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Autore: Enchalott    04/06/2018    7 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Crescente
 
Eudiya scelse con cura le parole che si stava apprestando a proferire. Seduta sul letto accanto alla figlia e stretta nel lungo vestito oro antico, ornato da frange scarlatte, il sottile nastro di seta cremisi intorno alla fronte priva di rughe, trasse un profondo sospiro.
«Nella terra in cui sono nata, tra le dune mutevoli e l’infinito cielo blu del deserto, nello spazio privo di sentieri che solo i nomadi riconoscono come casa, esistono leggende che indicano la via da seguire e additano il futuro. Sono giunte a noi attraverso le pieghe del tempo e comunicano in un linguaggio dimenticato, che noi chiamiamo Kalah, la lingua degli dei. Possederlo significa essere in grado di interpretare le parole e i segni senza aver ricevuto insegnamento alcuno. Poiché un semplice mortale non può penetrare a fondo l’essenza divina, nonostante la presenza di questa virtù intrinseca, non è certo che il messaggio venga inteso correttamente. In ciò risiede l’incertezza delle antiche parole, specie di quelle che compongono la Profezia.
Il Kalah è riservato alle donne della nostra gente: talvolta in anydri nasce una bambina dotata del privilegio, che lo trasmette nel sangue alle generazioni successive. Tua sorella Dionissa lo ha manifestato con forza e prima di lei la tua bisnonna Iola, madre di mia madre. Tutti pensano che ciò avvenga poiché noi siamo dotate di maggiore sensibilità rispetto agli uomini, di un cuore più aperto oppure perché attraverso il nostro corpo si trasmette la vita. Non è così. Il Kalah è un dono che risale agli albori del tempo, l’ultimo concesso all’umanità da Amathira, dea del Cielo, prima che di lei non si reperisse più traccia.»
«Amathira?» domandò Adara sorpresa «La dea con il cuore spezzato, colei che ha sconfitto il mostruoso Irkalla per poi sparire da tutti i miti arcaici?»
«Proprio lei» sorrise la regina «Ma quello che affermi non è corretto. Irkalla era… è il dio della Distruzione. Non per questo si può definire mostruoso, tantomeno sconfitto. Il compito che è chiamato a svolgere è sottilmente crudele e richiede un animo freddo e analitico; ma il concetto di fine comporta quello di inizio, quindi Irkalla è anche colui che sceglie di concedere una nuova opportunità a chi ha sbagliato, a chi si è perso irrimediabilmente. Questa occasione non è il perdono: la distruzione interviene quando ciò che è stato commesso non è più scusabile o quando tutti gli ammonimenti forniti sono giaciuti inascoltati. Quando la redenzione non è stata cercata. Nessuna assoluzione pertanto, ma una nuova partenza, che non deve gettare l’oblio su ciò che ne ha provocato l’avvio. Deve riportare il termine ultimo al principio. Gli dei non pensano come gli uomini, perciò alcuni di essi ci appaiono spietati o privi di equanimità. Ma il ragionamento difettoso è il nostro.»
«Perché allora Amathira ha maledetto Irkalla? Perché si è vendicata senza ascoltare le sue ragioni?»
«Perché lo amava. Ne ammirava la fierezza e la nobiltà, la caparbietà, il vigore con cui lui assolveva al penoso ruolo cui era assorto sin dalla genesi.»
«Non capisco.»
«Lo so.»
Eudiya guardò la figlia minore con dolcezza e indulgenza, pensando a quanto dovesse ancora conoscere.
«Non sei mai stata innamorata, Adara» precisò «Quando il tuo cuore appartiene a qualcuno non è facile essere obiettiva, soprattutto quando sei convinta per varie ragioni che l’uomo che ti sta accanto ti abbia tradita. Anche se quanto credi potrebbe non essere veritiero, nel tuo animo ferito lo diventa. L’amore e l’odio falsano la realtà, sono filtri di una potenza immane. Persino una divinità non ne è immune. Amathira proteggeva il mondo precedente al nostro con il suo abbraccio, donando luce e ombra, acqua e sole, vita, amando strenuamente le creature a lei care con tutta se stessa. Irkalla ha posto fine a quel tempo, poiché all’evidenza lo ha ritenuto inevitabile. Il motivo della sua drastica azione non ci è noto, la Profezia è ambigua su questo punto. Tua sorella pensa che ci sia stato un tradimento alla base di tutto, ma non ci è dato conoscere altro, non la modalità e neppure chi se ne sia macchiato.
