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Autore: lucifermorningstar    09/06/2018    1 recensioni
Seattle. Il Corvo, un Conduit o come preferiscono chiamarlo alcuni: "Bioterrorista" compierà quello che si potrebbe definire un Butterfly Effect. Un piccolo gesto cambierà totalmente il suo destino, legandolo in maniera indissolubile a quello di un altra persona.
{Crossover. Personaggi di LIS nel mondo di Infamous Second Son} {Coppia: Pricefield}
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Era seduta su quello che sembrava la sedia di un dentista, quella con lo schienale reclinato che ti costringe a fissare una lampada accecante. Aveva paura ma non lo mostrava, mantenendo una maschera di inespressività. Era collegata a due macchine attraverso dei fili connessi ai suoi polsi. Una mostrava il suo battito cardiaco, l'altra non sapeva a cosa servisse, talmente era strana e immobile. Sentiva qualcuno parlare in sottofondo ma non riusciva a capire cosa si dicessero. Gli occhi azzurri vagavano sulla stanza, ricercando una via d'uscita o magari un volto amico. Qualsiasi cosa pur di non stare lì da sola, circondata dal buio più totale con soltanto una tenue luce puntata sul suo viso. 

Passi risuonarono in lontananza, una porta si aprì e qualcuno si avvicinò. Lei riuscì a vedere soltanto una figura contorta, un ombra che si avvicinava a lei e il cuore iniziò a battere più forte nel suo petto. La misteriosa figura venne lentamente illuminata dalla luce della lampada, mostrandosi come un uomo abbastanza giovane con un filo di barba a sporcare la mascella. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, un paio di pantaloni scuri e un paio di occhiali da lettura poggiati sul naso. Le sorrideva amichevole e stava per dirle qualcosa quando lei lo interruppe.

-Dove è mio padre?- Chiedeva la bambina e il sorriso dell'uomo traballò per un istante. Si allontanò per ritornare qualche secondo dopo con qualcosa tra le mani, una scatolina chiusa che appoggiò su un macchinario.

-Tuo padre è stato trattenuto ma sta arrivando- Le disse l'uomo.

-Voglio vedere mio padre- L'uomo rimase sorpreso dal vedere come quella richiesta non era detta con un tono spaventato o lamentoso come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino. Il battito cardiaco segnava come la bambina era in agitazione ma scrutando il suo viso non riusciva a vedere niente che lo mostrasse. Ne rimase decisamente colpito, tanto che ritornò a sorridere divertito.

-Non preoccuparti. Se risponderai ad alcune mie domande in maniera sincera ti porterò io stesso da lui- La bambina sembrò incerta, mostrando una sorta di diffidenza nei confronti dello sconosciuto. Alla fine decise di annuire, accettando quella sorta di accordo ma mostrandosi ancora sospettosa.

-Mi hanno detto che sei brava a scuola. Una bambina modello, forse la migliore studentessa della tua classe. Hai ottimi voti, scometto che i tuoi genitori sono molto contenti di questo.- Le disse l'uomo con una sorta di dolcezza nella voce. La bambina presa in contropiede si limitò a sorridere, un pochino imbarazzata.

-Però...è vero che hai fatto male a un tuo compagno?- Il sorrisino sulle labbra della piccola sparì subito e distolse lo sguardo, osservando l'oscurità. L'uomo restò in silenzio cosi come lo rimase lei, finchè a un certo punto non sopportando quel silenzio la bambina disse una sola parola.

-Si- 

-Posso chiederti cosa è successo?- La bambina non lo guardava e dalla macchina si vedeva che il battito le era aumentato per l'agitazione.

-Forse ti ha preso in giro?- La maschera di inespessività della bambina si ruppe, mostrando piccoli segni. Vide rabbia e paura sul suo viso, la vide stringere i pugni e mordersi il labbro. Ci aveva preso a quanto pare.

-Ti sei arrabbiata con lui?- Nessuna risposta verbale ma non serviva. Ora che aveva smesso di nascondere le emozioni riusciva a leggerla come un libro aperto, ci rimase quasi male con quanta facilità aveva fatto breccia.

