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Autore: Calia_Venustas    05/06/2018    1 recensioni
Si dice che gli Dei siano tutti morti nella grande battaglia del Ragnarǫk, ma Loki, Padre delle Menzogne e di figli mostruosi è sopravvissuto e ancora si aggira, invecchiato e stanco, per il nostro mondo. Per generosità o forse per sfuggire alla noia, decide di privarsi dell'ultima mela di Iðunn, l'unico modo di allungare ulteriormente la sua esistenza millenaria, per salvare una perfetta sconosciuta da un terribile incidente che lui stesso ha causato.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
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Sigyn colse l’ultima mela d’oro e s’avviò con passo leggero verso il grande palazzo del Padre degli Dei, portando la cesta carica di frutti sottobraccio.

Se fosse stata mortale avrebbe avuto l’aspetto di una vecchia raggrinzita ma per sua fortuna il sangue che le scorreva nelle vene era quello degli Aesir e quindi, nonostante i suoi quasi cento anni, aveva l’aspetto di una ventenne. I capelli neri legati in una morbida treccia le scivolavano sulla spalla e gli occhi d’oro (proprio come le sue mele) scintillavano alla luce del mattino orlati dalle lunghe ciglia. Certo, non era bella come la sua signora, la Divina Freyja, ma per essere una divinità minore Sigyn si difendeva piuttosto bene. Aveva un fisico tonico e la pelle baciata dal sole che splendeva alto sui tetti di paglia intessuta di Asgard.

I suoi piedi nudi calpestarono l'erba soffice della chiostra interna del palazzo mentre l’abito bianco e azzurro frusciava dietro di lei. Il cielo terso vibrava dei colori iridescenti del Bifrost e le colombe tubavano placidamente sui rami possenti delle querce. Sarebbe stata una giornata perfetta se non fosse stato per i venti di guerra che ormai da settimane spiravano sulla città dorata di Odino.

Gli Jötunn, i rozzi abitanti delle lande ghiacciate di Jotunheim erano irrequieti. Le loro streghe avevano gettato le rune e letto oscuri presagi che persino il Padre degli Dei non riusciva ad interpretare e tutti, ad Asgard, sentivano che qualcosa sarebbe presto cambiato e nessuno credeva per il meglio.

Quando Sigyn oltrepassò la porta della sala dei banchetti come faceva ogni mattina, non aveva idea di quale forza del Caos Odino si fosse fatta amica durante il suo ultimo viaggio a Midgar, la terra degli uomini.

Ma intuì che qualcosa era diverso dal solito per via del silenzio sospetto che gravava cupamente sulla sala, solitamente luogo di risate e grandi bevute. Dei e Dee erano seduti come di consueto sui loro rispettivi seggi, ognuno con le proprie insegne scolpite sullo schienale. Due corvi e un grande occhio spalancato erano cesellati sul seggio di Odino mentre Thor e Baldr sedevano su troni rispettivamente decorati con saette e raggi di sole.

Sigyn stessa aveva una sua seduta alla sinistra di Freyja, ma la sua sedia non riportava ancora alcun simbolo poiché lei era ancora troppo giovane per essere proclamata ufficialmente Dea di qualcosa in particolare. Per il momento, era soltanto l’ancella della bella Freyja, Dea dell’Amore e del Desiderio.

La sua signora le rivolse un’occhiata non appena la vide entrare, come per farle intendere che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi e così fece Sigyn, guardandosi attorno con aria sempre più confusa.

Fu allora che notò che un nuovo trono, privo d’incisioni proprio come il suo, era stato aggiunto al lato opposto della tavola imbandita di dolciumi e caraffe di idromele.

Prese posto di fianco a Freyja e, posato il canestro di mele si rivolse alla Dea “Buongiorno mia Signora. Abbiamo forse un nuovo fratello?”

