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Autore: _Agrifoglio_    06/06/2018    20 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Incontri voluti dal destino
 
Era il pomeriggio di una giornata di fine maggio, erano trascorsi due giorni dal salvataggio di Diane e André, in groppa al suo destriero, stava cavalcando alla volta di Palazzo Jarjayes, di ritorno da una tenuta di campagna situata a circa due ore di cavallo da Parigi.
Approfittando di alcune giornate in cui i disturbi alla vista gli stavano dando un po’ di requie e ben ligio ai suoi propositi di cambiamento di rotta e di rinascita interiore, André si era offerto di effettuare una commissione per il Generale, recandosi in una tenuta della famiglia Jarjayes destinata all’allevamento dei cavalli e al ricovero degli equini ormai vecchi o malati. Qualunque impegno che lo avesse tenuto lontano dalla morsa dei crucci che lo stavano attanagliando e dalla vicinanza della bottiglia sarebbe stato a lui ben gradito.
André era, quindi, partito all’alba da palazzo ed era giunto, di prima mattina, nella tenuta di campagna. Qui, aveva lasciato due cavalli da tiro, ormai anziani, che aveva portato da Palazzo Jarjayes e aveva preso in consegna due giovani esemplari adulti in sostituzione dei primi. Era andato a visitare, col cuore gonfio di commozione, i vecchi cavalli suoi e di Oscar che erano ancora vivi e questi, riconoscendolo, avevano nitrito e mosso la coda per l’emozione mentre il giovane li accarezzava e li chiamava per nome. Li aveva strigliati, nutriti e abbeverati e aveva fatto fare loro un giro per i campi. Sinceratosi delle condizioni degli altri cavalli anziani, visitò gli stalloni e le fattrici e si mise a giocare con alcuni puledri. Diede anche un’occhiata alla contabilità della fattoria e, finalmente, dopo pranzo, si rimise in viaggio alla volta di casa, portandosi dietro i due giovani cavalli destinati a trainare le carrozze della famiglia Jarjayes.
Si sarebbe fatto affidare un incarico dal Generale, un qualsivoglia incarico che lo avesse tenuto occupato e che gli avesse consentito di riorganizzare la propria vita dopo l’allontanamento da Oscar.
Rifletté sulla propria situazione e si rese conto che, sebbene si fosse votato, sin dalla primissima giovinezza, alla difesa di Oscar, egli stesso, per tutta la vita, aveva beneficiato della protezione di qualcuno. A Versailles, era stata Oscar a difenderlo quasi quotidianamente, cercando di attenuare, il più possibile, le conseguenze negative della condizione di servo in cui egli versava e prodigandosi per metterlo al riparo dall’indelicatezza e dalla cattiveria di alcuni cortigiani. In caserma, il ruolo di nume tutelare era passato ad Alain e, infatti, da quando il grosso soldato lo aveva preso sotto la sua ala protettrice, non era più stato fatto oggetto di pestaggi e di villanie. Nella sua difesa durante la permanenza fra i soldati della Guardia, comunque, riconosceva un ruolo anche a Oscar che lo aveva costantemente inserito nelle missioni da lei capitanate, con l’evidente fine di lasciarlo il meno possibile in compagnia degli altri soldati e di mantenerlo nella propria sfera d’azione. Per quale motivo, altrimenti, Oscar lo avrebbe voluto sempre vicino, nonostante il gelo che si era creato fra di loro e il desiderio, da lei manifestato, di cavarsela da sola?
Pensò che era giunto il momento di sbrigarsela da solo, di sciogliere i propri nodi, di muoversi per il mondo con la sicurezza di una persona autosufficiente e non timorosa dei propri limiti e della mancanza del sostegno degli altri. Del resto, da quando era entrato nell’ordine di idee di reagire alla prostrazione e di perseguire i suoi buoni propositi – fosse stato un segno del destino o soltanto una coincidenza – aveva salvato la vita a una fanciulla, spezzando la catena degli eventi negativi e provando di nuovo la piacevole sensazione di essere una persona utile. Era quella la via da seguire.
Era anche giunta l’ora che Oscar avesse la possibilità di fare le proprie scelte senza la presenza di lui, sgradita perché non richiesta. Avrebbe dovuto imparare ad accettare questa separazione, a conviverci e crearsi una stabilità emotiva senza appoggiarsi agli altri, illudendosi che fossero questi a non poter fare a meno di lui. Pensava ciò e sospirava.
Era immerso in questi pensieri quando, arrivato all’altezza di Parigi, scorse, qualche metro più avanti, una carrozza abbandonata al lato della strada, priva di cavalli, con due uomini dall’aria stanca e sconsolata, al fianco di essa, che scrutavano l’arrivo di qualche soccorritore.
Si avvicinò d’istinto ai due malcapitati, desideroso di recare soccorso. Uno di loro era un giovinetto di circa tredici anni mentre l’altro era un uomo più anziano del primo di un paio di lustri, pallido e serio. Mentre il secondo rimaneva in silenzio, il primo, in un francese da straniero, si fece appresso ad André, per salutarlo e ringraziarlo.
– Vi ringrazio di esserVi avvicinato a due viaggiatori dimenticati dalla fortuna, Signore. Siamo stati assaliti da una banda di grassatori che ci ha portato via i cavalli e le poche cose cha avevamo in carrozza. Se poteste accompagnarci dove alloggiamo, Ve ne saremmo infinitamente grati e, da lì, manderemmo qualcuno a recuperare la carrozza.
– Volentieri, Signore – disse André al giovinetto e, poi, gli domandò:
– Siete, dunque, stranieri?
– Nacqui veneziano, ma vorrei morire, per grazia di Dio, italiano, quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.
André provò simpatia per il ragazzo e gli si presentò:
– Io mi chiamo André Grandier.
– Io sono Carlo Altoviti e il mio compagno di viaggio e di sventura – aggiunse, riferendosi al suo poco loquace amico – è il Signor Lucilio Vianello.
 
