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Autore: Hypnotic Poison    02/06/2018    4 recensioni
A Thousand Worlds To Break Our Hearts: The End.
« Ah, voglio, voglio, voglio! Quindi proprio non l'hai capito che è proprio questo che vi causa così tanti problemi. E io che pensavo che magari questi viaggetti vi avrebbero fatto capire qualcosa. Così ottusi... Costanti delusioni, voi umani. Sappiate, però, che solo perché lasciate questo posto, non significa che esso lascerà voi. » [...]
«Fatemi capire bene. Siete andati su Gea per cercare una caverna magica, dove avete incontrato una specie di strega in un labirinto uscito dal nulla, che vi ha fatto vedere solo mondi alternativi in cui non siete insieme?»
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina, Ryo Shirogane/Ryan
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A thousand worlds to break our hearts'
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Sunday

 

 

Zakuro sbatté le palpebre un paio di volte, fissando le tre ragazze davanti a lei. Quando aveva ricevuto il messaggio di Retasu, la sera prima, che invocava una riunione di emergenza al Caffè e le comunicava che Kisshu si era accasciato nella cameretta del bambino in costruzione, non aveva certo pensato che quella sarebbe stata la storia che si sarebbe sentita raccontare.

«Fatemi capire bene. Siete andati su Gea per cercare una caverna magica, dove avete incontrato una specie di strega in un labirinto uscito dal nulla, che vi ha fatto vedere solo mondi alternativi in cui non siete insieme?» 

Ichigo e Minto, senza guardarsi ma tenendo gli occhi fissi sulle rispettive tazze di caffè, annuirono all'unisono.

La viola si scambiò un'occhiata sgomenta e preoccupata con Retasu, seduta in mezzo alle due amiche, poi sospirò, scostandosi la frangia dalla fronte: « Ma perché vi cacciate sempre in questi casini?»

«Non è stata una mia idea!» saltò subito su Minto, «E' stata Ichigo a continuare a insistere per giorni!»

«E anche se Ichigo insiste, tu puoi sempre dirle di no, » replicò con fare di materna ramanzina la modella, «Soprattutto quando sono idee che non fanno bene a nessuno. »

« Be', dipende, » mormorò la mora, le guance rosse per il rimprovero e il viso corrucciato, « Certe cose è meglio saperle prima che dopo. »

Zakuro guardò Ichigo, che non aveva ancora aperto bocca e continuava a giocherellare con il suo cucchiaino.

«Oppure certe cose sono solo sciocche idee messe in testa da una chissà quale pazza psicopatica che avete incontrato. Sempre che l'abbiate incontrata davvero e non sia stata solo una brutta allucinazione da chissà quali elementi alieni.»

«Era vera,» la rossa pigolò così piano che quasi non la sentirono «Posso sentire ancora il suo profumo e l'odore di sigaretta. Non era solo un'allucinazione.»

Zakuro la fissò preoccupata, si sporse in avanti per sfiorarle una mano: «D'accordo, ma non vuol dire che le cose che vi ha fatto vedere fossero vere. O che fossero la sola risposta a domande che non so nemmeno perché tu ti faccia. Se davvero ci sono altri mondi da qualche parte, allora non ce ne sono solo tre.»

Un trillo del cellulare le ricordò che la sua ora libera era finita, e sospirò ancora, raccogliendo le sue cose. 

«Non fatevi prendere dal panico, okay? Non è cambiato assolutamente nulla rispetto a due giorni fa. Siete sempre le stesse persone, con gli stessi sentimenti.»

Le tre la salutarono sottovoce, Retasu che prontamente si prodigò a sostituire il caffè nelle tazze con delle tisane, e Zakuro uscì dalla porta sul retro, infilandosi gli occhiali da sole e pescando il cellulare dalla borsa oversize mentre camminava spedita verso l'auto che l'attendeva. Bastarono un paio di squilli, e lei non riuscì a trattenersi dallo sbottare: «What the fuck's wrong with you all

Ryo, dall'altra parte della linea, esalò irritato: «You've talked with the nutcases, I see

Zakuro si infilò in auto, ringhiando sottovoce: « E' inutile che ti arrabbi con loro – o con Ichigo – se non avevate tutta quella voglia di andarci – perché avevate capito che forse, forse non era una buona idea! -  dovevate dire di no! E non provare a dire che lei stesse insistendo, sai! »

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, sorpreso da quello sbotto così improvviso: «It almost sounds like you care,» ironizzò poi.

Il silenzio che seguì gli fece capire che la sua battuta aveva sortito l'effetto opposto.

« Che cosa dovrei fare, eh? Pensi che non le abbia già parlato? »

«Insisti,» replicò lei, controllandosi il trucco in uno specchietto, « Se c'è una cosa che dovresti aver capito è che serve ripetere per far passare qualcosa in quella testolina dura. »

« Non ho molto tempo per convincerla che va tutto bene, » la modella poté percepire il nervosismo dell'amico come se l'avesse avuto davanti, « Quell'altro che se ne va di casa, poi, non è molto d'aiuto. »

« Non farti condizionare da Minto e Kisshu, non ha niente a che fare con voi due. »

« Da quello che ho visto, ne ha avuto fin troppo. »

Zakuro esitò un istante: « Tu come stai? »

Ryo sospirò ancora, probabilmente stava macinando i chilometri nel suo studio: « La parte razionale di me si sta mandando sonoramente a fanculo per aver solo ceduto ad una stronzata simile e star a rimuginare sopra un mucchio di idiozie, ben sapendo che sicuramente è stato tutto influenzato da quella donna maledetta. Dall'altra parte…  Ichigo sai com'è fatta. Fosse per me, passerebbe anche, chissene frega, ma lei  »

« Vedrai che lo capirà. È solo nervosa, è sempre stata così. »

Ci fu un tentennare dall'altra parte: « Do you think she'll… ? »

« No, » Zakuro non lo lasciò nemmeno finire, « A costo di passare ogni notte in bianco per le prossime due settimane a farle funzionare il cervellino. »

« I'll hold you up to that. »

 

**

 

Tuesday

 

 

Pai chiuse la porta di casa con un tocco di tallone, allentandosi subito la cravatta e esalando piano, il peso della giornata lavorativa sulle spalle che si allentò un poco nel tepore della casa. Dal vago profumo che aleggiava per le stanze dedusse che anche Retasu fosse a casa, a rilassarsi tra i fornelli per uno dei suoi soliti manicaretti.

Un paio di piedi che spuntavano dal divano lo avvertì che, però, anche quella sera avrebbe dovuto condividere le doti culinarie di sua moglie.

Mollò la ventiquattrore poco vicino all'entrata, intenzionato a lasciarla lì fino alla mattina successiva, e marciò verso il salotto, scoccando un'occhiataccia al fratello minore, steso scomposto sul sofà con le braccia incrociate sulla faccia.

