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Autore: MadAka    09/06/2018    2 recensioni
Audrey è solita prendere la District line a Tower Hill station ogni giorno. Pianista di professione, amante di musica jazz e cinema, trascorre il tempo in attesa ripercorrendo mentalmente note e partiture, allontanandosi totalmente dal mondo reale.
Tower Hill è anche la fermata metropolitana di Peter, in cui prende la Circle line, la linea gialla. Illustratore dalla fantasia contagiosa, divoratore di musica e consumatore di matite, il ragazzo trascorre il tempo alla stazione con gli auricolari inforcati, riempiendo con le note di Bastille, Coldplay e OneRepublic il mondo intorno a sé.
Proprio la musica o, in questo caso, la sua assenza, sarà causa dell'incrociarsi delle loro strade in quella sconfinata metropoli che è Londra.
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"La vita è un viaggio solitario. Ma con un po' di fortuna trascorri gran parte di essa con la giusta compagnia."
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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L’ansia aveva avvinghiato Audrey dal primo istante in cui aveva messo piede nel teatro dove si tenevano le audizioni della BBC Scottish Symphony Orchestra e non l’aveva più abbandonata per la mezz’ora successiva. 

In quello splendido teatro, poco fuori il centro di Glasgow, si erano presentate solo altre quattro persone oltre a lei, tutte con la speranza di diventare il nuovo pianista dell’orchestra.

Audrey aveva indagato con discrezione ed era arrivata a scoprire che tutti quelli che si trovavano lì erano stati precedentemente contattati dai responsabili dell’orchestra stessa. Si trattava di una selezione, dunque, una selezione a tutti gli effetti che lei aveva superato grazie a un video comparso su YouTube in cui suonava l’epilogo di La La Land alla fermata di Tower Hill. Trovava che la cosa avesse dell’assurdo, al punto da farla sentire ancora più sotto pressione. Non voleva fare brutta figura, né sminuire le proprie capacità di pianista e tutto ciò non la faceva stare calma.

Prese un lungo respiro, imponendo al suo cuore di rallentare i battiti. Nel lungo corridoio che portava alle quinte del palcoscenico era ormai rimasta sola, l’ultima dei quattro. Era spesso l’ultima, quasi sempre dato il suo cognome – Wright. Tuttavia quel giorno avrebbe preferito togliersi quel pensiero in fretta e farla finita. Invece era ancora lì, seduta sulla sedia, le sue cose posate in grembo. Le sembravano passate ore da quando l’uomo prima di lei era entrato nella sala e la cosa non fece che accrescere la sua agitazione. 

Sfiorò con l’indice gli angoli dei fogli di carta che uscivano dalla carpetta che si era portata, il suo unico avere in quel momento insieme alla borsetta e alla giacca. Erano gli sparititi di Epilogo, che aveva con sé poiché credeva – ma soprattutto sperava – che le venisse chiesto di suonarla. Avrebbe voluto che i suoi amici più importanti fossero lì; Oliver, April, Sadie, anche Peter, li avrebbe voluti tutti lì accanto per l’ultimo incoraggiamento prima di varcare la soglia. Non era semplice affrontare quella situazione da sola.

D’improvviso la porta si aprì. Non fece alcun rumore, venne aperta piano, ma Audrey era talmente tesa che anche quel debole suono la fece sussultare. Sollevò gli occhi in direzione della porta, trovandosi davanti la signora che aveva invitato i pianisti a entrare fino a quel momento. Stava guardando fissa Audrey e lei non ebbe più alcun dubbio su cosa stava per avvenire. Si alzò prima ancora che venisse pronunciato il suo nome.

«Venga pure signorina Wright. Lei è la prossima.»

La ragazza si alzò e raggiunse la donna, la quale le sorrise in modo affabile, quasi a dirle di non preoccuparsi. Audrey, però, si preoccupava eccome; da quel colloquio avrebbe potuto dipendere il suo futuro, il possibile trasferimento a Glasgow, il dover lasciare indietro tutti gli amici, il posto al Menier Chocolate Factory, tutto dipendeva da quella manciata di minuti in cui avrebbe mostrato le proprie capacità. Mentre saliva gli scalini per arrivare sul palcoscenico si chiese se davvero era quello che voleva. Tuttavia, appena vide il pianoforte a coda al centro del palco, illuminato dai fari che si riflettevano sulla sua laccatura nera e lucente, pensò che quel provino rappresentasse una svolta e che una simile occasione era da cogliere subito. Suonare per la BBC Scottish Symphony Orchestra avrebbe portato lustro alla sua carriera di pianista, aprendole strade che non avrebbe potuto immaginare e consentendole una notevole sicurezza legata al proprio nome. 