-Cosa ti ha detto? Per farti arrabbiare?- Questo voleva saperlo. Voleva sentirglielo dire a voce, incuriosito da cosa potesse scatenare quella cosi calma bambina bionda. Ci vollero altri secondi silenziosi prima di ricevere una risposta.

-Ha detto delle brutte cose- Rivelò la bambina, interrompendosi prima di tornare a guardarlo in faccia. L'espressione tornata di nuovo inespressiva, priva esternamente di una qualsiasi emozione. Di nuovo quella maschera. 

-Ora posso vedere mio padre?- Il tono duro con cui aveva parlato sembrava un ordine, una domanda che non accettava risposte negative. L'uomo sorrise, riprendendo la scatola chiusa di prima e aprendola.

-Si. Ti accompagnerò da tuo padre ma prima devo farti un prelievo di sangue- Tirò fuori dalla scatola una siringa e la bambina trattenne il fiato, mostrandosi contrariata a sottoporsi a qualcosa del genere.

-Tranquilla, è soltanto per un controllo. Tuo padre ha detto che andava bene- Di nuovo la bambina era indecisa, e non molto contenta di ciò, ma alla fine decise di accettare. Prima finiva quel tormento, meglio era. L'ago le entrò nel braccio eppure lei rimase zitta, non emettendo nemmeno un mugolio di dolore. Nemmeno la vista del sangue sembrò infastidirla in qualche modo.

-Ora posso andare?- Domandò all'uomo che aveva iniziato a provvedere a liberarla dai fili che la tenevano collegata ai macchinari. L'uomo ridacchiò, annuendo con un cenno del capo. Altri due uomini vestiti di bianco entrarono nella stanza che si illuminò all'improvviso, costringendola a chiudere gli occhi, infastidita dopo essere stata cosi tanto tempo al buio.

-Questi uomini ti accompagneranno all'uscita dove tuo padre ti sta aspettando- Le assicurò l'uomo, salutandola mentre se ne andava, uscendo dalla stanza. Un piccolo sospiro di sollievo uscì dalle sue labbra quando la bambina se ne fu andata da lì. Chiamò un uomo in camice, porgendo la siringa e ordinandogli di andare a fare le dovute analisi. Guardò l'orologio appeso al muro, controllando l'ora e sorridendo soddisfatto del suo operato. Prese una sedia e si sedette, continuando a guardare l'orologio come se ipnotizzato.

Una donna entrò, richiamando la sua attenzione. Capelli castano scuro a caschetto, vestita in maniera elegante con quella sua giacca viola scuro e una borsetta a fiori tenuta sotto braccio.

-Come è andata?- Le chiese la donna con il tono di voce preoccupato. Si poteva vedere benissimo che la donna era molto tesa, quasi come la risposta a quella domanda potesse dipendere la vita e la morte.

-Non posso dare un responso subito ma a breve dovrebbero arrivare le analisi e saprò risponderti- Alla donna non piacque quella risposta tanto che avanzò verso di lui con uno sguardo inquisitorio.

-Non prenderti gioco di me Jefferson. Non ti sono mai servite le analisi per cose del genere. Dillo e basta invece di torturarmi- L'uomo si sistemò gli occhiali da lettura scivolati sulla punta del naso, alzando il capo per guardare dritto negli occhi la donna. Si passò la lingua sulle labbra, inumidendosele appena prima di dare il responso affermativo al quesito che tanto la tormentava.

 

Si era ritrovata sollevata quando aveva visto suo padre fuori da quel posto, ad aspettarla. Aveva sorriso e si era messa correre nella sua direzione, abbracciandolo forte con la faccia premuta contro lo stomaco altrui. Suo padre le aveva accarezzato la testolina bionda, abbracciandola a sua volta. La bambina alzò lo sguardo, guardando suo padre con un bel sorriso.