« Dimmi che almeno ti sei alzato da stamattina. »

Kisshu rimase immobile: « Tecnicamente sì, dalla stanza del bambino a qui, dal divano alla televisione, dalla televisione al frigo, qualche visitina al bagno. »

Pai alzò gli occhi al cielo e si portò una mano alla fronte: « Pensi di darti malato ancora per molto a lavoro? »

« Pensi di continuare a stressare a lungo? »

Retasu apparve all'improvviso, le mani sui fianchi e un cucchiaio di legno in pugno, il pancione avvolto dal grembiule che le aveva regalato Keiichiro, una posa che al viola ricordò spaventevolmente sua madre.

« Vi ho già chiesto di non litigare, per favore, » li rimproverò dolcemente, « Tra dieci minuti è pronto, Pai, vieni ad aiutarmi ad apparecchiare. E tu, Kisshu-kun, vatti a rinfrescare, per piacere.»

Pai osservò quasi irritato come il fratello obbedisse alla verde, alzandosi con un lamento svogliato e scomparendo dentro il bagno.

« Potresti almeno farti aiutare da lui, » borbottò.

Gli occhioni blu lo gelarono all'istante: « Kisshu-kun è nostro ospite e sta passando un momento difficile. Credi davvero che gli piaccia passare le giornate sul nostro divano? »

« Non è colpa mia se lui e la sua ragazza hanno dei momenti da imbecilli e seguono Momomiya nelle sue scapestrate idee. »

« Abbi solo pazienza, d'accordo, » Retasu abbassò la voce non appena sentì scorrere la porta del bagno, «Avresti anche tu bisogno di supporto se ti fosse successo qualcosa di simile. »

Pai avrebbe voluto replicare che a lui non sarebbe mai potuto succedere qualcosa di simile perché pensava fin troppo alle cose prima di compierle, ma vista la nube scura che sembrava aleggiare sopra la testa del fratello quando questi entrò in sala da pranzo, decise di soprassedere, almeno per mantenere la pace con sua moglie.

Kisshu si sedette pesantemente, la frangia scompigliata che gli cadeva sopra gli occhi e che continuava a spostarsi indispettito. Sorrise appena a Retasu quando lei gli mise il piatto davanti – colmo due volte il suo, notò il viola, ma non poté non essere d'accordo dato che lui stesso sospettava che il fratello non si alzasse poi così spesso per andare verso il frigo – e iniziò a mangiare svogliato, in silenzio. Presenza fissa accanto a lui era il cellulare, posto a schermo in giù sul tavolo come se non avesse poi così brama di controllare le notifiche, ma in ogni caso sempre lì, raggiungibile alla prima minima vibrazione.

Non che avesse vibrato poi così spesso negli ultimi giorni.

Retasu si schiarì appena la gola, una mano che accarezzava placida il pancione: « Kisshu-kun, lo sai che no voglio farmi gli affari tuoi, e che sei sempre il benvenuto a rimanere per tutto il tempo necessario. »

Entrambi i fratelli Ikisatashi si irrigidirono, il maggiore che lanciò uno sguardo di avviso alla verde, il minore che continuò a giocherellare con il riso nel piatto emettendo un grugnito.

« Però, ecco, un po’ mi preoccupo del fatto che tu stia sempre chiuso in casa a deperirti, da solo. »

« Non preoccuparti, pesciolina, la solitudine può essere un toccasana, » replicò in fretta lui, cercando di apparire convinto ma non alzando nemmeno lo sguardo dalle verdure che infilzava con le bacchette.

« D’accordo, ma… per caso hai parlato con Minto-chan in questi giorni? »

Pai allungò una mano per stringerle il ginocchio, sapendo che stava aprendo il vaso di Pandora, ma Retasu tenne lo sguardo fisso su Kisshu, la sua mano sinistra che si era stretta a pugno non appena la mora era stata nominata.

« Sai, non credo sia molto interessata a parlare con me, » soffiò piano, la frangia scura a coprire gli occhi.

Lei ignorò la leggera pressione di avvertimento sulla gamba, continuando a fissare il viso rabbuiato dell’alieno: « Sì, ma tu ci hai provato? »

Kisshu dovette trattenersi per non spezzare con uno schiocco delle dita le bacchette che teneva in mano, esalando lentamente e ricordandosi di chi aveva di fronte.

« Retasu, ti ringrazio dell’interessamento, ma non sono esattamente dell’umore per discutere dei miei tentativi di ottenere una risposta da una segreteria telefonica. »

Pai esalò senza farsi notare, ben più avvezzo della Mewfocena alle rispostacce irritate di Kisshu e ai suoi sbotti di rabbia e quindi in qualche modo sollevato che la presenza della verde fosse abbastanza per contenerle, mentre Retasu osservò l’ospite ancora qualche istante prima di stringersi nelle spalle.

« Fai come tu ritieni sia più opportuno, ma io non credo che il modo migliore per fare pace con Minto-chan sia rimanere sul divano a borbottare come un pentolone. »

Stranamente, Kisshu non replicò, limitandosi ad affossare ancora di più tra le spalle e a spostare il cibo nel piatto senza ingerirne altro. Il fratello maggiore si sarebbe aspettato di vederlo alzarsi con stizza e marciare verso la sua camera sbattendo la porta come molto spesso aveva visto farlo fin dopo l’adolescenza, invece rimase seduto fino a fine della cena, alzandosi per primo solo per sparecchiare senza emettere suono, Retasu che lo congedò con un sorriso comprensivo e una carezza alla schiena.

Pai lo guardò uscire infine dalla stanza senza dire una parola, voltandosi poi verso la moglie quando poté essere sicuro di essere un po’ di più fuori dalla portata del suo udito fine.

« Credo che tu l’abbia rotto. »

Retasu sciacquò un piatto e alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena: « E’ perché io sono paziente con lui.» 

« Tu non hai dovuto dividerci case e astronavi per più di vent’anni. »

Retasu gli lanciò un’occhiata divertita, poi esalò piano e smise di insaponare il bicchiere che reggeva: « Dici che ho fatto male a chiedergli di Minto-chan? Non volevo farlo star male, ma non posso far finta di nulla… »

« Io credo che lui non si aspettasse la tua ultima risposta, » commentò il viola, « Ma qualcuno dovrà pur sgridarlo, di tanto in tanto. Soprattutto quando si comporta come un adolescente a trent’anni suonati.»

« Si vede che essere musoni e scontrosi è una cosa di famiglia. »

Mentre Pai lanciava un’occhiata molto poco divertita alla moglie, il musone in questione usciva dal bagno in cui si era buttato acqua in viso per gli ultimi cinque minuti per abbandonarsi poco elegantemente con uno sbuffo sul tatami della camera che stava occupando, senza preoccuparsi di accendere la luce. Steso a faccia in giù sul materasso, sbloccò il cellulare con un tocco di pollice e controllò di nuovo le  notifiche, ben sapendo che non avrebbe trovato quello che cercava.

