosse realmente.
La mamma di Jenny si alzò, portandosi la Canon appesa al collo davanti al viso, sbirciando attraverso l’obiettivo:
«Vi dispiace se vi faccio una foto? Siete così belli insieme, un miscuglio di colori» tornò ad osservarci dal vivo. «Tu con questa pelle bianchissima e i capelli di un colore spettacolare» disse rivolta a me che la fissavo terrorizzata, «e tu con la pelle bruna e questi capelli scuri e gli occhi… meravigliosi».
Willy finalmente lasciò andare la mia mano, ma solo per stringersi a me passandomi un braccio intorno alla vita, la signora alzò l’indice come a dire di aspettare un momento, doveva trovare l’angolatura giusta. Lui non perse tempo:
«Sei molto più magra di quel che sembri, Cappuccetto Rosso» esclamò, affondando le dita nella felpa e quando feci per scostarmi, la madre di Jenny ci diede l’OK!
«Dite cheeeeese
Ci mettemmo in posa, con un sorriso di circostanza che personalmente scemò dalle labbra quando alle spalle della fotografa comparve Christian e il suo sguardo torvo.
La donna disse che ce ne avrebbe fatta avere una copia, poi si dileguò tra la folla. Data la presenza di Christian mi venne spontaneo trattenere la mano di Willy intorno al mio corpo,
intrecciando le dita alle sue e lui non reagì male (come invece avrei fatto io). William era capace di far sembrare tutto normale, anche il tocco più intimo.
«Posso?» disse il mio – ex – migliore amico indicando la sedia libera e Willy gli fece cenno di accomodarsi. Per qualche secondo nessuno parlò. Avvertivo una tale tensione fra di noi che avrei potuto reciderla con una lama. Christian di schiarì la voce:
 «Perché non vai a prendere qualcosa da bere, William?»
Per la prima volta sentii il suo corpo irrigidirsi contro il mio, la sua mano mi strinse per effetto della rabbia e compresi tutto l’odio che univa quei due. Spaventata al pensiero che potesse rispondergli a tono gli porsi il mio bicchiere.
«Ti spiace riempirmelo?» Ci fissammo negli occhi e, dopo due settimane che inscenavamo quella farsa, capii che per la prima volta stavamo viaggiando sulla stessa lunghezza d’onda, percependo chiaramente uno le emozioni dell’altra. Prese il bicchiere con sé:
«Certo» sembrava tornato tranquillo, lo ringraziai e lui si allontanò, spedendo un’occhiata all’altro ragazzo seduto a tavolino.
 
Christian fece scivolare la sedia sulla quale stava seduto verso di me, iniziando a tamburellare le dita sulla superficie liscia del tavolo e a muovere la gamba destra su e giù, come faceva ogni volta che era nervoso.
«Mi sale il vomito solo a guardarvi!» sbottò.
«E allora non ci guardare!» risposi. Il modo in cui si era rivolto a Willy mi aveva irritato, poteva essere un’idiota che prendeva la vita in modo superficiale, ma non meritava di essere trattato alla stregua di uno schiavetto.
«Lascialo finché sei in tempo» eccolo che ricomincia, pensai. «Ma non ti accorgi che ti sta solo usando?» Ed era vero, Willy mi stava usando come io stavo usando lui, ognuno per arrivare ai propri scopi personali.
«Ne abbiamo già parlato, Cris!»Lui scosse il capo, quasi schifato.
«Ti sei anche truccata per quello lì» abbassai lo sguardo toccandomi le guance, erano calde e ipotizzai che dovessero essere anche rosse di collera. L’unica persona per la quale mi ero fatta carina ce l’avevo di fronte e neanche lo sapeva. «Perché stai con lui? Ci sei andata a letto per caso?» Sollevai di colpo il collo, gli occhi spalancati. «Gli hai dato la tua verginità?»
Questo era davvero troppo! Come poteva dirmi quelle cose? Come poteva offendermi a quella maniera? E tu? Avrei voluto chiedergli, tu ti sei già preso quella di Jenny?
D’istinto mi alzai, l’unica cosa che volevo era andare via da quel posto, andare lontano da Christian che invece mi imitò. Era alto il doppio di me e il palmo della sua mano grande quasi quanto il mio volto, che sfiorò:
«Scusami. Non dovevo. Il pensiero di voi due insieme mi fa imbestialire» mi veniva da piangere. Cosa significavano quelle parole? «Non farlo, ok? Non darti a lui» da lontano la voce di Jenny echeggiò fino a noi, stava cercando il suo amore per le foto di rito con la torta di compleanno. Christian alzò una mano, la stessa con cui mi stava carezzando fino a un secondo prima, facendole segno che l’avrebbe raggiunta subito. Prima di allontanarsi mi sussurrò una parola che mi avrebbe tormentato per tanto tempo.
«Aspettami.»
In che senso? Feci per chiedergli, ma lui era ormai troppo lontano.
 