Freyja stirò le labbra carnose “Il Padre di Tutti ci sta tenendo sulle spine. Non vuol dirci di chi si tratta. Ma ho ascoltato i mormorii della servitù e spero di tutto cuore che quelle sempliciotte abbiano preso un abbaglio.” confessò lei bevendo una lunga sorsata dal calice d’oro. Freyja era la più bella tra le Dee, alta quanto suo fratello Freyr, bionda come il grano e con un fisico dalle curve abbondanti e morbide che avrebbe fatto impazzire qualsiasi mortale e forse persino qualsiasi Dio. Si diceva infatti, che tutti volessero Freyja come loro sposa, perfino lo stesso Odino nonostante la sua ormai secolare unione con Frigg.

“Cosa dicono le serve?” indagò Sigyn in un sussurro, percependo l’inquietudine nella voce della sua Signora.

“Che Odino è completamente impazzito ed ha intenzione di accogliere tra noi uno Jötunn.”

Nell’udire quelle parole, Sigyn impallidì visibilmente. Gli Dei di Asgard avevano concluso la loro guerra intestina soltanto una cinquantina d’anni prima, Aesir e Vanir un tempo acerrimi nemici, avevano sancito una tregua e unito la propria forza militare e magica. Freyja stessa era una principessa Vanir che come molti altri aveva abbandonato la rurale Vanaheim in favore dei lussuosi palazzi di Asgard. Ma uno Jötunn?

Si poteva trattare con gente civilizzata, non con una razza di selvaggi ed ingannatori. Gli Jötunn erano per lo più predoni e sciacalli, assaltavano le carovane dei mortali quando questi si perdevano nelle tormente di neve, sconfinando nella gelida Jotunheim attraverso le fessure che di tanto in tanto s’aprivano tra i regni. Il loro mondo freddo ed inospitale rendeva i loro cuori duri come pietra e l’invidia che provavano nei confronti delle lussureggianti pianure di Asgard dove animali e bestie favolose di ogni sorta pascolavano e cacciavano era ben nota.

Sigyn ne aveva visti alcuni, in passato. Non erano poi tanto diversi dagli Aesir e Vanir per quanto riguardava l’aspetto fisico, ma sembravano fare tutto il possibile per apparire selvaggi e sgradevoli, pitturando la pelle lattea con sangue rappreso e rasando i capelli di uomini e donne. Le femmine Jötunn erano considerate ben più pericolose dei loro mariti, perché univano l’astuzia alle arti magiche ed erano note per rapire giovani mortali e persino Dei per farne i loro servi o amanti.

La loro magia attingeva direttamente dal caos ed era consentita ad Asgard esclusivamente se Odino lo permetteva. Solo in casi di estrema necessità.

“Lo credete sul serio, mia signora?” indagò la giovane Dea rivolta a Freyja, ma fu suo fratello Freyr a rispondere.

“Il Padre di Tutti è stato più criptico del solito. Non è da escludere che le sguattere stiano dicendo la verità.”

“Non ci credo. Odino conosce la loro natura, sarebbe come invitare una serpe all’interno delal propria tana!” sbottò Freyja posando i gomiti sul tavolo facendo tintinnare i numerosi bracciali d’ottone.

Lui sbocconcellò il pane dolce con aria inquieta. Poi, deglutito il boccone, trasse un profondo sospiro e s’alzò, la spada ricoperta di rune che scintillava appesa alla sua cintura borchiata “Odino, mio condottiero e Re. Sapete che l’impazienza non è nella mia natura ma voci sinistre si rincorrono per il palazzo.”

Baldr, biondissimo e dagli occhi azzurri, gettò un’occhiata in direzione del padre ma Odino restò impassibile. Era un uomo alto e dal portamento solenne, fasciato in una veste verde smeraldo ricamata di foglie di quercia. Sul capo portava una tiara raffigurante un’aquila ad ali spiegate mentre una benda di cuoio gli copriva l’occhio destro che si diceva avesse ceduto in cambio del dono terribile e meraviglioso della conoscenza.

