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Autore: _Agrifoglio_    13/06/2018    17 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il medico veneto e il complottatore francese
 
Il giorno successivo a quello in cui si erano svolte le operazioni di trasferimento delle armi, di mattina presto, Oscar era seduta alla scrivania del suo ufficio nella caserma ed era intenta a decifrare le parole vergate sui fogli di carta, trovati nel camino, che il fuoco non aveva fatto in tempo a divorare.
La carta era di buona fattura e la calligrafia denotava che lo scrivano era una persona istruita. Non era una grafia così ricercata da appartenere a un grande nobile, ma sarebbe, pur sempre, potuta provenire da un segretario alle dipendenze di quello.
Oscar riuscì a leggere alcune parole: “armi”, “Gran Maestro”, “Palais R”, “Orl”, “libelli”, “Grande Oriente”, “traffico”, “tornio”, “sigillo reale”, “reggimento”, “fucili”, “divise”.
Alcune delle parole lette le riportarono alla mente una vecchia conoscenza mentre altre, come “armi” e “libelli”, “tornio” e “reggimento”, non capiva da che nesso fossero unite fra loro.
Mentre era presa da questi ragionamenti, uno dei soldati semplici si scaraventò nell’ufficio di lei e, senza bussare e senza mettersi sull’attenti, le disse:
– Comandante, uno degli scaffali di Rue Buffon celava una porta segreta che introduce in un altro ambiente. Se voleste correre a vedere, sareste in tempo: il nuovo reggimento non ci ha ancora sostituiti nella guardia ai due appartamenti.
Oscar, d’istinto, si levò in piedi, poggiando le mani sulla scrivania. Ordinò al soldato di radunare dieci uomini da portare in Rue Buffon e, subito dopo, lo congedò.
Uscito il soldato, ripose i fogli di carta bruciacchiati in uno stipo, chiudendo a chiave il cassetto.
 
