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Autore: _Black or White_    09/06/2018    3 recensioni
Germania, 2003
Accadono cose strane sulla piccola isola di Hiddensee, e ormai sono in tanti ad affermare di averne vista una.
Esistono veramente? E che aspetto hanno? Parlano, capiscono, amano?
Le sirene sono un mistero per la razza umana fin dall'alba dei tempi: nemiciamici da sempre, non possono fare a meno di cercarsi l'un l'altro.
Sarà proprio quell'attrazione irresistibile a portare il giovane Ludwig a conoscere una vera sirena.
Riusciranno i rappresentanti di due mondi tanto diversi a gettare un ponte per la conoscenza pacifica?
Riuscirà un'amicizia tanto impossibile, un amore tanto proibito, a trovare un lieto fine?
[Gerita | Spamano | accenni Pruhun]
[Merman AU]
[Lime HumanxMerman]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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NOTA:
Per farvi un’idea più chiara di come potrebbe suonare il lamento di Efelién all’orecchio umano, ascoltate attentamente questa registrazione del famoso “bloop” su youtube:

https://www.youtube.com/watch?v=oCw16_Yxid0

In questa pagina di wikipedia, invece, potete trovare un elenco di suoni, marini e non, di origine sconosciuta:
https://it.wikipedia.org/wiki/Suoni_di_origine_sconosciuta

Andateci cauti, perché c’è da cagarsi addosso.



SING FÜR MICH

5
“SEPARAZIONE”







Un sole insolitamente radioso s’insinuò nella grande camera da letto.
Gilbert si alzò con uno sbadiglio enorme, scostò le tende dalla finestra e si stiracchiò.
La linea del mare piatta e scintillante, un cielo terso e azzurro, all’orizzonte soltanto un morbido ammasso di nuvolette: non male per una giornata d’autunno a Hiddensee.
Il piccolo pulcino decollò dall’elegante trespolo in stile romantico e si appollaiò con un dolce pigolio sulla spalla del sonnolento padrone.
Gilbert arrancò giù per le scale di splendido palissandro rosso, attraversò il salotto immerso nella pacifica quiete mattutina ed entrò in cucina grattandosi solennemente le natiche.
« Buongiorno, bruder. »
Gilbert ebbe un sobbalzo tale che il povero pulcino crollò sul pavimento con un cinguettio offeso.
« West! Ma… già sveglio? »
« E che c’è di strano? Ho fatto uova strapazzate e strudel alle mele per colazione. »
Ludwig si versò succo d’arancia freschissimo e sfogliò pigramente il quotidiano locale.
Gilbert scambiò un’occhiata basita con Gilbird, si lasciò cadere sulla sedia imbottita e inforchettò un pezzetto di uova e di pastella croccante.
Era tutto delizioso.
Strano, fin troppo strano: West non cucinava molto spesso, e quando lo faceva i suoi piatti non superavano la qualità del “minimo indispensabile per sopravvivere”.
In famiglia il vero cuoco era sempre stato Gilbert.
“Con calma, vecchio mio, non affrettare le tue conclusioni! Raccogli indizi, indaga…”
« Lo strudel l’hai cucinato tu? »
« Ovviamente. »
Il maggiore gli scoccò un’occhiata di sbieco, nascondendosi dietro alla forchetta carica di bacon croccante e pezzi di mele zuccherose: West aveva le guance rosee, occhi che brillavano più del mare a mezzogiorno, petto in fuori e gambe orgogliosamente accavallate.
Si era pure vestito con una certa cura, e il profumo di quel dopobarba speciale stava facendo perdere le piume a Gilbird per una reazione allergica.
Gilbert posò la forchetta e incrociò le dita come un avvocato gongolante.
« Presuppongo che la serata con Felicia sia andata benone. »
Ludwig si strozzò col succo d’arancia e macchiò la pagina sportiva con una pioggia di goccioline, « C-cosa… cosa te lo fa pensare?! »
« Mah, non so… » l’albino infilzò un pezzo di mela cotta e ci giocherellò con un ghigno sardonico, « Istinto di fratello maggiore, presumo. Allora? » e si sporse minacciosamente verso Ludwig, « Com’è stato? »
L’imbarazzo esplose sulle guance del minore, che tentò inutilmente di seppellirsi tra le pagine del giornale spiegazzato.
« Felicia sta bene? Da quel poco che mi hai raccontato di lei, sembra una frugolina piccola e delicata… l’hai trattata con gentilezza, vero? Ti è tornato utile il regalino alla banana del tuo magnifico fratellone? Le è piaciuto? West, è inutile che continui a ignorarmi, lo sai che non ti lascerò vivere fino a quando non mi avrai raccontato tutto. »
Ludwig aprì bocca, pronto a mandarlo a quel paese, ma il suo sguardo venne attirato da una scritta a caratteri cubitali, che campeggiava trionfante nel bel mezzo della pagina.



UNIVERSITÀ DI HEIDELBERG OFFRE BORSA DI STUDIO PER STUDENTI DI SCIENZE NATURALI, ARTI E MEDICINA

Hai meno di trent’anni? Sei un giovane e intrepido studente all’Università Heidelberg di Berlino? Il tuo sogno è quello di diventare biologo, medico o pittore?




« Sì… » rispose meccanicamente Ludwig.
« Sì cosa? Sei stato delicato? Le è piaciuta la banana? Lo avete fatto alla vecchia maniera oppure… »
« Che? No, non intendevo quello! Bruder, guarda qui! » e gli ficcò l’annuncio sotto al naso.
Le iridi rosse di Gilbert si sfocarono nella fretta di leggere tutto l’articolo, e alla fine il volto gli si aprì in un enorme sorriso soddisfatto.
« West, ma è fantastico! »
Balzò in piedi, lanciando per aria la forchetta e spargendo uova strapazzate ovunque, « Berlino… e i prossimi corsi iniziano tra una settimana! Ma se chiamo quello lì… presto, presto Gil! »
Si fiondò in salotto, inciampò nel divanetto di velluto e fece cadere per la seconda volta il piccolo pulcino sfinito.
« Bruder? »