********
 
Quella stessa mattina, Oscar si trovò enormemente affaccendata, perché, dall’Alto Comando, era arrivato un dispaccio che imponeva il ricovero delle armi sequestrate in Rue Buffon all’Hôtel des Invalides e, di conseguenza, sarebbe stato necessario prendere delle misure affinché le poche armi già trasportate nel deposito della caserma fossero immediatamente trasferite in quello de Les Invalides e quelle ancora presenti nel locale sigillato seguissero la stessa sorte.
Gli ordini erano molto precisi e prevedevano che le operazioni di trasferimento iniziassero immediatamente proprio dalle armi già ricoverate nella caserma comandata da Oscar per, poi, proseguire, successivamente, con quelle non ancora asportate e che la guardia ai locali sigillati non fosse più affidata ai soldati di Oscar, ma a un altro reggimento.
Oscar si domandava la ragione di quelle strane disposizioni che avevano tutta l’aria di una manifestazione di immensa sfiducia nei confronti di lei. L’operazione militare che aveva condotto era stata un successo, avendo portato alla scoperta dell’arsenale nascosto e allo smantellamento di due covi malavitosi. L’uccisione di Robert Brasseur era stata l’unica nota stonata, ma l’evento non era ascrivibile a un errore della compagnia e, comunque, non aveva avuto un’influenza negativa sul ritrovamento delle armi che, anzi, aveva reso possibile.
Oscar si domandava, quindi, per quale motivo, ad appena due giorni dal ritrovamento, fosse arrivato quello strano ordine e per quale ragione all’Alto Comando avessero avvertito tutta quell’urgenza di sottrarre al controllo di lei sia la custodia delle armi già asportate sia la guardia a quelle ancora situate in Rue Buffon. Era stata fatta oggetto di biasimo ed era stata ritenuta, quindi, inadatta a occuparsi di quell’indagine, forse anche perché il nome di lei era stato recentemente coinvolto nei disordini provocati dal falsi soldati della Guardia Metropolitana o, al contrario, si voleva sottrarre alla competenza di lei uno spinoso affare per evitare che delle investigazioni troppo zelanti facessero luce su degli eventi che qualcuno preferiva restassero oscuri?
Mentre ragionava su tutto ciò, Oscar, affiancata dal Governatore dell’Hôtel des Invalides, presidiava l’ultima fase delle operazioni di trasferimento delle armi dalla sua caserma al deposito dell’Hôtel.
 
