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Autore: _Agrifoglio_    30/05/2018    18 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chi vive e chi muore
 
Erano le otto del mattino e Oscar era seduta davanti alla scrivania del suo ufficio nella Caserma della Guardia Metropolitana parigina, quando un frenetico bussare ruppe il silenzio nel quale era immersa la stanza. Oscar ordinò di entrare e si trovò di fronte un agitatissimo soldato semplice, di nome Roger Vallon che, senza mettersi sull’attenti e senza farle il saluto militare, iniziò a riferirle, in preda alla foga, la causa di tanta agitazione, parlando con ritmo veloce e tono concitatissimo:
– Comandante, tramite la nostra rete di spie, abbiamo localizzato uno degli autori dei disordini…. Uno di quegli uomini che, travestiti da soldati della Guardia, stanno gettando del fango su di Voi e sull’intera compagnia!
– Bene, Vallon, di chi si tratta?
– Di tale Robert Brasseur che vive all’ultimo piano di un palazzo sito al numero sette di Rue Buffon, nel Faubourg Saint Marcel.
– Perfetto, organizziamo una pattuglia e andiamo là.
– Comandante, il Faubourg Saint Marcel è, insieme al Faubourg Saint Antoine, uno dei più pericolosi, perché è abitato dagli strati più poveri, politicizzati e arrabbiati della popolazione parigina – disse il soldato, sottintendendo che Oscar avrebbe fatto meglio a tenervisi lontana.
– Hai paura, Vallon? In questo caso, non venire. Nel frattempo, chiama a rapporto nel mio ufficio Leroux, Dupont, Rostand, Legrand e Plessis. Impartirò delle brevi istruzioni e, poi, andremo lì senza indugio!
 
********
 
Arrivati al numero sette di Rue Buffon, Oscar ordinò a Leroux di rimanere di guardia al portone del palazzo e a Dupont di fare il giro dello stesso, per accertarsi se vi fosse un’entrata secondaria, ingiungendogli, nel caso l’avesse trovata, di presidiarla.
Presi con sé gli altri quattro soldati, salì fino all’ultimo piano, destinato, come tutti i piani alti dell’epoca, a ospitare gli abitanti più poveri degli edifici. In quello specifico caso, si trattava del piano alto di un palazzo che, per ubicazione, era già abitato dalla popolazione più miserabile della città.
Giunta davanti alla porta dell’interno desiderato, ordinò, con voce altera e stentorea:
– Aprite, in nome di Sua Maestà o butteremo giù la porta!
Non avendo ricevuto risposta ed essendosi, anzi, uditi dei rumori sospetti provenienti dall’interno, Legrand spalancò la porta con una pedata, così da consentire l’ingresso all’intera pattuglia.
Appena entrati, i soldati videro un uomo sulla trentina che cercava di uscire dalla finestra, con l’evidente intenzione di cercare una via di fuga attraverso il cornicione. Plessis lo afferrò per la giacca, ricacciandolo all’interno della stanza.
– Comandante, lo riconosco, è quel figlio di madre ignota che, nella taverna, ha dato del finocchio ad Alain! – disse Roger Vallon, squadrando Robert Brasseur il cui naso, fracassato dal pugno di Alain, era fasciato alla bell’e meglio.
Vallon, pur essendo stato presente alla rissa scoppiata in taverna, non vi aveva partecipato e, adesso, non si trovava agli arresti.
– Chi ti ha ordinato di fare quel che hai fatto? Per conto di chi agisci? – tuonò Oscar, con tono aggressivo e voce collerica, puntando la pistola contro l’interrogato.
Gli occhi fiammeggianti e i toni duri e imperiosi di quel Comandante, aggiunti ai modi spiccioli e violenti degli uomini da lei comandati, fecero tremare Robert Brasseur, da sempre, per natura, forte coi deboli e debole coi forti. Capì che non gli conveniva scherzare e che, fra il pericolo lontano costituito dal Duca d’Orléans e quello vicinissimo rappresentato da quei soldati, sarebbe stato meglio evitare il secondo.
– Ho agito su ordine del Duca d’O….
Robert Brasseur non aveva ancora finito di parlare, quando un colpo di proiettile, sparato dal palazzo dirimpetto, attraversò la finestra aperta e gli si conficcò al centro della fronte.
– Presto, scendiamo in strada – ordinò Oscar – Cerchiamo di fermare il tiratore!
Affacciatasi alla finestra, poi, urlò ai due uomini che aveva lasciato sulla via:
– Leroux, smettila di vigilare questo portone e presidia quello di fronte! Dupont, entra in quel palazzo, sali all’ultimo piano e ferma i sospetti!
Ciò detto, si precipitò giù per le scale insieme ai quattro uomini che erano saliti con lei, a rotta di collo e col cuore in gola.
 