CRASH

« Va tutto bene? »
« Pronto, buongiorno! Sono Gilbert Beilschmidt, direttore della Henni Lehmann a Hiddensee. Sì, sì esatto. Potrebbe passarmi Francis… cioè, volevo dire: potrebbe passarmi il professor Bonnefoy, per cortesia? Sì, attenderò in linea, grazie! »
Incuriosito, e anche un po’ ansioso, Ludwig lo raggiunse in salotto e rimise a posto il delicato tavolino di vetro, che era stato mandato gambe all’aria.
Francis Bonnefoy, il famoso amico d’infanzia di suo fratello: Ludwig non lo aveva incontrato che una o due volte da piccolo, e sapeva soltanto che era francese, insegnava all’università di Berlino, ed era un dongiovanni senza speranze.
« Francis? Sono Gilbert. Ho letto l’annuncio, sì. Sei stato tu a convincere il preside, vero? Lo sapevo. E hai contribuito alla somma da versare per la borsa? Sei sempre il solito…»
Gilbert si catapultò verso l’elegante libreria vetrata, ne aprì cassetti su cassetti, col cellulare incastrato tra la spalla e l’orecchio, e cominciò a buttare al vento fascicoli di documenti.
« Uh, aspetta… l’ho trovato! Sono diciassette anni che lo conservo. Che? Un appartamento vicino alla scuola? Ma è fantastico! Però… lo sai, vero? West non è un ragazzo molto socievole, quanti altri studenti ci convivono? Un giapponese e uno spagnolo? Sembra una barzelletta… ah, e per l’affitto? Trecento euro a testa, in Centro, con i mezzi pubblici a due passi. Ci sta. E senti, c’è ancora quel supermercato? Oh perfetto, non è cambiato niente. Sarà un gioco da ragazzi per lui. Sì, è qui accanto a me, vuoi che te lo passi? »
E prima ancora che Ludwig potesse aprire bocca, Gilbert gli schiaffò il cellulare bollente contro l’orecchio e tornò a tuffarsi nelle profondità della libreria.
« Il tuo nuovo professore di scienze vuole parlare con te, West. »
« Cos… »
Rosso in faccia e con la mente completamente svuotata, Ludwig cercò velocemente qualcosa di educato da dire.
« Buongiorno, professor Bonnefoy. Sì, sono Ludwig Beilschmidt. Già, quanto tempo… eh, sì, ho letto l’annuncio. Davvero molto, molto interessante. Però vede, mio fratello deve essersi dimenticato un piccolo dettaglio, quando le ha detto di sì. » e fulminò Gilbert con i suoi occhi di ghiaccio.
« Io ho solo diciassette anni, professore. Non ho ancora terminato il mio ciclo di formazione dell’istruzione superiore, non ho conseguito la maturità, non ho il diploma d’istruzione secondaria, insomma. Anche se lo desidero con tutto il cuore, non posso iscrivermi all’Università di Heidelberg come se niente fosse. Eh? Sì, io studio ancora alla scuola superiore di Rügen. Sì, prendo il traghetto tutte le mattine. Uh, sì, ho sentito il discorso che ha fatto con mio fratello, però io non… oh… oh, capisco. »
Gilbert riemerse dai cassetti, coperto di polvere, e sventolò trionfalmente un blocchetto di fogli ingialliti verso Ludwig, che gli fece cenno di starsene buono per un momento.
« Come? Io sarei iscritto fin dalla nascita…? Ma… ma è meraviglioso… ah, il nonno, dovevo immaginarlo. Oh beh, è tutto così inaspettato, non so bene cosa risponderle… »
Ludwig ammutolì all’improvviso.
Berlino, università, laurea, lavoro… era la promessa per il futuro che aveva sempre sognato, era il cammino che si scolpiva davanti a lui, e alla fine di tutto c’era Feliciano.
Avrebbe imparato come studiarlo senza far soffrire lui o la sua specie, avrebbe trovato un modo per incontrare la sua famiglia senza metterli in pericolo; e poi avrebbe potuto mostrarli al resto del mondo, in pace assoluta, perché sarebbe diventato il biologo più famoso e rispettato di tutti, e avrebbe guadagnato così tanto da poter costruire un laboratorio, un parco, una riserva naturale, dove trasferire Feliciano e il suo clan, dove studiarli in amicizia, dove… dove avrebbe potuto vivere accanto a lui, per sempre.
Perché era stanco d’incontrarlo di notte, come due ladri; era stanco di desiderarlo di nascosto, quando qualsiasi altro uomo innamorato poteva dichiararsi alla luce del sole.
Era stufo di salutarlo in piedi sulla spiaggia, di farselo portare via dal mare.
Perché lo amava, diamine se lo amava, ed erano dovuti passare undici anni per capirlo.
Quindi non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, quanto male gli avrebbe fatto… ci sarebbe riuscito, per lui; ma per realizzare il suo sogno, avrebbe dovuto studiare tanto.
Ludwig si riscosse come da un’allucinazione.
« Professor Bonnefoy, è ancora in linea? Mi scusi. La mia risposta è sì. »
Gilbert spalancò la bocca, spiccò un salto con i pugni al cielo e cacciò un ruggito di vittoria tanto rumoroso che Blackie, Berlitz e Aster iniziarono a ululare in risposta, dal giardino.
« Uh, sì, era mio fratello… come? Ah, i moduli… » Ludwig gesticolò verso il fratello maggiore, cercando di farlo stare zitto e facendogli fretta affinché gli passasse il fascicolo di vecchi fogli.
« Li compilerò al più presto. Va bene, farò in modo che arrivino direttamente sulla sua scrivania. Li consegnerà personalmente lei al preside? La ringrazio infinitamente, professore. Sì, sì. Ce la farò entro una settimana? Oh, bene! Allora, la saluto. »
Ludwig abbassò il cellulare e si strofinò l’orecchio paonazzo e bollente.
Gilbert gli fu immediatamente addosso.
« B-bruder! »
« Sono così contento, West! Studierai a Berlino! Potrai diventare veramente un biologo! Ah, meno male che non ho mai buttato questa vecchia domanda d’iscrizione! Sai, me la consegnò quell’uomo-baguette quando tu nascesti, perché il desiderio del nonno era che studiassimo a Berlino e ci facessimo una vita lì. Stare dietro alla Henni Lehmann non era lavoro per due teste come noi. Ma io lo delusi, tornando a Hiddensee dopo la sua morte, per occuparmi della vecchia attività di famiglia. Così le sue speranze cadono tutte su di te, il più piccolo dei Beilschmidt. »
Gilbert si asciugò le lacrime con un gesto teatrale e stritolò il fratellino minore - già più alto e muscoloso di lui - in un abbraccio spaccacostole.
Ludwig sorrise, imbarazzato, e gli batté qualche colpetto sulla schiena.
« Farò del mio meglio, bruder, per non deludere né te né il nonno. »
Gilbert lo lasciò andare e lo fissò dritto negli occhi: « West, non far finta di non essere terrorizzato. Hai sempre vissuto su quest’isoletta, non ti sentirai spaesato? E Felicia? Cosa le dirai? E i tuoi amici? »
Ludwig fece un verso buffo con il naso, a metà tra un sospiro e una risatina.
Di amici veri non ne aveva, soltanto qualche conoscente della squadra di calcio locale.
Sì, era spaventato a morte: dopo anni di pace sulla piccola isola di Hiddensee, sempre uguale e sempre tranquilla, la prospettiva di andare a vivere in una città enorme e pulsante di vita come Berlino era… era come quando il terreno ti crolla davanti ai piedi, e un baratro di enorme ignoranza si apre, pronto a inghiottirti.
Ce l’avrebbe fatta? Si sarebbe ambientato? Si sarebbe sentito solo?
Ma soprattutto, era il pensiero di avere lui lontano a fargli più male in assoluto.
Adesso poi, che finalmente erano più vicini che mai, era come ricevere un’accoltellata dritta al cuore.
Però non sarebbe stato per sempre.
Ludwig sarebbe tornato indietro, un giorno, su quella stessa spiaggia; lo avrebbe chiamato e Feliciano sarebbe emerso con la testolina fuori dall’acqua, diffidente, spaventato, bellissimo… come al loro primo incontro.
« Non preoccuparti, bruder. » disse allora, il petto che si stringeva per il dolore ma gli occhi che brillavano, « Mi capiranno. »
Gilbert inarcò un sopracciglio pallido e tentò di dire qualcosa, ma le sue parole vennero soffocate da un coro di ululati disperati.
Il fratello maggiore cacciò il blocchetto di fogli in mano a Ludwig e uscì in giardino con un bel bestemmione.
« Ohi, qual è il problema?! Berlitz, a cuccia! Ahia, Aster, non mi tirare la manica! Blackie, fai la guardia, che non passi nessuno! E adesso zitti, che ho dei preparativi da fare! West? Weeest! Stasera party hard, chiamo Eliza e i tuoi compagni di scuola, che ne pensi? »
Sballottato in un vortice di felicità, paura e ansia, Ludwig si lasciò scorrere una pagina dopo l’altra sotto ai polpastrelli, prese un lungo respiro e seguì il fratello in giardino.
Non solo avrebbe dovuto salvare suo fratello dall’eccitazione dei tre cagnoni, ma era di vitale importanza impedirgli d’invitare tutta Hiddensee alla festa.