Ciò che risulta palese è che Amathira sia impazzita di dolore e, pur conoscendo il compito primario del suo amato, abbia avuto buoni motivi per credere che quell’atto fosse stato crudele e ingiusto. Si è adirata poiché non ha potuto intercedere per i suoi figli mortali e ha pensato che Irkalla non la amasse davvero. Ha creduto che l’avesse raggirata per poterla colpire alle spalle. La loro è stata una storia travolgente, così narrano le leggende millenarie, difficile da vivere per entrambi: lei così dedita alla vita e all’umanità, lui così destinato a doverla interrompere e spezzare.
Amathira ha chiesto spiegazioni e il dio della Distruzione ha fornito l’unica plausibile, ponendo l’accento sul suo insindacabile giudizio. La risposta oggettiva e fredda lo ha fatto apparire ancora più crudele e privo di scrupoli agli occhi di lei, che era disperata per la fine di tutto ciò che amava. La dea del Cielo non ha scorto in lui alcun pentimento, neppure il più piccolo barlume di sofferenza per la catastrofica decisione assunta, quando invece lei stava bruciando di infinito dolore. Non ha ottenuto giustificazione, non ha avvertito in lui alcuna empatia, nessuna remora. L’ira l’ha travolta, trasformandosi in desiderio di vendetta, estinguendo l’amore e tramutandolo in odio. Non ha voluto udire altro. Ha deciso di punire Irkalla e lo ha maledetto, poiché è impossibile per una divinità ucciderne un’altra; esistono tuttavia condanne che sono peggiori rispetto a quella della privazione dell’esistenza. Amathira sapeva di non avere speranze contro l’essere che aveva amato e neppure contro di sé: anche al colmo della rabbia non ha dimenticato i sentimenti che l’avevano legata al Distruttore.
Così ha piegato lo spazio e il tempo con la forza del suo dolore e ha invocato uno strappo di mille anni e un giorno, durante i quali Irkalla non avrebbe avuto modo di ritornare in nessuna forma. Poi lo ha destinato a incarnarsi in un corpo mortale per mille stagioni di gelo infinito, per fargli provare sulla pelle la freddezza che lei aveva patito in quella vicenda. Vivo per decenni, ma privato della possibilità di amare fino all’ultima delle stagioni concesse, quella in cui la luna gli avrebbe ricordato lo scadere della condanna. Irkalla è destinato a un amore disperato, a morire come un uomo, ma con il cuore spezzato. Non ci sono altre possibilità per lui. Rinascerà, ma con una nuova amara consapevolezza; questo nelle intenzioni della dea. Dopo aver pronunciato la sentenza, Amathira è scomparsa, affermando che lui non l’avrebbe mai più rivista e che non avrebbe ottenuto consolazione da lei. Ma ha lasciato i suoi doni a noi tutti. Il primo è il Kalah
Adara fissò grave la madre, iniziando a cogliere il fine ultimo del suo discorso, che calzava a pennello sugli eventi occorsi di recente. Eppure, nella sua mente, Irkalla continuava ad apparire meno terrificante di come veniva descritto nel Testo Sacro, un dio costretto al disonore senza appello. Il che era assolutamente…
«Noi, gente delle terre aride» continuò Eudiya, intercettando lo sguardo turbato della principessa «Siamo i legittimi eredi dell’amore di Amathira, nati dalla distruzione del mondo precedente e destinati a trasmettere questa triste vicenda ai posteri, di donna in donna, fino al tempo prescritto. Il Kalah, dono della nostra divina Madre, ci ha consentito di ricordare e interpretare i segni che ci sarebbero stati inviati negli anni a venire. Il nostro Regno è composto di sabbia e roccia, poiché rappresenta il cuore prosciugato della dea del Cielo, che si è spezzato nelle imponenti montagne che ne bordano il confine. Abbiamo un solo fiume, che ha il colore del sangue e rappresenta la vita e la speranza.
