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Autore: Heart    05/06/2018    1 recensioni
- Ti va di divertirci insieme, una cosa veloce - disse, scandendo le parole “divertirci” ma per chi mi aveva preso?
- Fottiti! - allontanai la sua mano e cercai di uscire fuori da quella situazione.
- Mi piaci - , come cavolo sentivo la sua voce nella mia testa? Questo si chiama incantesimo della mente, forse stavo farneticando e i migliaia di libri che avevo letto a proposito mi avevano fumato il cervello? Mi girai e lo trovai ancora fermo, adesso i suoi occhi assomigliavano a un leone che analizza la strategia migliore per uccidere la sua preda; quel ragazzo era strano e io ero curiosa come una pazza a scoprirlo anche se da un lato del mio cervello mi diceva di scappare e lo stavo facendo e come!
[Questa storia è residuo di un sogno, spero di caratterizzare il tutto bene e di far comprendere la vita solitaria e la sofferenza della protagonista. Comunque non sarà solo romantica ma anche con un pizzico di sovrannaturale. Buona lettura]
Genere: Erotico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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 45°Capitolo
“Così importante”
 


Era una notte incantevole. Un dolce venticello ci trascinò con sé, mentre volteggiavo tra le braccia di mio marito. Finalmente eravamo una cosa sola, la cerimonia ci aveva lasciato tante emozioni che non avremo mai dimenticato: i cuori che tamburellavano all’unisono, l’eccitazione nell’incontrare lo sguardo dell’altro. Era stato un susseguirsi di sentimenti che ci avevano lasciato senza parole. E adesso mi raccoglievo il mio meritato premio: lui. Le muscolose braccia mi sorreggevano come se non pesassi nulla, i nostri occhi non si erano scollati nemmeno per un attimo.
“You’re the light, you’re the night
You’re the color of my blood
You’re the cure, you’re the pain
You’re the only thing wanna touch
Never knwe that it could mean so much, so much …”
 
“Sei la luce, sei la notte
Sei il colore del mio sangue.
Sei la cura, sei il dolore
Sei l’unica cosa che voglio toccare.
Non avrei mai immaginato ce potesse essere
Così importante, così importante …”
Mentre la canzone scorreva Kaname me la traduceva per me, avvicinando la sua bocca al mio orecchio. Era un gesto dolcissimo, e poi me la stava dedicando.
Sorrisi a tutto, alle sue mani che mi toccavano in un modo provocatorio, ma nello stesso tempo gentili. La sua presa salda e le sue emozioni che stavano nascendo in quegli occhi bellissimi. Sembrava che la luce li avesse inondati, tuttavia tutto questo era provocato da me, dalla mia presenza accanto a lui. A fine ballo mi fece fare una giravolta per poi riprendermi e baciandomi la fronte.
Era stato una giornata unica. Tutto era perfetto, avevo fatto un buon lavoro sia con il padiglione e con la sala all’aperto. Le lanterne che ci avevano circondato dando quella luce soffusa che tanto amavo, ai dettagli nell’apparecchiare la tavola e tutto quanto. Quel giorno sarebbe stato impresso nella mia mente per sempre.
-Ragazzi dai balliamo un po’, ho voglia di scatenarmi! –Urlò su di giri Luca, prendendomi e buttandomi nuovamente in pista, anche se l’unica cosa che volevo era riposare le caviglie. Tuttavia accettai e presi Simon e tutti gli altri. Ci saremo divertiti fino alla fine, anche se significava arrivare morti al sorgere del sole. Era solo un pensiero ma si realizzò.
All’alba io e Kaname eravamo totalmente distrutti. Alla fine si era sottoposto alle mille raccomandazioni da parte di tutti, mio padre lo guardava con quello sguardo che tutti i genitori fanno. Ma ero in mano sicure. Alle quattordici aveva l’aereo per partire per la nostra luna di miele, anche se non sapevo dove mi avrebbe portato. Tutti i miei amici lo sapevano, ma avevano chiuso la loro bocca per farmi una sorpresa. Salutammo tutti, ma prima gettai il tradizione il mazzetto di fiori che mi aveva accompagnato per tutto il giorno. Non sapevo a chi finisse, ma il mio cuore sperava ad una certa ragazza. Il fato, birichino, fece la sua magia. Sulla testa del povere Francesco giunse il famoso mazzolino e tutti risero, povero cucciolo, doveva intraprendere un lungo cammino.
 
