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Autore: summer_time    31/05/2018    1 recensioni
L'Unione ambisce da quando è nata al Soldato d'Inverno, una leggenda vivente ma nascosta a tutti: addestrato a sopravvivere, a combattere, a uccidere ma soprattutto ad obbedire, sarebbe la risorsa militare perfetta per avere finalmente il controllo totale e assoluto sui territori e sui pianeti. Le più alte cariche lo bramano ognuna per sè, una guardia silenziosa e letale capace di simulare un omicidio per suicidio; l'Esercito lo chiede per sè, una macchina da guerra instancabile e sempre operativa, in grado di allenare nuove reclute; il Museo Generale lo vuole per sè, un umano ancora in vita dopo la Quarta guerra Mondiale, dopo la criogenesi a lunga durata, dopo la distruzione più totale, portatore di antiche culture.
Ma il Soldato è stato problematico fin da subito e la sua mente non è cambiata: che provino pure a manipolarlo, a tentare di sedurlo, a controllarlo. Il Soldato non si è spezzato una volta, non lo farà mai, se credono di averlo in pugno e di comandarlo a loro piacimento si sbagliano: è così che vuole far credere, osserverà ogni dettaglio, stringerà alleanze, vedrà tutti i punti deboli. E poi attaccherà.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
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Dicono del Soldato d’Inverno che mantenga sempre le sue promesse a chi merita la sua fiducia.
Dicono del Soldato che ami la libertà più di qualsiasi altra cosa. E che abbia massacrato chiunque avesse osato o solo pensato di fargli del male.

Pianeta Unione, sede del Concilio. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Il sangue gocciolava su tutta l’armatura nera: lo sentiva scorrere lentamente in piccole gocce viscose, caldo e rosso, lungo tutta la schiena, sulla pelle delle mani, sul collo e sul viso. Gli dava particolarmente fastidio proprio sul viso, quelle stupide gocce rosse colavano fino alle labbra carnose, rischiando di entrare nella bocca o negli occhi compromettendo la sua vista perfetta. Quando l’ennesima goccia fece per cadere dalle sue ciglia, il Soldato si passò una mano sul volto per tentare almeno di togliere un po’ di sangue dal viso ma ottenne solo di spalmarlo lungo la faccia e il palmo della sua mano destra. Sospirando, raccolse i suoi capelli liberi ma pregni di sangue e incominciò a strizzarli, sentendo il liquido rosso gocciolare sul terreno nel mentre fissava pacificamente Stocovich senior. Tutti i presenti erano rigorosamente in silenzio, immobili, come congelati in un singolo istante: tutto il Concilio o fissava terrorizzato lei o fissava i cadaveri che si era lasciata dietro; solo Dimitri era in qualche modo affascinato dal suo operato: certo, per uno che aveva bruciato trecento persone non doveva aspettarsi di meno, ma nei suoi occhi scorgeva anche una punta di paura, una paura nata dal non sapere come gestirla. E faceva bene Dimitri ad avere paura perché Beatris non si sarebbe più fatta mettere in catene.

“Ebbene, come intendiamo procedere?”

La situazione poteva anche esserle favorevole: nessuno aveva chiamato altre guardie e la stanza doveva essere insonorizzata, altrimenti non si spiegava poiché nessuno fosse ancora venuto a controllare dopo tutte le urla. Se nessuno chiamava la sicurezza, ne avrebbe approfittato per creare un po’ di caos in quest’Unione.

“Qualcuno mi degna di una risposta o devo farvela sputare da quella vostra inutile bocca?”

Non era mai stata una ragazza molto paziente, su questo lei e il Soldato erano nettamente in disaccordo ma il fattore tempo in quegli istanti stava diventando una prerogativa vitale, non poteva perdere tempo con degli stupidi omuncoli: probabilmente non avevano mai visto nessuno fare il lavoro sporco, loro erano semplicemente i mandanti, e ora che gli aveva palesato una verità scomoda e alquanto “sporca” erano in shock. Beh, l’effetto sorpresa poteva rivelarsi sua alleata se decideva di non lavarsi via il sangue dai vestiti, ma anzi, aggiungerne ancora e allungare la sua lista di morti.

“Nessuno che mi dice cosa fare. La prima volta che accade credo: beh, di certo non perderò quest'opportunità che gentilmente mi avete offerto. Deciderò io cosa fare della mia vita!”