Iomhar invece riproduce il tartaro di ghiaccio riservato ad accogliere la forma mortale di Irkalla, isolato da rilievi impervi e ghiacciai, sferzato dalla neve perpetua, buio e triste come la vita di chi non prova amore. Concreto dolore della dea, destinato a sciogliersi e a cancellare l’esistente nel penoso pianto di chi realizzerà la potenza dell’amore e dell’odio a suo discapito. Il segnale volto a risvegliare la coscienza di Irkalla e riportato dalla Profezia si è manifestato la notte in cui sei nata tu, quando la falce argentea si è colorata di scarlatto. La luna è il sorriso di Amathira, lo ha lasciato per farci sapere che non si è scordata dei suoi amati figli. Quel sintomo inconfondibile ha mostrato lo scadere del tempo prescritto.»
«Cosa?! Stai sostenendo che siamo destinati all’estinzione a causa di una maledizione lanciata più di mille anni fa da una divinità adirata con il compagno?! Mamma, è un’assurdità! Se tu mi avessi parlato di cataclisma o di ciclo naturale del creato o di eventi tangibili mi sarei preoccupata! Non sono cieca, ho visto di persona il ghiaccio nell’Emakai, ma…»
«Adara, la catastrofe prossima è l’effetto, io ti sto parlando della causa. Non possiamo inibire una conseguenza, però potremmo essere in grado di arrestarne l’origine. C’è sempre una possibilità. Per questo devi incontrare il principe Anthos.»
«Il sovrano del Nord mi riderà in faccia, se gli prospetto un simile, illogico scenario! Penserà che io sia una stupida ragazzina superstiziosa e mi manderà a casa con una pacca sulla spalla! Sarà per questo che non ci ha mai risposto!»
«Non credo proprio» asserì dura la regina «Una consistente parte della Profezia è custodita a Jarlath ed è proprio quella che suggerisce l’eventuale possibilità concessa da Amathira ai suoi adorati figli. In fondo era incollerita con Irkalla, non con gli uomini. Il reggente del Nord non possiede il Kalah, ma è dotato di poteri di cui non conosciamo l’origine. Sa benissimo che cosa ci attende e ritengo che non sia tanto sconsiderato da ignorare gli antichi testi, specie quelli che non ha mai avuto occasione di leggere. Almeno per curiosità personale. Se si dovesse dimostrare poco propenso all’ascolto, sarà tuo ufficio convincerlo. Dovrete unire le forze per scoprire come imboccare il sentiero alternativo e fare in modo che la dea del Cielo ricompaia, concedendo il suo perdono a Irkalla prima della fine.»
«Come faccio a persuaderlo, se io stessa fatico a credere a quanto mi hai appena riportato?»
«In questa missione non sei Adara, la principessa scettica che non crede alle leggende! Sei la Campionessa del Regno del Sud, cui sono affidate le tutte le nostre speranze! Ti sei presentata tua sponte all’Anello del Sole e hai vinto, sei stata scelta dal destino! Il tuo compito, indipendentemente dal fatto che sei mia figlia o dalle tue opinioni, è quello di eseguire l’ordine della tua regina, non di autoconvincerti della verità dei fatti per essere più persuasiva!»
La giovane spalancò gli occhi a fronte del giusto rimprovero: aveva sottovalutato il suo ruolo in quel frangente e trascurato il fatto che non si sarebbe recata a Iomhar per una visita ufficiale tra regnanti. Non sarebbe stato necessario presentarsi come la principessa di Erinna, in fin dei conti. Sua madre aveva ragione.
«Scusami, mamma, ho parlato senza riflettere» mormorò mortificata «Porterò a termine il mio incarico, lo giuro sul mio onore.»
Lo sguardo di Eudiya si addolcì.
«Io penso che tu sia la persona più adatta a compiere questa missione, piccola mia, anche se non credi alla Profezia. Sei l’unica nata del Regno nella notte in cui la luna ha cambiato colore; discendi per il mio sangue dai Thaisa, la tribù più devota alla dea. È Amathira ad averti indicata, ne sono certa. Il fatto che tu sia divenuta la Campionessa è un altro forte segnale della sua volontà. E poi…»
Lo sguardo della regina si abbassò sul ventre della figlia, segnato dal tatuaggio a forma di mezzaluna e la sua espressione si incupì.