********
 
André aveva fato montare i due gentiluomini stranieri sui cavalli che stava portando a Palazzo Jarjayes e li aveva accompagnati nella locanda parigina dove alloggiavano. Mentre l’uomo più adulto, appena arrivati, si congedò per andare a riposare nella sua stanza, il tredicenne rimase in compagnia di André.
I due si sedettero a uno dei tavoli della locanda e ordinarono da bere.
Avendo provato, da subito, una forte simpatia reciproca, si lasciarono andare a delle confidenze, come di rado ad André accadeva.
– Vivete a Venezia, Signor Altoviti?
– No, vivo nel castello di Fratta, a Fossalta di Portogruaro, dimora del Conte di Fratta. Sono il nipote della Contessa, ma, siccome i miei genitori fecero un matrimonio “avventuroso”, si separarono quasi subito e, adesso, ignoro dove si trovino e persino se siano vivi o morti, fui abbandonato, appena nato, in un cesto davanti al castello. La Contessa mia zia non fu entusiasta del fardello che le era occorso in sorte e, così, sebbene per nascita io sia un Patrizio Veneziano, fui cresciuto a metà strada fra il mondo dei nobili e quello dei servitori, fra il piano nobile e le cucine e, per quanto abbia sostenuto degli studi, a volte, mi tocca muovere il girarrosto – rispose quello ridendo.
– Anche io vivo presso una famiglia di Conti e anch’io crebbi a metà strada fra nobili e servitori, ma per ragioni del tutto diverse dalla Vostre e, infatti, sono il nipote della governante e non della Contessa. Il Conte, che è anche un Generale, voleva dare una compagnia maschile a sua figlia e ciò fu all’origine della mia educazione da quasi nobile – fece eco André che raccontò, in breve, al suo interlocutore i punti salienti delle esistenze sua e di Oscar, ma omettendo, per pudore, di parlare dei sentimenti che provava per lei.
– Sapete, anch’io ebbi come compagna di giochi e di infanzia la figlia più giovane del Conte, mia cugina Pisana e anche lei è un tipo particolare e dotato di un bel caratterino! Pensate che, quando eravamo piccoli, io fui rinchiuso, per punizione, in uno sgabuzzino e la Pisana, che era la vera colpevole di ciò per cui ero stato punito io, di notte, entrò in quella stanza e pretese che la punissi, strappandole una ciocca di capelli. Poiché non mi risolvevo a farlo, ella serrò nella sua la mia mano che, a sua volta, stringeva la ciocca di capelli e tirò con una tale forza che mi ritrovai la ciocca di lei fra le mani! Dopodiché, se ne tornò in camera sua. E’ sempre stata una pazzerella, molto strana, volubile e volitiva al tempo stesso, capricciosa ed egoista, ma anche di buon cuore e capace di grandi slanci e di sorprendenti sacrifici. Siamo cresciuti insieme, noi due.
Entrambi riflettevano sulle evidenti analogie delle loro esistenze, ciascuno nella certezza che l’altro nutrisse per la propria Contessina un sentimento più grande e profondo di quanto non fosse disposto ad ammettere con l’interlocutore.
D’un tratto, Carlo Altoviti, grato ad André per il fatto di essere trattato con il rispetto che si tributerebbe a un gentiluomo adulto e per la circostanza che questi non gli facesse pesare di doversi intrattenere con un “moccioso” mentre l’adulto si era eclissato, si sentì in dovere di presentargli delle scuse in nome dell’altro.
– Perdonate il mio compagno di viaggio per l’inurbanità che dimostra. Egli è fatto così. E’ un tipo un po’ strano. E’ un genio e, per questa ragione, è poco capace di rapportarsi adeguatamente con gli altri. Pur non essendosi ancora laureato, esercita, con ottimi risultati, la professione medica a Fossalta di Portogruaro. Del resto, egli è il figlio del Medico locale e ha imparato l’arte di Esculapio sin da bambino. Il padre, periodicamente, lo invia a Venezia affinché, da lì, si imbarchi per Padova, sostenga gli esami all’Università e si laurei, ma lui, tutte le volte, rimane a Venezia e prende parte a delle attività che hanno già suscitato l’interesse dell’Inquisizione. Sapete, coltiva idee illuministe ed è contrario alla nobiltà, ai diritti di nascita e a tutte le cose legate al vecchio mondo. In breve, il padre ha scoperto tutto e, come segno di ravvedimento da parte del figlio e anche per mettere un po’ di distanza fra questi e l’Inquisizione, gli ha imposto di frequentare, per qualche mese, alcune lezioni di Medicina alla Sorbona, nella speranza che studi con serietà e che le acque si calmino. La vecchia Contessa, la madre del Conte, mi ha, quindi, chiesto di accompagnare a Parigi il Signor Lucilio, per farmi fare un viaggio che mi istruisca e affinché acquisti per lei alcuni pizzi e merletti francesi. La Contessa, da giovane, visse alla Corte di Versailles per due anni, al seguito del marito Ambasciatore ed è sempre rimasta molto legata ai ricordi della sua gioventù. Fortuna che, quando viaggiavamo in carrozza, i soldi dei merletti e dei pizzi, come, del resto, quasi tutto il denaro, lo avevamo lasciato ben nascosto nelle nostre stanze!
– Capisco tutto – fece eco André – ma tenete ben presente che la permanenza parigina potrà mettere il Vostro amico al riparo dall’Inquisizione, ma, di certo, non dalle idee illuministe. Se il vecchio Dottor Vianello spera che non si parli di illuminismo a Parigi, o è male informato o è un illuso.
Nel dire ciò, André si portò, d’istinto, una mano all’occhio destro che, probabilmente per la stanchezza, aveva cominciato ad appannarsi.
L’altro, che aveva subito concepito una forte simpatia per lui, desideroso, in qualche modo, di sdebitarsi e di rendersi utile, gli disse:
– Perdonate l’intromissione, Signore, ma mi sono accorto che avete una grande cicatrice all’occhio sinistro e che anche quello destro Vi reca dei fastidi. Fossi in Voi, mi farei visitare dal Signor Lucilio Vianello. Se volete, gli anticiperò il Vostro caso ed egli non potrà negarVi il suo aiuto, dato che Voi ci avete offerto, con tanta sollecitudine, il Vostro. E’ giovane e non si è ancora laureato, ma, come Vi dicevo, il padre gli ha insegnato tutto sin da quando era un bambino e, poi, Vi ripeto che è un genio. A Fossalta di Portogruaro e nei dintorni, si dice che, nella cura degli occhi, faccia miracoli.
 