Prima che anche solo uno di loro potesse agire, il Soldato estrasse la pistola dalla fondina allacciata alla vita, un semplice calibro quarantacinque, precisa e perfetta, con cui spara e centra otto teste – sette fronti e uno zigomo destro per la precisione -come un perfetto cecchino. A cartuccia finita, ripone l’arma nella fondina e si gira a guardare Dimitri, soprattutto lui, perché capisca che niente può imbrigliare la sua voglia di libertà: lo vede con le pupille dilatate e la bocca spalancata, in un urlo muto, un urlo che non esce dal dolore. Si avvicina svelta, il tempo scorre e lei di tempo non ne ha da perdere, tirando fuori di nuovo il suo laccio d’acciaio: facendolo guizzare come un serpente, gli artiglia la caviglia e lo trascina a sé, facendolo cadere a terra. Il ragazzo tenta di rialzarsi ma il Soldato è subito su di lui e, con un paio di cazzotti ben assestati, intontisce Dimitri quanto basta: i secondi in cui lui impiega a concentrarsi sul come reagire, il Soldato ha già estratto il pugnale dallo stivale e lo colpisce al centro del collo, trapassandogli trachea ed esofago. Lo colpisce una sola volta e poi si rialza, lasciando affogare nel suo stesso sangue: una morte lenta, dolorosa e consapevole per un individuo macabro fino al midollo.

Ripone il suo pugnale nello stivale e riavvolge il suo lazo, riponendolo nella tasca sulla schiena. Alza appena lo sguardo sul Capitano, immobile ma con una luce vigile nel suo sguardo: sa cosa sta pensando e non può fare a meno di ghignare compiaciuto. Sente ancora Dimitri gorgogliare, una mano a comprimere il buco lasciato dalla lama, ma sa che morirà presto, una decina di minuti al massimo.

“Immagino che non voglia agevolare la mia fuga, Capitano.”

Il tono ironico che usa non migliora la situazione: Fuq s’irrigidisce del tutto, lasciando cadere ogni parvenza di calma. Non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare, non dopo aver speso così tanto nella sua ricerca,  sicuramente non dopo che ha assassinato tutto il Concilio e le sue guardie: non ha colpe, il Soldato lo capisce, è semplicemente devoto a questa Unione. Oppure più semplicemente, non vuole staccarsi dalla sua posizione di potere all’interno dell’Esercito, gli ricorda malignamente Beatris.

“Soldato, ti dichiaro in arresto. Ai sensi della legge dell’Unione io, Fuq, ti condanno a morte per alto tradimento contro il Concilio, di omicidio premeditato e di attentato alle alte cariche dell’Unione. Inginocchiati e mani sulla testa, altrimenti dovrò ricorrere alla violenza.”

Il Soldato squadrò il Capitano con un cipiglio vagamente sorpreso: credeva di spaventarla con questo suo discorso? Credeva davvero che si sarebbe consegnata di sua spontanea volontà, dopo aver ucciso la metà dei presenti in quella stanza?

“Scelgo la violenza: l’inverno è arrivato per l’Unione.”

Lo vide estrarre le sue due spade corte, e prepararsi all’imminente combattimento: non aveva realmente intenzione di fargli del male, infondo non le aveva causato nessun problema ma si sarebbe rivelato un formidabile avversario in futuro. Le avrebbe scatenato addosso tutta la potenza militare dell’Unione e lei avrebbe finito per essere braccata in tutti i pianeti. Doveva precludersi questo possibile futuro, fino a che aveva il potere per farlo. Su effetto della sua volontà, la tuta inspessì le protezioni sull’addome, sulla schiena e sul collo mentre le sue mani, prima libere e insanguinate, venivano rivestite da dei guanti rinforzati; al posto della maschera nera sul volto, l’intera testa venne rivestita da un casco integrale in fibra di carbonio – leggero, resistente e rigorosamente nero – decidendo di non sfoderare alcuna arma: avrebbe stroncato il Capitano Fuq a mani nude.

Lion, impedisci che qualsiasi informazione esca da questa stanza, dammi tempo.

Ho già provveduto a cancellare le registrazioni video e audio, oltre a scaricare l’intera piantina del pianeta. Nessun nuovo tentativo di comunicazione con la sala è pervenuto per ora.


Soddisfatto, il Soldato si lanciò contro il suo ultimo nemico, deciso a prendersi la sua libertà contro chi voleva portargliela via: non
sarebbe morta ora, non dopo aver sacrificato così tanto.