«E poi sei in grado di combattere.»
«Combattere? Pensi che ci saranno dei problemi a Jarlath? Perché?»
«Perché al Nord, se la Profezia non ci inganna, troverai la forma mortale di Irkalla. Amathira lo ha destinato alla reincarnazione e questo deve essere avvenuto da tempo: avrai a che fare con lui e il Crescente costituirebbe l’unica tua difesa, se egli si rivelasse il nemico implacabile che penso. Non sappiamo altro. Dionissa ritiene che lui sia consapevole della propria identità e del proprio fato. Altrimenti la punizione che sta subendo non avrebbe senso. Ciò che non appare chiaro è da quale parte si vorrà porre: se accetterà la sua sorte solitaria o, per contro, ci destinerà tutti alla distruzione, prima che il suo cammino si compia.»
«Quindi ha conservato i poteri divini?»
«Tua sorella ne è convinta. Il suo Kalah si è indebolito per via di una malattia, giunta dopo che ha interpretato gli antichi testi. Dionissa sente che non si tratta di qualcosa di fisico, bensì di una forma di potere oscuro calato su di lei. Chi se non Irkalla potrebbe agire così, deciso a non sottostare ulteriormente alla costrizione? Chi accetterebbe senza reagire un destino tanto triste? Combatterà, si opporrà e ci trascinerà tutti nel vortice della fine. È l’alternativa più probabile. Il principe Anthos dovrà essere messo al corrente: incontrerete un nemico comune e implacabile.»
«Perciò porto il Crescente? Il segno della dea?»
»Sì. Il Crescente ti protegge da Irkalla, dal male e dalla magia oscura. Quando ti ho messa al mondo, ero certa che ti sarebbe stato necessario e ora non mi pento di averti imposto quell’antico rituale. Il sorriso di Amathira ti aiuterà e ti illuminerà la via. Si dice che persino Irkalla ne fosse incantato.»
«Io non sono una divinità» borbottò la principessa.
«Certo. Ma ti prego, fidati del tuo intuito femminile e ascolta il Crescente.»
«Che poteri ha? Non si è mai manifestato in tutta la mia vita.»
«Non lo so» sospirò la regina, ansiosa «È un unicum. Si farà comprendere.»
Adara si passò una mano sull’ombelico, come se avesse avvertito una sorta di calore scaturire dal tatuaggio all’affermazione della madre. Raggiungere il Nord. Parlare con il reggente e convincerlo a mettere in comune gli antichi testi. Bloccare la fine. Cercare un’alternativa. Guardarsi da Irkalla. Rintracciare Amathira. Si sentì come catapultata in un poema epico dei primi tempi, ma non un’eroina al pari delle valorose protagoniste di cui aveva letto da ragazzina.
«Hai mai visto il principe Anthos?»
«Una sola volta» raccontò la regina «Quando ha preso la reggenza di Iomhar, come da tradizione si è incontrato con tuo padre al confine settentrionale, per presentarsi e sugellare la continuità e l’equilibrio del nostro mondo. È una cerimonia che avviene quando uno dei due Regni ha un nuovo sovrano. Io ero presente.»
«Cosa ne pensi?»
«Difficile a dirsi. Sono rimasta in disparte, il viaggio è stato faticoso per me. Non ho presenziato al banchetto e forse ho fatto male a ritirarmi così presto.»
«Perché?»
Eudiya si concentrò come per ricordare alla perfezione gli eventi di quindici anni prima, poi strinse la mano della figlia tra le sue.
«Il principe era un ragazzo affascinante, con uno sguardo che lasciava il segno, un tipo che non si dimentica facilmente. Tuttavia l’ho trovato molto distaccato, oltre il contegno formale dovuto all’occasione. Quando tuo padre mi ha presentata, Anthos mi ha rivolto un baciamano e… e io ho avvertito qualcosa di stonato.»
«Magia?» domandò Adara, sorpresa.
«No, lui. Anthos mi ha dato i brividi.»
 

 
Stelio osservava il vermiglio sorgere del sole: l’alba non era la stessa, se ammirata tra le dune del deserto, era come assistere a un evento fuori dall’ordinario al centro di quell’esplosione di gialli e di rossi brillanti.