-Mi compri un gelato?- Aveva chiesto, suscitando una risata da parte dell'uomo che davanti a quegli occhioni si era dovuto arrendere senza reagire. Aveva preso la figlia per mano e uscirono insieme da quel posto. Ogni preoccupazione era svanita nell'aria non appena aveva visto il padre, non appena era riuscita a riabbracciarlo. Ma sopratutto non appena lasciarono quel luogo che lei non capiva cosa fosse. Sembrava un ospedale, cosi bianco e di un odore strano ma era enorme e alto diversi piani. La gente si era messa a fissarla e a mormorare sotto voce quando era entrata, senza contare che un uomo le aveva detto di seguirla e andare con lui. Non ci sarebbe andata se non fosse che suo padre glielo aveva ordinato.

Non aveva mai visto il padre comportarsi in maniera talmente dura con lei come in quell'istante. Lo aveva visto con un espressione diversa dal solito, come quella che faceva quando riceveva dei documenti dagli uomini in armatura. O quando la madre diceva al marito di dover parlare con lui di faccende importanti, senza la presenza della figlia.

In quel momento però non ci pensò più di tanto. Il padre le prese un cono gelato al mirtillo e alla fragola, i suoi gusti preferiti, da un ambulante all'ingresso di un parco. Teneva il padre per mano mentre con l'altra si mangiava tutta contenta il suo dolce tesoro. Talmente contenta e presa da ciò che aveva davanti non si accorse minimamente di come il padre la stava fissando con quell'emozione negli occhi. Si sporcò tutta la faccia di blu e rosso, tanto che sembrava che il gelato se lo fosse buttato addosso.

Il padre la fermò, prendendo dalla tasca il proprio cellulare e inginocchiandosi per fare una foto con la figlia, dicendole di sorridere. Lei invece decise di fare una faccia diversa, storcendo gli occhi e tirando fuori la lingua in un espressione stupida. L'uomo rise, scattando la foto e mostrandogliela.

-Guarda qui, abbiamo un piccolo mostro di gelato in questa foto- Le disse il padre ridendo, facendo gonfiare alla bimba le guance fintamente offesa dalle parole dell'uomo prima di scoppiare anche lei in una risata. In un secondo la bambina si gettò addosso al padre, braccia al collo e faccia sporca che andava a strusciarsi contro la guancia di lui, sporcandolo tutto di gelato.

Risero assieme, sotto lo sguardo divertito e attonito di alcuni passanti, prima di pulirsi dalle tracce di gelato. Di nuovo per mano ripresero a camminare per strada,  senza una precisa meta, semplicemente camminando tranquilli.

-Papà?- Richiamò la bambina tutto d'un tratto.

-Si?- Rispose l'uomo guardandola.

-Perchè siamo andati in quel posto?- L'espressione dal viso del padre cambiò, tornando con quell'emozione che lei non riusciva a definire. Lo vide balbettare prima di prendere un bel respiro e parlarle.

-E' complicato piccola mia- Era stata la risposta. La bambina abbassò lo sguardo, fissandosi le scarpette bianche.

-Ho fatto qualcosa di sbagliato?- Il tono innocente con cui aveva detto quelle parole fece stringere il cuore al genitore che subito si fermò, abbassandosi per guardarla negli occhi e per prenderle le spalle. Un sorriso dolce e rassicurante venne rivolto alla figlia.

-No, piccola mia. Non hai fatto assolutamente niente di sbagliato.- Incerto su come continuare le accarezzò i lunghi capelli biondi con fare paterno.

-Vedi. A volte...- Si interruppe, scuotendo il capo e tornando a sorriderle. -Lascia stare. Ne parleremo meglio in un altro momento. Ora...godiamoci il pomeriggio senza la mamma che ci controlla. Va bene?- Le fece un occhiolino e il sorriso tornò sulle labbra della bambina che annuì. Ma qualcosa in quel momento cambiò. 

Un ragazzo dal viso mezzo coperto da una bandana uscì da un vicolo, un berretto con un teschio sul capo, vestito con una t-shirt blu e un paio di pantaloni vecchi e strappati. Da dietro la schiena tirò fuori una pistola, puntandola alla testa del padre che gli dava le spalle. La canna della pistola premuta contro la sua nuca. 

-Svuota le tasche- Ordinò il ragazzo. Il padre si bloccò, guardando la figlia che si era messa tremare visibilmente.