Si avvicinò al pianoforte, quasi questo la stesse richiamando a sé. Era uno strumento di eccellente qualità e raffinata bellezza, uno di quelli che lei aveva desiderato suonare da sempre. Riuscì a resistere alla tentazione di allungare una mano a sfiorarlo e venne riportata alla realtà dalla voce di un uomo in platea.

«Benvenuta.»

Audrey si voltò in direzione della voce. Seduti nella terza fila di poltrone vi erano tre persone, cui si aggiunse la donna che era venuta a chiamarla. La pianista non sapeva chi fossero, eccetto uno. L’uomo al centro, sulla sessantina, era Dominic McAllister, il direttore dell’orchestra e rinomato compositore.

La ragazza si lisciò istintivamente il vestito e salutò di rimando, proseguendo poi con i brevi convenevoli. Al termine del breve botta e risposta, McAllister riprese a parlare: «Sono davvero felice di avere la possibilità di sentirla suonare dal vivo. Ho molto apprezzato la sua esibizione a Tower Hill station.»

«La ringrazio» rispose semplicemente lei, senza sapere che altro aggiungere. Strinse con forza maggiore la carpetta contenente le partiture, sentendosi sotto pressione come mai. 

«Le spiego brevemente cosa dovrà fare. Per prima cosa le chiediamo di suonare la canzone di Tower Hill, chiamiamola così. Poi le abbiamo preparato altre partiture. Ne scelga una e ce la suoni» disse.

Era stato piuttosto chiaro; Audrey avrebbe dovuto suonare due canzoni: l’Epilogo di La La Land e una canzone a scelta fra quelle che le avevano proposto. Inutile dire che proprio la seconda di quelle canzoni era quella che la preoccupava di più. 

«D’accordo, ho capito» rispose, calma.

«Prima che inizi, un’ultima cosa. La sua audizione verrà registrata, se la cosa rappresentasse un problema per lei ce lo dica e provvederemo a spegnere tutto» aggiunse McAllister.

Solo in quel momento Audrey si accorse della telecamera sul treppiedi posta al centro del corridoio in platea. La lucina rossa che lampeggiava a intermittenza indicava che la registrazione era in atto, ma la pianista si rese conto che non le importava. Si sentiva dentro una bolla, come se tutto quello che le stava accadendo fosse irreale e in procinto di finire da un momento all’altro.

«No, nessun problema» rispose infine.

McAllister sorrise, dopodiché indicò il pianoforte con un cenno della mano, invitando Audrey a prendere posto. Lei eseguì, respirando profondamente. Estrasse le partiture di Epilogo e le dispose sul leggio; lanciò un’ultima occhiata agli acquerelli di Peter, monocromatici per via della fotocopia e inspirò ancora una volta. Fece scorrere le dita sui tasti del pianoforte, sentendosi smuovere completamente. L’ansia scivolò via al suono della prima nota e la musica ebbe sulla pianista lo stesso effetto che aveva ogni volta. Tutto si fece lontano, distaccato e sui tasti di quel maestoso pianoforte a coda, la ragazza trovò la sua abituale sicurezza.

Un minuto dietro l’altro suonò tutta la versione per pianoforte dell’epilogo che Peter le aveva regalato. Quando si fermò, al termine della canzone, si sorprese del fatto che il suo primo pensiero – prima ancora di ricordare dove si trovasse, per cosa e con chi – fu proprio Peter. Il viso del ragazzo, il suo sorriso, si delineò con impeccabile precisione davanti agli occhi della pianista. Solo l’applauso che arrivò subito dopo la fece tornare a tutti gli effetti alla realtà. Si voltò in direzione della platea, vedendo per primo Dominic McAllister. L’uomo era radioso e batteva energicamente le mani.

«Molto bene» sentenziò. «E ora il prossimo brano.»

Audrey scorse rapida le partiture delle altre canzoni che erano state selezionate. Erano complicate, non vi era dubbio, ma per sua fortuna la ragazza scorse fra le varie partiture un brano che conosceva bene. Lo aveva studiato al conservatorio e aveva trascorso tanto tempo a esercitarsi che se lo ricordava ancora. Aveva alcuni passaggi complessi, ma nulla di impossibile. 

«Quando ha scelto inizi pure» la invitò il direttore d’orchestra.

Lei acconsentì con una risposta monosillabica, dispose i fogli in ordine sul leggio e cominciò a suonare. Quella melodia le richiese una maggior concentrazione dal momento che la conosceva meno, al punto che nulla avrebbe potuto distrarla dall’esecuzione.