Era l’una di notte passata, quando Ludwig riuscì finalmente a congedarsi dai festaioli instancabili.
Raccolse la sua giacca di pelle e si mosse cautamente verso l’ingresso, ma qualcuno gli comparve alle spalle all’improvviso.
« Ohi, West, dove pensi d’andare? »
« Bruder, che cavolo! »
Gilbert ridacchiò e gli pungolò il petto con fare malizioso: « Vai da Felicia, no? »
« Q-questi non sono affari tuoi… »
« Dai, non t’imbarazzare! Fai bene ad andare da lei. Salutamela tanto, eh? Ah, giusto, e portati dietro questa. »
Per un istante, Ludwig temette che suo fratello stesse per passargli un altro preservativo - non che ne avesse bisogno, visto che ne teneva segretamente uno già pronto nella tasca -ma quando Gilbert gli mise in mano una bella tavoletta di cioccolato, un sorriso spontaneo non poté che affiorargli sulle labbra.
« A Felicia piace tanto la cioccolata, no? »
« Già. »
« Allora portagliela da parte mia, e goditi questi ultimi giorni con lei. »
Già, questi ultimi giorni.
Ludwig gli fece un cenno di saluto e uscì fuori, nell’aria fredda e odorosa di pino.
Ripercorrere per l’ennesima volta quella strada, rivedere i familiari profili dei larici e degli abeti, scivolare lungo il pendio ricoperto di olivello spinoso e aghi secchi, annusare l’odore di sale che il vento trasportava dal mare: Ludwig non poteva credere che ben presto non avrebbe più fatto quella vita.
Raggiunse Jeliel e si accorse subito di una sagoma sdraiata sulle rocce più alte.
« Ludwig, hallo! » ululò eccitato Feliciano, sbatacchiando la pinna per la felicità, « Mi stavo preoccupando da morire! »
« Scusami. » gli sorrise Ludwig, la faccia che si scaldava a quella vista meravigliosa, « Ho avuto un impegno. Però ti ho portato qualcosa. »
« Cosa? Cosa mi hai portato? È qualcosa da mangiare? È nuovo? »
« Calmati, non è nulla di che. Vieni giù. »
La sirena si buttò in mare con un colpo di pinna, serpeggiò nell’acqua bassa fino alla riva e si trascinò sulla sabbia scura ai piedi di Ludwig.
« Cos’è? Eh? Cos’è? »
Ludwig si accucciò sui talloni e scartò la tavoletta di cioccolato.
Feliciano emise il suo tipico fischio sirenesco: « Scioccolato! »
« Per farmi perdonare del ritardo. Grazie per avermi aspettato. »
« Mio! »
La sirena addentò il cibo con i canini appuntiti e fuggì al sicuro sotto Jeliel, strappando una risata al tedesco, che si sedette su un vecchio pezzo di legno portato lì dalla marea e se ne rimase a osservarlo, mentre sgranocchiava rumorosamente.
Più lo guardava, più un senso d’angoscia strisciava nel suo cuore.
Ludwig era sempre stato convinto di dover diventare il successore di suo fratello alla Henni Lehmann; giocare al ricercatore, studiando Feliciano e le altre creature dell’isola, non era servito ad altro se non come passatempo.
Mai, prima di allora, si era deciso a rincorrere il suo sogno nel cassetto.
Mai avrebbe pensato di dover dire addio a lui.
« Feliciano. » lo chiamò, e il giovane tritone sciaguattò allegramente nella sua direzione.
« Era buona, grazie Ludwig! » e gli strusciò il piccolo naso sul mento, vagamente simile a un gatto, « Io però non ti ho portato niente, mi spiace. »
« Non ho bisogno di nulla. » ribatté il tedesco, sostenendogli il viso abbronzato mentre calava come un falco sul topolino, « A parte una cosa. »
Feliciano arrossì ed emise un fischio basso e vibrante.
A Ludwig bastò guardarlo in quegli occhi profondi come il mare per prendere una decisione.
Gli baciò la fronte con stanchezza, malinconia e dolore, lasciando scorrere una mano lungo la sua schiena liscia, fino a toccargli la pinna dorsale, scagliosa e fredda.
Le branchie di Feliciano annasparono quando l’altra mano dell’uomo gli accarezzò la coda, le orecchie gli si afflosciarono, e la sua gola cominciò a emettere istintivi versetti di sottomissione.
« Ludwig…? »
« Shhh… non parlare, non pensare. »
Lo prese da sotto le ascelle e se lo caricò in grembo, gli infilò le dita tra i capelli rossi e chiuse gli occhi.
« Ludwig, cosa fai? » balbettò Feliciano.
Quale modo migliore per insegnargli a baciare?
Ludwig non era certo un buon maestro - i baci sulla guancia del suo bruder e di Elizaveta contavano come esperienze? - ma aveva troppa voglia di scoprire come sarebbe stato baciare una sirena, per potersi vergognare.
Incontrò le sue labbra chiuse e le assaggiò cautamente, profondamente, come si assaggia un frutto esotico e sconosciuto.
Sapeva di sale, aveva una lingua molle e tenera e il suo respiro si lasciava dietro un forte sentore di pesce fresco.
Si allontanò leggermente da lui e lo vide paonazzo e confuso.
« C-cos’era questo? » gli chiese la sirena, frullando le orecchie.
« Un bacio. »
« Che cos’è un bacio? »
« Un segno d’affetto per noi esseri umani. » e quindi, per fargli capire bene il concetto, gliene diede un altro, ancora più intimo ed erotico.
Gli passò la punta della lingua sui canini affilati e penetrò gentilmente le sue labbra con un indice, per costringerlo ad aprire di più la bocca.
Lo udì guaire appena dal profondo del petto, scrollare la coda sulla sabbia bagnata e abbassare le doppie palpebre lacrimanti.
Ludwig gli sorresse il mento con due dita, « Ti piace? »
« Uh… n-non lo so. Mi sento così strano… non capisco. »
Una traccia di saliva gli stava gocciolando all’angolo della bocca, continuava a tenere le orecchie basse e gli occhi nascosti dietro alla pellicola.
Ludwig lo conosceva meglio di chiunque altro, e col tempo aveva imparato a riconoscere tutti i segnali della sua paura.
« È una cosa nuova per te, va tutto bene. » e si mise a massaggiargli la pinna ventrale, il punto migliore per tranquillizzarlo quando era nervoso o impaurito, « Piano piano, d’accordo? Fai come me. »
Non smise di giocherellare con quel pezzo di cartilagine un po’ viscido e soffice, lo attirò a sé con l’altra mano e gli mostrò come fare ancora una volta.
La sensuale carezza della lingua di Ludwig, e i meravigliosi massaggini delle sue dita sulle scaglie, calmarono pian piano la sirena e la sciolsero nell’abbraccio possessivo dell’amante.
Feliciano tentò goffamente d’imitare i suoi baci, lappando e mordicchiando il volto di Ludwig come un animaletto innamorato, ma lui lo trovò irresistibile.
Il giovane tritone gli tirò il labbro inferiore tra i denti, rosicchiò lungo la linea della sua mandibola e arrivò a leccargli i tendini marmorei del collo, prima di rendersi conto di qualcosa di duro che gli premeva contro lo stomaco.
Abbassò lo sguardo e puntò le orecchie in avanti: « Ludwig, il tuo… »
Il tedesco gli tappò la bocca, « Non c’è bisogno che me lo fai notare. »
« Oh no, ho sbagliato qualcosa, vero? » si preoccupò Feliciano, « Scusami! Non so dare i baci, noi non lo facciamo! »
A proposito: chissà cosa facevano le sirene quando si accoppiavano?
« Beh, ti ho insegnato una cosa nuova. » rispose Ludwig, soddisfatto di se stesso, « Adesso tocca a te. Mostrami cosa fate voi. »
Feliciano avvampò fino alla punta delle orecchie cartilaginose, « M-ma io n-n-non ho m-mai… »
« Feliciano… » Ludwig si sdraiò sulla schiena e lo trascinò giù con sé, « Ti ho detto di non pensare, no? Fallo e basta. »
« Non è così semplice! » protestò la sirena, per poi sobbalzare quando il tedesco gli strizzò la pinna caudale in una mano.
« Non ti viene voglia? A me viene una voglia matta. » gli sussurrò sulle labbra Ludwig, muovendo i polpastrelli lungo le ossicine elastiche della coda.
« N-non puoi fare così… aah, Ludwig, no! Non riesco a c-controllarmi… »
Ludwig gli accarezzò la piega di pelle con indice e medio, la penetrò appena e stuzzicò l’emipene fradicio di umori odorosi.
« Non ti va? »
Feliciano sollevò lo sguardo di creatura selvaggia sul viso dell’amato, gli attorcigliò stretta la coda intorno a una gamba e cominciò a strusciare velocemente il bacino sul suo inguine.
« Mmh, Ludwig… »
Ed eccolo che fuoriusciva: bagnato e rubicondo.
Il tedesco si slacciò i jeans e rotolò su un fianco, ribaltando le posizioni.
Lo baciò ancora e ancora, non protestò quando la sirena gli graffiò la schiena con le unghie dure e affilate e lasciò che gli serrasse la gamba ancora di più tra le spire della coda.
« Vuoi farlo? » sussurrò Ludwig, toccandogli l’emipene eretto, « Vuoi farlo di nuovo, con me? »
Si sentì scoppiare dalla gioia, quando Feliciano emise un adorabile richiamo d’amore e gli leccò la bocca sbatacchiando eccitato le orecchie.
« Aspetta. »
Tirò fuori dalla tasca la piccola confezione di plastica e la strappò con i denti, srotolò il profilattico con attenzione e si dedicò completamente al suo giovane tritone impaziente.
Feliciano aveva ancora paura di fare l’amore con lui, d’altronde Ludwig lo stava spingendo ad accoppiarsi in un periodo non naturale per la sua specie.
Che lo stesse turbando o meno, in quel momento proprio non sembrava, visto come si aggrappava a lui e quanto alto inarcava il sedere per offrirgli un paradiso umido, bollente e annaspante.
Il tedesco non riusciva a scacciare via dal cuore l’ombra di un pessimo presentimento; e mentre lo accarezzava, lo baciava, lo possedeva, si ritrovò quasi a piangere dalla tremenda malinconia che gli attanagliava le viscere.
« Feliciano, canta per me. » gli sussurrò in un orecchio, da dietro, e la sirena allungò il collo verso il cielo.
Le sue dolci parole incomprensibili erano scosse dalle spinte di Ludwig, ma in un qualche modo, quella notte la canzone di Feliciano era ancora più bella.
Lo distese sulla risacca schiumosa e si accasciò accanto a lui, lasciando che il mare lavasse via la fatica.
« Ludwig… »
« Mh? »
« Oggi voglio raccontarti il significato della mia canzone. »
Il tedesco deglutì, con quel pessimo presentimento che andava intensificandosi.
Perché, dopo tanti anni, decideva di svelarglielo soltanto adesso?
Feliciano rotolò a pancia in su e si mise a osservare la volta notturna, spolverata di costellazioni e un velo di nubi sottili.
« Non è facile per me tradurre in lingua umana. » si scusò, sbatacchiando la pinna nell’acqua bassa, « Però posso provarci. »
Ludwig si sdraiò sulla sabbia con le mani dietro la nuca, « Ti ascolto. »
Feliciano ci pensò su a lungo, poi parlò.
Non era una vera e propria canzone, somigliava più a un lamento mesto e musicale.