********
 
Finite le operazioni di trasferimento delle armi e preso commiato dal Governatore, Oscar si apprestò a lasciare l’Hôtel des Invalides per fare ritorno alla caserma dei soldati della Guardia Metropolitana.
Stava uscendo dall’edificio, quando l’attenzione di lei fu letteralmente agguantata dal passo militare rapido e deciso di un giovane soldato, dall’aria inquieta e corrucciata, che, invece, vi stava entrando.
Si trattava di un uomo di età inferiore ai venti anni, alto poco più della media, con indosso una divisa da sottotenente degli artiglieri. Oscar, pur sovrastandolo di quasi tutta la testa, ebbe la sensazione che quella figura scarsamente prestante emanasse una grande autorevolezza. I movimenti del corpo di lui erano veloci, secchi e nervosi e l’incedere era sicuro. Il giovane era magrissimo e aveva un volto oblungo, incorniciato da una chioma ondulata e castana che gli lambiva le spalle, mettendo in risalto la carnagione olivastra. Quel viso, spigoloso ed emaciato, non poteva definirsi bello, ma era immensamente carismatico. Vi spiccavano una fronte ampia, un naso allungato e dritto, un mento sporgente e una mandibola quadrata. Le labbra e le sopracciglia, invece, erano sottili. Il collo era corto così come le gambe. Ciò che risaltava in quella figura, però, erano gli occhi chiari che parevano d’acciaio. Essi erano intensi, addirittura magnetici, estremamente intelligenti oltre che attenti e indagatori: due raggi fulminei, mobili, nervosi e lampeggianti che evocavano la furia di una tempesta e l’impeto di un fiume in piena. Parvero a Oscar due occhi carichi di una cronica insoddisfazione e di un’immensa sete di potere.
D’un tratto, repentinamente e inaspettatamente, lo sguardo di lui catturò quello di lei, dandole l’impressione di penetrarle intenzionalmente l’anima al fine di esercitarvi un dominio. Fu questione di pochi istanti, sufficienti a gelarle il sangue nelle vene e a comunicarle la spiacevole sensazione che quel giovane minuto, con la mente di un genio e l’anima di un tiranno, avrebbe portato la bufera nelle vite di tutti loro. D’istinto, contrappose allo sguardo d’aquila di lui quello suo di leonessa, furente, aggressivo e non meno saettante e carismatico di quello dell’antagonista. Rapace contro felino, mascolino contro femminino, tempesta contro uragano.
Il soldato, evidentemente abituato a suscitare ben altre reazioni in coloro con cui incrociava lo sguardo, fu molto stupito del fatto che Oscar gli tenesse testa e, manifestando con una smorfia appena percettibile il proprio disappunto, proseguì il suo cammino, girando leggermente il volto, ma continuando a scrutarla – scrutato – con la coda degli occhi.







Inizia, oggi, un breve cross-over della lunghezza di pochi capitoli col romanzo “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo. I personaggi di Carlo Altoviti e di Lucilio Vianello appartengono a quel romanzo, così come la frase: “Nacqui veneziano, ma vorrei morire, per grazia di Dio, italiano, quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo”. I racconti fatti da Carlo Altoviti sul suo passato, sulla Pisana e su Lucilio Vianello sono tratti dal romanzo mentre il viaggio in Francia dei due personaggi è un evento di mia fantasia.
   
 
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