“E di quali voci stiamo parlando, mio buon Freyr?”

Il gemello della Dea del Desiderio indicò il nuovo seggio con un gesto ampio “Si vocifera che il nostro nuovo fratello venga da Jotunheim.”

Un mormorio angosciato percorse la sala e persino Frigg, seduta compostamente al fianco del Padre di Tutti, sembrò rabbrividire al solo pensiero.

Odino annuì “Le voci che avete udito sono vere, miei cari fratelli. Ma come vedete, non c’è niente di cui preoccuparsi. Il nostro ospite non è ancora pronto per debuttare in società, se così possiamo dire ed è’ stata una mia decisione quella di rimandare la sua presenza qui. Avrà bisogno di un po’ di tempo, e così noi. Non sono ancora completamente cieco, fratelli miei e so bene che la presenza di uno Jötunn tra di noi porterà un certo scompiglio. Ma costui è mio fratello tanto quanto lo siete voi, abbiamo stretto un patto e un’alleanza che va ben oltre le divergenze dei nostri popoli.” il Re degli Dei fece una pausa, facendo cenno a Sigyn di distribuire le mele di Iðunn come faceva ogni giorno.

A quel comando, la ragazza scattò in piedi goffamente, ma recuperò in fretta la sua solita compostezza. Odino riprese a parlare mentre uno ad uno, Aesir e Vanir ricevevano la loro dose quotidiana di immortalità direttamente dalle mani di Sigyn.

“In questo momento, il vostro nuovo fratello sta banchettando nelle sue stanze con altrettanto fasto, poiché ho giurato che mai mi sarei concesso una coppa di idromele senza che lui ne potesse bere una altrettanto buona.” l’occhio color ferro del Dio si posò su Sigyn “E la stessa cosa vale per i frutti del meleto di Iðunn. Sigyn, diletta di Freyja e custode della nostra giovinezza, ti prego di serbare una mela per il nostro ospite. Lo troverete nella sala degli arazzi al piano inferiore.”

La giovane Dea per poco non lasciò cadere la cesta “Volete… volete che gliela porti di persona?”

Odino accennò un sorriso “Non morde mica, ragazza mia. O almeno lo spero.”

Sigyn si sentì sprofondare, ma fortunatamente Thor sembrò avvedersi della sua preoccupazione e, alzandosi in piedi come aveva fatto Freyr, dichiarò “Se la vostra Signora è d’accordo, vi scorterò personalmente, Dama Sigyn.”

Freyja fece per rispondere, ma Odino la precedette “No, figlio mio. Una delle condizioni stabilite tra me e il nostro ospite comprende il non incrociare il suo sguardo col tuo.”

Il Dio del Tuono aggrottò le sopracciglia “Perché sottostare ai capricci di questo nuovo venuto? Si reputa così importante da poter scegliere chi poserà o meno gli occhi su di lui?”

“Niente di tutto ciò. In effetti, è piuttosto il contrario. La tua presenza lo intimidisce.”

Sigyn vide un’espressione compiaciuta farsi largo sul volto del guerriero barbuto. Se c’era una cosa che Thor amava più di ogni altra, questa era certamente dimostrare la propria superiorità in battaglia o in qualsiasi tipo di sfida.

Purtroppo, questo significava che Sigyn non avrebbe avuto il figlio del Re degli Dei come sua scorta personale, ma in quel momento il suo sconforto fu soffocato dall’irritazione.

Certo, non era una guerriera provetta come il Dio del Tuono, ma il fatto che quel selvaggio fosse spaventato da Thor ma non da lei la mandava su tutte le furie. Era giovane sì, e una donna, ma era pur sempre una delle Aesir, figlia del giudice degli Dei, l’imparziale e giusto Forseti che in quel momento sedeva alla destra di Baldr.

“Imparerà ad essere intimidito anche dalla sottoscritta.” scandì Sigyn, godendosi l’espressione orgogliosa che si dipinse sul volto del vecchio padre.