La risposta alla domanda di Retasu, ovviamente, era che no, non aveva la minima notizia di Minto da quando le aveva sbattuto la porta in faccia la domenica passata. Per una volta, non aveva avuto lui la forza di essere il primo a cedere.

Non era del tutto vero, in realtà. La sera prima aveva provato a telefonarle, dopo aver passato ore a fissare la notifica dell’ultimo accesso della mora nell’app di messaggistica, fermo alla mattina. Il cielo solo sapeva quanto lei si stesse sforzando di non utilizzarla, di apparire sempre lontana, distante e irremovibile, e la cosa non faceva che farlo arrabbiare ancora di più. Aveva pigiato il pulsante di chiamata rapida più per continuare a battibeccare con lei e sbatterle in faccia la sua totale tendenza a defilarsi davanti ai problemi, ma il telefono non aveva nemmeno squillato che la vocina robotica della segreteria telefonica l’aveva informato che il numero selezionato non era disponibile.

O forse, più probabilmente, Minto aveva deciso di bloccarlo fino a data da destinarsi deviando tutte le sue telefonate in segreteria. E perciò, lui non ci aveva nemmeno più riprovato, troppo incazzato per decidere di dargliela vinta anche quella volta.

Il commento della sua dolce cognata, però, continuava a ronzargli fastidiosamente nelle orecchie e a pizzicargli il petto. Se c’era una persona alle cui buone intenzioni lui non poteva che credere, quella era decisamente Retasu. E il fatto che addirittura Retasu, tra tutti, gli avesse detto in faccia di fare qualcosa…

Era anche vero che la neo signora Ikisatashi fosse molto più amica con la sua ragazza – si ostinò a non cedere a spiacevoli prefissi – e che quindi potesse essere relativamente di parte, desiderosa che la situazione si risolvesse soprattutto in vista delle svariati incontri sociali che si sarebbero svolti da lì a poco. E come darle torto, dopotutto? Il problema era proprio quello, sempre quello: Retasu aveva ragione, per poter fare pace con Minto avrebbe dovuto alzarsi e fare qualcosa.

Qualcosa che proprio non aveva voglia di fare. Per quanto gli mancasse come aria, non riusciva a sottrarsi a quel maledetto orgoglio che sembrava essere il muro più grande tra di loro.

Il cellulare ronzò al suo fianco, facendogli perdere un battito. Lo afferrò di scatto e lo sbloccò senza nemmeno controllare da chi provenisse il messaggio, il cuore che gli affossò nello stomaco con un travaso di bile quando poté leggere le parole sullo schermo.

 

Non è che siccome lavori per me ti puoi permettere di prenderti “giorni di malattia” come se piovessero.

 

Kisshu sbuffò, digitando furiosamente la risposta.

 

Lavoro DA te, non PER te. E mi sembra che tu mi abbia fatto firmare una cosa chiamata “contratto” dove erano esattamente specificati i miei diritti, giorni di malattia compresi. E considerato che il mio sistema immunitario è tre volte più efficace del tuo non vedo cosa stai a rompere…

 

Poté immaginare Shirogane nella sua villetta elegante, probabilmente rintanato nel suo studio davanti allo schermo al plasma, una fidanzata sicuramente più ragionevole della sua appallottolata al suo fianco (per quanto Retasu avesse cercato di parlare piano, con l'acqua corrente in sottofondo, lui era riuscito a cogliere spizzichi e bocconi dei suoi aggiornamenti a Pai, ognuno una fitta in più allo stomaco).

Non dovette attendere molto perché il suo cellulare vibrasse di nuovo, la lucina brillante che gli perforò le cornee.

 

Potresti almeno smetterla di fare l'eremita? Stai peggiorando la situazione per tutti.

 

Ho già i miei problemi, vuoi davvero dirmi che dovrei prendermi a carico pure i tuoi con Ichigo?

Non è colpa mia se quelle due sono più in sintonia di pane e burro.

 

…in realtà non si parlano da sabato scorso. E il fatto che Ichigo sappia della tua pessima decisione decisamente non aiuta.

Te lo devo dire io di andarle a parlare prima che venga una crisi isterica a tutti e quattro?

O ti serve un ennesimo gancio di Zakuro?

 

Kisshu emise un gemito di stizza, agitando il cellulare per aria come se avesse potuto scrollare al contempo l'americano per la collottola. E forse avrebbe pure dovuto farlo, ma non aveva nemmeno voglia di alzarsi da quel materasso per andare a prendere il piattino di dolce che Retasu gli aveva messo così gentilmente davanti la porta.

 

Ti ricordo che tra meno di due settimane dovrei sposarmi.

 

Ecco, allora pensa ai cazzi tuoi che io penso ai cazzi miei.

 

Lanciò il cellulare lontano, mirando giusto per il cuscino così da non doverlo osservare sfracellarsi contro al pavimento. Lo sentì vibrare un altro paio di volte, ma decise che ci avrebbe pensato al mattino. Forse. Se c'era una cosa che non gli serviva, era Shirogane che veniva a dirgli come comportarsi, per di più per risolvere i suoi, di problemi.

Anche perché sicuramente nessuno stava rompendo le scatole a quel modo a Minto, poteva giurarci.

Sentì il brivido di rabbia percorrergli le vene a pensare a lei, e ne attinse tutta la forza che gli serviva per rimanere lì, a fissare il soffitto buio, e aspettare che ricominciasse un altro giorno.

 

 

**

 

Wednesday

 

 

Ryo terminò di accendere anche l'ultima candela nello stesso istante in cui sentì chiudere la porta di ingresso dall'altro lato della casa. Agitò il fiammifero per spegnerlo e raddrizzò il vaso di rose, schioccandosi poi il collo mentre aspettava in silenzio.

E dire che aveva sempre pensato che con gli anni si sarebbe affievolito il nervosismo pre-appuntamento con Ichigo.

Udì i passi pesanti della rossa lungo il corridoio, gli attimi di silenzio in cui lei probabilmente trovava il post-it che le aveva lasciato attaccato al muro e ponderava sul significato del messaggio. Non ci volle molto perché comparisse all'entrata del salotto, lo sguardo confuso da tutte quelle candele accese nella stanza buia che si riflettevano contro le pareti, e dai cuscini sistemati in terra attorno al tavolino da caffè.

« Che stai combinando? » domandò divertita.

Ryo rimase seduto ad aspettarla, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse secca la sua gola. Come se non bastasse già la pressione di quella data ormai così vicina e la spiacevole sensazione che la sua fidanzata non stesse bene quanto dichiarasse, e che perciò molte cose potessero dipendere anche dall'esito di quella serata.

« Te l'ho detto, ti ho fatto una sorpresa, » rispose, indicando con un cenno del capo il bigliettino che lei teneva ancora tra le mani.

