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Autore: NyxTNeko    30/05/2018    3 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Abi, nuntia [...] Romaniscaelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit"
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16


Roma, novembre 37 d.C.

Dopo mesi e mesi di resistenze e privazioni Locusta intravide da lontano la capitale del mondo allora conosciuto.

Non sapeva però se fosse stata una fortuna arrivarci da viva; molti schiavi tra cui bambini e donne, durante il tragitto, erano morti per la fatica, per malattia, per spossatezza e venivano abbandonati nel punto in cui perdevano la vita.

In cuor suo aveva sperato che la signora morte arrivasse a colpire anche lei ma il fato, superiore persino agli dei romani come il druido gli aveva riferito in una lezione, aveva scelto per lei l'umiliazione definitiva della schiavitù.

Le nuvole scure rispecchiavano il senso di vuoto che provava, mentre il pianto del cielo accompagnava l'ultimo tratto del loro viaggio e l'inizio di una vita di stenti e di dolore.

Entrarono nella città passando sotto un altissimo arco di un candido bianco, mentre la gente riversa per le strade li osservava: alcuni ridevano, altri li guardavano con disprezzo, altri ancora invece non li rivolgevano nemmeno uno sguardo, sottolineando l'indifferenza che provavano verso di loro.

Locusta rimirava la città con lo sguardo spento, quasi come se la bellezza della città eterna, di cui aveva tanto sentito parlare e che le si mostrava dinanzi in tutto il suo fascino, fosse sbiadita davanti al suo pessimismo nei confronti dell'umanità.

Attraversarono una lunga strada fatta di ciottoli così perfetti, levigati e lucidi da sembrare marmorei e si fermarono in una piazza vastissima al cui centro vi era la statua di uno dei tanti uomini che avevano segnato la storia di Roma.

Ad attenderli c'era un uomo che dall'aspetto e dall'abbigliamento sembrava essere il venditore di schiavi; era basso e grassoccio con un sorrisetto maligno dipinto sul volto e gli occhi brillanti.

Si avvicinò alla carovana e disse, con voce gracchiante, sfregando le mani compiaciuto - Sextilius, ecco che ritorni con un bel carico anche stavolta!

- Non ho bisogno delle tue lusinghe Lucius! - sbottò con ferocia il pretoriano - E vedi di pagarmi in fretta stavolta!

Il venditore estrasse un sacchetto pieno di sesterzi e glielo consegnò, il suo collega non pareva, però, soddisfatto del pagamento, a suo vedere, troppo basso.

- Non lamentarti! Questa è la somma che ho messo da parte per il precedente carico! - gli rinfacciò il venditore come se volesse addossargli la colpa.

- Razza di sanguisuga! - bofonchiò fra i denti il pretoriano che gli porse la lunga corda a cui erano legati i poveri schiavi - Per la prossima volta mi aspetto un compenso maggiore oppure te la faccio pagare, è una promessa! - sbraitò mentre spariva in groppa al suo cavallo.

Il venditore, ringhiando, tagliò la corda con il pugnale e una volta liberati spinse il primo della fila brutalmente verso una tendina quasi del tutto scolorita e sgualcita - Spogliati! Rimani così come tua madre ti ha generato! - urlò con la frusta tra le mani - Fai in fretta se non vuoi che mi arrabbi!

Il povero schiavo intimorito annuì e si tolse la tunica tutta sporca di fango con le mani tremolanti; a causa della sua insicurezza venne frustato e nel frattempo il mercante gli chiese cosa sapesse fare in modo da poterlo incidere su di una tavoletta di legno che successivamente fece indossare allo schiavo.

Nel mentre che il primo saliva tutto tremante sul palco di legno, il secondo, che era solo un bambino, compì gli stessi gesti del precedente con le lacrime agli occhi, così come fecero tutti gli altri senza lamentarsi e senza mostrare un minimo segno di pudore.

Passò in rassegna a tutti gli schiavi ed arrivò davanti a Locusta e, come fece per i suoi colleghi, le chiese - Cosa sai fare schiava per poter essere ammessa nel mondo servile?

Lo sguardo scivolò lungo il suo corpo bianco come l'avorio più pregiato, formoso e levigato come una delle più superbe statue elleniche, i lunghi capelli che un tempo furono rossicci erano sporchi di sudore, di fango e di terra che li avevano rubato il suo colore naturale; ne aveva viste di schiave affascinanti ma lei sembrava di gran lunga superiore.

- Nelle terre galliche mi hanno insegnato a distinguere ogni tipo di erba per preparare infusi, filtri e veleni di qualsiasi genere - disse in un perfetto latino.