“Siate gentile con lui, ragazza.” l’ammonì bonariamente Odino. “E’ nostro ospite, dopotutto.”

Sigyn chinò il capo in segno di scusa “Perdonate la mia insolenza, Padre degli Dei.”

“Non c’è niente da perdonare. Adesso andate, attenderemo il vostro ritorno prima di servire da bere.”

Sigyn si congedò con una riverenza “Non ce n’è bisogno, cominciate pure senza di me.”

Thor e Baldr non se lo fecero ripetere due volte, allungando le mani verso gli sformati di frutta e tuberi dolci.

Lasciandosi alle spalle la sala da cui ricominciava a levarsi il solito vivace chiacchiericcio, Sigyn strinse la mela dorata al petto come per farsi coraggio. Come ogni donna Aesir, anche lei era stata istruita sin dall’infanzia nell’arte della spada e in quel momento ringraziò suo padre per averla resa paranoica abbastanza da portare sempre con sé un corto pugnale.

Farseti conosceva l’anima dei malvagi come nessun’altro. Era il giudice degli Dei, chiamato a risolvere dispute e alterchi di qualsiasi genere oltre che a servire da ambasciatore per conto di Asgard negli altri otto regni. Da lui, Sigyn aveva imparato il significato delle parole giustizia e fedeltà, poiché la fiducia di suo padre nell’operato di Odino era assoluta. Gli altri Aesir e Vanir ogni tanto lo contestavano, anche in modo piuttosto veemente come di certo stava ancora facendo Freyr, ma Farseti sapeva che Odino aveva visto il futuro quando in cambio del proprio occhio aveva ricevuto il dono della conoscenza. Perciò, come si poteva dubitare delle sue decisioni?

Sigyn scese in fretta le scale a spirale e oltrepassò l’elegante porticato ricoperto d’edera che separava l’ala Est del palazzo da quella centrale. La sala degli arazzi era un tempo la sala dei banchetti, ma da quando i Vanir avevano rimpolpato le fila dei signori di Asgard era stato necessario spostarsi in un locale più spazioso. Raggiunto il pesante portone di legno borchiato, la Dea esitò un istante prima di trovare il coraggio di bussare. In giro non vi erano guardie nè servitù di alcun genere e Sigyn nel ritrovarsi completamente sola sentì la propria spavalderia venir meno. Ma doveva farsi coraggio.

In fin dei conti, Odino le aveva assicurato che lo Jötunn non mordeva… probabilmente.

Serrò la mano libera a pugno e bussò tre volte.

“Il Padre degli Dei mi manda a condividere con voi i frutti del meleto di Iðunn.” scandì a voce alta.

La risposta giunse immediatamente, come se chi si trovava dall’altro lato la stesse aspettando con trepidazione. “Chi siete?”

“Il mio nome è Sigyn, figlia di Farseti il Giudice degli Dei.”

La porta si mosse quanto bastava perché il suo interlocutore potesse dare una sbirciata all’esterno. Un bagliore rossastro scintillò oltre la fessura prima di scomparire “Entrate.”

Sigyn serrò la mascella per farsi coraggio e spinse la porta, trovandosi dinnanzi una sala completamente vuota. Forse lo Jötunn era davvero spaventato dagli Aesir, non soltanto da Thor.

Il fuoco scoppiettava vivace nel camino e la lunga tavola dove un tempo avevano banchettato gli Dei era completamente spoglia fatta eccezione per un drappo posto ad una delle estremità su cui erano stati poggiati piatti e vassoi d’argento. Un’unica sedia era posta a capotavola.

Sigyn avanzò con cautela, certa che da un momento all’altro la porta si sarebbe richiusa alle sue spalle facendola sobbalzare ma quel che accadde fu di gran lunga più sorprendente.