Ichigo sorrise contenta e lo raggiunse, guardandosi intorno con la stessa espressione di meraviglia che poteva avere una bambina al luna-park: « Quale sarebbe l'occasione? »

« Non posso fare una sorpresa alla mia futura moglie? » la prese in giro lui, allungando una mano per stringere la sua e tirarla a sedere di fianco a lui.

Lei arrossì a quelle parole e gli si accoccolò più vicina, inclinando il viso quando l'americano le poggiò il palmo sulla guancia e gliela accarezzò, strappandole un sospiro da gatto soddisfatto.

« In realtà… ti ricordi di quando eravamo a Boston, a casa mia per l'ultima sera del viaggio? »

Ichigo annuì con un sorriso: « E' stato il nostro primo viaggio insieme. »

Ryo continuò ad accarezzarla, sfiorando appena le ciocche rubino che le scappavano dalla coda di cavallo, passando lo sguardo su ogni singola linea del suo viso come se non potesse averne abbastanza: « E la sera è venuto quel temporale incredibile che ha fatto saltare la corrente all'intero isolato e ci ha costretti a rimanere in casa quando saremmo dovuti uscire per l'ultima sera a festeggiare in uno dei ristoranti migliori della città? »

« Avevamo l'aereo la mattina dopo ed era stato cancellato per il vento troppo forte. »

Fu il biondo ad annuire, quella volta: « Ti ricordi cosa mi hai detto? »

Lei storse il naso in una smorfia contenta e arrossì ancora un po' di più: « Che forse era destino che rimanessimo insieme un giorno di più senza nessuno attorno, e che non c'era altro luogo in cui avrei voluto essere. »

« And something else. »

« E' stata la prima volta che ho detto di amarti.»

Ryo sorrise e le passò il pollice sulle labbra rosse prima di poggiare la fronte contro quella di lei: « Erano anni che sognavo di sentirtelo dire, » ammise con un sorriso e abbassò la voce, « Non avrei mai immaginato potesse essere così bello.» (*)

Ichigo lo baciò di slancio, stringendosi a lui e sospirando contenta, il calore del ragazzo che le pervase il corpo e circondandola, come sempre, della calma che la faceva sentire a casa, il cuore che batteva forte e un pizzico di senso di colpa che glielo comprimeva.

« Per questo ho voluto ricreare quel momento, anche se la corrente c’è ancora, » continuò a bassa voce lui, sfiorandole il naso con il proprio, facendola ridere, « Lo so che questo è un momento… particolare e stressante, ma non c’è altra cosa che mi importi se non continuare a sentirtelo dire per il resto della vita, e continuare a dirtelo per il resto della vita. »

La rossa annuì, il senso di colpa che le afferrò un po’ più stretta la gola e la costrinse ad abbassare lo sguardo mentre giocherellava con le dita di lui: « Vorrei non avere mai insistito così tanto… » pigolò dopo un po’.

Ryo la costrinse a guardarlo di nuovo negli occhi, tentando di sorridere: « Guardala da un altro punto di vista, magari è stato solo un modo per testarci. Io sono ancora convinto che sia stato tutto un trucco di quella Yuko, ma sono più convinto che mai di non volerti lasciar andare. Non importa quello che succede. Soprattutto se non è reale. »

Lei avrebbe voluto rispondere che le pareva assolutamente reale, ma si limitò ad annuire ancora, gli occhi color cioccolato che pizzicavano impudenti.

« Ichigo, vorrei che tu fossi tranquilla e sicura, d’accordo? »

« Io sono sicura, » ribatté lei, anche se a Ryo sembrò mancasse un po’ di convinzione, « E’ che… tutto questo casino… e Minto-chan… »

« Le passerà, » il biondo riprese ad accarezzarle la schiena, notando la lieve pelle d’oca che le aveva coperto le braccia nude, « Lo sai come è fatta, a volte con lei le cose si moltiplicano e lei scoppia tutta in una volta. Ma non vuol dire che non ti voglia più bene, sappiamo benissimo come siete fatte. Cane e gatto.»

Ichigo arricciò il naso, colpito da uno dei soliti buffetti, poi sbuffò piano, ripensando ai messaggi senza risposta che aveva mandato anche quella mattina.

« Non è colpa mia se Kisshu-kun… » abbozzò appena, il discorso che cadde in un’ovvia direzione.

Ryo sentì lo stomaco contrarsi in un attacco di gelosia che non provava da anni e che cercò di mantenere sotto controllo, vista la continua assurdità della situazione. Anche se non poteva negare nemmeno a se stesso di essersi rotolato un po’ troppo spesso nel letto, negli ultimi giorni, a ripensare a determinate scene a cui aveva assistito inerme.

« Non era vero, ginger. E anche se lo fosse stato, anche se ci fosse una milionesima possibilità che fosse qualcosa di concreto, non era il nostro mondo. Neanche lontanamente. »

A forza di ripeterlo, forse si sarebbe convinto del tutto anche lui.

Ichigo annuì, si guardò intorno nel salotto poco illuminato e dal profumo intenso di rose, osservando tutto quello che lui aveva fatto per lei, per ricordarle di uno dei loro momenti più importanti. Per dirle tutto quello che non riusciva a dirle con le parole, e per farla stare bene nonostante tutto. Lui continuò a fissarla, le portò i capelli dietro l’orecchio: « Ricordi cosa è successo dopo che siamo rimasti bloccati a casa? »

L’espressione di Ichigo mutò in una tra l’imbarazzato e il divertito mentre il naso si tingeva di rosso, e il biondo scosse la testa, ridendo compiaciuto.

« Before that, silly kitten. »

Gli occhioni cioccolato si illuminarono di golosità: « … avevi cucinato tu quella cosa svuotafrigo americana.»

« Un grilled cheese sandwhich, » rise lui, « E le fragole col cioccolato. Non molto romantico, ma efficace.»

« Un po’ come te, » lo prese in giro la rossa.

Ryo le fece il verso, poi indicò la cucina con un cenno del capo: « Cosa pensi ti aspetti di là? »

La rossa trillò contenta, lanciandogli le braccia al collo con così tanta foga da portarlo a terra, fortunatamente su un cuscino morbido che frenò la caduta. L'americano la strinse forte, baciandola tra le risate, e per un momento, si dimenticarono entrambi del perché avessero avuto bisogno di quella serata.

 

 

**

 

Friday

 

 

Kisshu spostò nervosamente il peso da un piede all'altro, le mani affossate nelle tasche e il cappuccio della felpa rossa accartocciato sul collo giusto per riparare gli spifferi di brezza serale. Se fosse stato umano, probabilmente avrebbe dedicato il suo tempo a una sigaretta per farsi passare il nervoso, ma lui invece non poteva sopportare quel puzzolente marchingegno che anneriva i polmoni – un altro dei tanti modi in cui gli umani si autodistruggevano, pensò tra sé e sé.

Non che lui non fosse un campione in autodistruzione, ecco.