********
 
Quella stessa mattina, André, all’ora concordata, si recò alla locanda per farsi visitare dal taciturno straniero cui aveva prestato soccorso il giorno prima.
Non nutriva eccessive speranze sull’esito della visita, dato che quelle residue gliele aveva estirpate il Dottor Lassonne, facendogli inutilmente oscillare davanti al viso una candela della quale aveva avvertito il tepore, ma non aveva visto il benché minimo bagliore. Tanto gli era costato lanciarsi all’inseguimento del cavaliere nero.
Neppure riponeva un grande affidamento su quel giovane silenzioso e schivo che non aveva avuto la costanza di laurearsi. L’amico l’aveva definito “genio”, ma l’affetto induce a esagerare i meriti delle persone care, soprattutto se a parlare sono individui estremamente giovani. Si era risolto, tuttavia, a esperire anche quel tentativo per non lasciare alcunché di intentato e per non doversi rimproverare, un domani, di avere perso un’occasione.
Mentre era immerso in queste considerazioni, picchiò il pugno sulla porta della stanza di quell’enigmatico giovane. Non aveva ancora battuto il secondo colpo, che la porta fu aperta di scatto ed egli si trovò col pugno a mezz’aria e il volto severo di Lucilio Vianello che scrutava attentamente quello di lui.
– Siete in ritardo di due minuti, Monsieur Grandier.
– Scusate, Signor Vianello – disse timidamente e a bassa voce André, vergognandosi di essere stato ripreso.
André guardò meglio il suo interlocutore e lo trovò un tipo estremamente singolare. Si trattava di un uomo dai lineamenti gradevoli anche se non bellissimi, di statura non elevata, con una fronte spaziosa e due occhi vivaci, indagatori e un po’ freddi. Ciò che, a prima vista, colpiva di lui era un certo piglio d’indifferenza che lo rendeva quasi antipatico e un abbigliamento a dir poco bizzarro. Non usava parrucca né incipriava i capelli e, appoggiato su una sedia, vi era uno strano cappello tondo alla quacquera. La giubba era priva di ornamenti e di bottoni di smalto mentre il panciotto, di un solo colore, era corto. A completare l’insieme, vi erano i pantaloni che il giovane teneva infilati dentro agli stivali prussiani. Si trattava, indubbiamente, di un abbigliamento comodo, ma anche distante dalla moda e dall’estetica del tempo. Di tutto ciò, l’uomo pareva non curarsi, come se a gratificarlo bastasse la propria personale convinzione e le opinioni degli altri fossero state degli irrilevanti e fastidiosi ronzii d’insetto.
– Quali sono i vostri disturbi, Monsieur Grandier? Con l’occhio sinistro, quello che celate a voi stesso e al mondo sotto una ciocca di capelli, nell’illusione di sfuggire al problema, non vedete affatto, mi pare.
– E’ così – rispose André, messo a disagio dal tono sarcastico dell’altro.
– Vi infastidisce la mia sincerità? La compassione è per i deboli e la delicatezza d’animo è per le donne.
– Non Vi chiedo l’una né l’altra – tagliò corto André, domandandosi come avrebbe reagito Oscar alla seconda parte di quell’affermazione – Vorrei soltanto chiedere un Vostro parere, se Voi foste tanto generoso da elargirmelo.
– Adesso, cercate la mia approvazione con la blandizie: tipico atteggiamento da debole o da servitore, quale voi siete. Avete passato la vita al guinzaglio della nobiltà. Il diluvio c’è stato per nulla, se non ha sommerso queste rancide dottrine di tirannia ereditaria.
– La mia non è blandizie né, tantomeno, servile sottomissione, ma cortesia che non è monopolio dei deboli né delle donne. Poiché, però, il mio atteggiamento Vi infastidisce, non voglio prolungare oltre il Vostro disagio e Vi sollevo dalla mia presenza.
– Quanto siete suscettibile e affrettato! Vi prego, accomodateVi – disse l’altro, in tono decisamente più conciliante.
Lucilio Vianello era una persona molto intelligente e, quando si prefiggeva un obiettivo, sapeva perseguirlo con grande tenacia, aspettando, riflettendo e dissimulando. Giunto a Parigi, mai avrebbe pensato di entrare in relazione con una famiglia di grandi nobili francesi, estremamente vicini alla corona. Non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di entrare a Palazzo Jarjayes, usando l’intermediazione di quel domestico. Avrebbe studiato a fondo e da vicino l’alta nobiltà francese, dopo aver frequentato soltanto quella veneta di campagna. Di quanto avrebbe approfondito la conoscenza dell’oggetto della sua esecrazione, sfruttando quell’inatteso cavallo di Troia! Quanto ciò avrebbe accresciuto la consapevolezza del marciume di quel ceto decadente e corroborato in lui la fede nelle idee illuministe! Bisogna analizzare bene il nemico per poterlo combattere. Si risolse, pertanto, ad ammainare la bandiera della sua ideologia e ad ammansire la propria litigiosità, in vista dello sperato obiettivo.
André – che non era uomo da serbare inutili rancori – desiderando acquisire quell’ulteriore parere, fece come gli era stato detto e sedette sulla sedia indicatagli.
Il giovane straniero scrutò, per qualche minuto, entrambi gli occhi di André, utilizzando i suoi strumenti medici. Alla fine, elargì l’agognato responso:
– L’occhio sinistro è stato sottoposto a un trauma, essendo stato ferito da un oggetto tagliente, presumibilmente una lama, circa sei mesi fa. I tessuti si sono ben cicatrizzati, ma una circostanza infausta, probabilmente la mancata osservazione di un adeguato periodo di riposo, non ha consentito l’assorbimento dell’ematoma che, ora, determina la Vostra cecità e che deve essere rimosso chirurgicamente. L’occhio destro, invece, ha contratto un’infezione che causa temporanei annebbiamenti e, talvolta, delle intermittenti cecità. L’infezione non ha ancora danneggiato la retina e il nervo ottico, ma deve essere curata altrimenti lo farà. Dovrete fare degli impacchi tre volte al giorno con un medicamento che qualsiasi farmacista potrà prepararVi, sulla base delle indicazioni che, adesso, Vi scriverò.
– Signor Vianello – rispose André – Già due medici mi hanno visitato. Quello militare ha semplicemente constatato i miei problemi di vista, senza indagarne le cause, così da portare al mio congedo dall’esercito. L’altro, presso il quale non mi sono ancora recato per i problemi all’occhio destro, mi ha detto, senza mezzi termini, che la cecità di quello sinistro è irreversibile.
– E ha sbagliato – fece eco l’altro, con tono algido e di superiorità.
– Perché avrebbe dovuto dirmi una cosa non vera?
– Domandatelo a lui.
– Signor Vianello, non voglio affatto sminuire i Vostri meriti e la Vostra indiscutibile preparazione, ma quell’altro è l’Archiatra di Corte.
– Il Signor Archiatra ha sbagliato, probabilmente, perché aveva cose più importanti da fare che prendersi cura di Voi o perché, piccato dalla Vostra disobbedienza alle sue prescrizioni, ha liquidato il Vostro caso in pochi minuti, al fine di andarsene prima possibile e di non dover sopportare la Vostra vista troppo a lungo.
– Subito dopo il ferimento, mi ha detto che, se non avessi osservato un periodo di riposo, avrei irreversibilmente perso l’uso dell’occhio sinistro.
– Bene, perché, quindi, a intemperanza avvenuta, fare un esame più approfondito per smentire se stesso, ex post?
André tacque basito, ricordando i pochi e sbrigativi movimenti della candela davanti al suo volto e confrontandoli con la visita accurata effettuata da quell’insopportabile, giovane straniero.
– Facciamo così: fateVi preparare dal farmacista il medicamento che Vi ho prescritto e applicateVi gli impacchi tre volte al giorno, per una settimana, senza disattendere le mie prescrizioni – il giovane sottolineò, con tono di voce deciso e tagliente, quest’ultima parte della frase – Se il Vostro occhio destro ne trarrà giovamento, verrò ad operarVi nei Vostri appartamenti, dato che, una volta convalescente, sarete inamovibile per un periodo di tempo che varia dalle quattro alle sei settimane.
– Signor Vianello, Vi ringrazio. Ditemi quanto Vi devo.
– Regoleremo tutto a operazione avvenuta – rispose l’altro, porgendogli la ricetta del medicamento.
 