Appena ebbe concluso ci fu un nuovo applauso, all’apparenza più sostenuto del precedente. Audrey pensò fosse un segnale positivo e sentì ogni tensione scomparire definitivamente da lei; la parte peggiore era passata.

Si alzò dal pianoforte, quasi lasciando contro voglia i suoi meravigliosi tasti. Si sistemò il vestito, voltandosi verso la platea proprio quando gli occupanti smisero di applaudire.

«I miei più sinceri complimenti» esclamò McAllister, facendo sorridere Audrey, che ringraziò con un leggero inchino. «Voglio essere franco con lei, signorina Wright: credo sia la mia preferita.»

La sua affermazione provocò alcune occhiate da parte del resto dei presenti, che fissarono il direttore come se si stesse spingendo troppo oltre. 

«Per la sua giovane età ha davvero delle notevoli doti. Ha un futuro assicurato, deve credermi. Riconosco un talento quando lo incontro.» 

Sul finire della frase, nuovamente le occhiate dei colleghi di McAllister ricomparvero. Audrey li guardò un po’ perplessa e comprese che, molto probabilmente, il direttore stava facendo qualcosa che non aveva fatto prima. Se fosse stato vero, significava che il posto alla BBC Scottish Symphony Orchestra forse avrebbe potuto essere suo. Si disse di stare calma ed evitare di crearsi castelli in aria che, crollando, avrebbero potuto ferirla e basta. Tuttavia quasi non ci riuscì. Era emozionata come non le succedeva da tempo e le parole di McAllister avevano accresciuto ulteriormente la sensazione positiva che provava nel petto. 

«Vuole dire qualcosa?» chiese poi il direttore, un sorriso bonario dipinto in volto.

La domanda colse Audrey impreparata, ma riuscì a non darlo a vedere. «Volevo semplicemente ringraziarvi per questa opportunità. Ancora non mi sembra vero di essere qui» disse. Si morse appena il labbro inferiore, costringendosi a non aggiungere altro; la frase che aveva appena pronunciato le era parsa banale e scontata, ma in fin dei conti non sapeva che altro dire. Dopotutto era la verità. Il resto dei presenti, però, parve apprezzare le parole della ragazza. Dopo gli ultimi convenevoli, i saluti conclusivi e i “le faremo sapere a breve”, la pianista fu congedata.

Appena Audrey si ritrovò nel corridoio da cui era entrata, diretta verso l’uscita del teatro, tirò un lungo sospiro. Sentiva di essere andata bene e, soprattutto, era soddisfatta dell’esecuzione delle due canzoni che aveva suonato. Le parole di Dominic McAllister, poi, le avevano dato una speranza che non avrebbe immaginato prima di quel momento. Dal modo in cui le si era rivolto, infatti, le era parso che avesse un interesse particolare per le sue doti. Forse davvero quella sarebbe stata la sua occasione d’oro, la grande svolta della sua vita. Ancora non poteva saperlo con esattezza, avrebbe dovuto aspettare, ma era così soddisfatta di quell’incontro – e di tutti quei “non detto” all’apparenza così rassicuranti – che sentiva avrebbe fatto bene a godersi quella serata in terra scozzese, prima del ritorno nella sua amata Londra, il mattino successivo.

 

*

 

Per quella sera Audrey aveva pensato bene di esplorare Glasgow nel modo in cui lei riputava migliore per se stessa. Nel pomeriggio aveva fatto un nuovo giro nella città, cercando si scoprire quegli angoli e quegli scorci che non era riuscita a vedere il giorno prima in seguito al suo arrivo. In più di un’occasione si era addirittura chiesta in quale zona della città avrebbe dovuto cercare casa; tuttavia aveva scacciato quei pensieri in modo perentorio, dicendosi che non aveva senso fare piani prima di conferma da parte della BBC: quelle erano illusioni, non progetti.

Per la cena aveva optato per un piccolo pub in cui servivano specialità scozzesi – dove aveva mangiato l’hotch-potch più buono mai provato – e una volta uscita, anziché tornare a casa, aveva deciso di soddisfare un’altra sua voglia e si era incamminata in un posto in cui aveva sempre voluto andare. 

Il Blue Jam era uno dei jazz club più famosi di Glasgow, una tappa obbligata per i jazzisti che visitavano la città. Audrey aveva sempre desiderato andarci, per questo non avrebbe lasciato la Scozia se prima non avesse posato piede fra le mura di quel noto  locale. Il Blue Jam si trovava si una delle vie centrali di Glasgow e un’insegna al neon blu – che per certi versi le aveva ricordato quella di Seb’s di La La Land – accoglieva i visitatori, ai quali, entrando nel locale, pareva di tornare indietro nel tempo. 