Scosse la testa e si concentrò di nuovo sulle porte della palestra dove sapeva che Minto aveva allenamento a giorni alterni. Tra poco le sue tre ore serali sarebbero finite, sarebbe scesa da quelle scale e avrebbe compiuto i duecento metri che la separavano dal loro appartamento, dove lui l'avrebbe aspettata con qualche rimasuglio della sera prima riscaldato, una pizza per cui l'avrebbe sgridato, o un suo miserabile tentativo di cucinare qualcosa di commestibile incasinando tutta la cucina, per la quale lei si sarebbe arrabbiata minacciandolo di fargli vedere la maniera corretta di grattugiare qualcosa direttamente sulla sua pelle prima di tirarlo a sé e baciarlo, sotto sotto soddisfatta di saperlo provare per lei.

Se tutto fosse stato normale, però.

Udì il vociare del corpo di ballo prima di vedere le decine di persone che uscivano allegre e ciarlanti, soddisfatte di un'altra giornata compiuta. Alcune, nello scendere, lo riconobbero, lanciandogli occhiatine curiose e a volte fin troppo amichevoli, ma lui ci diede ancora meno peso del solito, concentrato solo nel cercare una figurina dalla testa d'ebano.

Minto scese tra gli ultimi, parlottando distratta con due suoi colleghi, e Kisshu non riuscì a contenere un moto di stizza e sciocca gelosia. Lei camminava tenendo gli occhi bassi, non lo notò fino all'ultimo, a tre gradini e circa dieci passi da lui, quando si fermò tenendo brusca il respiro.

« Tutto okay, Minto-chan? » le chiese il ragazzo più vicino a lei, alto e muscoloso. Gli avrebbe fatto volentieri ingerire la propria lingua.

Lei annuì e gli sorrise: « Non mi aspettavo la… sorpresa, tutto qui. Voi andate pure, ci vediamo domattina.»

La salutarono, ma l'alieno non si fece scappare le occhiatine che gli mandarono – come se a lui fosse importato, o come se avessero mai potuto fare qualcosa.

La mora gli si avvicinò guardinga, non diminuì in ogni caso i dieci passi che li separavano. Kisshu poteva contarle le rughe attorno agli occhi da lì.

« Minto-chan? » gli uscì più in un ringhio che in una battutina.

« E' gay, » taglio corto lei, « E mi conosce da quando ho cinque anni. »

 Kisshu annuì, il piede che continuava a strusciare agitato per terra: « E' quasi settimana che non ti fai viva.»

Minto strinse così forte la cinghia del borsone che le nocche le divennero bianche: «Non mi sembra di aver visto il tuo nome sul display.»

« Devo sempre essere io a dover chiedere scusa? »

« Non sono stata io quella che è uscita sbattendo la porta con una borsa di vestiti dietro. »

« E certo, sarebbe stata una passeggiata stare sotto lo stesso tetto, poi. »

Gli occhi scuri di Minto si accesero di rabbia a quel sarcasmo: « Almeno ci avremmo provato. »

Lui accusò il colpo, i ricordi di quel momento infinito dentro a quello stupido labirinto che lo assaltarono alla giugulare, spezzandogli il respiro. Non riusciva nemmeno a guardarla in faccia senza sentirsi la mano dalle lunghe unghie nere stringersi attorno al cuore e stritolarlo. Ben conscio, d'altronde, che forse Yuko c'entrava davvero poco o nulla.

« Tu non ci hai provato per un cazzo, però, » sibilò, più cattivo di quanto avrebbe voluto essere, « Proprio come abbiamo visto. »

La vide rabbrividire, alzare il viso e stringere le labbra come faceva tutte le volte che non voleva piangere: « Scusami, ero più impegnata a guardare te che muori dietro a Ichigo. »

Kisshu alzò gli occhi al cielo, esausto di quel discorso, ma non riuscì ad aprire bocca che lei aveva già ricominciato a parlare.

« Lascia perdere, non ho voglia di parlarne. »

Si girò e fece per andarsene, ma Kisshu si lanciò in avanti, afferrandola per un braccio. La strinse dolcemente, la voce che gli calò di qualche ottava.

« Non mi scrivi, non mi rispondi, non mi parli, fai finta che io non esista da quando ho fatto la stronzata di uscire da quella porta. Mi stai lasciando? »

Minto rimase voltata, gli occhi fissi sul pavimento, ma lui poteva sentire il suo tremare sotto le sue dita, quasi poteva percepire il cuore che, come il suo, batteva come un pazzo.

Quando lei continuò a non rispondere, fece scivolare il palmo lungo il suo braccio, cercando la mano di lei ma raggiungendo solo il polso chiaro: « Mi stai lasciando, Minto? »

La mora girò appena il viso verso di lui, continuando a evitare il suo sguardo: « Ci vediamo giovedì alla cena di prova di Ichigo. »

Sgusciò via, le dita che sfiorarono quelle di lui. Kisshu rimase fermo a guardarla andare via, la sensazione di freddo che si fece più intensa e la rabbia che ricominciò lentamente a ribollire.

 

 

**

 

Saturday

 

 

Il momento peggiore era l’istante dopo aver aperto gli occhi, quando la realtà della situazione le ripiombava addosso con la massa di una montagna.

Minto esalò piano, la sensazione di freddo alla bocca dello stomaco che si espandeva di nuovo dopo averle dato una leggera tregua durante la notte. Aveva le coperte tirate fino sotto il naso, ma continuava ad avvertire piccoli brividi incresparle la pelle.

Una parte di lei aveva sperato di rivederlo, di vederlo tornare, di trovarselo davanti al teatro proprio come era successo; un’altra parte, però, quella di lei che la conosceva meglio, aveva temuto il momento, conscia che non sarebbe ancora riuscita a farsela passare del tutto.

Era andata peggio di quanto si sarebbe aspettata. Non era riuscita a parlargli, non aveva potuto soprassedere sulla rabbia che sentiva provenire da lui, che le ricordava come una vocina nella testa che quasi si vergognava di più della lei alternativa, di tutti i suoi difetti ingigantiti sbandierati al vento.

Lei non era Ichigo; non era convinta ciecamente che gli amori sarebbero durati per sempre come nelle favole e che tutto sarebbe andato romanticamente e perfettamente in una nuvola rosa. Si era sempre convinta di essere libera e indipendente, perché così era cresciuta.

Non aveva messo in conto, però, che si sarebbe mai davvero sentita così sola.

Si girò sulla schiena sprofondando tra i cuscini, poggiò le mani sul viso mentre sospirava lentamente per far scendere il nodo alla gola che l’accompagnava da una settimana a quella parte.

Il cellulare sul comodino prese a vibrare in quel momento, facendole venire un colpo. Lo afferrò di scatto, il cuore in gola, ma il display le mostrò una chiamata in corso e altre tre perse da Ichigo. Le tornò in mente solo in quell’istante, notando la data in alto, che le aveva promesso settimane prima di accompagnarla all’ultima prova dell’abito da sposa.