********
 
I soldati non riuscirono a catturare il tiratore che, nel lasso di tempo necessario per raggiungere l’ultimo piano del palazzo che ne ospitava il covo, si era già dileguato, ma, quando fecero irruzione nell’appartamento dal quale era partito lo sparo, si trovarono difronte un vero e proprio arsenale: decine e decine di spade e di fucili erano appesi a delle rastrelliere attaccate alle pareti oppure erano custoditi dentro armadi e bauli; pistole, polveri da sparo e pugnali erano conservati in casse di legno e in tiretti.
Il camino era acceso, sebbene fosse già la fine di maggio. Insospettita dalla circostanza, Oscar si chinò davanti alla bocca, all’altezza del focolare e vide che, nella camera del fuoco, sopra la brace e in mezzo alla cenere, ardevano dei fogli di carta. Con gesto rapido, riuscì a recuperare e a spegnere quelli meno compromessi e se li si infilò nella giubba.
Diede, poi, ordine agli uomini di perquisire l’appartamento e si mise lei stessa a farlo, nella speranza di reperire altre utili informazioni.
La giornata, in fin dei conti, non era stata un insuccesso: l’uomo che erano andati ad arrestare era stato ucciso sotto il loro naso e l’assassino di lui era scivolato dalle loro mani come una manciata di finissimi granelli di sabbia, ma, in compenso, avevano scoperto un vero e proprio covo di attentatori, un arsenale fornitissimo e, con ogni probabilità, si erano imbattuti, seppure del tutto casualmente, in un traffico d’armi in piena regola.
Decise di lasciare due uomini a guardia dell’arsenale e altri due a presidio dell’appartamento dove aveva alloggiato Robert Brasseur e di tornare in caserma insieme agli altri due, per dare disposizioni in merito a un’accuratissima perquisizione dei due appartamenti, all’asporto e alla requisizione delle armi e all’apposizione dei sigilli nei due locali.
Usciti dal palazzo e recuperati i cavalli, Oscar si accorse che alcuni uomini che bivaccavano in strada, dei gran brutti ceffi, guardavano male i soldati o si voltavano dall’altra parte al loro passaggio e certuni sputavano a terra.
 