Il fuoco strisciò fuori dal camino come un serpente, una lingua sinuosa che percorse il pavimento prima d’ingrossarsi e prender forma, levandosi alta davanti a lei prima di assumere le fattezze di un giovane uomo. Sigyn era così abituata a figurarsi gli Jötunn come barbari coperti di pittura e dai crani rasati che per un istante temette di essere entrata nella stanza dell’ospite sbagliato.

Il nuovo fratello di Odino aveva lunghi capelli rosso fiamma, occhi sottili come schegge di ghiaccio e una figura slanciata e forse fin troppo magra. Era più alto di lei di almeno due spanne ed indossava solamente dei grezzi calzoni ed una cintura con fibbia, lasciando ben visibili i tatuaggi blu che gli segnavano il torace e le braccia. I colori dei disegni geometrici e delle rune erano brillanti e netti, chiaramente opera di un artista bravo tanto quanto quelli che marchiavano i corpi degli Dei di Asgard.

“Non credevo che il vecchio vi avrebbe inviata sul serio, Sigyn, figlia di Farseti. Odino è un uomo di parola. Non me lo sarei mai aspettato.” esordì lui, esibendosi in uno sgraziato inchino che gli fece scivolare i capelli sul volto.

Sigyn si accigliò nel sentirlo apostrofare Odino in modo così poco rispettoso. “La stregoneria della tua gente non è ben vista nel palazzo del Re degli Dei.”

“Diciamo pure che è la mia gente a non essere ben vista, tanto per cominciare.” le rimbrottò lui raddrizzandosi per guardarla dritta negli occhi “Ma sono il vostro nuovo fratello, che la cosa vi piaccia o meno. E se il vecchio non ha niente da obbiettare, che diritto ne ha una donnetta come voi?”

Sigyn strinse i pugni.

“Non mi stupisco che Odino non abbia voluto presentarvi agli altri Dei, questa mattina.” disse con apparente freddezza “Avete molto da imparare su come ci si comporta al cospetto di una Dea.”

“Oh, ma voi non siete una Dea, non ancora.” le fece notare lo Jötunn con un sorriso sghembo e Sigyn sentì lo stomaco rivoltarsi per la rabbia. Il fatto che fosse attraente non faceva altro che rendere il suo ghigno ancora più odioso. Aveva un profilo deciso, le sopracciglia folte e gli zigomi alti, ma anziché trasmettere lo stesso senso di regalità che i bei lineamenti degli Aesir e Vanir trasmettevano, i suoi avevano un non so che di ferino.

“E voi non lo sarete mai.” scandì lei in risposta, porgendogli la mela “Persino un maiale vivrebbe a lungo mangiando una di queste. Ma resterà sempre un maiale.”

“Mi state forse insultando, Sigyn, figlia di Farseti?”

“Vi sto mettendo in guardia. Il Padre di Tutti mi ha chiesto di essere gentile.”

“Carino da parte sua.” soffiò lui afferrando la mela e lanciandola in aria ripetutamente per soppesarla.

“C’è altro che posso fare per voi?” chiese la ragazza, mantenendo inalterato il suo apparente distacco.

“Non volete nemmeno sapere come mi chiamo? Che scortese!” s’imbronciò lo Jötunn, posandosi drammaticamente una mano sul petto.

“Avreste dovuto presentarvi quando l’ho fatto io. E’ così che funziona.”

“Non dalle mie parti. I nomi sono preziosi. E molto privati.”

“Qui non siamo dalle tue parti. E sono più che certa che Odino conosca già il tuo nome.”

“Certo che lo sa.” rispose lui, addentando distrattamente la mela, il succo dolce che gli colava giù per il mento affilato. “Chiedetelo a lui, se proprio ci tenete a saperlo.”

“State pur certo che lo farò.” concluse Sigyn scuotendo il capo con esasperazione. Quando era entrata temeva di dover affrontare un barbaro assetato di sangue, invece si era trovata a battibecco con un ragazzino insopportabile.

Sarebbe potuta andare molto peggio, tutto considerato.