҉҉҉

Hool la raccogliersi i capelli in una coda alta, dopo aver tentato di scrostare parte del sangue seccato che si era incastrato tra la folta chioma bruna. Il cadavere del Capitano stava ai suoi piedi, senza nessuna ferita o sangue addosso, era solo e semplicemente un altro corpo strangolato dal Soldato. Sentiva il suo fiato accelerare ogni volta che quegli occhi d’acciaio rimanevano fissi su di lui per troppo tempo, troppo preso a sperare di rimanere in vita che a considerare le possibilità di fuga: Jhosha ci aveva provato a mettersi in contatto con quelli fuori dalla stanza, ma la sua richiesta era stata bloccata o respinta, non si era riuscito a capire. L’unica cosa certa era questa: gli unici sopravvissuti erano loro, il gruppo del Dottor Kçasip, e non si chiedeva neanche il perché, voleva solo che la carneficina finisse.

“So che c’è una navetta pronta a decollare tra poco: la navetta in questione è di Dimitri, il nostro simpatico amico.”

“Che vuoi fare? Ucciderci tutti?”

Hool vide il Soldato incominciare a ritirarsi nelle profondità della mente della ragazza, per fare sempre più spazio a Beatris.

“No Dottore. Voi non mi avete fatto nulla e non volevate attentare alla mia libertà come i cadaveri qui presenti. Anzi, siccome mi sta pure simpatico, le propongo un patto che credo possa farmi scusare di questo piccolo inconveniente.”

Quando ebbe l’intera attenzione del gruppo, proseguì, mentre la sua armatura nera spariva – e così spariva anche il sangue sopra di essa – per tornare a essere l’elegante completo nero dell’inizio. Il tacchettio delle scarpe, ben lontane dalle pozze rosse colme di sangue, risuonò per tutta la stanza, fino a una porta secondaria.

“Lei e i suoi sottoposti mi lasciate andare: nel senso che potrete avvertire chiunque di cosa è successo, ma solo dopo che la navetta di Dimitri avrà compiuto il primo salto nell’iperspazio.  Quando mi sarò costruita un’abitazione sicura, le farò recapitare una mia esclusiva: l’intera storia della Quarta Guerra Mondiale, compresa di tutti i dettagli sconci che sicuramente non vi sono arrivati. E per allettarvi ancora di più, vi prometto di raccontarvi delle mie missioni: ma questo solo se Hool viene con me e mi insegna a pilotare quella dannata cosa volante. Ci sta?”

Il gigante s’irrigidì: perché lo voleva con sé? Jhosha era qualificata almeno quanto lui sui macchinari, eppure non l’aveva calcolata di striscio. Non aveva neanche badato a Kurt, ancora shoccato dalla vista di tutta quella violenza, custodita internamente da una ragazzina all’apparenza inerme.

“Come posso credere a un’omicida di massa? Come posso fidarmi della tua parola? Come posso credere che in realtà non ucciderai il mio sottoposto appena avrai imparto a manovrare la navetta?!”

“Dottore, sapeva bene chi stava cercando, perché mi rivolta contro ciò che sono, credendolo un insulto? Ho ucciso in passato, l’ho fatto appena qualche minuto fa e dico che potrebbe riaccadere in futuro, senza problemi. Ma se avessi voluto uccidervi, l’avrei già fatto, siete target semplici e poco pericolosi. Perciò si fidi, non gli farò del male, non farò del male a nessuno di voi.”

Su questo nessuno poteva essere discorde. Eppure volente o nolente, non aveva molta altra scelta: avrebbe minacciato qualcuno e forse l’avrebbe ucciso pur di fuggire, tanto valeva risparmiare la vita del futuro malcapitato, insegnandole come navigare. Magari avrebbe scoperto qualcosa d’interessante nel suo passato turbolento. Annuì lentamente, distaccandosi dal gruppo per incamminarsi verso la porta secondaria dove Beatris lo aspettava, rassicurando Kurt che aveva fatto un passo verso di lui. Buffo, più si avvicinava, più si sentiva in soggezione davanti a una ragazza alta la sua metà. Lei lo accolse con un largo sorriso, prima di salutare allegramente i superstiti e dargli le spalle – la sua vocetta allegra stonava terribilmente con i cadaveri e il sangue nella stanza. La seguì, sperando nella fedeltà della sua
parola.