********
 
André si alzò di buon mattino, deciso a iniziare il percorso della sua nuova strada lastricata di buoni propositi con lo sdebitarsi.
Alain aveva pagato di tasca propria il vetturino di piazza che lo aveva riportato, ubriaco e ammaccato, a Palazzo Jarjayes, accollandosi, oltretutto, i maggiori costi della tariffa notturna e André voleva restituire il denaro senza porre tempo in mezzo.
Alain stava scontando la settimana di arresti a seguito della rissa in taverna, ma André sapeva che la famiglia dell’amico non navigava nell’oro e, pertanto, stabilì di non attenderne la scarcerazione, ma di portargli il denaro a casa, per consegnarlo a Madame de Soisson.
Montò, pertanto, a cavallo e si diresse verso Parigi.
Arrivato al numero ventisei di Rue Bourbon, André domandò a uno degli inquilini che stava uscendo dal portone principale a quale piano abitasse la famiglia de Soisson e, ottenuta la risposta, iniziò a salire le scale.
Giunto di fronte alla porta dell’appartamento della famiglia di Alain, André bussò senza ottenere risposta. Si apprestò a bussare una seconda volta, quando udì dei rumori provenienti dall’interno che gli fecero pensare a una colluttazione: un tonfo di mobilia buttata a terra e altri suoni che non riuscì a decifrare immediatamente. Sapendo che, in quella casa, abitavano due donne sole e temendo che qualche male intenzionato fosse riuscito a farsi aprire la porta con l’inganno e senza forzarla, estrasse, all’istante, la pistola dalla fondina, sparò alla serratura e spalancò la porta con un calcio.
La scena che si trovò di fronte fu agghiacciante: Diane, la giovane sorella di Alain, penzolava da una corda legata a una delle travi del soffitto e una sedia era rovesciata per terra, sotto i piedi di lei.
André lasciò cadere la pistola sul pavimento, estrasse prontamente la spada dal fodero e, con un balzo, si pose sotto Diane. Sorreggendo la ragazza col braccio sinistro, con un colpo rapido e preciso della lama, recise la corda e, disserrato il pugno che stringeva l’elsa, protese le braccia per accogliere, in un abbraccio salvifico, la giovane che, non più sorretta dalla corda, stava cadendo al suolo.
La ragazza era viva, ma in evidente stato confusionale. Il seno di lei, ansante, era scosso da incontrollabili sussulti mentre le braccia e le gambe tremavano convulsamente. Il volto era imperlato di sudore e, sul collo, ancora avvolto dalla corda, risaltava una segno rosso. André sperò di essere arrivato in tempo, dato che il tonfo della sedia aveva preceduto di pochissimi istanti l’effrazione della porta e tutto il resto si era susseguito in rapidissima sequenza. I movimenti delle gambe e delle braccia della giovane gli fecero sperare che lo strattone successivo alla caduta non avesse fratturato alcuna vertebra. Accucciatosi sul pavimento, fece sedere Diane per terra, continuando a sorreggerle il busto col braccio destro e appoggiando la testa di lei alla sua spalla. Con gesto delicato, le tolse il cappio e iniziò a palparle il collo, la nuca e la schiena, non riscontrando, con sollievo, alcuna apparente frattura.
Povera Diane, l’arrivo di lui l’aveva salvata da una morte atroce!
La lunghezza della corda, stabilita a caso e non calibrata sull’altezza e sul peso della ragazza, aveva fatto sì che lo strattone seguito alla caduta non producesse la rottura immediata delle vertebre e, con essa, una morte rapida e indolore e ciò aveva consentito ad André di effettuare un efficace salvataggio. Se il giovane uomo non fosse sopraggiunto contemporaneamente al tonfo, però, quella fortuna si sarebbe tramutata in una tremenda tortura e la povera Diane si sarebbe dimenata anche per più di dieci minuti appesa alla corda, in un supplizio degno delle più terrificanti allegorie dell’inferno dantesco.
D’un tratto, si affacciò sulla soglia di casa un’agghiacciata e quasi inebetita Madame de Soisson, affiancata da un’amica altrettanto spaventata e basita. La madre di Alain e di Diane era appena rientrata dal mercato e, sul portone del palazzo, aveva incontrato l’amica che era venuta per restituirle una pentola, prestatale la settimana prima. Sentendo uno sparo provenire da sopra, le due donne si erano precipitate a salire, divorando gli scalini a due a due.
La povera donna non poteva credere ai propri occhi: la figlia era riversa a terra, sorretta da uno sconosciuto, la porta era fracassata e, sul pavimento, erano buttate alla rinfusa una sedia, una spada e una pistola. La fune culminante nel cappio, adagiata accanto al corpo della figlia, ebbe l’effetto di farle comprendere l’accaduto, svelandole le intenzioni di Diane. La poveretta scoppiò in singhiozzi, iniziando a balbettare frasi sconnesse.
André si rivolse all’amica di Madame de Soisson:
– Madame, per favore, andate a chiamare un medico, presto e, mi raccomando, discrezione!
– Madame Normand, Ve ne prego – disse Madame de Soisson, riscuotendosi – Andate al numero trentadue di questa via. Vi abita il Dottor Morel che è bravo e anche riservato.
Madame Normand fece quanto le era stato detto mentre Madame de Soisson si asciugò le lacrime e si avvicinò alla figlia, accarezzandole dolcemente una gota. Fu allora che Diane aprì gli occhi.
– Madame de Soisson, perdonatemi, mi chiamo André Grandier e sono un ex commilitone di Vostro figlio. Sono venuto per restituirVi del denaro che Alain mi aveva prestato e, appena sopraggiunto, mi sono trovato difronte….
Non ebbe il coraggio di continuare mentre guardava mestamente Madame de Soisson che, dal canto suo, volgeva lo sguardo doloroso alla figlia.
Diane, invece, guardava André.
   
 
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