Appena Audrey aveva varcato la soglia si era sentita eccitata quanto un bambino per la prima volta a Disneyworld. Il Blue Jam l’aveva accolta con una sonorità irresistibile e un’atmosfera che le era parsa famigliare da subito. Sul palco, proprio di fronte all’ingresso, erano disposti cinque musicisti, intenti a suonare in una piena jam session. Tromba, sax, pianoforte, batteria e contrabbasso erano tutti là e riempivano con le loro note, improvvisate e perfette, tutta l’aria del locale. Intorno al palco erano disposti tavolini e sedie in cui prendere posto, dove su ciascun tavolo si trovava una lampada che mandava una soffice luce aranciata. Il bancone, infine, che correva lungo tutta la parete di destra, era fornitissimo di alcune delle bottiglie più rare che Audrey avesse mai visto. Whisky, Scotch, Bourbon, Rhum, Vodka, c’era di tutto, per tutti i gusti. Una volta lì la pianista non fu più in grado di smettere di sorridere. Aveva chiesto di potersi sedere, aveva ordinato un drink – un Martini – e una volta al suo posto, alla sinistra della band che suonava, si era quasi sciolta sul tavolino per quanto era in pace con se stessa.

Anche in quel momento si sentiva così. Continuava a sorseggiare il suo Martini ben fatto con calma, gli occhi fissi sul gruppo musicale improvvisato e il piede destro che batteva a ritmo della musica. Si sentì benissimo, si sentì a casa.

Mentre la musica proseguiva, la pianista si immaginò nella sua possibile vita scozzese. Si vedeva già diventare cliente abituale del Blue Jam, con i camerieri che le davano la buonasera chiamandola per nome e dicendole che le avevano riservato il “solito tavolo”. Quell’immagine la fece gongolare al punto di desiderare con tutta se stessa che la cosa si avverasse. Se si trovava lì, con quella possibilità, era anche merito di La La Land. Se non avesse suonato la canzone dell’epilogo alla stazione di Tower Hill, non avrebbe mai incontrato personalmente Dominic McAllister. Da quando quel film era entrato nella sua vita sembrava quasi contribuire a cambiarla poco a poco. Tuttavia, d’un tratto, si rese conto che il merito di tutto ciò non era tanto del film, ma di Peter. Lei si era sempre limitata a suonare City of Stars – e forse avrebbe continuato a farlo – finché Peter non le aveva regalato le partiture di Epilogo. Se non fosse stato per lui, lei ora non sarebbe seduta al Blue Jam con l’umore alle stelle e la sensazione di avere ottime possibilità di diventare la nuova pianista della BBC Scottish Symphony Orchestra. Il ragazzo era entrato nella sua vita e in meno di un anno l’aveva arricchita. Non solo riguardo quella canzone, ma in generale. Aveva reso i viaggi sulla District line molto più piacevoli e le sporadiche uscite nei caffè o nei pub erano un ottimo modo per spezzare la routine in buona compagnia. Il ragazzo aveva un influsso positivo su di lei, Audrey adorava averlo vicino. Una volta tornata a Londra sarebbe subito andata a raccontargli del provino e gli avrebbe detto che in gran parte era merito suo. Se fosse andato a buon fine il suo ingresso nell’orchestra della BBC avrebbe dovuto ringraziare il ragazzo a dovere.

Le tornò alla mente il fatto che prima, appena aveva finito di suonare l’Epilogo per McAllister, il suo primo pensiero era andato al ragazzo. Le capitava di rado di pensare a qualcuno di preciso, invece quel pomeriggio era successo. Sentiva di dovere molto a Peter, forse per questo era sorpresa solo in parte di aver pensato a lui. Tuttavia anche in quel momento avrebbe voluto sentirlo, parlargli e aggiornarlo sull’esito dell’audizione. Le sarebbe piaciuto anche descrivergli il Blue Jam, consapevole che, anche se non era con esattezza il tipo di locale frequentato da Peter, lui lo avrebbe apprezzato. Pensò che, dopotutto, avrebbe potuto anche farlo, estrarre il cellulare e scrivergli; oppure uscire un momento dal locale e telefonargli.

Alla fine non fece nessuna di queste cose. Erano le dieci passate e trovò che, nonostante i buoni rapporti che aveva con Peter, forse non era il caso di disturbarlo a quell’ora per parlargli di sé. Lo avrebbe invitato a bere qualcosa una volta tornata a Londra. 

Tornò a dedicare la propria attenzione alla jam session ancora in atto, decisa a godersi il resto della serata, così come si era goduta tutta quella piacevole giornata scozzese.

Nonostante tutto, però, la sua mente tornò a più riprese al ragazzo.

 

 

  
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