Lungo la strada che portava a casa c’era un muretto alto poco meno di mezzo metro. Da bambina mi divertivo ad arrampicarmi su, mantenendo l’equilibrio aggrappata alla mano di mio padre o a quella di mio fratello maggiore. Con mamma queste cose “pericolose” non potevo farle, andava subito in paranoia:
«E se cadi e ti rompi una gamba e finisci sulla sedia a rotelle?» Per lei anche un cono  gelato poteva avere un potenziale bellico, ma a me piaceva salire lassù, mi dava una sensazione di libertà e di forza: ero la più alta, potevo vedere il mio mondo da un’angolazione diversa e tutto sembrava più bello. E facile. Dall’alto ogni cosa si rimpicciolisce e fa meno paura. Anche i problemi.
Quella notte, di ritorno dalla festa di Jenny, ci salii di nuovo.
Erano anni che non lo facevo, di giorno le persone mi avrebbero presa per matta, però a quell’ora tarda non c’era nessuno a testimoniare la mia follia.
Eccetto William, ma tanto lui già mi sfotteva.
Mi rattristai nel constatare che le sensazioni non erano più le stesse di quando ero bambina. Quello che provavo non era altro che una percezione di bilico. Sarei potuta cadere da un momento all’altro e la similitudine con la mia vita non era difficile.
Era tutto quanto instabile in quel periodo della mia esistenza: la famiglia, le amicizie, l’amore.
E se fossi caduta chi mi avrebbe sorretto?
«Quindi Christian ti ha detto di lasciarmi?» La voce di Willy irruppe nei miei pensieri.
«Esatto. Più di una volta» mettevo i piedi uno davanti all’altro lentamente.
«Inizia a dargli fastidio sul serio.»
«A me sembra che gli dia più fastidio il fatto che sia tu il mio ragazzo e non che io sia fidanzata» tenevo le braccia aperte per bilanciare il peso. «Sei riuscito a rubargli il posto da titolare in squadra?» Fui sul punto di cadere, Willy alzò le braccia in automatico, ma alla fine riacquistai l’equilibrio.
«Prima o poi cadrai faccia a terra, Bianchina» disse, ritornando poi sulla mia domanda mentre gli facevo una smorfia. «Il mister ci schiererà tutti e due dal primo minuto domenica. È già qualcosa.»
Un fruscio nell’erba alta che cresceva nel lato interno del muretto – e che chiedeva una tosatura immediata – mi deconcentrò. D’istinto afferrai i palmi che lui mi protese e con un balzo tornai sulla strada, integra, senza neanche un graffio.
«Te l’ho detto che saresti caduta, ma non credevo fra le mie braccia» sogghignò e mi allontanai, senza scenate esagerate, per quella sera evidentemente avevo esaurito le energie utili per arrabbiarmi o controbattere alla sua demenza. La mezza discussione con Christian me le aveva prosciugate, fino all’ultima goccia.
«E poiiii…» prolungai la vocale finale, ancora incerta se continuare o meno quella frase «… mi ha chiesto se eravamo stati insieme… beh, si! Hai capito, no? In quel senso…»
Lui rise, camminandomi di fianco:
«Chissà che coppia saremmo noi due. Sicuramente una di quelle male assortite.»
«E brutta. Bruttissima. Ma tanto si sa, quelli come te non vanno dietro a quelle come me, inoltre tu vuoi solo una cosa dalle ragazze» rise di nuovo.
«O santo cielo! Ma chi te le dice ‘ste cose, Gialla?»
«Si sanno e basta» risposi vaga e lui non approfondì il discorso. Ci restai male, avrei voluto saperne di più.
Rimanemmo in silenzio per un po’. Non mi ero resa conto che eravamo arrivati davanti casa mia finché non me la trovai di fronte. Lo salutai in maniera sbrigativa con un’alzata di mano e mi nascosi ad osservarlo risalire la strada che avevamo appena percorso.
Poi entrai. Le luci erano spente, anche la Tv in salotto, ma scorsi comunque l’ombra di mio padre sul divano. Erano giorni oramai che i miei non dormivano nello stesso letto.
Non lo sentii russare e percepii che era sveglio:
«Buonanotte papà.»
«Buonanotte Viola.»
E, contro ogni aspettativa, lo fu davvero.
  
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