- Così siete una galla? - chiese sorpreso massaggiando la frusta.

- Ero una galla, adesso sono una schiava dell'Impero - rispose con freddezza Locusta.

Lucius incrociò i suoi stupendi occhi color zaffiro e rimase colpito dalla dignità stoica che non aveva mai riscontrato in una donna.

In realtà ciò che Locusta provava erano semplicemente delusione ed astio.

Dopo aver fatto scrivere le sue abilità sulla tavoletta la fece salire, al fianco dei suoi colleghi, sul palco di legno; l'uomo iniziò a gridare a gran voce dell'inizio della vendita di quei schiavi nuovi di zecca.

Locusta guardava dall'alto verso il basso alcuni cittadini romani che si stavano timidamente avvicinando e li fissava apaticamente, non mostrava alcun segno di paura, nè di dolore, o tanto meno vergogna come alcuni suoi compagni di sventura stavano facendo soprattutto quando venivano indicati dalla folla attratti dal loro aspetto o dalle loro attitudini.

C'era solo indifferenza nei suoi occhi spenti.

Sfilavano davanti a loro come si faceva con un animale in gabbia che desiderava solamente morire.

Uno dei suoi compagni che condivideva la medesima sorte, emerse dal fondo del palco con aria allegra e il volto illuminato da un sorriso splendente capace di suscitare ilarità in chiunque lo avesse incrociato.

Indossò una toga che un cittadino gli aveva lanciato ed iniziò a raccontare, con pungente ironia, storie di personaggi illustri che provenivano dal suo paese.

Nonostante fosse un greco di nome Aristide, come lui stesso rivelò nella presentazione, e facesse parte di un altro gruppo di schiavi che era approdato lì, si esprimeva in un latino così perfetto e fluido da sembrare un cittadino romano a tutti gli effetti.

Dalla sua bocca uscivano aneddoti, curiosità, novelle, ed ogni sorta di avventura, dalla più stramba ed improbabile, alla più incredibile ed avventurosa, che trasformarono, in un breve istante, quel misero palco di legno in uno di quei teatri incastonati nella pietra di cui si vedeva in giro.

La gente da sotto il palco rideva senza posa mentre l'aspirante attore si inchinava con una grazia incredibile, rivolgendo i ringraziamenti a destra e a manca come un vero e proprio istrione.

Quando finì il lieto siparietto alcuni romani con sacchetti pieni di sesterzi gliene lanciarono alcune, mentre altri chiedevano a gran voce il prezzo per quel fenomeno da baraccone formidabile, dall'aspetto così comune tanto raro.

Uno di quest'ultimi si presentò come autore di testi teatrali comici, un commediografo, che aveva bisogno disperatamente di attori per un suo spettacolo che avrebbe voluto rappresentare a breve.

- Solo 2500 sesterzi - puntualizzò il mercante già pronto a ricevere il primo malloppo della giornata.

- La sua cifra è leggermente alta - bisbigliò il commediografo un po' indeciso, si grattò la testa mezza calva tentato nel volerlo comprare viste le sue eccezionali abilità.

Anche se non era mai stato uno schiavo conosceva molti colleghi che lo erano stati in precedenza, ma che poi erano diventati alcuni tra i più importanti commediografi o tragediografi dell'Impero, ancora d'esempio per molti di loro.

Nel frattempo che i due uomini si mettevano d'accordo sull'acquisto Locusta continuava a guardare quello schiavo formidabile.

Era poco più di un ragazzo, probabilmente suo coetaneo, di altezza mediocre, dal fisico asciutto e mingherlino, dalla pelle abbronzata.

Si voltò verso di lei poiché si era accorto che qualcuno lo stava osservando da diversi minuti; quando vide che quel "qualcuno" era un bella donna barbara le rivolse un sorriso gentile.

Il volto seppur sporco ed intaccato da lievi graffi, restava giovane e levigato, il naso greco armonizzava il suo viso regolare e le labbra scolpite abbozzavano ad un sorriso lasciando intravedere dei perlacei denti.

Gli occhi color ambra si erano illuminati un istante per poi indirizzarsi davanti a sé; le sue acerbe sembianze sussultarono non appena sentì dalla voce del commediografo esclamare - Lo compro! Lo compro per 1900 sesterzi non uno di più!

Il mercante alla fine cedette e glielo consegnò alla somma indicata dal commediografo che iniziò a pregare gli dei per la fortuna ricevuta in quella propizia giornata.