Un giovane pescatore attraversò il mare in barca.

Da lontano udì una splendida voce cantare,
e seguì il suono fino a una grotta profonda.

Trovò una fanciulla seduta su uno scoglio,
così le offrì un posto sulla sua barca.

Lei si voltò tranquilla, curvando la sua pinna azzurra.

Il pescatore si innamorò della sirena,
così bella e selvaggia e libera.

“Vieni con me mia signora,
vieni a vivere tra gli uomini.”

Ma lei scrollò il capo e cantò:

“Non chiedermi di seguirti,
non posso vivere tra gli uomini.”

Il giovane pescatore attraversò il mare fino alla grotta,
trovò la sirena seduta sullo scoglio e le offrì un posto sulla sua barca.

“Vieni con me mia signora,
farò di te la mia sposa.”

Ma lei scrollò il capo e cantò:

“Non chiedermi di seguirti,
non posso diventare la tua sposa.”

Il giovane pescatore attraversò il mare fino alla grotta,
trovò la sirena seduta sullo scoglio e la intrappolò nella sua rete.

“Tu verrai con me mia signora,
adesso appartieni alla terra.”

Ma lei pianse scrollando il capo e cantò:

“Non chiedermi di seguirti,
non posso appartenere alla terra.”

Il giovane pescatore ritornò a riva con la sua barca e trascinò la sirena sulla spiaggia.
Lei si accasciò sulla sabbia e si trasformò in spuma brillante, piena di rimpianto e di dolore.

Il giovane pescatore attraversò il mare fino alla grotta,
ma non trovò più alcuna sirena seduta sullo scoglio.

Non avrebbe dovuto chiedere
a chi non avrebbe potuto seguirlo.