҉҉҉

Erano in viaggio da qualche giorno: le scorte della navetta potevano sfamare entrambi per due anni pieni – che navetta in realtà non era, sembrava più una navicella personale da quanto era piccola. Dimitri non aveva badato a spese per renderla funzionale, veloce e irrintracciabile. Merito forse anche di Lion, o comunque l’assistente informatico di Beatris, che aveva preso possesso dell’intero impianto di navigazione, in realtà di ogni apparecchio elettronico presente, e li stava guidando al di fuori delle galassie governate dall’Unione. Tutto sommato, Hool non se la stava passando male: Beatris era tornata la ragazza a cui si era incuriosito, sembrava anche ben disposta a rispondere alle sue domande nonostante non dormisse dal giorno in cui avevano fatto il primo salto nell’iperspazio. Avrebbe voluto essere spaventato a morte, erano solo loro due su quella navetta, avrebbe dovuto essere terrorizzato nel stare vicino a un’assassina senza scrupoli, eppure non ci riusciva: la capiva, la comprendeva e non poteva fare a meno di essere gentile con lei, nonostante avesse visto cosa era capace di fare. La vide avvicinarsi con una grossa bacinella piena d’acqua calda, a giudicare dalle piccole onde di fumo che salivano dal liquido, e del sapone.

“La ragazza cosa fa?”

“Devo lavare la mia tuta. Nonostante so che non ne avrebbe bisogno, mi sento sporca a indossarla. E poi non ho nient’altro da fare e non sono stanca.”

 La vide togliersi quell’indumento quasi magico, perfettamente unico nel suo genere, e affondarlo piano nell’acqua, rimanendo completamente nuda. La vide incominciare a strofinarla con forza, insaponandola e risciacquandola più volte, fino a che non fu soddisfatta: allora la strizzò e la stese sopra uno dei tubi dell’aria presenti nella cabina, per poi tornare alla bacinella e scolare l’acqua diventata torbida. Si concentrò sul suo corpo: era la prima volta che vedeva un corpo umano dal vivo senza vestiti, e se la cosa doveva sembrare una manna dal cielo per quelli della sua specie, Hool si trovò quasi dispiaciuto per Beatris. Se andava così liberamente in giro, senza farsi problemi a rimanere nuda davanti a uno sconosciuto come lui, voleva dire che il suo pudore l’avevano estirpato anni fa – secoli o millenni addirittura.

“Dimmi se ti metto in imbarazzo.”

Neanche a farlo apposta, ecco che mi rassicura, pensò Hool.

“Questa ragazza non può mettere quest’uomo in imbarazzo poiché egli non è attratto dalla sua figura.”

“Meglio così, altrimenti si sarebbe creata una situazione imbarazzante!”

La sua risata lo sorprese: non era abituato a sentirla ridere, eppure era un bel suono. La sua vocetta era, nonostante tutto, carina. La vide passare le dita sulle cicatrici biancastre delle cosce per arrivare a quella più rossa dell’inguine.

“Quante cicatrici ha la ragazza?”

“Non lo so, non le ho mai contate. Alcune non si vedono neanche più, altre sono sopra ad altre ferite. Sono un mosaico di sangue e carne aperta. Questa per esempio.” – indicando la grossa cicatrice sul pube – “Questa me l’hanno fatta i dottori americani all’inizio del mio addestramento: isterectomia totale. Alla fine ho trovato solo vantaggi, nonostante i giorni in convalescenza e l’agonia che mi colpiva quando centravano la cicatrice le prime volte.”

“Rimozione totale dell’apparato genitale femminile umano, se non ricordo male.”

“Non di tutto l’apparato, io ho ancora le ovaie, per esempio. Era per prevenire eventuali gravidanze indesiderate a seguito di possibili stupri e per evitare il ciclo mestruale: sarebbero stati entrambi controproducenti nelle mie missioni.”

“Niente prole, quindi.”

“Non che alla mia età pensassi ad avere un figlio. Ma sì, non posso avere figli. Anche se, non penso neanche ad averli in un futuro sinceramente.”

“La cicatrice sulla schiena?”

“Oh, quella in realtà si è formata dopo una serie di frustate. Non ricordo esattamente il numero, ma furono molto dolorose. Era la mia punizione per non aver compiuto fino alla fine una delle mie tante missioni di prova: non avevo voluto uccidere un ragazzino poco più piccolo di me. Nonostante tutto, sono felice della mia scelta. Invece queste sulle cosce me le ha fatte quel sadico del Dottor Maximoff: andava pazzo nel vedermi soffrire senza poter reagire, ridendo come un pazzo. Madonna, come rideva se ci penso ancora.”

“Che fine a fatto?”

“L’ho guardato con aria sognante mentre si dibatteva nella cassa in cui lo avevo rinchiuso. La cassa poi l’ho sotterrata sotto tre metri di terra, mentre cantavo. Credo.”

“Quante persone questa ragazza ha ucciso?”

“Abbiamo tempo. Allora, fammi pensare…”

҉҉҉

Pianeta Tatooine, sede del Museo Generale. Millesettecentosessantacinque anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale, cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione e cinque anni dopo il ritorno del Soldato d’Inverno.