-Per favore. Non farmi del male, ti darò tutto ciò che vuoi.- Supplicò il padre, fissando la figlia dritta negli occhi.

-Obbedisci!- Sibilò, facendo sobbalzare dallo spavento la bambina che spostava lo sguardo prima sul padre poi sul rapinatore. Era terrorizzata e non riusciva a nasconderlo, non davanti a suo padre. Non quando erano in un pericolo vero e proprio. Il padre lentamente si mise le mani nelle tasche, buttando a terra tutto ciò che aveva. Cellulare, portafoglio, banconote, centesimi, tutto. Quella strada era deserta, non passava nessuno in quel momento e si vedeva come il ragazzo sembrava preoccupato.

Doveva sbrigarsi a rapinare l'uomo prima che qualcuno potesse sopraggiungere e assistere alla scena. Il rapinatore valutò quanto l'uomo aveva svuotato sul marciapiede e premette la canna della pistola con forza.

-Non è abbastanza. Non può essere tutto qui- Diede una pestata per terra per la rabbia, spingendo nuovamente la canna contro la nuca del padre.

-Tu vuoi fottermi eh? Pensi che sia un fottuto idiota senza palle. Adesso ammazzo te e la bambina se non mi dai tutto quello che hai.- Il tono di voce rabbioso, più alto delle frasi precedenti. La bambina assistì alla scena come in un film alla moviola, il padre si voltò di scatto colpendo con il polso la pistola. Partì un colpo che la sfiorò di pochi centimetri, la canna della pistola fu sollevata in aria. Vide il padre e il ragazzo lottare per la pistola, lei bloccata dalla paura. Congelata sul posto non sapeva cosa fare, non aveva idea di come agire. 

Un secondo colpo partì in aria. Il padre stava per avere la meglio quando la pistola venne abbassata e partì un terzo colpo. La scena si congelò, fermandosi come se il tempo stesso avesse smesso di funzionare. Vide entrambi gli uomini fermarsi e sentì un gorgoglio. E infine vide l'orribile scena: suo padre indietreggiò, portandosi le mani al ventre prima di cadere sulla schiena. Davanti a lei, steso a guardarla.

Il genitore alzò la mano in direzione del suo viso, ma al viso della figlia non arrivò mai. Gli occhi si spensero e la mano cadde per terra, il sangue che scivolava sul terreno, sporcandolo di rosso. Lei rimase ferma a fissare la scena, a fissare il corpo senza vita di suo padre, a fissare il sangue che lentamente scivolò sulle proprie scarpe bianche mentre dalle sue guancie iniziarono a scivolare lacrime.

-No...non...doveva andare cosi.- Mormorò il ragazzo facendo cadere la pistola per terra. Le mani al viso, abbassandosi la bandana e avvicinandosi spaventato al corpo senza vita.

-No, no no no. Cazzo.- Urlò, afferrando le banconote non sporche di sangue e infilandosele in tasca. Fece per girarsi e andarsene ma si rese conto di non riuscire a farlo. Non lo sentì subito, non avvertì cosa era successo alla sua gamba.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, iniziando a urlare per il dolore quando sentì la gamba bruciare costringendolo a buttarsi a terra. Fissò con orrore la propria gamba, una coltre di ghiaccio la ricopriva fino al ginocchio impedendogli di muoversi. La bambina lo fissava, con le lacrime che le rigavano le guance. L'ultima cosa che ricordò fu quell'urlo. Un urlo agghiacciante di disperazione, dopodichè smise di sentire qualsiasi cosa. 

La bambina non ricordò bene come era avvenuto, come aveva fatto. Aveva sentito solo qualcosa sbloccarsi dentro di lei, qualcosa che si spezzava e che premeva per uscire. Ricordò che si era messa a urlare, aveva urlato con una tale disperazione che una tempesta si era alzata e scatenata contro l'aggressore, contro l'assassino di suo padre. Una coltre di ghiaccio ricoprì interamente il corpo di lui che si frantumò come il vetro di una finestra colpito da un sasso. Pezzi di ghiaccio con fatezze umane si sparsero sul marciapiede.