-Allora mia sposa mi dai questo permesso? –Chiese Kaname sulla soglia della nostra casa.
-E che aspetti? –Ero stanca, ma non mi avrebbe permesso di spogliarlo con attenzione.
-Allora…-Mi prese e varcammo la soglia di casa. Risi a quel gesto romantico, intorno a noi c’erano soltanto fiori e cuoricini.  –Mi piaci quando ridi, fammi una promessa non smettere mai di farlo.  Detto questo ti voglio spogliarti e vedere cosa hai sotto. – Disse euforico, ma lo fermai.
-Eh no. Prima tocca a te, penso proprio che te lo debba. Hai sofferto l’inferno per me, dammi l’opportunità di rimediare. –Gli dissi, iniziando a toglierci il gilè poiché la giacca era volata tanto tempo prima. Bottone dopo bottone scomparve per poi passare alla camicia. La seta era liscissima e mi dava una sensazione di calore al suo tocco, ma non ero l’unica. Kaname sembrava in un altro mondo. Aveva gli occhi chiusi e si stava beando di quei tocchi. Lo spogliai da sopra, per poi pensare al sotto, notavo il gonfiore che aveva, ma non mi lasciai intimidire. Quando fu solo con i boxer mi fermai. Mi girai e mi tolsi le mollette tra i capelli. L’abito era così candido, ma non vedevo l’ora di far respirare la pelle.
-Mi daresti una mano? –Domandai pudica.
-Non ti addice questo comportamento. –Acconsentii per poi iniziare a sbottonare i piccoli bottoncini sulla schiena, ogni suo tocco sussultavo. Le sue mani erano lava bollente. Quando il tutto cadde al suolo, lui mi fissò allo specchio. Avevo indossato il minimo. Forse niente. Solo uno slip di pizzo bianco.
-Sei stata praticamente tutto il giorno nuda davanti a tutte quelle persone? Ed io credevo che fossi …- iniziò a dire, mentre le sue mani racchiusero i miei seni per poi stringerli delicatamente.
-Sentivo caldo. –Sussurrai.
-Lo hai fatto di proposito. –Bisbigliò lui, mordicchiandomi il collo.
-Mmm. –Mugolai qualcosa. Lei sue mani scivolarono sui fianchi, per poi abbassarmi i slip –così va meglio. –Intrufolandosi in quella conca segreta.
-Sei troppo ghiotto amore mio. – Gli dissi, mentre mi lasciavo alle sue attenzioni.
Mi sentivo dentro un sogno. Non potevo vivere tutte quelle emozioni. Era surreale, ma li stavo tastando sulla mia pelle. Kaname mi fu di grande aiuto, poiché non capivo una chippa in nessuna delle lingue. In primo luogo mi fece visitare Parigi, di notte si trasformava in una città bellissima, con mille candele che ti contagiavano e ti riscaldavano l’animo. Perché mio marito lo sapeva che cosa mi attraeva. Visitammo luoghi meravigliosi, ma soprattutto la corte di Versailles. Stupenda. Forse era superlativo quell’aggettivo, ma dovevo istruirmi su nuovi sinonimi.
La seconda tappa fu Londra. Finalmente avevo anch’io subito il suo fascino, ma quello non fu nulla alla grande mela in America e le sue principali attrazioni e infine come ciliegina sulla torta, la capitale dei miei sogni. Tokyo. Trascorsi delle ore su quella torre che mi aveva segnato fin dell’infanzia. Finalmente sentivo quella adrenalina che scorreva nelle vene, era stato bellissimo. Forse l’avevo già detto.
L’ultima tappa meno importante, fu Osaka. Dove il mio Kaname era nato e cresciuto con l’amore dei suoi nonni. Nell’ultimo giorno mi condusse in un tempio dedicato alla sua famiglia, dove tra le lapide lessi il nome dei suoi genitori. Fu istintivo prendergli la mano e sostenerlo in quel dolore silenzioso. Lui adesso non era più solo, aveva me e mi sarei preso cura del suo cuore.
-Sarebbero stati felici di incontrarti. Ma credo che loro siano accanto a me, anche adesso. Li ho sentiti sempre, soprattutto nei momenti più bui della mia esistenza. –Non lo fermai, perché sapevo che ne aveva bisogno. Ritornati a casa, sua nonna mi condusse in camera e mi fece indossare il kimono. Era bellissimo. Era azzurro e i Sakura disegnati.
-Vai cara, fargli spuntare nuovamente il sorriso. – Kaname che aspettava nella sala adiacente non si accorse della mia entrata, ma lo sguardo di suo nonno lo fece voltare. Si alzò e mi prese la mano. –Sei bellissima. Ti va di uscire un altro po’? –Domandò.
-Con piacere. –Ci avvicinammo all’ingresso e uscimmo. Compresi che in quella serata era l’ultima anche del festival. Ci fermammo in diverse bancarelle. Giocai ad acchiappare i pesci rossi, ma non ci riuscivo mai. Alla fine lui dispiaciuto della mia scarsità di gioco vinse per me, regalandomi un grosso orso polare. Era davvero gigantesco, ma era troppo kawaii.
-Ti avevo promesso tanto tempo fa di fartelo vedere, vieni. –Disse portandomi in un posticino isolato ma ben visibile dello spettacolo che si stava alzando. Infatti tantissime lanterne iniziarono ad alzarsi nel cielo. Gli occhi erano diventati liquidi per la sorpresa. –Non per questo non dovremo partecipare, -da dietro la schiena fece apparire una lanterna rossa. Mi chiesi come avesse fatto, ma lui era fatto così. Non ero la sola a sorprenderlo. L’accendemmo e pian piano volò nel cielo insieme alle altre.
-Ti amo. –Gli dissi.
-Io molto di più. –Mi sussurrò.
 