Lo Jötunn la guardò richiudersi la porta alle spalle, continuando a sgranocchiare la mela con l’aria soddisfatta di un lupo che finalmente ha trovato il modo d’intrufolarsi nel pollaio del contadino più ricco dei nove regni.

 

ᛚᛟᚲᛁ

 

Loki si svegliò di soprassalto, la sveglia che suonava imperterrita nella penombra del suo piccolo ma accogliente appartamento nella cittadina di Crookhaven o, come la chiamavano gli Irlandesi, An Cruachán.

La spense con un grugnito, andando a tentoni sul comodino prima di trovare il pulsante. La luce filtrava attraverso le persiane scolorite e Naflgar ondeggiava placidamente ancorata nel porticciolo a pochi metri dalla sua abitazione. Crookhaven contava si e no una sessantina di abitanti, perlopiù pescatori e anziani che passavano le serate al pub ad inveire contro chissà quale fallo in chissà quale sport. Loki l’aveva scelta perchè era un angolo di mondo dimenticato da tutti, dove molte delle bizzarrie che la sua presenza nel regno dei mortali non mancava mai di causare passavano completamente inosservate.

La gente non si domandava perché il mare e la tempesta imitassero il suo umore né perché quello strano uomo vivesse completamente solo a pochi passi dal faro.

Anche se era nato dal fuoco e dal ghiaccio, Loki aveva sempre amato il mare. Forse perchè gli ricordava il caos primordiale, forse perché come lui era scostante ed irrequieto.

Si passò una mano sulla fronte, traendo un profondo sospiro.

Erano almeno trent’anni che non si svegliava pensando a Sigyn e Asgard. Alla prima volta che s’erano incontrati, a come quella strana donna fosse cambiata sotto i suoi occhi, a come l’intero destino degli Dei era stato plasmato dalle loro azioni.

Si chiese se quel sogno così vivido fosse stato causato da quant’era successo la sera prima. Dall’incidente e dalle strane parole di quella mortale. Strano, perchè di cose bizzarre nella vita di Loki ne erano capitate a bizzeffe e Leandra non somigliava a Sigyn neanche un pò. Sì, avevano entrambe i capelli neri ma quella era l’unica cosa ad accumunarle.

Leandra era chiaramente di origini mediterranee, forse addirittura nordafricane, difficile dirlo. Era chiaro che fosse stata adottata da piccola e cresciuta come una vera Irlandese. Sigyn d’altro canto, era una figlia del nord e delle sue leggende. Nei suoi occhi splendeva l’oro di Asgard, la sua pelle era alabastro, il suo volto un ovale perfetto.

Ancora stordito dal sonno, Loki si trascinò fuori dal letto e s’infilò la prima maglia che gli capitò a tiro, nascondendo i segni di frustate che portava ancora sulla schiena. Il suo corpo era stato pugnalato, ustionato e perforato da pallottole mille altre volte dopo il Ragnarǫk, ma soltanto le torture infertegli da altri Dei erano ancora visibili sulla sua pelle. Solo i suoi simili potevano realmente ferirlo.

Sbadigliando pigramente si preparò il caffè ed accese la radio, curioso di sapere se Leandra e la sua ricomparsa sull’isola di Skellig avessero già fatto notizia. Si chiese che cosa si sarebbero inventati i mortali, questa volta, per spiegare quel suo ennesimo colpo di mano.


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NOTA DELL'AUTRICE: Ed ecco a voi un pò di Asgard! Spero che questo saltellare tra il presente ed il passato non sia troppo confusionario. Come vedete mi sono presa alcune libertà riguardo il personaggio di Sigyn, rendendolo praticamente un tutt'uno con quello di Idunn. Il padre di Sigyn è un Dio di cui sappiamo molto poco ma ho pensato che fosse interessante averla come figlia di chi si occupa di far rispettare la legge nel regno di Odino in modo da spiegare il perchè delle sue azioni da qui in avanti. Continuate a seguirmi se vi piace la storia e mi raccomando, recensite!

 

   
 
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