Il Dottor Kurt Hollander stava raccogliendo le sue ultime cose in un grande scatolone: era stato nominato direttore di uno dei più importanti dislocamenti del Museo e stava sgombrando quello che ufficialmente era stato il suo ufficio in quei anni. Di tutti i riconoscimenti – ufficiali e meno – appesi alle pareti, non rimaneva altro che l’ombra di polvere sui muri: erano accuratamente riposti nella scrivania della sua nuova sede, pronti per essere appesi.

Con fare distratto, prese le ultime cianfrusaglie dai cassetti, per poi riporre, sopra di essi, l’unica foto che avesse mai voluto tenere: la sua passata squadra. Con un gesto triste, passò l’indice prima sopra il volto del Dottor Kçasip, il suo mentore, ormai andato in pensione da due anni, passando poi a Jhosha – dove diavolo si era cacciata quella ragazza? Perché non si era fatta più sentire dopo lo scandalo sul pianeta Graine? – arrivando infine a quel gigante di Hool: lui non lo aveva né sentito né visto da quando era partito con il Soldato. Non riusciva neanche a chiamarla per nome, da quanto terrore gli aveva infuso in quella bruttissima giornata di cinque anni fa. Non c’era stato un contatto, neanche minimo, e l’Esercito non aveva trovato nessuna traccia fino a qualche anno fa, quando il veicolo spaziale privato del fu Dimitri Stokovich era stato ritrovato in una discarica spaziale. Ma del Soldato e di Hool non c’era traccia nonostante il Soldato fosse il ricercato numero uno in tutta l’Unione. O di quello che ne rimaneva, si stava andando sempre più verso un cambiamento radicale: l’oligarchia classica si stava espandendo in una sorta di senato. Chissà come sarebbe stato il futuro.

“Mi scusi, lei è il Dottor Hollander?”

Alzò la testa verso un fattorino, una giovane ragazza bionda, che lo stava fissando: si sentiva leggermente a disagio sotto quegli occhi grigi – così rari – ma annuì, allungando la mano sinistra per prendere il piccolo pacchettino che gli stava porgendo. Era una scatolina rettangolare, semplicemente impacchettata da una carta marroncina, senza nastri o fiocchi o scritte. Corrugò la fronte: come diavolo poteva saper il fattorino che fosse destinato a lui?

“Ci vediamo in giro, Kurt, Hool ti saluta.”

Non la vide neanche: quando rialzò lo sguardo pochi istanti dopo aver udito la frase, Beatris era già scomparsa, inghiottita nuovamente nell’oscurità e nell’anonimato. Non avvisò neanche la sicurezza, quella ragazza non entrava in uno degli edifici più sorvegliati senza avere un piano per uscire in caso qualcosa andasse storto. Decise invece di aprire la scatolina, curioso di scoprire cosa contenesse: ci trovo un piccolo quadratino nero e lucido, un contenitore avanzato di memoria; elettrizzato come non accadeva da tempo, si sedette e premette il piccolo pulsante sul retro, pronto a godersi l’ologramma che ne sarebbe venuto fuori: sorrise quando vide una Beatris completamente rilassata fare capolino dal video.

“Mi chiamo Beatris Moone. Sono il Soldato d'Inverno. Questo è un racconto di come siano avvenuti il mio selezionamento e il mio addestramento, di cosa sia successo in realtà nella Quarta Guerra Mondiale e di come io ne sia stata coinvolta. Il video è indirizzato al Dottor Kçasip ma, poiché so del suo ritiro, il video è espressamente indirizzato al Dottor Hollander come sancito da accordi già prestabiliti. Non potete risalire a questo video, non potete localizzarmi: se mai dovreste fortunatamente  trovarmi, nessuno troverà più voi, questa è una promessa. Incominciamo.”

 

ANGOLO AUTRICE

Anche questa storia è finita! Essendo la mia prima originale, sono contenta di com’è venuta fuori. Ad alcuni potrebbe non piacere, ma lascio il finale aperto, molto aperto: un po’ perché credo che ognuno possa divertirsi a pensare a come/cosa abbia affrontato Beatris nel suo addestramento, o di quante persone abbia ucciso; un po’ perché voglio lasciarmi un margine di spazio in caso decidessi di creare dei spin-off sulla storia. In ogni caso, se vi va, chiedetemi pure come io avevo immaginato l’addestramento del Soldato, sarei felice di leggere le vostre idee!
Ringrazio tutti quelli che hanno speso un po’ del loro tempo nel leggere la mia storia, grazie anche a coloro che l’hanno recensita.


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