 
 
 
Alla fine ritornammo alla nostra solita vita, in quei due lunghi mesi ci avevano dato la carica per affrontare pure l’inferno, ma forse avevo troppo pensato. Perché non c’è né mai abbastanza della strega che aveva rotto con le sue cerimonie e le sue intromissioni. Infatti la cosiddetta signora pretendeva che il primogenito dei neo genitori dovesse prendere il suo nome se fosse nata femmina. Era una eresia quell’idea. Poiché Crystal non ne voleva proprio sapere di mettere un nome così brutto alla sua bambina e poi essere rinfacciata ogni giorno della sua vita per esso. Tutto questo non sembrava turbarla, avendo un ascendente sul figlio, che lo avrei preso a schiaffi per quel suo stolto comportamento da babbano. Non solo lasciava sua moglie alla grinfie della madre, ma cercava di convincere Crystal che il nome non fosse così antipatico. Pensai a lungo che in quei due mesi di assenza Federico si era fumato qualcosa, si, perché prima diceva che sua madre non avrebbe avuto questioni a riguardo e adesso tutto l’opposto. Ci voleva una bella lezione. Ero ritornata da poco e forse era meglio restare ad Osaka a vivere quella vita spensierata, ma i miei doveri non potevano scomparire. Ero passata dalla pasticceria a prendere qualcosa di dolce per la mia amica, la quale era di un umore nero. Appena varcai la porta trovai lei sdraiata sul divano con le finestre tutte aperte, e la piccola Alexia che guardava la tv.
-Bentornata straniera, com’è andata? –Mi chiese subito, facendomi segno di avvicinarmi a lei. Anche se avvertivo qualcosa che la turbasse.
-Alla grande. Tu come stai? –Sembrava stanca e pallida. La pancia oramai era evidente. Le toccai quest’ultima e mi emozionai.
-Tutto bene, anche se questa piccola peste mi sta dando un bel da fare. – Rise per poi chiudere gli occhi.
-Ti senti male? –Domandai subito.
-Tutto okay. Penso che tra poco sarà il momento, speriamo che Federico ci sia. – Le sorrisi.
-Se non c’è lui, ci sarò io. –La incoraggiai.
Parlammo del più e del meno, anche la piccola Alexia contribuii nella nostra chiacchierata, mangiammo i dolcini che avevo portato, anche se Crystal non ne volete, mi sembrava strano. Ad un certo punto la porta di casa si apri e vidi l’ultima persona che in quel momento avevo voglia di vedere e non fu la sola. La strega entrò come se fosse casa sua, buttò la borsa di lato e si avvicinò senza dire una parola in cucina.
-Perché ha le chiavi di casa? –La interrogai. Lei chiuse gli occhi e abbassò la testa come se fosse stata sconfitta.
-Federico mi ha messo nelle sue mani. Forse era meglio consegnarmi al diavolo, sarei stata più al sicuro. –Mormorò, mentre una nuova fitta la spezzavano in due.
-Da quanto tempo hai le contrazioni? –Capendo che cosa le stava succedendo.
-Da tutta la mattinata, ma vanno e vengono. Ora siamo a dieci minuti. –Dissi pallida come un lenzuolo.
-Chiamo Federico. Non c’è un minuto da perdere, puoi partorire da qui a poco. –Mi alzai e presi il cellulare, ma non ebbi neppure il tempo che qualcuno me lo rubò dalle mani. La strega spense la chiamata e per poco non la facevo volare per quel gesto.
-Mi dia il cellulare. –Le dissi più cortese possibile.
-Non sei stata invitata. Esci fuori da qui. –Disse lei con quel tono superiore.
-Mi dia il telefono. –Scandii bene le parole. Voleva essere uccisa e lo avrei fatto volentieri.
-Vattene mocciosa. Sei solo una fonte di guai. Ti rinchiuderò e pagherai tutti i tuoi errori. –Ma che stava dicendo? In salotto c’era la mia amica soffrire e lei prendeva discorsi senza senso?
-Non fare quella faccia. Tu. –Indicandomi –hai rovinato mio figlio. Si è ridotto come un topo. Non vive più e per cosa? Per una sgualdrina come te. Glielo avevo detto che non lo meritavi, ma lui ha fatto di testa sua e adesso che cosa ha in mano? –Blaterò minacce e offese da far paura. Non era mica colpa mia se il cuore non si comanda, e poi non volevo essere comandata a bacchetta per un uomo che credeva che l’amore era possessione.
-Senta non è il momento di parlare di queste cose, sua nuora entrata in travaglio. Non vede come soffre? Anche lei avuto dei figli, dov’è il suo istinto materno? –Affermai mentre guardavo lei e poi la mia amica.
-Quella poco di buono ha incastrato mio figlio. Quel figlio non è il suo, e lo scoprirà presto. Questo mostro non avrà vita facile. –Le sue parole erano veleno. Che donna era?
Non le risposi perché l’avrei presa a sberle. Girai i tacchi e mi avviai verso il salotto, ma lei mi prese e mi spinse di lato facendomi perdere per un attimo l’equilibro. Avvertii un senso di nausea a quello strapazzo che m’inginocchiai per riprendermi. Intanto la strega stava prendendo Crystal dai capelli come se fosse una bambola, trovai le forze e presi quella pazza e gli mollai un calcio nel ginocchio interno per farla lasciare la presa, in quel fragrante chiesi ad Alexia di chiamare subito l’ambulanza poiché Crystal stava urlando per il dolore. La piccola fuggi e ci lasciò, mentre la madre mi aggrediva con calci e pugni, ma non fu la sola. La colpii così tante volte che la sua faccia era ricoperta di macchie rosse.