Fece schioccare la lingua e spinse un pulsante sul cellulare, facendo smettere il ronzio della suoneria mentre la telefonata continuava a squillare a vuoto. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare anche quella, e se doveva essere sincera, non ne aveva nemmeno voglia. Lei e Ichigo non si erano ancora parlate, e sapeva che non sarebbe stata quella l’occasione giusta. Voleva solamente stare lì, nel letto, a far finta che tutto il resto attorno a lei non esistesse.

 

 

Ichigo interruppe la telefonata con un sospiro e lanciò il cellulare nella borsa appoggiata sul pouf, controllandosi un'ennesima volta allo specchio.

« Ichigo, ci sei? »

Si girò lenta e aprì la tenda che chiudeva la cabina, allargò un poco le braccia: « Che ne pensi? »

Zakuro, appoggiata con una spalla alla parete del camerino, la guardò con aria critica, sfiorandole il tessuto delicato dell'abito bianco: « Dico che sei bellissima, ma sei magra, » alla rossa non sfuggì l'accenno di rimprovero e preoccupazione, « Ma mi sembra che vada bene. Forse potremmo farlo allargare un pelo solo qui così sarai più comoda, che dici? »

Ichigo si voltò ancora verso lo specchio, studiandosi preoccupata: « Non sarà un po' tardi? »

« C'è ancora una settimana, non credo sarà un problema. »

Confabulò con la sarta lì accanto, che aveva seguito la creazione dell'abito da sposa fin dall'inizio. Era stata Minto a consigliare quella boutique, ovviamente, e la mora aveva seguito passo passo ogni singolo step di tutto quel matrimonio, più un'organizzatrice in seconda che una damigella d'onore. E ora che non c'era, Ichigo non riusciva a scacciare quel maledetto groppo in gola e la sensazione di essere completamente fuori controllo.

« Se te lo togli possono iniziare a sistemarlo da subito, » le disse Zakuro, che si era presentata all'appuntamento dell'ultima prova con lei senza che nemmeno glielo chiedesse. Avrebbe tanto voluto che la calma dell'amica si trasferisse un po' su di lei.

Si cambiò in silenzio ma veloce, già stanca di stare lì, controllando ogni tanto il cellulare.

« Le va bene un'ultimissima prova giovedì prossimo, signorina Momomiya? Così poi potremmo finalizzarlo, lavarlo e stirarlo per il gran giorno. »

Lei annuì, la voce fiacca. « Minto aveva detto che sarebbe passata lei a ritirarlo, la mattina della cerimonia…  »

Zakuro le sorrise: « Posso farlo ritirare io, non c'è problema. Potete anche venire tutte da me a prepararvi quella mattina, staremo anche più larghe. Lasciamo Ryo un po' nel suo brodo.»

Ichigo abbozzò una risatina, terminò di fissare l'appuntamento con la sarta e si diresse finalmente fuori dal negozio.

« Grazie, Zakuro-san. Non ero molto in vena, oggi. »

La modella le appoggiò solo una mano sulla spalla in un gesto di silenziosa consolazione, poi si infilò direttamente al posto di guida nella piccola utilitaria di città che Ichigo sapeva aver preso apposta per non attirare troppo l'attenzione (diversamente da qualcuno di loro conoscenza).

Guidarono in silenzio fino alla casa che la rossa condivideva con Ryo, solo il sottofondo della radio su un canale americano a riempire l'abitacolo. Non che Zakuro fosse mai troppo chiacchierona, ma Ichigo sapeva che le stava lasciando libertà di riflettere e stare un po' tra i suoi pensieri, al tempo stesso dandole tutto l'appoggio di cui necessitava solamente essendo lì. Forse nessuno ci riusciva bene quanto Zakuro, ora che ci pensava, lei con il suo atteggiamento un po' da mamma, un po' da sorella maggiore.

Eppure, lei continuava a pensare a quanto le sarebbe servito avere Minto accanto a sé in quel momento.

La piccola automobile si fermò svelta davanti al suo cancello, e la modella le sorrise: «Ci penso io allora, d'accordo? »

Ichigo le rispose con un sorriso che cercò di rendere il più sicuro possibile nella sua incredibile sincerità, scese poi dall'auto stringendo la borsetta a sé, la mente un po' più pulita e il petto meno pesante.

Quando entrò in casa, il silenzio le fece capire che probabilmente Ryo si era rintanato nel suo studio. Salì le scale e appoggiò l'orecchio contro la porta dell'ultima stanza in fondo, riconoscendo i rumori di uno dei suoi tanti videogiochi. Quando entrò – ovviamente senza bussare – lo trovò infatti seduto sul divano di pelle scura, davanti alla TV da 75 pollici appesa alla parete, una battaglia spaziale in corso.

« Hello ginger,» la salutò quando gli si sedette accanto, un'occhiata breve per non distogliere lo sguardo dai nemici, « Fammi finire questa col Falcon e ci sono. Pensavo portassi a casa il vestito. »

Lei sorrise: « Devono finire di sistemarlo. E poi non potevo mica rischiare che tu andassi a ficcanasare in giro, porta male! »

Ryo le lanciò un'occhiatina sarcastica, poggiò il joystick sul tavolino da caffè e la tirò a sé, lei che si sedette sulle sue ginocchia: «Guarirai mai dal tuo essere superstiziosa, gattina nera? »

Ichigo storse il naso, si inclinò verso di lui, i ciuffi più lunghi della frangetta che gli solleticarono le guance: « Forse avresti dovuto cambiare strada quando mi hai incontrata. »

Lui sbuffò contrariato, le scostò i capelli dal viso prima di baciarla dolcemente, le solleticò i fianchi con la punta delle dita. « E qualcosa da mettere sotto al vestito l'hai presa? »

La rossa rise divertita: « Fooorse. Ma tanto non puoi avere l'anteprima nemmeno di quello. »

« Ma davvero, » l'americano puntualizzò ogni sillaba, continuando a farle il solletico mentre le dita sgusciavano già sotto la camicetta di lei, « Scommetto che posso avere l'anteprima di qualcos'altro, però.»

Ichigo rise e si lasciò baciare, stringendosi a lui e cercando il calore del suo corpo. Aveva bisogno di lui, di sentirlo, di rincuorarlo. Aveva bisogno di far finta che non ci fossero crepe, dentro al suo cuore. Aveva solo bisogno di addormentarsi, per poi svegliarsi e sapere che tutto era finito, tutto era andato a posto.