Lo schiavo scese gli scalini di legno e si avvicinò al suo padrone porgendogli un cortese inchino e salutandolo con reverenziale rispetto; il suo atteggiamento era improvvisamente mutato.

Prima di scomparire definitivamente dalla scena girò lievemente la testa rivolgendo i suoi occhi aurei alla giovane Locusta che fece finta di non notare.

In quell'occhiata fugace la schiava lesse tutta la sua vita che si mostrò improvvisamente tragica, piena di delusioni e di livori che mascherava abilmente dietro quel sorriso abbagliante. 
Poi rivolse lo sguardo verso quella marmaglia che aveva adocchiato un'altra preda, ignorandola totalmente con grande sollievo per lei che era profondamente turbata.

Anche se lei e l'attore mostravano atteggiamenti opposti, l'una freddezza e indifferenza, l'altro gioiosità e vitalità, in realtà erano molto simili, ma solo un esperto della vita avrebbe potuto accorgersene.

Entrambi, per sopravvivere, indossavano una maschera con la quale potevano nascondere la loro vera indole e mostrare ogni volta le caratteristiche che meglio si adeguavano alla situazione, proprio come gli attori.

Si rese conto che quel mestiere rispecchiava appieno l'umanità abituata da secoli a fingere, nascondere, mascherare, tacere, dimenticare per poter vivere, se vita poteva chiamarsi.

"Così è questo il vero volto di Roma, della capitale del mondo" si disse ripensando a quell'attore che l'aveva tanto colpita.

- Niente male come prima giornata! - esclamò compiaciuto Lucius, agitando il sacchetto pieno di soldi di cui udiva il suono gratificante.

I pochi schiavi ancora invenduti, tra cui Locusta, erano stati depositati in una piccola stanza che sembrava una prigione.

Il freddo pungente della sera invernale invase quel luogo e Locusta anche se rivestita con i suoi stracci tremava senza sosta così come i suoi colleghi.

Alcuni che non le erano molto distanti le si avvicinarono per potersi scaldare a vicenda creando una catena umana.

Locusta all'inizio fu titubante ed indisposta e provò più di una volta ad allontanarsi da loro, però questi la pregavano di avvicinarsi a loro.

- In un mondo come questo e nelle nostre condizioni, bisogna imparare a sopravvivere tutti insieme, ragazza - proferì un uomo forzuto dalla pelle scura che se ne stava con le braccia conserte e il viso malinconico che rispecchiava la sua anima generosa nascosta dietro la sua possanza.

Locusta aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono, e a testa bassa gli si avvicinò un po' timorosa

- Non devi temere la mia figura, ragazza sono più buono del pane - le disse infine per confortarla.

Aveva percepito la sua paura interiore che era riuscita a nascondere con coraggio per tutto il giorno.

- Non sei tu a farmi paura, buon uomo - gli riferì con lo sguardo triste

- Lo so, ragazza, è Roma che temi, ce l'hai stampato in volto - rise l'uomo

- Immagino che anche tu....

- Mi provoca ribrezzo... e un filo di compassione verso quella gente all'apparenza felice e ricca - spiegò osservando la piccola finestrella da cui proveniva il freddo e la tiepida luce lunare - Se penso che poi è la mia stessa gente

- Anche tu eri romano? - gli chiese stupita Locusta

- Un cittadino romano originario dell'Egitto - rispose l'uomo - E tu?

- Provengo dalla Gallia Narbonense, ma come sei diventato schiavo?

- Per renitenza alla leva

Spalancò gli occhi per lo stupore; come era possibile che un uomo possente e vigoroso come lui avesse rinunciato alla gloria della guerra e del campo di battaglia?

L'uomo sorrise alla vista della sua reazione - Ti vedo sorpresa, ragazza, in fondo hai ragione, se mi comporto così è perchè ho dei saldi principi che mi portano ad amare il prossimo e a rispettare la vita, per questo ho deciso di non combattere, di non uccidere nessuno anche se mi è nemico - espose con convinzione l'uomo.

Poi le rivolse gli occhi scuri e le fece la stessa domanda, lei gli rispose che era diventata schiava a causa dei debiti di famiglia.

Stordita dal sonno e dal freddo si lasciò andare; appoggiò la testa sulla sua spalla, percepì un timido calore sulla pelle, mentre sentì gli occhi pesanti per la stanchezza chiudersi - Potrà...questo calore...scaldare il mio cuore di....ghiaccio un.... - sussurrò.

Chiuse gli occhi e si assopì dolcemente.

   
 
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