Solo dopo ciò, solo quando rimase soltanto lei e il cadavere di suo padre, soltanto dopo aver urlato cosi forte che Rachel smise di pensare. Perse il contatto con la realtà e lasciò che la gravità fece il suo corso, cadendo a faccia in su accanto al corpo del genitore. L'ultimo ricordo era il cielo pieno di nuvole grigie, e di come non appena era caduta per terra, avesse iniziato a piovere.

 

Seattle 5 Ottobre 2018 Ore 17:30 PM

 

Una brutta giornata. Ecco cos'era per Chloe quel giorno, dove il fato sembrava essersi messo contro di lei. Doveva incontrare quella dannata persona ma quest'ultima non si era presentata all'appuntamento. Diede un calcio a una lattina, sbalzandola contro una macchina. Forse era lei che era arrivata in anticipo? O magari era successo qualcosa? Non lo sapeva ma era parecchio che stava lì sotto la pioggia.

Sapeva soltanto che si erano dati appuntamento davanti a un negozio di elettronica, pieno di vecchi computer e televisori messi in esposizione in vetrina. Il suo contatto sembrava molto ossessionato dalla tecnologia e da quel posto. L'insegna era vecchia e qualche lettera era stata buttata giù da qualche teppista. La lettere dicevano "F Society" cosa che, a ben pensarci, era anche alquanto divertente.

Si stava annoiando, era irritata dalla pioggia che aveva ripreso a scivolarle addosso senza pietà e imprecò, dando un pugno a una macchina. Il piede tamburellò sul marciapiede, mostrando la sua impazienza e sollevando schizzi d'acqua in quanto le scarpe erano diventate delle vere e proprie spugne. Dopo diversi secondi lanciò una nuova imprecazione.

-Vafanculo- Sbottò facendo per andarsene quando un televisore si accese all'improvviso, attirando la sua attenzione. La schermata era quasi psichedelica, cambiando colori in continuazione cosi come cambiava canale. Chloe si avvicinò alla vetrina del negozio, quel posto era chiuso da chissà quanto tempo e gli era stata tolta la corrente. Come faceva a funzionare quel televisore?

-Ma che cazzo?- Un altro televisore si accese come il precedente. La cosa si ripetè con altri tre televisori e soltanto dopo aver fatto un passo indietro e aver osservato meglio il quadro generale che lo vide: un messaggio. Ognuno dei televisori aveva una lettera impressa sullo schermo, quasi impercettibile ad un occhio poco attento. Le lettere messe insieme formavano la parola "Entra". 

Non c'è bisogno di dire come la cosa la confuse ma ricordandosi con "chi" aveva a che fare si limitò a scuotere il capo, poggiando la mano sulla porta e spingendola. Era aperta e Chloe riuscì facilmente ad entrare in quel posto. Il pavimento era pieno di polvere, pieno di scatoloni chiusi e con ragnatele praticamente ovunque. Sembrava che nessuno ci mettesse piede da anni, talmente tanto puzzava di chiuso. Tossì un paio di volte, rischiando di starnutire a causa della polvere mentre ad ogni passo lasciava una scia d'acqua per via della pioggia che l'aveva inzuppata. 

Un televisore si accese in un angolo, mostrando una freccia puntata verso il basso. Si mosse nella direzione del televisore acceso, notando di aver messo il piede sopra una sorta di botola. Con il piede tolse della sporcizia e un cumulo di vecchi giornali trovando la maniglia della botola. Fece un passo indietro, sollevando la botola e ritrovandosi ad osservare una sorta di tunnel collegato con una scala.

-Ma dove accidenti mi stai mandando?- Borbottò mentre iniziava a scendere giù. La scala era vecchia e arruginita, cigolò sotto al suo peso ma sembrò reggere. Dopo aver sceso la scala si ritrovò in quella che sembrava una stanza/bunker. In ogni dove erano raggruppati televisori, schermi per i computer uno sopra l'altro e non appena mosse il primo passo delle luci si accesero all'unisono illuminando completamente la stanza. Non era enorme, probabilmente senza tutti quegli aggeggi sarebbe stata più spaziosa. Sembrava un labirinto fatto di cavi e aggeggi elettronici.