-Jessy il bambino sta nascendo! –Urlò con tutto il fiato Crystal. Mi alzai e l’aiutai, non sapevo che cosa fare di preciso, ma seguii l’istinto.
-Tesoro, al mio tre spingi. Dovremo farcela noi due soli.  Alexia vieni qui piccolina, vammi a prendere degli asciugamani puliti e una forbice, e trova qualcosa per legare questa vipera. –La ragazzina annuii e scappò alla ricerca del materiale. Sembrava surreale per ciò che stavo facendo, ma non potevo abbandonarla. Al mio tre spinse, le urla erano allucinati. Vedevo la testa del piccolo, la dilatazione era assurda, ma ingoiai un conato di vomito e dopo un urlo che fece rizzare i peli anche agli animali più piccoli, un vagito risuonò in quel salotto. Tenevo tra le braccia un dolce bambino ricoperto di sangue e acqua. In quel momento i paramedici entrarono e soccorsero il piccolo e la madre che piangeva per il sollievo. Dopo avergli tagliato il cordone lo diedero a lei in cui pianse di felicità. Era diventata mamma, di uno splendido bambino.
In ospedale c’era fermento. Federico camminava avanti e indietro dal corridoio, poiché Crystal era ancora in sala operatoria e il piccolo sotto le cure dei dottori. Mi sentivo esausta e poi con tutte quelle botte in testa ancora peggio. Guardai il telefono, che ahimè si era rotto lo schermo per quella pazza e chiamai mio marito. Al primo squillo mi rispose.
-Sei a casa? –Mi chiese lui.
-No, Kaname. Devi venire in ospedale. –Dissi stanca. La testa mi scoppiava e non avevo nessuna voglia di ripetere per l’ennesima volta che cosa era successo.
-Ospedale? Stai male? –Domandò a raffica, sentivo il rumore della portiera aprirsi e poi chiudersi a scatto. Immaginai che fosse arrivato in quel momento a casa.
-Stai tranquillo. Sono diventata madrina, adesso vieni a prendere prima che crolli. –Risposi per chiudere la telefonata. E già. Infatti appena Crystal giunse in ospedale erano ritornate le contradizioni, e sorpresa di tutti, un altro piccolo era uscito. Che gioia …per il futuro papà, ma se solo avesse messo quel nome si ritrovava con una testa mozzata. La strega era stata portata al fresco. Questa volta non l’avrebbe passata liscia, una bella denuncia non la toglieva nessuno. Mi appisolai solo per un attimo in cui avvertii qualcuno sfiorarmi il viso, aprii gli occhi e mi ritrovai Daniele. Aveva uno sguardo arrabbiato, ma nello stesso tempo sfinito. Si sedette accanto a me, mentre il suo gemello lo fissava con prudenza.
-Mi dispiace. È stata tutta colpa mia. La mia rabbia le ha scatenato questo disprezzo verso di te. Se solo non avessi combinato tutti questi guai, tu forse… mi dispiace Jessica, spero che un giorno riuscirai a perdonarmi. –Finito il suo discorso si alzò e se ne andò. Mi sembrava veramente dispiaciuto, ma non sarebbe valso la pena. Mi aveva ferito molte volte e le cicatrici non scompaio facilmente.
-Jessy i dottori voglio vedere anche te, hai degli amatomi sospetti. Vieni ti accompagno. –Mi riferì Federico facendomi alzare e portandomi infermeria. Mi visitarono e mi disinfettarono il tutto, quando uscii mi trovai Kaname. Lo abbracciai di slancio. Lui con fare dolce mi strinse a se e mi accarezzò la testa anche se mi faceva male. Mi portò sulla panchina e cercò di guardarmi in faccia.
Il suo silenzio mi faceva paura. Quando i dottori uscirono dalla sala Federico ed io Ci alzammo, anche se ricaddi indietro avendo un giramento di testa che prontamente Kaname mi afferrò.
-La signora si è stabilita. I piccoli sono nella nursery e tra breve li potrete vedere. – Confermò per poi andarsene.
-Auguri papà. –Dissi, mi reggevo a mala pena tra le mie gambe –senti un po’ te lo ricordi che cosa ti ho detto prima del tuo matrimonio? –Domandai.
Lui abbassò la testa colpevole, -non ti permettere mai più di fare una cosa del genere. Siete una cosa sola e la tratti come se non fosse nulla. Adesso hai una famiglia con quella donna e la devi trattare con riguardo. – Strillavo –Mi ascolti? –Lo presi dal bavero ero impazzita, Kaname mi tirava a se, ma lo strattonai –Crystal è tua moglie, compagna, amica, quello che vuoi. Portale rispetto, perché la vita adesso sarà più difficile con due bambini. Avrà bisogno di te! –Dischiarai furiosa. –Lei ti ama, ha sopportato tua madre e tu…mi sembri un imbecille in questo momento, e lo avrebbe detto a anche lei. –
-Lo so. –Rispose. –Ho sbagliato, ho creduto alle parole di mia madre invece a mia moglie. Forse…-l’avevo capito che cosa stava per dire, ma glieli avrei fatto mangiare.
Sbam!
-Jessy. –Mi richiamò Kaname, cercando di farmi spostare.
-Stai zitto tu. Questo bambino ha bisogno di riprendersi ciò che suo. Tua madre è una strega, sai che cosa l’è uscito fuori? Che i tuoi figli erano dei bastardi! Che Crystal era una poco di buono! Le permetti di dire una cosa del genere? Alla madre dei tuoi figli? Rispondimi Federico. Non ti ho affidato alla mia migliore amica perché sei un idiota. Dov’è il ragazzo che ha lottato? Nulla è facile in questa vita. E non osare più dire che non l’ami abbastanza, senno non saresti nemmeno qui! –Chiusi la discussione, mentre avvertivo mille puntini lampeggiarmi tra gli occhi. Perfetto mi ero alterata troppo.
 