 

 

**

 

Wednesday

 

 

Ichigo emise un lamento esasperato e lanciò la mappa della sala per il ricevimento lontano da lei sul tavolo della cucina, poi si prese la testa tra le mani. La sua wedding planner le aveva raccomandato di finalizzare la disposizione degli ospiti ad ogni tavolo, ma ad ogni sua mossa sembrava che le cose peggiorassero solo. Gemette piano, la radio impostata su uno dei canali preferiti di Ryo che continuava a trasmettere canzoni americane anni '90 che le stavano solo facendo venire il mal di testa. Aveva creduto che approfittare di quel pomeriggio da sola, così raro ultimamente, sarebbe stata l'occasione perfetta per dare gli ultimissimi, necessari tocchi alla cerimonia più importante della sua vita, e invece non era riuscita a combinare assolutamente nulla. Aveva bisogno della mente pratica, razionale e ordinata di Minto, come praticamente per ogni altro passaggio di quel dannato matrimonio.

Peccato che la sua migliore amica nonché damigella d’onore persistesse nel non rivolgerle la parola da quel dannatissimo sabato.

Aveva ormai perso il conto di quanti messaggi le avesse mandato che non erano mai stati degnati di una risposta, alcuni addirittura non erano nemmeno mai stati letti. Minto non si era mai fatta vedere nemmeno al Caffè, e lei aveva avuto la nettissima sensazione che il suo fine non fosse solamente evitare un certo alieno (come se costui, poi, si fosse mai fatto vedere, aveva sue notizie solamente da quella buon'anima di Retasu e ciò decisamente non l'aiutava).

Non poteva darle troppo torto, dopotutto, però non le stava neanche più bene prendersi tutta la colpa per quell’enorme disastro, Minto stessa era stata messa di fronte all’evidenza che il suo caratterino non fosse dei più accomodanti.

Emise un altro gemito nel silenzio della casa, poi si alzò di scatto e recuperò borsa e giubbottino di jeans, prendendo di corsa la porta. Se le maniere forti erano quelle che servivano, sarebbero state quelle che avrebbe usato.

Decise di percorrere a piedi il tragitto fino a casa dell'amica, così da prepararsi anche un discorso da farle nel mentre, scegliere con cautela le parole giuste da usare per spiegarle al meglio ciò che lei provava, e darle anche il tempo di ritornare da danza (e se la conosceva, Minto si era quasi sicuramente prenotata delle sessioni di allenamento extra per non rimanere da sola in casa in balia dei suoi pensieri). Sperava solo che la mora avrebbe avuto un attimo di pazienza per starla ad ascoltare.

Concentratissima nelle sue riflessioni, si fermò di botto quando la vetrina di un supermercato alla sua destra catturò la sua attenzione. Forse era un segno del destino, si disse, forse l’universo davvero la stava ascoltando nelle sue richieste di far tornare tutto a posto nel minor tempo possibile. Si catapultò dentro, ormai più convinta che mai, pestando probabilmente qualche piede mentre si affrettava tra le corsi per prendere tutto il necessario. Uscì trionfante in un tempo record di circa sette minuti, lei che di solito – quando veniva mandata da Keiichiro a scovare un ingrediente fondamentale per il Café – passava almeno cinque minuti a leggere ogni etichetta. Prese fiato solo quando si rimise di nuovo in marcia, il bottino fieramente stretto al petto, cercando di ricomporsi. Non poteva credere a quanto le battesse forte il cuore al pensiero di presentarsi senza invito sull’uscio della ballerina e parlare con lei, come se all’improvviso fosse tornata una ragazzina di tredici anni.

Anche se decisamente i problemi che stavano sfilando davanti a loro in quegli ultimi tempi non erano molto diversi da quelli avuti tutti quegli anni prima.

Avvertì un leggero timore pizzicarle la gola quando il profilo del palazzo in cui abitava Minto si stagliò dall’altra parte dell’incrocio a pochi metri da lei. Attraversò con calma, fece un respiro profondo e pescò nella borsa la copia delle chiavi che Minto le aveva dato per qualsiasi emergenza ci fosse mai stata visto quanto vivevano vicine. Sapeva che l’amica non le avrebbe certo aperto volontariamente in quel momento, lei non aveva voglia di attirare l’attenzione mettendosi a saltare fino all’ultimo piano di quel palazzo, perciò si poteva benissimo classificare il tutto come un’evenienza improrogabile. Si lasciò quindi entrare nella lobby elegante, dove l’attendevano quattro ascensori completamente vuoti. Continuò a battere il piede a terra dal nervosismo mentre attendeva che uno di questi scendesse al pian terreno, e il cuore non smise di premerle forte contro al petto come un tamburo ad ogni piano che guadagnava durante la salita.

L’appartamento di Minto – e di Kisshu, si obbligò a sottolineare mentalmente due volte a penna rossa - condivideva l’ultimo piano di quello stabile con solamente un’altra abitazione, offrendogli una metratura non da poco. Dopotutto, era stato un regalo del signor Aizawa per il venticinquesimo compleanno della figlia, una specie di bonus prematrimonale per donare sia a lei che alla madre un po’ tranquillità e pace mentale (la signora Aizawa, infatti, non aveva mai preso in troppa simpatia il mezzano degli Ikisatashi, e riducendosi via via i loro viaggi a causa dell’età che avanzava, aveva iniziato a lamentarsi nemmeno troppo sobriamente che figlia e fidanzato continuassero ad abitare con loro sotto l’enorme tetto di villa Aizawa. Poco importava che data la quantità di stanze persistessero a incontrarsi poco in ogni caso, ma dopotutto Minto aveva pur dovuto prendere quel caratterino da qualcuno).

Ichigo si schiarì la gola, fece un altro paio di respiri e finalmente si decise a suonare, il dito che tremò appena quando lo spinse sul bottoncino bianco con pochissima convinzione. Non udì nulla per i primi due minuti, cominciando a temere che Minto in realtà non fosse in casa. Riprovò a suonare, poi bussò e chiamò a bassa voce il nome dell’amica, sempre senza ottenere risposta. Pigiò l’orecchio contro il legno della porta, quasi tentata di farsi spuntare le orecchie da gatto per sentire un po’ meglio, ma le sembrava che tutto fosse assolutamente immobile dall’altra parte.

E questa volta non poteva assolutamente usare le chiavi, si disse. Un conto era aggirare il portone principale, praticamente un luogo pubblico, un altro era infiltrarsi così barbaramente nella vita privata di Minto senza che lei gliel’avesse chiesto. L’avrebbe sicuramente uccisa se l’avesse fatto, e di certo non in una maniera gentile.

Decise perciò, controllando l’orologio, che almeno avrebbe aspettato una mezz’oretta. Magari Minto era ancora agli allenamenti, o come lei aveva deciso di camminare per schiarirsi la testa. Ryo non sarebbe tornato a casa prima delle nove in ogni caso, aveva un mucchio di tempo che preferiva non passare sola a casa sua nemmeno lei. Con uno sbuffo, e già triste al pensiero della fine del suo bottino prezioso, si sedette sullo zerbino (pure questo aveva l’aspetto costoso) e appoggiò la schiena contro la porta, sperando di risparmiarsi almeno l’umiliazione di incontrare la vicina di casa, che a quanto ne sapeva lei era una vecchia vedova ereditiera poco incline a cose fuori routine ed estranei.