Aveva abbandonato da qualche ora la sua tenda, arricchita di preziosi damaschi del colore della terra e impreziosita dalle insegne del reggente di Elestorya. La sua mente era preda di pensieri multiformi, che si erano specchiati nelle ultime ombre della notte, ma non si erano dissolti con altrettanta rapidità al ritorno della luce. Quella landa sabbiosa e rovente gli ricordava la sua amata Eudiya, nata tra i dossi mutevoli e friabili d’ocra intensa, che per lei non avevano segreti. Sorrise. Una moglie di stirpe nomade, una giovane con il sangue caldo, appartenente all’aristocrazia tribale più antica del Regno. Gli avevano dato del pazzo.
Ebbene, lo era. Pazzo di lei fin dal loro primo incontro. Vent’anni lui, sedici lei. Un colpo di fulmine causato da una sfida.
 
Quel giorno Stelio era uscito dalle mura di Erinna con lo strik da caccia sul braccio: il volatile predatore era il suo preferito, con quei grifagni occhi argentati e il piumaggio bluastro, lucido come porcellana. Si capivano con uno sguardo ed erano simili: entrambi avevano bisogno di volteggiare in alto, liberi, lontani dalle costrizioni.
Il principe aveva lasciato il palazzo nella notte, desideroso di staccare la mente dagli affari di stato e il rapace aveva manifestato la necessità di sgranchire le ali. Così si erano allontanati dalla capitale, ma avevano percorso più strada del previsto, spinti dal piacevole silenzio e dal corso dei pensieri profondi; erano giunti nel punto in cui il deserto iniziava a lambire la terra fertile.
Lui aveva levato in aria il polso e l’animale si era alzato in volo, percorrendo il cielo azzurro in ampi cerchi, nel tentativo di avvistare qualche mattiniero roditore o qualche imprudente coniglio selvatico. Poi era sceso in picchiata, maestoso e terribile, sparendo dietro le dune. Stelio aveva spronato il cavallo, ma quando aveva superato le colline sabbiose, non aveva trovato traccia del compagno pennuto.
Un fischio acuto aveva stracciato la quiete del luogo e aveva attirato la sua attenzione. Si era diretto da quella parte e si era arrestato difronte alla scena surreale che gli si era presentata: una giovane donna, con una lunga treccia corvina posata sulla spalla e vestita alla maniera dei nomadi, teneva sul polso sottile e privo di protezioni il suo strik . Gli parlava alla stregua di un’amica di vecchia data e il volatile la ascoltava, fissandola con gli occhi adamantini, la testa piegata nella sua direzione, come se le sue parole fossero incredibilmente interessanti.
Per nulla intimorita dalla sua repentina apparizione, lei aveva sollevato sul principe un paio di occhi castani che avrebbero incantato anche una roccia e si era mossa nella sua direzione, i bassi stivali di cuoio imprimenti orme leggere sulla sabbia. Da quel particolare Stelio aveva compreso che non era un eikatoptri, un miraggio.
«Come avete fatto a richiamare Azhulio? Risponde solo a me» aveva domandato a metà tra l’affascinato e l’irritato.
«Azhulio? È questo il nome dello strik
Il predatore aveva risposto con un verso acuto e gracchiante, spalancando le ali, ma era rimasto posato sul braccio della fanciulla.
«Dice che tale nome gli è gradito e che per lui siete un caro amico» aveva interpretato lei, fissando il rapace negli occhi tondi.
«Mi prendete in giro?» aveva esclamato Stelio, scendendo da cavallo.
La giovane aveva sorriso maliziosa, lasciandolo nel dubbio.
«È impossibile che possiate comprendere il verso di un animale.»
«È impossibile per chi non lo sa fare, principe di Elestorya.»
Stelio aveva spalancato gli occhi sia per la risposta tagliente sia perché gli si era rivolta con riferimento al suo rango, come se lo conoscesse.
«Il vostro destriero porta il simbolo delle tre shad” aveva continuato la ragazza, anticipando la sua domanda «Anche se voi non indossate le insegne reali, non potete certo celare la vostra identità con una cavalcatura del genere.»