Uno schermo si accese a un passo da lei. Lo schermo, inizialmente bianco, cambiò mostrando una maschera nero brillante da topo che si muoveva da un lato all'altro, muovendo il naso a punta in ogni angolo dello schermo. Chloe si avvicinò, la mano destra infilata nella tasca dei pantaloni.

-Ancora con queste paranoie W?- Si lamentò Chloe, bussando sullo schermo con la mancina. Dopo quel gesto lo schermo vibrò per un istante prima di spegnersi. Un secondo televisore, non molto lontano da quello precedente, si accese con la stessa immagine di prima.

-Colpa tua- Rispose una voce maschile. Chloe si voltò verso l'altro televisore, camminando verso di esso.

-Te la fai sotto per l'Ordine?- Chiese la ragazza

-Solo un pazzo non lo farebbe. Hai idea di cosa mi faranno se mi trovano?- Chloe decise di interrompere la cosa prima che degenerasse

-Non sono qui per discutere di questo. Tempo fa mi hai offerto la possibilità di cambiare identità e andarmene da Seattle. Allora non era una buona opzione ma adesso vorrei accettarla-

-Col cazzo- Quella risposta la stupì, non aspettandosi minimamente una risposta negativa.

-Come sarebbe?- Fece lei togliendosi il cappello che portava sopra la testa e gettandolo per terra con noncuranza.

-Ma capisci in che guai mi hai messo?-

-Piantala, non cercano te. Cercano me e quando capiranno che me ne sarò andata da questa città se ne andranno anche loro- La persona con la maschera di topo si mise a ridere. Una risata amara prima di spegnere il televisore e accenderne un altro, sempre non molto lontano dal precedente cosi da poter essere seguito.

-Pensi sul serio che stanno cercando te e basta? Hai perso i neuroni sotto la pioggia per caso? Sei solo il pretesto giusto per mettere a ferro e fuoco la città. Si sta organizzando una caccia alle streghe. I Saviors, ogni conduit nascosto e chiunque possa essere una minaccia per loro saranno presi e buttati in un buco di cella- Si percepiva un profondo astio nelle sue parole ma anche una certa paura. 

-Ora verranno per me. Lo so, lo so, verranno per me- Si lamentò, piagnucolando come un bambino spaventato dal mostro sotto al letto. Chloe afferrò il televisore con entrambe le braccia, sollevando e avvicinando il volto allo schermo.

-Smettila!- Urlò la ragazza facendolo smettere di parlare e catturando la sua attenzione. 

-Stammi a sentire W. Nessuno verrà a prenderti. Aiutami a scappare da questa città e io aiuterò te a non farti prendere- La maschera di topo agitò la testa in segno di diniego.

-Non posso farlo. Hanno bloccato tutte le uscite, siamo in trappola.- L'amico sembrava troppo spaventato per poter ragionare in maniera lucida. Ci doveva pensare lei a dargli una svegliata, o quantomeno a farsi dare qualcosa che potesse tornarle utile.

-W, senti. Tu sai praticamente quasi tutto sui conduit qui a Seattle. Pensi che qualcuno di loro potrebbe aggirare le difese e farmi uscire?- L'altro sembrò rifletterci su per qualche istante.

-Non lo so...forse.- Chloe non era molto soddisfatta di quel "forse"

-Devi dirmi un nome- Il televisore si spense, cambiando per l'ennesima volta. Iniziava a stancarsi di quel continuo apparire e scomparire da una parte all'altra della stanza. La maschera di topo rimase in silenzio per qualche istante dopodichè parlò.

-C'è una conduit che potrebbe darti una mano ma non so il nome. Posso dirti dove puoi trovarla e che aspetto ha ma niente di pi.-

-Mi basta- Se quello era tutto ciò che poteva ottenere se lo sarebbe fatto piacere.