Ludwig sbatté le palpebre e si rese conto di avere gli occhi lucidi.
« È una canzone molto triste. »
Accanto a lui, Feliciano annuì lentamente: « Me l’ha insegnata mia nonna, prima di andarsene. Sai… » esitò, tormentandosi la pinna ventrale, « È questa la ragione per cui il nonno vi odia. »
« Per via di tua nonna? »
« Lei aveva fatto una cosa che nessuno di noi dovrebbe fare mai. Una cosa proibita, pericolosissima. »
« Che cosa? »
Feliciano si voltò a guardarlo, « Si era avvicinata a un essere umano. »
Lungo silenzio.
« Davvero? »
« Sì, proprio come noi. » Feliciano sorrise mesto, e si voltò nuovamente verso il cielo stellato.
« Quando dici “come noi”, intendi…che tua nonna si era innamorata di lui? »
« Non lo so, nonno non me l’ha mai raccontato. Forse lei e quel Nuota nel Sopra erano soltanto diventati amici. »
Che ironia, la storia si ripeteva.
« Che cosa le accadde? » chiese Ludwig.
« Non lo sappiamo. »
« Come? »
Feliciano sospirò amareggiato: « Semplicemente, un giorno lei emerse per andare a trovarlo, ma non tornò mai più. »
E così era quello il motivo della diffidenza e dell’astio del vecchio tritone.
Chissà cosa le era accaduto veramente…
« Allora, adesso conosci il significato della mia canzone. » sorrise Feliciano, « Ho cercato di tradurre meglio che ho potuto. Naturalmente, tra di noi non si dice “pescatore”, né “mare”, né “barca”, né “sirena”. Però ho scelto quei termini in modo da farti capire meglio. »
Il tedesco gli accarezzò un orecchio cartilaginoso, « Sei stato bravo. Io non saprei come tradurre la lingua del tuo popolo. »
« Sarebbe quasi impossibile. » ridacchiò Feliciano, scavando con la pinna nella sabbia bagnata.
Ludwig osservò intensamente il suo profilo, e in un battito di cuore si rese conto dell’immensità del legame che li univa.
Com’era possibile che a lui, semplice essere umano, fosse concesso di stare così vicino a una sirena?
Com’era possibile che Feliciano esistesse veramente? Che esistesse il suo popolo mitologico?
Era arrivato il momento di rispondere a tutte quelle domande.
« Feliciano… » cominciò esitante, chiedendosi quale sarebbe stata la sua reazione.
« Sì? »
« Ehm… che cosa provi per me? »
Il giovane tritone si voltò verso di lui, in parte confuso e in parte imbarazzato: « Si chiama amore, no? »
« Beh, dipende. » Ludwig si tirò su a sedere, giocherellando nervosamente con la sabbia, « Dipende da quello che senti. »
« Quello che sento? »
Anche Feliciano si sollevò, lo sguardo lontano e indugiante sui profili dell’isola di Rügen.
« Le prime volte avevo molta paura di te. »
« Comprensibile. »
« Poi, dopo un po’ di tempo, ho iniziato a fidarmi. Ero semplicemente felice di vederti. Stavo bene con te, proprio come ci si aspetterebbe da un amico. Ma poi… poi le cose hanno iniziato a cambiare. »
Feliciano abbassò le orecchie, la pinna che si muoveva avanti e indietro agitata, « Ogni giorno che passava ero sempre più attratto da te, dal tuo mondo, e mi sentivo meno felice nel mio. Era come se mi mancasse qualcosa, e mi faceva male… » cercò lo sguardo di Ludwig, « Tanto male che mi sembrava di morire ogni volta. »
Ludwig avvampò, e quasi scivolò all’indietro quando la sirena si allungò verso di lui, appoggiandosi col petto sul suo ventre.
Ecco di nuovo quello strano incantesimo di cui aveva parlato il vecchio Fischer.
« F-Feliciano… »
« Quindi capisci, Ludwig? Credo proprio che sia amore. » gli sorrise, splendido, coi capelli umidicci e un velo di sabbia bianca che gli ricopriva le spalle e la coda, « Tu che cosa provi per me? »
Era quello il momento giusto.
Ora o mai più.
Ludwig gli accarezzò una guancia e il giovane tritone si strusciò contro al suo palmo come un gattino fedele, dando al suo cuore una stretta tremenda.
« Anch’io ti amo, da impazzire. Ed è per questo che devo farlo. » sospirò, « Devo andare via, Feliciano. »
La sirena s’immobilizzò.
« Andare dove? »
« Lontano da quest’isola. Vado a studiare a Berlino. È una città, una specie di Hiddensee molto più grande e piena di umani. »
Ludwig si rivolse verso l’orizzonte piatto e calmo, e i suoi occhi azzurrissimi si accesero della luce della passione, mentre parlava concitato.
« È un’opportunità unica per me, per noi. Una volta all’università potrò studiare come si deve, diventare un bravo biologo. Avrò tutte le carte in regola per occuparmi di te e del tuo popolo come avrei sempre voluto. » si voltò infervorato verso il giovane tritone, « Non è una cosa stupenda? »
« Vuoi andartene via da qui? » gli chiese Feliciano, con le orecchie basse.
« Cosa…? No! Non devi pensare che voglia abbandonarti! È un viaggio di formazione il mio, capisci? » gli spiegò ansioso il tedesco, « Come… come quando i giovani squali imparano a cacciare, o le foche diventano abbastanza mature da cavarsela da sole nel mare.»
Era vitale che Feliciano capisse, perché Ludwig non avrebbe mai potuto lasciare Hiddensee sapendo di aver tradito i suoi sentimenti.
Gli sollevò il mento gentilmente, « È vero, me ne sto andando via, ma soltanto per un po’. »
« Per quanto? »
« Cinque anni. Poi tornerò a prenderti, te lo prometto. »
La sirena sbatté lentamente le lunghe ciglia rosse; qualcosa, nel suo sguardo profondo come un oceano di miele, si era spezzato per sempre.
Ludwig dubitò di se stesso, quando gli lesse un tale dolore negli occhi.
Perché non riusciva a capire che quello era l’unico modo per restare insieme? Che non sarebbe stato un addio, ma un arrivederci?
« Feliciano, ascolta… »
« Cinque anni… sono tanti? » chiese la sirena, « Io non so ancora contare. Sono tanti cinque anni? »
Che cos’avrebbe dovuto rispondergli?
Sì, cinque anni erano tanti, anzi: sarebbero sembrati come una vita intera, senza averlo al suo fianco.
« Sì, sono tanti. »
Feliciano si allontanò da lui di scatto, come se non sopportasse più l’idea di toccarlo.
« Lo sapevo, vuoi abbandonarmi! »
« Non è così… »
« Sei sempre lo stesso, non cambi mai. » gli ringhiò contro, appiattendo le orecchie all’indietro, « Biologo… cosa vuol dire? Uno di quei Nuota nel Sopra che intrappolano le altre creature e le fanno a pezzi dietro a un vetrino, non è così?! »
Come diavolo faceva a sapere dell’autopsia una sirena come lui?
« Ma cosa stai dicendo? Feliciano, pensi che io potrei mai farti una cosa simile? » si difese il tedesco, afferrandogli il viso con mani tremanti, « Il biologo non fa questo genere di studi. »
« Bugie! Lo hanno fatto alla mamma, e a papà… anche la nonna, sicuramente… e adesso io sono il prossimo! »
Ludwig si ritrasse, nauseato.
Davvero i genitori di Feliciano erano stati vivisezionati dai ricercatori?
Doveva essere la verità: il giovane tritone non lo aveva mai chiamato in quel modo, non lo aveva mai guardato con tanto odio, puro e selvaggio.
« Sai solo pensare a me come a un animale. » sibilò la sirena, « Il nonno me lo aveva detto, che siete tutti così. »
Fu come un’accoltellata dritta nello sterno.
“Che diavolo sta succedendo?” pensò Ludwig, con le orecchie che fischiavano assordanti.
La spiaggia sotto di lui sembrava ondeggiare mollemente, la testa gli divenne fredda in pochi secondi e tutto si fece ovattato, sfocato.
Non era possibile… semplicemente, non stava accadendo sul serio.
« Feliciano… »
La sirena si voltò e strisciò sui palmi e sul ventre, in direzione del mare.
« E io che ti ho detto tutte quelle cose… » arrossì per la vergogna, mentre s’immergeva nell’acqua bassa.
Ludwig scattò come una molla e gli afferrò un braccio, « Dove vai adesso? »
« Lasciami. »
« Feliciano, io capisco la tua rabbia, davvero… anch’io sto male al solo pensiero, ma cerca di capirmi anche tu. È un’occasione irripetibile per me, ho ricevuto un’offerta perfetta per i miei progetti e non posso proprio lasciarmela scappare. »
Si accucciò sui talloni per guardarlo negli occhi, « Ti giuro che tornerò, un giorno. E allora potremo stare insieme per sempre. »
Feliciano scoprì i canini appuntiti, « Sei rimasto accanto a me per tutto questo tempo, e ancora non sei riuscito a capire niente di noi. »
Che cosa voleva dire? Dove stava sbagliando Ludwig? Cosa c’era di così malvagio nel chiedergli di aspettarlo?
« Io non sono un animaletto addomesticato. » sibilò Feliciano, la pupilla che si macchiava di rosso, « Se vuoi andartene, fallo pure. Ma non chiedermi di scodinzolare mentre aspetto il tuo ritorno. »
Si liberò con violenza dalla stretta di Ludwig.
“Che diavolo sta succedendo?”
Sembrava che il suo cervello non fosse più in grado di formulare qualsiasi altra domanda.
Soltanto qualche minuto prima, quel dolce e gentile sirenetto aveva mangiato dalla sua mano, gli aveva confessato il suo affetto incondizionato, aveva fatto l’amore con lui sulla sabbia bianca di una spiaggia notturna…
Perché? Perché una cosa simile?
« Feliciano, ti prego… » balbettò il tedesco, allungando una mano per accarezzarlo.
La sirena si acquattò nell’acqua schiumosa, le orecchie aperte e vibranti come il collare di un dilofosauro, la gola gonfia e spalancata che lanciò un sibilo agghiacciante.
Con la testa completamente svuotata per la paura, Ludwig indietreggiò proteggendosi il collo, pronto a combattere per la vita.
L’animale davanti a lui si voltò e serpeggiò velocemente sulla riva, si spinse in avanti con la grande pinna e si tuffò in mare, sparendo alla vista.
Stordito dall’adrenalina che ancora gli elettrizzava i muscoli, Ludwig se ne rimase lì in piedi per un bel pezzo, a fissare i cerchi di schiuma sulla superficie nera come pece.
Lentamente, batté le palpebre e i battiti impazziti del cuore si calmarono.
Feliciano non stava tornando.
Perché non riemergeva?
Ludwig si mise a correre, schizzando sabbia e gocce dappertutto.
« Feliciano! »
Non si fermò nemmeno quando l’acqua gli arrivò al petto, spingendolo indietro di prepotenza.
« Dove sei?! » urlò, avanzando ancora e ancora, col fiato corto, « Ti prego, torna qui! TI PREGO!!! »
Gridò e gridò fino a sgolarsi, inciampando nel basso fondale e ritornando su fradicio e disperato, facendo saettare gli occhi da una parte all’altra di quel mondo piatto, oscuro e lamentoso.
Di Feliciano, neanche una pinna all’orizzonte.
« No, ti prego… non puoi lasciarmi così! »
Intorno a lui c’era soltanto silenzio, acqua scura, qualche onda schiumosa, il profilo triste di Jeliel che pregava sulla riva, un cielo immenso e stellato sopra la testa e il boschetto di larici e abeti alle spalle.
Se n’era andato. Per sempre.
Ludwig lanciò un lungo urlo e colpì il mare con i pugni.
Come aveva potuto avere paura di lui?
Feliciano non era una bestia, non gli avrebbe mai fatto del male; e invece Ludwig si era difeso come se si fosse trovato davanti a un mostro sconosciuto.
Lo aveva insultato, deluso, ferito… era colpa sua se Feliciano lo aveva lasciato.
Ludwig rimase a fissare la linea piatta dell’orizzonte per un tempo infinito, senza neanche preoccuparsi delle membra rigide come pezzi di legno, del freddo penetrante nella carne e delle lacrime che gli gocciolavano dal mento.
Se n’era andato… se n’era andato e niente sembrava più avere un senso.
L’alba lo sorprese ancora in piedi nell’acqua, ad aspettare il ritorno di Feliciano.
Perché Ludwig non poteva credere che non avrebbe mai più rivisto la sua testolina riemergere timorosa, i suoi grandi occhioni d’oro scrutarlo pieni di curiosità, la sua pinna meravigliosa inarcarsi sopra le onde…
Non poteva perderlo, non poteva: si era innamorato come un folle e non avrebbe potuto vivere senza di lui.
« Se non vuoi tornare da me, allora verrò a prenderti io. » mormorò all’orizzonte con voce roca, « Odiami pure, ma io verrò. »
Voltò le spalle e arrancò fino a riva, zoppicando verso casa con il corpo congelato, rigido e insensibile.
L’abbandono faceva male, troppo male; gli toglieva il respiro, rendeva tutto il mondo grigio, inguardabile, insopportabile da resistere senza di lui.
Quella era l’ennesima conferma: doveva essere caduto preda dell’incantesimo di una sirena, perché nessun essere umano avrebbe saputo ammaliarlo fino a tal punto.
Crudele giovane tritone, che lo stregava per poi fuggire via.