Ieri era stata una giornata strana, indimenticabile, unica. Vedere la vita nascere, toccare la luce. Quel bambino mi aveva dato una strana sensazione, non sapevo dargli un significato. Mi trovavo sul letto a riposarmi, perché non avevo nemmeno le forze di alzarmi. Kaname mi aveva portato la colazione in camera, intuendo il mio malessere. Se solo avesse saputo che cosa era uscito dalla bocca di quella vipera.
Presi un lungo respiro e appoggiai un piedi per terra. Non potevo poltrire, adesso che la mia direttrice era in maternità il centro era scoperto. Mi feci forza e mi preparai, anche se l’unica cosa che volevo fare era dormire.
Mi fermai un attimo per mettermi le scarpe, appoggiai un attimo la testa sul cuscino.
-Ehi piccola. –Qualcuno mi chiamò preoccupato. Apri un occhio assonnata come non mai, e mi ritrovai Kaname inginocchiato di fronte a me.
-Che ci fai qui? –Chiesi.
-Come che ci faccio qui? Ma stai bene? –
Tentai di alzarmi, ma la testa era pesante. Allungai il braccio e presi la sua mano che era fresca e me la posi sulla fronte. Il suo viso era un misto di preoccupazione e di smarrimento.
-Che ore sono? –
Lui fissò l’orologio da polso –le diciotto di pomeriggio. –Riferì e per poco non mi veniva un collasso. Mi ero addormentata e, oddio!
-Stai tranquilla. Può darsi che questa tua spossatezza è causata dal trauma di ieri. Il tuo corpo ha bisogno di riprendersi. Bel modo di andare a lavoro, no? Ti preparo qualcosa? –Disse mentre si allentava la cravatta. Mi aveva trovato sul letto con una scarpa si e una no, con il completo da lavoro, peccato che non ero mai uscita.
-No. Non ho fame, forse sete. –Ammiccai, facendo un altro sbadiglio.
-Stai entrando in letargo? –Mi arruffò i capelli.
-Può darsi. –Posizionandomi il cuscino alla meglio, mentre sentivo che la gonna veniva sfilata e anche l’unica scarpa indossata.
-Ti vado a prendere dell’acqua, mangio e ti raggiungo.  Ah mi ha chiamato Federico, i piccoli e Crystal stanno bene. Appena ti riprendi li andiamo a vedere. –Dandomi un bacio per poi andare di sotto. Ero felice che stavano bene, speravo che lui si fosse data una svegliata.
 