Fortunatamente, solo dieci minuti dopo udì il ping dell’ascensore, le porte che si aprirono per rivelare la mora, la borsa da danza sulla spalla e i capelli bagnati che le scorrevano in riccioli sulla schiena.

Ecco, se Minto Aizawa si faceva beccare in giro con i capelli scomposti, voleva dire che le cose davvero non andavano.

Gli occhi della ballerina si alzarono dal pavimento e si strinsero in due fessure arrabbiate non appena misero a fuoco la rossa. Questa scattò in piedi, le mani in avanti in un gesto di preghiera.

« Ti prego non mi cacciare. Ho bisogno di parlarti. »

Minto la squadrò da capo a piedi mentre lentamente percorreva il corridoio fino a lei: « Non ti ho dato le mie chiavi di casa perché potessi accucciarti sul mio tappetino. »

« Me le hai date per le emergenze, e questa direi che lo è, » mormorò Ichigo, facendosi da parte quanto bastasse perché l’amica potesse aprire la porta, « Ti ho portato un’offerta di pace! »

La mora osservò il contentuo della busta di cotone che le aveva messo fieramente sotto il naso, due contenitori di gelato e un DVD di Titanic ormai ricoperto di condensa.

« Lo so che è il tuo punto debole, l’abbiamo guardato insieme troppe volte. »

La ballerina sospirò, rimase ferma sull’uscio un paio di istanti prima di entrare lasciando la porta aperta.

« Sei davvero sicura che mangiare del gelato prima del tuo matrimonio sia una scelta saggia? »

« Se ti fa felice, chissene frega. Tanto mi hai aiutato a scegliere l’abito più comodo del mondo. »

Ichigo ne approfittò per sgattaiolare dentro subito, si chiuse la porta alle spalle come per impedire a Minto stessa di scappare e la seguì fino in salotto, dove lei buttò a terra il borsone nero e si tirò su i capelli in uno chignon disordinato, stringendosi di più nella felpa che indossava e che la rossa riconobbe subito essere troppo larga perché appartenesse a lei.

« Sono abbastanza stanca, Ichigo, » Minto fu la prima a rompere il silenzio, evitando lo sguardo dell’amica e concentrandosi su azioni automatiche come mettere quel diamine di gelato in frigorifero prima che le gocciline d’acqua le macchiassero irrimediabilmente il tavolo da pranzo, « Quindi per favore, dimmi cosa vuoi. »

La rossa non poté negare il fatto che la sua migliore amica avesse un aspetto esausto, la bocca tesa in una linea dura e delle profonde borse sotto gli occhi, le guance addirittura più scavate del solito. Forse non aveva fatto tanto male a portarle del cibo come pegno del perdono.

« Voglio che facciamo pace,» esalò tutto d’un fiato, con la paura di non riuscire a dirlo altrimenti, « In questo momento più che mai ho bisogno che tu stia al mio fianco, sia spiritualmente che materialmente. Altrimenti non riesco a fare nulla. »

Vide le nocche di Minto stringersi attorno alla maniglia dello sportello del frigorifero, il viso coperto da questo: « … non ti è passata ancora la botta di egoismo? »

« Minto-chan, lo sai benissimo che se potessimo tornare indietro, lo farei subito e cancellerei tutto quello che abbiamo fatto. Mi sento davvero in colpa per avervi convinti tutti ad andare su Gea, e vorrei averti ascoltato. Avevi ragione, d’accordo? Ma… io non sono colpevole delle cose che Yuko ci ha fatto vedere. E come dice sempre anche Ryo, magari è stato fatto tutto apposta da lei per metterci alla prova. E se continui a dare la colpa a me per ciò che hai visto, allora scusami, ma sei tu l’egoista. »

La ballerina prese un respiro profondo e rumoroso, si avvicinò al tavolo per poggiarvi sopra le mani, dandole la schiena.

« Tu sei la mia migliore amica, » riprese Ichigo, azzardando un passo vicino a lei, « E mi fa male pensare che posso essere la causa perché tu stia male, ma anche la mia colpa si ferma ad un certo punto. Voglio pensare che… che io e te possiamo passare sopra anche a queste cose e cercare delle soluzioni insieme. Voglio che tutto torni esattamente come prima se non meglio, e lo so che lo vuoi anche tu e lo sai che io non c’entro in tutto e che possiamo sistemare le cose. E poi mi serve la mia damigella d’onore, perché sto impazzendo. Non arrivo nemmeno alla cena di prova di domani senza di te.»

Minto rise appena, scosse la testa: « Ah, Ichigo, a volte vorrei davvero tanto che tu facessi meno parte della mia vita. »

« Mi vuoi troppo bene perché sia vero. E ti diverti un casino a bistrattarmi e farmi comportare come una bambola ogni volta che andiamo in un negozio, soprattutto ultimamente. »

La mora si voltò, scrutandola con quegli occhioni nocciola in cui Ichigo non poté che leggere dolore. Poi esalò esasperata e scosse di nuovo la testa, sorridendole un po’ più rilassata: « D’accordo, andiamo a trangugiare calorie superflue. »

 

 

 

 

(*) Date a Cesare quel che è di Cesare – questa frase è stata scritta dalla nee-sama Ria, perché a me ste cose mielose non vengono ed ero in crisi mistica. (Testuali parole, quando me l’ha mandata la mia reazione è stata di rispondere “Che rifiuto, se venissero a dirla a me gli scoppierei a ridere in faccia” xD).

 

 

 

§§§

Buon pomeriggio fanciulle! Aggiornamento ultra-rapido perché tra poco – come al solito – cambieranno un po’ di cose nella mia routine e volevo finire questa ff prima di prendermi un po’ di meritate vacanze :3

Come alcune di voi speravano, qualcuno un po’ di pace l’ha fatta o forse no? Mwahah, quindi potrebbero essere tutti sulla strada giusta per ritornare alla normalità. Ma come al solito non posso promettervi nulla, altrimenti dove sarebbe il divertimento? ;) Anche perché il caldo mi sta uccidendo, potrebbe sempre spingermi a fare colpi di testa :P

Cercherò di arrivare con l’ultimo capitolo i più velocemente possibile, questa settimana mi arriva anche un’anima candida a cui io dovrò insegnare i ferri del mestiere, quindi potrei essere distratta ^^’’’’’’

Un ringraziamento specialissimo a Sissi1978 e Ryanforever che sono fedelissime nelle recensioni, e a Ria che mi beta e mi sopporta e mi suggerisce mielosità per me inconcepibili :D E ovviamente grazie a tutti voi che decidete di arrivare fin quaggiù!

Un bacione a tutti e buon weekend <3

 

HP

   
 
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