Efelién schizzò attraverso la corrente, si catapultò nel bel mezzo di un banco di aringhe argentate e le fece disperdere come nebbia nell’acqua.
Via, via da quella spiaggia, per il resto della sua vita.
Non voleva mai più vedere Ludwig, non voleva più pensare a lui, non voleva più amarlo.
Nuotò come un piccolo delfino braccato da uno squalo affamato, non si fermò nemmeno quando i muscoli della coda cominciarono a pulsare lancinanti e giurò a se stesso che non si sarebbe voltato nemmeno una volta.
Incontrò un bagliore inquietante sul fondale profondo e roccioso: era il relitto di un peschereccio affondato chissà quanti anni prima.
Efelién vi nuotò attorno indeciso, ma poi si allontanò con un colpetto di pinna, sfinito.
Non voleva avere più niente a che fare con i Nuota nel Sopra e con i loro aggeggi terrificanti.
Trovò una piccola grotta di scogli contorti e vi si rintanò dentro, abbracciandosi la coda e dondolandosi angosciato nella corrente tranquilla.
Male, male, male… non aveva alcuna ferita nella carne, eppure il petto gli faceva un male da morire.
Non riusciva a far passare abbastanza acqua attraverso le branchie, i fianchi erano stritolati come in una morsa d’acciaio e si sentiva strozzare.
Sollevò il volto verso il Fuori e pensò a Ludwig.
Semplicemente, non ce la faceva a non rimuginare su di lui, a non guardarsi indietro e a non rimpiangere la sua dura decisione.
Era a causa del suo sangue selvaggio, che non gli permetteva di rimanere sdraiato su uno scoglio ad aspettare il ritorno di un Nuota nel Sopra, come un cane addestrato.
Era una cosa più forte di lui, come il dolore nella pancia quando aveva fame, o come il brivido caldo e profondo quando incontrava una bella femmina, o come quell’attrazione irresistibile per il Fuori.
Efelién buttò il capo all’indietro e pianse, pianse così forte che il suo lungo ululato di disperazione fece scappare via i pesci e cantare le balene.