«Potrei averlo rubato» aveva risposto evasivo, per metterla in difficoltà.
«Tutti in anydri parlano di voi, nuovo, affascinante reggente del Sud» aveva sorriso lei «E dei vostri occhi sinceri, verdi come il lontano Pelopi.»
Stelio era rimasto ammirato dalla sua perspicacia, dalla sua schiettezza e dalla sua bellezza, ma aveva parimenti pensato che si stesse prendendo gioco di lui per la faccenda dello strik. Che era rimasto sul suo polso, beato, senza cenno alcuno di voler tornare dal suo proprietario!
«Come vi chiamate?»
«Sono Eudiya, della stirpe dei Thaisa. La mia gente ha piantato le tende non molto lontano da qui. Saremmo lieti di ospitarvi per colazione.»
I Thaisa. La tribù più antica e misteriosa del deserto, quella cui le leggende attribuivano discendenza diretta da Amathira e che indicavano come origine della Pietra Arancio, incastonata al centro del Diadema di Elestorya.
«Onorato» aveva risposto Stelio, notando come lei gli si stesse rivolgendo senza gli appellativi riservati al suo ruolo «Siete una sacerdotessa Kalah
«No. Comprendere gli animali è un mio dono personale.»
«Capisco. Mi restituireste Azhulio, ora? Non credo siate in grado di farlo volare e di lanciarlo a caccia.»
«Volete scommettere?» aveva replicato lei, posando la mano libera sul fianco coperto da un drappo di seta color corniola, frangiato d’oro «Se avete ragione voi, vi servirò il pasto del mattino. Ma se riuscirò a far sollevare lo strik e a recuperare la sua preda, mi darete un passaggio sul vostro cavallo, che tra l’altro ha molta sete!»
L’animale aveva nitrito, scrollando il muso magro.
Stelio aveva scosso la testa, rassegnato e parimenti divertito; aveva accettato la sfida, certo della vittoria. Le tribù del deserto non cacciavano con i volatili, le donne meno che mai. Quella poi era poco più di una ragazzina e lo stava canzonando da quando aveva aperto bocca. Stupido lui che non le aveva ordinato subito di restituire il volatile senza tante cerimonie!
Si era sbagliato.
Mentre procedevano verso l’accampamento, Eudiya non aveva perso di vista l’ambiente circostante. Alla prima occasione aveva lanciato in aria Azhulio, che si era librato in un volo armonioso, avvistando l’inconsapevole obiettivo: il predatore era piombato come una folgore sull’inerme lepre del deserto e l’aveva ghermita con gli artigli acuminati, spezzandole il respiro. Poi era sceso in una lenta planata e aveva depositato il bottino ai piedi della giovane.
«Ammetto la sconfitta» aveva borbottato il reggente a malincuore, riprendendo lo strik «E tu sei un disertore!» aveva aggiunto rivolto all’impettito volatile.
«Non dite così. Ho avuto gioco facile, comprendendo il suo linguaggio.»
Stelio aveva offerto la mano per aiutarla a montare in sella, per pagare la scommessa, ma la fanciulla si era aggrappata alla criniera del destriero ed era balzata in arcioni, lasciandolo senza parole. Nessuna timidezza al contatto con un uomo sconosciuto. Se lui avesse voluto farle del male, non le sarebbe bastato il coltello luccicante che portava agganciato alla gamba abbronzata. Seduta davanti a lui, gli girava le spalle in piena fiducia, mentre il profumo dei suoi capelli lo inebriava. Avevano continuato a parlare per il restante cammino, giungendo in vista delle preziose tende dei Thaisa quando il sole era già alto sulle dune dorate e brulle.
 
«Perdonate, maestà…»
Il richiamo educato interruppe il flusso dei piacevoli ricordi. Kendeas, il suo fido braccio destro, si inchinò con rispetto in evidente tensione.
«Temo sia richiesta la vostra presenza.»
Non era facile impensierire il comandante dell’esercito di Elestorya, ma l’espressione del suo generale non lasciava dubbi. Era successo qualcosa di grave. Il reggente lo seguì, arrampicandosi sulla duna sabbiosa. Quando giunsero sulla sommità, si aprì una scena cui Stelio non avrebbe mai voluto assistere: gli Aethalas, in soverchiante maggioranza, circondavano l’accampamento tenendo sotto tiro con gli archi formidabili i soldati della capitale. Il rumore dei loro lunghi mantelli del colore della terra, che schioccavano al vento, era l’unico udibile nel pesante silenzio del mattino.