-E' una ragazza, veste spesso in maniera sportiva e porta quasi sempre addosso un cappellino bianco con una palla di fuoco sulla sinistra. Capelli castano scuro corti, ha una collana a forma di drago-

-Uh- La descrizione non le pareva molto utile. Le sembrava alquanto scarna, senza contare che la tipa in questione poteva anche non indossare gli abiti da lui descritti.

-Frequenta sempre lo stesso locale, puoi trovarla lì praticamente ogni sera....almeno credo. E' il suo luogo di ritrovo preferito da quanto ne so. Ecco- E cosi dicendo fece sparire la propria faccia da topo e fece apparire sullo schermo una mappa di Seattle, con sopra indicato il luogo dove avrebbe trovato il locale.

-Come hai detto che si chiama il posto?- Chiese la ragazza osservando la mappa per imprimersela a fuoco nella memoria.

-Vortex Club-

 

Seattle 5 Ottobre 2018 17:00 PM

Dopo lo "scontro" con la ragazza dai capelli blu, Max si era diretta sul suo luogo di ritrovo perfetto per le informazioni: un bar. Non un bar qualsiasi sia chiaro, in quel posticino se ci si metteva al tavolo giusto si potevano origliare le conversazioni di praticamente tutti. E lei, che ci aveva modestamente passato gran parte dei suoi giorni, sapeva dove trovare quel tavolo. Vi ci sedette, ordinando una tazza di cioccolata calda alla cameriera. Le sue orecchie captarono presto una conversazione interessante provenire da un gruppetto di persone non molto lontano dalla sua postazione.

-Come hai detto che si chiama quella bioterrorista?- Sentì dire da un uomo con un papillion nero.

-Di chi parli?- Domandò la donna a cui l'uomo si era rivolto, guardandolo interrogativo.

-Lo sai. Quella tipa di New York, quella completamente psicopatica- Non ricevendo alcuna risposta ma soltanto un espressione confusa dai suoi compagni, l'uomo con il papillion continuò a parlare, dando altri dettagli.

-Ma si dai, me ne hai parlato l'altro giorno. Di quella che era stata quasi presa ma che era riuscita a far perdere le proprie tracce-

-Ah si, ora mi ricordo. Si chiama la Schiaccianoci. Il motivo di questo titolo è dovuto al fatto che ami....- La donna non riuscì a finire la frase che alcuni in quel gruppetto iniziarono a lamentarsi, dando segno di protesta, non volendo sentire cose del genere mentre mangiavano. La donna alzò le mani in segno di scuse, tornando a rivolgersi all'uomo.

-Perchè tiri fuori l'argomento?-

-Ho sentito dire che si trovi qui a Seattle. E indovinate chi hanno deciso di mandare a romperci le palle? La figlia del boss- Si levarono alcuni mormorii. Rachel Amber era molto popolare, quasi una leggenda nel mondo dei conduit e di chi dava loro la caccia. Era la figlia adottiva di Rose Palmer, da quanto si sapeva era nata da una scappatella del marito della donna con una sconosciuta. Nessuno sapeva la vera identità della madre di Rachel e mille ipotesi erano state fatte. Alcuni pensavano fosse una spogliarellista, altri credevano fosse la moglie di un riccone di wall street, altri ancora un esponente della mafia russa eccettera eccettera.

Le malelingue sul conto della madre non erano state le uniche cose per cui la bambina era rimasta sotto i riflettori. Avevano continuato a parlare di lei quando, a un certo punto della sua vita, la bambina aveva mostrato di possedere dei poteri e di come li avesse usati per aggredire (o meglio uccidere) un essere umano. Era una conduit, una bioterrorista e anche se, inizialmente, qualcuno aveva votato affinchè venisse processata come un conduit adulto, la madre Rose risolse presto la questione. Come la risolse non era ben chiaro. Si sapeva solo che dopo la morte del padre di Rachel, Rose era diventata l'unica persona a cui la figlia poteva fare affidamento. La guidò, la fece addestrare e ne fece un soldato. Una cacciatrice di bioterroristi.

-Ho visto alla tv che hanno dato un ultimatum al Corvo. Se non si consegna volontariamente inizierà il caos- Mormorò la donna sorseggiando la propria birra.