A molti chilometri di distanza, Luvìs percepì il lamento del fratellino e drizzò le orecchie turbato.
Efelién?
Verso sud-est, non troppo lontano dalla costa.
Non sembrava un richiamo d’aiuto, era più come… la delusione per una perdita? L’ammissione di una sconfitta?
Suo fratello aveva perso la lotta per una femmina? Una cosa del genere non poteva aver scatenato in lui un simile richiamo straziante.
Era molto difficile da decifrare.
Efelién stava soffrendo, ma non era stato attaccato da un pescecane o da un altro predatore.
Eppure quello che stava gridando alla Grande Madre era proprio: “soffro, l’ho perso, ho rinunciato”.
Luvìs si spaventò a morte e si tuffò nella direzione di quel pianto terribile.
Quello scemo… qualsiasi cosa gli fosse successa, si stava sfogando troppo, troppo rumorosamente; perfino le focene, con il loro udito limitato, erano rimaste scosse dalle intense vibrazioni del suo richiamo.
Se continuava così, anche i Nuota nel Sopra… Luvìs non voleva nemmeno pensarci.
Era soltanto a metà strada quando il richiamo si spense, rimbombando per molto tempo ancora.
Luvìs seguì quell’eco sempre più debole e giunse in vista di una grotta sul fondale, trovò il suo fratellino abbandonato tra le alghe e si catapultò su di lui.
Efé, cos’è successo?! fischiò, scuotendolo per una spalla, Chi hai perso? A chi hai rinunciato? Cos’era quel pianto? Parlami!
Il fratellino scrollò furiosamente il capo e si aggrappò a lui come se le pinne non lo reggessero più.
Luvi… oh, Luvi… mi dispiace, mi dispiace così tanto! si lasciò scivolare sul fondale e gli nascose la faccia contro al petto, incapace di guardarlo in faccia, Tu me lo avevi detto, vero? E io che non ti do mai ascolto! Perdonami, Luvi, perdonami se puoi…
Ma cosa stai dicendo, Efé? gorgheggiò spaventato il fratello maggiore, Mi vuoi dire cosa ti è successo?
Efelién scrollò ancora la testa.
Non dirmi che… Luvìs tentennò, Nel Fuori, per tutto questo tempo, tu…
Il fratellino si rifiutò di rispondere, con gli occhi spalancati d’orrore e le orecchie appiattite lungo le guance.
Efelién, cos’hai fatto?
Il gorgoglio furioso di Luvìs gli diede una stretta al cuore.
I-io…
È un Nuota nel Sopra, non è così? Non mentire! Ormai non ti serve più a niente
Luvìs aveva ragione: ormai Ludwig era tornato a essere nient’altro che un alieno, un estraneo, un nemico.
Sì, è vero. sussurrò Efelién, chinando il capo per la vergogna.
Luvìs barcollò sconcertato, afferrò il fratellino per le spalle e lo esaminò da ogni angolazione.
Ti ha fatto del male?
N-no! Davvero, Luvi, sto benissimo
Luvìs lo lasciò andare e si massaggiò l’ampia fronte abbronzata, cercando di schiarirsi le idee.
Non ci posso credere… proprio tu, tra tutti noi, che hai sempre paura di tutto
Il maggiore gli scoccò uno sguardo di ghiaccio, ed Efelién si preparò al peggio.
Io lo sapevo che eri fin troppo strano, da un sacco di tempo. Te ne sparivi chissà dove e non si riusciva a trovarti neanche con il richiamo*. Quando tornavi, qualche volta, ti lasciavi dietro una traccia strana, di cibo sconosciuto, e puzzavi di Nuota nel Sopra
Luvìs chiuse gli occhi, come se la sola idea lo disgustasse fin nel profondo.
Ti sei avvicinato a lui?
Efelién ammutolì, si afferrò la testa che pareva esplodergli e scoppiò a piangere.
Ti prego, Luvi, perdonami!
Come hai potuto? ringhiò Luvìs, A uno di loro, Efé!
M-ma Ludwig…
Liutvik?
È il suo nome
Oh, quindi adesso parli la loro lingua, eh?
Luvìs era fuori di sé, sembrava pronto a picchiarlo.
Che cosa gli hai detto?
Efelién trasalì.
Niente, Luvi, te lo giuro!
Sa dove vivi?
N-no
Gli hai parlato della tua famiglia? Di noi?
S-soltanto un po’, ma… ma non ha alcuna intenzione di catturarci!
Efelién, sei proprio un ingenuo lo schernì il fratello, scoprendo i denti affilati in un sorriso storto, Pensi forse che la parola di un Nuota nel Sopra valga quanto la nostra?
No Luvi, quella di Ludwig vale, te lo assicuro! protestò il giovane tritone con tutte le sue forze.
E tu come fai a esserne tanto sicuro?
Perché lo conosco
Luvìs lo fissò così a lungo che Efelién sentì i bulbi oculari esplodergli fuori dalle orbite, ma non osò abbassare lo sguardo.
Alla fine, il fratello maggiore incrociò le braccia e scrollò infastidito le orecchie.
Perché ti fidi così tanto di uno di loro?
Te l’ho detto, lo conosco. Sono stato suo amico per un sacco di tempo, fin da quando eravamo piccoli
Ammirevole. sibilò glaciale Luvìs, Sei stato capace di mentire a me e di tenere all’oscuro il nonno fin dalla tenera età
Efelién boccheggiò, ferito.
E cos’è che faresti per tutto il tempo, con questo Nuota nel Sopra? continuò il maggiore, il tono che s’alzava minacciosamente.
L-Ludwig mi ha insegnato la sua lingua. rispose cauto Efelién.
Ovvio, così può farsi svelare tutto su di noi
Ludwig vuole diventare un ricercatore pacifico, non ha alcuna intenzione di catturarci! ripeté disperato il fratellino, Lui pensa che siamo un popolo meraviglioso, rispetta il mare, è buono e gentile e… ed è diverso da tutti gli altri
Il fratello maggiore fece un gorgoglio stizzito e scrollò rabbiosamente le orecchie.
Se questo Nuota nel Sopra è tanto buono, perché piangevi a quel modo?
Efelién non rispose, pallido come un beluga.
Oh, a quanto pare non è poi così diverso da loro, no? infierì Luvìs, Scommetto che ha cercato di scoprire dove vivi, o di catturarti in una di quelle loro trappole infernali…
Non è così! protestò Efelién, Ludwig non mi farebbe mai del male, mai!
Luvìs lo colpì.
In uno scatto d’ira, gli tirò un graffio con le lunghe unghie della mano destra, e l’acqua della grotta si colorò di sangue azzurro chiaro.
Efelién si toccò i cinque lunghi squarci con mano tremante, ma non abbassò mai lo sguardo.
Ludwig non lo farebbe mai. singhiozzò.
Per la Grande Madre, Efelién, devi svegliarti! ruggì Luvìs, afferrandolo per le spalle e scrollandolo furiosamente, Sono pericolosi, lo vuoi capire?! Poteva catturarti, poteva intrappolarti e fare di te quello che hanno fatto a mamma e papà! Poteva ucciderti!
Efelién scosse la testa come un pazzo, rifiutandosi di ascoltare, di credere che Ludwig avrebbe mai potuto tradire così il loro amore… sebbene, in fondo al cuore, la vocina della coscienza gli sussurrasse un insopportabile ha ragione.
No, non è vero!
Il maggiore lo spinse indietro nauseato.
Smettila di difenderlo
NO!
Tra di loro cadde un silenzio pericoloso.
Un’orrenda consapevolezza oscurò il viso di suo fratello.
Aveva finalmente capito, ed Efelién tremò di paura: quel graffio sulla guancia non sarebbe stato niente, niente, a confronto.
Ecco che cos’era quell’odore rivoltante che avevi addosso ieri. sibilò il maggiore, scoprendo i canini appuntiti in un ringhio, Speravo tanto di essermi sbagliato…
Afferrò il fratellino per un polso e lo strattonò verso di sé, respirando dalle branchie il sentore sulla sua pelle abbronzata.
L-Luvi…
Proprio come temevo. gli stritolò il polso e i suoi occhi si fecero rossi, sfolgoranti nell’oscurità degli abissi marini, Efelién, dimmi la verità
Il tono di suo fratello non ammetteva repliche.
Io… io…
Ti sei accoppiato con lui?
Efelién non sapeva come rispondergli; non si era mai sentito così tanto terrorizzato da suo fratello.
Luvìs arricciò il naso in un ringhio minaccioso.
Dimmelo
Ormai era inutile continuare a mentirgli, avrebbe soltanto peggiorato la situazione… così Efelién chinò il capo in segno di sconfitta.
Avvertì la mano palmata di Luvìs che scivolava via dal suo polso, ma non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo e osservare la sua reazione.
Non posso crederci…
La delusione cocente nel gorgogliare di suo fratello fu la cosa peggiore.
Luvi, mi dis…
Sta’ zitto, Efé.
Efelién deglutì pesantemente, ma non obbedì.
Ti p-prego, Luvi, lasciami almeno spie…
Taci. Non voglio sentire più niente da te, traditore del tuo stesso sangue
Gli occhioni di Efelién si sbarrarono inorriditi, sollevò il volto di scatto e tentò di difendersi, ma dalla gola non gli uscirono altro che fischi striduli.
T-ti s-s-scon…
E io che pensavo ti stessi disperando per una femmina. Luvìs scrollò il capo, stordito, incredulo, Come sei potuto arrivare a tanto…
Il fratellino serrò i pugni, col cuore che batteva impazzito nel suo piccolo petto annaspante, un fischio assordante nelle orecchie e il sangue che rombava da una tempia all’altra, minacciando di farlo svenire da un momento all’altro.
Non poteva più tirarsi indietro.
Doveva dirlo bene, forte e chiaro, perché era di vitale importanza che suo fratello capisse quanto vero e sincero fosse il suo sentimento per Ludwig.
P-perdonami… ti prego, Luvi, perdonami. Non ho potuto farne a meno. Io… io… io mi sono innamorato di lui.
Il silenzio che seguì fu ancora peggio.
Efelién esitò a lungo; infine, spinto dall’angoscia profonda, sollevò il viso e cercò lo sguardo di suo fratello.
Luvìs lo stava fissando come se non lo riconoscesse più.
Si portò le mani alla bocca, impallidito, Che cosa dirà il nonno…? sussurrò.
Si voltò di scatto e fece per lanciarsi fuori dalla grotta.
Non dirglielo, Luvi! gemette il più piccolo, afferrandolo per un braccio, Non dirlo a nonno, ti supplico!
Ma non capisci?! ribatté il maggiore, nel panico, Non riguarda più soltanto te, razza d’idiota! Non siamo più al sicuro qua, dobbiamo andarcene subito!
Efelién gli abbracciò la coda e andarono a sbattere dolorosamente contro la parete rocciosa.
Sei impazzito?! Lasciami andare! gli ringhiò contro Luvìs, scuotendo la pinna per staccarselo di dosso.
Efelién gli si aggrappò al collo, folle di paura.
Ti scongiuro, Luvìs, ti scongiuro! Farò tutto quello che vuoi! Non uscirò mai più nel Fuori, non andrò mai più a cercare Ludwig, non mi farò mai più vedere da nessun Nuota nel Sopra! Ma ti prego, ti supplico, non andare a dirlo a nonno!
Efé, tu non…
Ragazzi?
I due giovani s’immobilizzarono, agghiacciati.
Una figura emerse dall’oscurità verdastra e nuotò verso di loro con potenti colpi di pinna fulva.
Siete qui?
Il nonno sbucò all’entrata della piccola grotta, con le orecchie dritte per la preoccupazione.
Ah, ecco dov’eravate finiti!
Anteromiàs era un tritone anziano, ma ancora forte e muscoloso come un narvalo di primo dente, con una lunga coda a pagaia in grado di spezzare la mandibola a qualsiasi squalo troppo esuberante, una corta chioma riccioluta e scura, il mento rasposo di barba e un paio di occhi energici e dorati.
Ho sentito Efé piangere, così mi sono… ma si azzittì davanti alle loro facce bianche di paura, Ehi, cos’è successo?
Luvìs scoccò un’occhiata di sbieco al fratellino: con l’aria di chi è appena stato tramortito da una balena, Efelién fissava il nonno con la bocca aperta, le branchie che avevano preso ad allargarsi e chiudersi spasmodicamente.
State bene? Avete l’aria di aver visto un Nuota nel Sopra armato di arpione e rete! ridacchiò il vecchio nonno.
Efelién boccheggiò.
N-n-no…
Noi stiamo benissimo, nonno! lo precedette Luvìs, afferrando il fratellino per un polso, un po’ guidandolo e un po’ trascinandolo fuori dalla grotta, Stavamo giusto per tornare a casa
Anteromiàs si grattò la testa, assai poco convinto.
Sicuri che vada tutto bene?
Benissimo, nonno!
Il vecchio tritone li seguì fuori.
Efé, cos’è quel graffio sulla faccia? E come mai piangevi a quel modo?
Il minore cominciò a tremare, Luvìs gli stritolò un polso per fargli capire di mantenere la calma, e sussurrò nell’orecchio del nonno.
Una femmina
Oho, non mi dire! Anteromiàs annuì comprensivo, Fossi stato tu Luvi, ma per Efé mi sembrava ancora un po’ presto… ah beh, d’altra parte siete sangue del mio sangue: dei veri alfa!
Gonfiò orgogliosamente i grossi pettorali abbronzati e accarezzò la testolina del più piccolo dei suoi nipoti.
Non è ancora primavera, Efé, è normale che le femmine non siano pronte per accoppiarsi. Non devi rimanerci male
È soltanto un po’ scosso, nonno, ma sta bene. A lui ci penso io
Bravo, Luvi. scrollò la pinna e li precedette attraverso la corrente infestata di alghe e piccoli pesci danzanti, Dritti a casa, non è sicuro stare in giro con l’Occhio Bianco così alto: è proprio ora che quelli più pericolosi di loro escono sulla Grande Madre a cercarci
Efelién rimase indietro, poi si fermò, si voltò verso la superficie ed ebbe un singhiozzo angosciato.
Non poteva credere che non avrebbe mai più rivisto Ludwig… faceva troppo male da sopportare.
Luvìs lo prese per mano con gentilezza, ma i suoi occhi erano dardi accusatori.
Giurami che non uscirai mai più nel Fuori, Efelién. Giurami che non andrai ma più a cercarlo
Il fratellino deglutì, si affondò le unghie nello sterno magro e soffiò una cascata di bollicine dalle branchie affannate.
M-ma io lo amo, Luvi…
Giuralo
Efelién si sentì stringere il cuore.
Avrebbe dovuto immaginarlo: per loro due, per lui e Ludwig, non c’era mai stata una sola possibilità di stare insieme.
Fin dal principio, si era trattato di una follia da ragazzini incoscienti.
Erano troppo diversi; vivevano in due mondi completamente contrastanti, dove la specie di uno odiava o dava la caccia a quella dell’altro, dove non avrebbero potuto vedersi nemmeno una volta senza mettere in pericolo la loro vita.
Era durata undici anni, e a ripensarci adesso, pareva davvero un miracolo che nessuno li avesse ancora beccati.
Efelién doveva essere grato di ritrovarsi ancora libero e al sicuro, doveva sentirsi felice per Ludwig e sperare che vivesse a lungo e realizzasse tutti i suoi sogni.
Doveva chiedere perdono per il peccato di essersi innamorato di un essere umano, e portare ogni singolo ricordo che aveva di Ludwig con sé, nelle profondità dell’oceano.
Avrebbe dovuto fare tutte quelle cose, crescere e diventare responsabile come suo fratello maggiore… ma in quel momento riusciva semplicemente a soffrire, soffrire così tanto che gli sembrava di morire.
Abbassò il capo e annuì una sola volta.
Bravo
Il maggiore gli batté qualche colpo sulla spalla magra e spigolosa, poi lo tirò verso il nonno.
Arriviamo!