Tre giorni dopo mi ero ripresa del tutto, anche se dei piccoli capogiri mi davano fastidio. Forse dovuto alla mancanza di vitamine che nei giorni passati non avevo assunto. Federico ripreso dallo choc ci aveva avvisato che voleva organizzare una piccola festicciola per dargli il benvenuto, e noi come bambini avevano accettato. Avevamo comprato di tutto, tra palloncini e festoni, quel salotto sembrava un asilo.
Nel momento in cui Crystal e Federico arrivarono le bombette scoppiarono e mille coriandoli invasero chiunque. Facendo svegliare i piccoli dal loro meritato sonno. Ma eravamo troppo felici, e Luca prese Alessandro, poiché fu istintivo pensarlo, poiché ce l’ho ripeteva di continuo. Invece io mi avvicinai alla piccola, che con i suoi occhi scuri, mi fissava con attenzione.
-Ciao piccola. –Le dissi come se mi potesse capire, lei come intuisse mi allungò il braccetto. Un onda di emozione mi fece piangere e la presi con discrezione. La mia amica che mi aveva fissato durante il tempo mi parlò–lei è Phoebe. –La guardai con gli occhi pieni di luce. Lei lo sapeva che era uno dei nomi che mi attraevano di più, ma non le avrei dato la caccia per averlo usato.
-Benvenuta in questa combriccola di pazzi, Phoebe. –Le sorrisi, mettendomela vicino al petto. La piccola rassicurata chiuse gli occhi e si addormentò.
-Spero che non mi faccia penare, al massimo chiamo te. Madrina. –Mi sussurrò, per poi andare dagli altri. Posandola nella sua culla avvertii di nuovo quella sensazione, ma non ci feci più caso. Brindammo e ci divertimmo alla grande.
 
Ottobre stava per entrare. Da quando Crystal era in maternità, tutte le faccende erano cadute su di me. Anche se le mie dipendenti mi davano una mano. I bambini avevano dato molto scalpore tra tutti.  La sera era arrivata, il clima anche se fresco di notte non mi dava fastidio, poiché il mio amore mi riscaldava a dovere. Ma c’era delle preoccupazioni che mi allarmavano. Sensazioni che mi davano un senso strano, qualche sera prima mentre riposavo sul divano avevo avvertito un guizzo ambiguo sullo stomaco. Non era caso che soffrissi di coliti ogni tanto per i cibi che assumevo, ma certi pensieri non mi abbandonavano. Così presi una decisione. Il mio turno era finito, presi borsa e giacca e mi diressi fuori.
Appena giunsi a casa, trafficai nei cassetti del bagno e trovai uno scatolino. Era stato un regalo “scherzo” dei miei due amici strambi. Non avrei creduto che un giorno tanto vicino mi sarebbe servito. Mi chiusi in bagno e lo feci. Passarono dieci minuti e lessi il responso. Il test segnava la parola “non incinta” un respiro di sollievo nacque ma …dovevo essere sicura al 100%, così chiamai la ginecologa e presi un appuntamento per una visita generale. Meglio togliersi il dubbio in prima possibile.
 
-Buona sera moglie, tutto bene? –Chiese Kaname appena arrivò. Mi baciò e lo ricambiai, volevo togliermi quel pallino in testo.  –Oh che siamo promettenti stasera. –Azzardò a dire e gli sorrisi. Forse mi dovevo lasciar andare.
-Perché no? Staccare un poco fa sempre bene, vieni qua marinaio. –Lo agguantai e lui prontamente mi portò sul divano.
-Mi piaci quando fai la gattina. –
 
 
 