-Come se a quel tipo freghi qualcosa dei loro ultimatum. Siamo fottuti ve lo dico io.- Gli altri di quel gruppo si mostrarono concordi a quell'affermazione. Nessuno si aspettava che il Corvo si sarebbe consegnato alle forze di polizia. Tutti erano pronti al peggio, rassegnati a non poter fare niente di niente in merito. Max non era della stessa opinione. Max era convinta che dovevano reagire, fare qualcosa per ribellarsi a quei sorprusi ma più si guardava attorno e più vedeva gente che si limitava a crogiolarsi nella propria disperazione.

Sorseggiò la propria cioccolata mentre dalla sua tasca risuonò la colonna sonora della morte nera. Ridacchiò, tirando fuori il proprio cellulare e rispondendo alla chiamata senza vedere chi la stesse chiamando.

-Pronto?-

-Ehi musona- La voce dall'altro capo del telefono la fece sorridere. Una vecchia conoscenza che non incontrava da tempo.

-Buongiorno anche a te. A cosa devo il piacere di questa telefonata?-

-Ho bisogno di te per un lavoro mega importante- Il tono divertito dalla ragazza le fece dubitare della serietà della sua richiesta.

-Cosa ti serve?-

-Mi serve che mi fai da spalla per stasera- Per poco non sputò la cioccolata che stava sorseggiando, gorgogliando e pulendosi la bocca con un tovagliolo prima di rispondere all'amica.

-Assolutamente no. Ho da fare.- Era stata la sua risposta

-Dai che ti fa bene staccare dal lavoro ogni tanto. E poi Mickey è malato e a me serve un faccino da cucciolo. Per favooore- Implorò la ragazza, mugulando come un cucciolo che voleva altro latte. Max alzò gli occhi al cielo, mordendosi il labbro inferiore e sospirando prima di cedere a quella supplica.

-Solo per stasera?-

-Sapevo di poter contare su di te. Fatti bella per la grande serata mi raccomando che se ho fortuna magari rimorchi pure te- Le guance le diventarono rosso fuoco e iniziò a balbettare parole senza senso, suscitando l'ilarità dell'altra.

-Ti passo a prendere io- Disse la ragazza prima di salutarla e chiudere la chiamata, non attendendo ulteriori risposte da Max. L'investigatrice sospirò per la seconda volta, finendo la propria cioccolata calda e lasciando la mancia alla cameriera. Incamminandosi verso casa, correndo sotto la pioggia per prepararsi. Cosa che non sarebbe stata facile dato che il suo armadio non comprendeva molti vestiti. La giornata non le aveva dato molti frutti per sua sfortuna. Presa la metropolitana si ritrovò a casa propria in poco tempo, infilò le chiavi nella toppa e aprì la porta di casa. Preparandosi per la "grande serata"

 

Angolo dell'autore:

Rieccomi qui ragazzi e ragazze. Intanto voglio chiedere umilmente scusa per l'enorme ritardo che ci ho messo per pubbicare questo capitolo. E' stato un periodo molto intenso, oltre ad avere un black out creativo. Spero che ciò non si ripeta o al massimo di avvisare se dovesse succedere qualche improvviso ritardo nella pubblicazione. 

Detto questo passiamo al capitolo. Ero indeciso su come iniziare e alla fine ho optato per un enorme flashback nella vita di Rachel. Prometto che nel prossimo capitolo mi concentrerò maggiormente su Chloe e Max (che in questo capitolo sono state sui riflettori meno di quanto avrei voluto). Scommetto che qualcuno avrà gia ipotizzato chi sarà la persona che Chloe deve incontrare al Vortex Club, o magari no. 

Il prossimo capitolo si chiamerà "Vortex Club" e se tutto va bene dovrebbe uscire prima di Luglio.

Ringraziamenti:

Vorrei ringraziare Edoardo811 per le sue ottime recensioni che mi permettono lentamente di migliorare il mio stile di scrittura. Se sto migliorando nello scrivere e se scrivo ancora questa ff è anche per merito suo. 

   
 
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