Con la bocca spalancata e gli occhiali che pendevano da un orecchio, Alfred F. Jones se la russava della grossa sulla poltrona della sua postazione, nella stanza più alta del faro del Dornbusch.
Dove un tempo avevano occupato il posto la grande libreria, il mappamondo e la riserva di jenever del vecchio signor Fischer, adesso ronzavano incessantemente schermi e computer dall’aria molto costosa.
Su alcuni dei monitor danzavano incessantemente piccolissime variazioni di segmenti, come lo spettro di un elettroencefalogramma; su altri si potevano osservare i soggetti delle videocamere subacquee a ricerca di calore, come ipnotici fiori di colori fluo, e su altri ancora le riprese fisse di una grotta marina, una foresta di alghe o il fondale sabbioso e inquietante del mare.
Nella cabina del guardiano tutto taceva ed era immobile, a parte quel giovane americano profondamente addormentato, con una lattina di Coca Cola ancora stretta in una mano e il Nintendo 3DS abbandonato nell’altra.
Aveva appena cominciato a parlottare nel sonno, quando dalle cuffie del suo headset professionale uscì un rumore bizzarro.
« Roooonf… no Artie, non ce la voglio l’acciuga nel mio tramezzino… »
La morbida spugna dell’apparecchio emise una seconda frequenza, più lunga, più chiara, e il grafico azzurrino su uno degli schermi ebbe un picco di 50 Hz*.
« Tu e le tue mutande a donuts… »
Alfred si svegliò di soprassalto e la lattina gli cadde di mano, rovesciandosi sul pavimento e spargendo ovunque quel poco di liquido frizzante avanzato.
« Aah, che diavolo… » borbottò assonnato l’americano, raddrizzandosi gli occhiali e buttando il Nintendo sul divanetto contro la parete, « Che cavolo era quel suono? Queste stupide cuffie si sono già ro… »
I suoi occhi azzurri s’incollarono allo schermo luminoso del computer, a tutte quelle piccole lineette che facevano su e giù.
« Non è possibile… » esalò senza fiato.
S’incastrò l’headset nella testa, ruotò una manopolina e abbassò tre piccole levette del mixer principale.
Si premette le cuffie contro le orecchie e tacque.
Che cos’era?
Agghiacciante e lento, era il ruggito dagli abissi: Alfred poteva quasi vedere una sagoma enorme muoversi nell’oscurità vorticante, pinne fendere l’acqua infestata di particelle, occhi sporgenti e ciechi ruotare in orbite mollicce e una cavità piena di denti affilati spalancarsi nelle gelide profondità.
All’improvviso quel richiamo ebbe una vibrazione tale che il cuore nel petto di Alfred si fermò per lo spavento.
Lo spettrogramma sullo schermo crollò da 50 a 20 Hz, le cuffie presero a stridere e l’americano dovette levarsele.
Segnò col mouse il punto esatto della registrazione, lo copiò, lo incollò e spedì il file sulla posta del suo finanziatore russo, uno dei pochi che si era dimostrato interessato quanto lui a svelare il mistero delle sirene di Hiddensee.
Con dita che tremavano per l’eccitazione, scrisse velocemente un messaggio:

Signor Braginski,
questa mattina, alle quattro e cinque minuti,
l’idrofono autonomo, da me installato nei pressi della costa a sud-est dell’isola di Hiddensee, ha captato questo suono.

Potrei passare per un impulsivo se affermassi, senza alcuna ombra di dubbio, che si tratta di un suono di origine biologica.

Perciò, almeno per il momento, dirò solo che non assomiglia a niente che io abbia mai ascoltato in tutta la mia vita.

Forse abbiamo trovato qualcosa, laggiù in quelle acque.




CONTINUA…



Note:

Richiamo: Luvìs intende l’ecolocalizzazione, o biosonar, un sonar biologico usato da alcuni mammiferi.
Organi appositi emettono onde sonore focalizzate, che rimbalzano contro oggetti e altre creature, producendo eco in grado di creare una mappa mentale perfetta per muoversi nell’oscurità e cacciare.

50 Hz: l’hertz è l’unità di misura del Sistema Internazionale della frequenza.
In questo caso, 50 hertz è una frequenza ultrabassa, e 20 hertz tocca un picco a malapena distinguibile dall’orecchio umano.


Sììì ce l’ho fattaaaa! *festeggia suonando trombette e spargendo coriandoli ovunque*

Non credevo che sarei mai riuscita a pubblicare questo difficile capitolo, ci ho messo veramente i secoli per scriverlo.
Se ne stava lì a fare la muffa da mesi, e chi ha letto la mia oneshot Pruita sa di cosa parlo x_x

Ohibò, l’importante è avercela fatta, no?

Al solito, vi chiedo scusa per gli errori di battitura/grammatica, il finale l’ho scritto al volo e lo sto pubblicando subitissimo.

Ah, e scusatemi anche per avervi messo i link all’inizio del capitolo, e non alla fine, magari tra le note.
Suona un po’ di spoiler, ma immagino che non tutti i lettori si fermino anche sulle note dell’autore, quindi i link ve li spiaccico in faccia così, di prepotenza.
Non siete contenti? Incubi sonori per tutti! :D

No seriamente.
Io mi sono cacata addosso quando ho ascoltato quelle registrazioni.
Proprio io, che ho pure la fobia del mare e delle bestie marine, dovevo mettermi a scrivere una fic sulle sirene xO sono stupida…

Vi avverto subito che coi prossimi capitoli andremo accelerando di trama, perché ho già ricevuto qualche sollecitazione per la mancanza di Spamano e, soprattutto, voglio farvi soffrire il prima possibile °3°

Al prossimo capitolo, dove pubblicherò finalmente una nuova fan art! Mi mancava disegnare per le mie schifezze di fic :_3
  
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