I messaggeri che aveva inviato erano stati riportati indietro e inseriti tra gli altri prigionieri. Il portavoce dei ribelli si era presentato di persona e lo stava attendendo in piedi al centro del campo.
«Varsya!» esclamò adirato, procedendo a passo svelto verso il nuovo venuto «Che significa? Siamo forse in guerra?»
«No, mio signore» rispose questi, abbassando il cappuccio e accennando un lieve inchino «Ho ritenuto corretto confrontarmi di persona con vostra altezza, senza messaggi riportati.»
«Ho pensato che la presenza del re con l’esercito schierato davanti alle tue tende non sarebbe risultata un segnale distensivo!» ribatté secco Stelio «Questo per rispondere alla tua sottile accusa di viltà, non per giustificare le mie scelte!»
«Lieto di sentirlo, sire» continuò il primo senza scomporsi «Ma non sempre la lentezza della diplomazia è utile.»
«Sono qui per questo. E come vedi non ho portato con me tutta l’armata elestoryana, per evitare che la sua presenza sulle vostre terre causasse ulteriori incidenti. Che cosa sta succedendo? Perché state minacciando l’unità del Sud?»
La maschera impassibile dell’Aethalas si indurì: ma il suo non era un moto astioso, era una sincera e incontenibile apprensione, che si rifletteva negli occhi color kaki, sotto la fronte aggrottata.
«La Profezia» rispose.
Stelio inarcò un sopracciglio, interdetto.
«Ne sono consapevole, Varsya. Ho lasciato la reggenza provvisoria a mio figlio Shion, affinché scegliesse un Campione. Mia moglie Eudiya, che ha il vostro sangue, lo assisterà nel rituale, che si svolgerà secondo l’antica tradizione. Ormai il prescelto sarà stato individuato. Magari egli è già in viaggio per il Nord! Tutto ciò non motiva la vostra ribellione!»
Il capotribù scosse la testa, passandosi la mano tra i capelli bruni striati d’argento.
«Il vincitore all’Anello del Sole è vostra figlia» comunicò.
«Cosa!?» esclamò il re esterrefatto «Impossibile!»
Varsya lo squadrò: il palese stupore era prova che il sovrano non ne sapesse nulla, cioè un segnale positivo.
«Non può trattarsi di Dionissa! Lei possiede il Kalah, ma la sua salute non… Io non credo che…» si arrestò folgorato «Adara. Oh, dei!»
L’Aethalas annuì grave.
«Parla, Varsya!» ordinò Stelio al culmine dell’ira «Se non ritenete Adara adatta al compito posso capirlo! Ripeteremo il duello se opportuno, sebbene possa giurare sulla mia vita che non ci sono stati sotterfugi di sorta!»
«Nessun inganno» replicò l’uomo «I nostri erano presenti, la principessa ha vinto con le sue sole forze. È lei la prescelta da Amathira.»
«E allora?! Hai schierato gli arcieri! Le punte delle vostre frecce luccicano di veleno, ci state tenendo in ostaggio, ma la scelta all’Anello del Sole non vi turba. Esigo di sapere tutto quello che stai omettendo!»
«Voi siete l’attuale reggente di Elestorya, vostro figlio sta governando Erinna e in questo momento porta il Diadema con le tre Gemme. La vostra primogenita ha interpretato gli antichi testi grazie al suo Kalah, mentre la seconda principessa sta partendo per il Nord. La Profezia si sta verificando in una corrispondenza perfetta.»
Stelio corrugò la fronte, faticando a seguire il ragionamento.
«La Profezia, che noi Guardiani del Mare conosciamo alla perfezione, accenna a un Traditore che possiede il sangue del re
«È un’accusa gratuita! Come osi!?»
«Mi dispiace, mio signore. Finché non ne sapremo di più o non verrà fuori l’identità di chi sta tramando contro l’equilibrio del mondo, sarete nostro prigioniero.»
   
 
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