 
Nelle settantadue ore dopo era successo il fino mondo. Crystal che mi chiamava perché il piccolo Alex non voleva dormire, Luca che cercava un file, problemi al centro e infine la bomba che era esplosa e aveva fatto più danni di tutti. Mi ritrovai sul bancone di casa con le mani sulla testa, con le lacrime agli occhi non sapendo di essere felice o meno. Kaname stava lavorando nel suo studio incurvandosi del dramma che avevo addosso. Ero così spossata che avrei buttato tutto per terra. Adesso capivo tutto, ma come avevo fatto a non capirlo subito? Semplice, ognuno di noi era diverso dall’altro. Avevo deciso, lui doveva far parte di questa decisione, che infine era stata presa da sola. Mi incamminai verso il suo studio e bussai –ti posso disturbare? –Chiesi, mentre lui alzava la testa dalle sue carte.
-Un attimo. –Rispose, ritornando sul documento.
-Kaname adesso! –Dissi con vigore e impazienza.
-Jessica sto finendo di leggere questo documento, qualunque cosa si tratta, potrà aspettare cinque minuti. –Controbatte lui.
Allora non capiva quanto era importante.
-Non credo che tuo figlio voglia aspettare! –Lanciai la palla, infatti la sua testa si alzò di scatto.
-Che cosa hai detto? –Domandò subito, posando gli occhiali di lettura.
-Non mi ripeto. –Girando i tacchi, ma lui prontamente più veloce di me, mi fece voltare e i nostri occhi si scontrarono. –Ripetilo, credo di aver sentito male. –Affermò più dolce. Avevo notato quella piccola luce illuminare i suoi occhi.
Ingoiai un magone –tuo figlio non aspetta, ti pretende. –Sibilai, ma lui capii subito. Mi abbracciò forte per poi abbassarsi e mettere la testa sul ventre.
-In effetti ci avevo fatto caso alla sporgenza, ma non ti avevo detto nulla. –Parlò.
-Il test che ho fatto è risultato negativo, ma avevo dei ritardi, ( potevo intuirlo prima, ma sai come sono  i miei cicli e non ci ho dato importanza e poi usavano sempre i contracettivi) e così mi sono messa al sicuro chiamando il dottore. Stamattina mi ha dato il responso. –Dichiarai.
-E perché non me lo l’hai detto subito? –Domandò interrogativo.
-Perché non ci credevo, è stata una sorpresa dietro l’altra. –Dissi girandomi e giungendo nel salotto, lui mi seguii non capendo.
-Di quanto sei? –
Lo guardai con gli occhi lucidi, non avevo potuto prendere una decisione, perché oramai era tardi. Volevo godermi la vita da sposina, ma come avevo detto le cose accadono per un motivo. –Sto entrando al sesto mese. –Ecco qual era la bomba. Lui c’era al mio matrimonio, lui già stava crescendo indisturbato senza che sapessi nulla. Aveva partecipato a tutto. E non me n’ero accorta.
-Aspetta un attimo. Significa che lo abbiamo concepito ad Aprile. Aspetta è successo in quella notte? –Domandò più a se stesso che a me. Perché sì.
-Si. La dottoressa mi ha spiegato come tutti i contraccettivi non sono sicuri al 100% e c’è 1% di restare incinta. Lo abbiamo avuto sempre dietro. –Scoppiando a piangere. Tante emozioni galleggiavano dentro di me.
-Jessica tu lo vuoi questo bambino? –Proruppe lui serio. Lo fissai …
Rimasi in silenzio per molto tempo, e fu in quell’attimo che un flash mi apparve. Non e che la piccola Phoebe avesse avvertito che dentro di me ci fosse lui? Quando allungava la sua piccola manina verso il mio ventre, mi sembrava che volesse essere presa, invece se ne era accorta. Piansi ancora, perché oramai lui era parte di me.
-Il nostro bambino vedrà la luce e noi saremo lì a mostrarcela. –
-Lo faremo assieme. –Abbracciandomi, facendo valere quel sentimento che ci aveva unito e adesso era indistruttibile.
 
Epilogo
 
La mia vita sembrava sempre fatta di festa, non solo i gemellini avevano compiuto i loro due mesi di vita, ma adesso ero anch’io in procinto di fare le mie mosse. La pancia si era evoluta e adesso i miei completi da lavoro non mi entravano più, mi ero dovuta staccare da un bel po’ di cose. Tuttavia non mi lamentavo, il mio caro maritino non mi faceva mancare nulla. Ogni vizio me lo accontentava. I ricatti era all’ordine del giorno e lui sapeva che cosa significava, dire di no. Lo aveva pagato a sue spese. Mi sentivo più tosto malinconica quella sera, poiché lui non ci sarebbe stato, chiamato per uno dei suoi viaggi, anche se aveva dato modo di farne meno possibile con l’arrivo della piccola. Eh sì. Dopo decenni la famiglia Washi aveva il suo primogenito femmina. Era stata una felicità per la nonna Ran che era saltata dalla felicità. Kaname aveva fatto una espressione stupida, vedendola sempre seria e contenibile. L’avremo viziata a e vestita con tutte quelle cose da femmina.
Il nome era stato scelto, era palese che Kaname non avrebbe nemmeno azzardato a dire qualcosa, sennò fuori. Lui prontamente mi aveva lasciato carta bianca. E adesso mi apprestavo ad ascoltare la musica che mi rilassava. Le cuffie li avevo mollate da un poco, poiché volevo che la mia piccola sentisse. Una canzone particolare stava risuonando con enfasi e malinconia. Fissai ogni cosa di quella casa che era mia. Dal cuore di fotografie che era appeso sul muro, delle numerose foto che avevano appese dei nostri giorni. L’ecografia della piccola che stava al centro, il matrimonio, le capitali visitate, il cibo, l’anello. Erano dei ricordi distinti nelle nostre memorie.
Amavo quella casa e il suo profumo. Ma soprattutto quello di mio marito che mi regalava emozioni che non avrei mai potuto vivere da sola. La libertà ti permette di sognare, ma essere in due, legarsi ad un amore che non aveva confini era tutto un’altra cosa. L’amore mi aveva cambiato, ci aveva sconvolto e ci aveva fatto suoi prigionieri, ma era stato bello. Non sarei qui a fissare questo immenso infinito senza di lui. Sfiorai il ventre, mentre lei mi dà dei pugnetti, un giorno di questo ti mostrerò il mondo amore mio, perché non c’è solo solitudine e tristezza, ma un universo infinito dove puoi fare ciò che vuoi. Perché i sogni non l’hanno creati per farli rimanere in un cassetto, ma per viverli nella nostra quotidianità ed i desideri sono come gemme preziose. Coltivali, non perdere mai la speranza, perché un giorno di questi può darsi che si avverano.
Adesso è troppo tardi per pensare 
Di dimenticarti e poi rinascere 
E non cercarti più 
Ma non so cos'è importante 
Se fidarmi o non fidarmi di te 
Di quel viso così impresso nella mente 
Non saprei ma ci penso sempre sai 
E non c'è niente 
Che cancelli il ricordo di te 
Di uno sguardo malinconico e sognante “
Incontrati è stata una benedizione e una condanna, perché…la vita è ingiusta. Amare così e poi non essere ricompensati.
E in un attimo ritorno al mio presente 
E vorrei che tu fossi ancora qui 
Tu che sei così importante 
Puoi sentire il mio bisogno di te 
Nei tuoi occhi vedo acqua trasparente 
Come un fiume travolgente dentro me
 
Invece del cuore c’è un macigno che batte come una pietra. Il cuore è diventato una lastra di ghiaccio. In fine i sogni sono solo desideri, che guarda caso non si realizzano con il pensiero ma con determinazione e forza. Sei stato un sogno bellissimo, pieno di ricordi amari e amore.
Mi sfioro il ventre e non c’è niente, nessun battito, nessun colpetto. La mia piccola Daphne non esiste, lui, non vedrò mai i suoi occhi. Il suo sguardo che era dedicato unicamente a me, i suoi gesti dolci, calibrati. Tutto è svanito e anche il desiderio.
-Tu che sei…così importante- sì, sei importante anche se non so come sei fatto realmente, ma spero che un giorno ti possa incontrare che il nostro legame diventi duraturo come loro. Perché nessuno può spezzarti i sogni che custodisci nel cuore. Dai raggiungermi, se il destino esiste in questo cosmo, fai che le nostre anime si scontrano. Oh fai sparire per sempre questo vuoto.
-Dove sei dimmi adesso dove sei …-
 
 
 
Fine
 
 
 
Non è facile mettere questa parola. Perché davvero ho cercato di crederci in questo bellissimo sogno ad occhi aperti.
La potete intraprendere come volete, ma era così che sarebbe finita, fin dall’inizio.
Un meraviglioso sogno, che quanto possibile, che lo abbia sognato innumerevoli volte, mi risvegliavo con quella mancanza nel cuore. Non sentire il suo odore, il suo calore, avvertire quella mancanza…
Così importante –Laura Pausini.
Non è caso che molte canzoni sono date da lei in questa storia. Ve l’ho sempre detto che tutto sarebbe ritornato a una delle sue opere.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno aiutato con questa storia a semplice ispirazioni alla correzione del testo. Alle fan, in primis a Kitty che mi ha minacciato di continuarla e alla faccia che farà leggendo il finale, te l’ho sempre detto di preparare i forconi.
Alle lettrici silenti, e quelli non.
Un grazie a me stessa che ha avuto la forza di continuare, perché sapeva che il finale mi avrebbe portato un magone in gola.
 
Dove sei… dimmi adesso… dove sei “
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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