********
 
Erano circa le dieci del mattino, quando Oscar e i soldati della Guardia Metropolitana giunsero nell’appartamento di Rue Buffon dove era stato trovato l’arsenale clandestino.
Appena entrata, Oscar vide uno scaffale rovesciato sul pavimento, con tutte le armi che, prima, vi erano collocate sopra, sparse a terra, alla rinfusa e un locale buio aprirsi al di là di quello.
Si rivolse subito a Lasalle che, non avendo partecipato alla rissa in taverna, non stava scontando la settimana agli arresti e gli chiese:
– Com’è caduto quello scaffale, Lasalle?
– Comandante, volevo vedere se, sull’ultimo ripiano, ci fosse, per caso, un libro…. così…. per leggerlo e ammazzare il tempo…. Mi sono arrampicato sullo scaffale e questo si è ribaltato.
– Lasalle, ma tu non sai leggere!
– La verità – si intromise un altro soldato, ridendo – è che questo citrullo ha assestato una pedata allo scaffale per la stizza che siamo stati sostituiti. Diceva che quegli altri soldati non sono migliori di noi e, preso dai nervi, ha tirato un calcio neanche fosse un cavallo! Adesso, gli fanno pure male le dita del piede. Ah! Ah! Ah! Ah!
– Piantala, Maurice! Non sei divertente!
– Piantatela entrambi e spostate lo scaffale, così da poter passare di là.
I due soldati rimproverati, insieme ad altri che erano arrivati con Oscar, rimossero il mobile rovesciato, così che la via per il locale adiacente fu finalmente sgombra.
Era chiaro che la stanza illuminata era stata rimpicciolita per creare una grossa intercapedine.
Oscar passò dall’altra parte e, in un primo momento, decise di aspettare che gli occhi si abituassero all’oscurità. Presa, successivamente, dall’impazienza, ordinò ai soldati di accendere le torce che avevano in dotazione e il contenuto della stanza segreta si andò lentamente delineando.
Addossato alla parete – che non recava finestre, ma soltanto due piccole e alte feritoie per il ricambio dell’aria, da cui non giungeva luce – vi era un tornio e, appoggiate per terra, si notavano, da una parte, delle risme di carta intonsa mentre, dall’altra, delle pile di giornali stampati. Oscar ne afferrò uno, lo portò nella stanza illuminata e iniziò a sfogliarlo.
Si trattava di un libello scandalistico e osceno, intitolato: “La roccia del falco”.
I protagonisti erano la Regina Maria Antonietta, rappresentata in versione procace e scollacciata, con il decolleté esageratamente profondo e le sottane perennemente sollevate e il di lei fratello, l’Imperatore Giuseppe II, che si recava di continuo in Francia, sotto lo pseudonimo di Conte di Falkenstein, al fine di godere delle grazie della sorella e di tramare, con quest’ultima, intrighi a favore dell’Austria e contro la Francia. Dopo una serie di pagine all’insegna della sconcezza e delle calunnie, il Conte di Falkenstein ripartiva per il suo paese, scortato da soldati ubriaconi e degenerati, capitanati da una donna viziosa, con la divisa sbottonata in corrispondenza delle parti intime. Giunti sulla sponda del Reno, una voragine, all’improvviso, si apriva, il diavolo spuntava fuori dalle profondità della terra, afferrava il Conte di Falkenstein dagli organi genitali e lo trascinava all’inferno, dopo avere dato un calcio nel sedere alla donna soldato, accorsa per difenderlo e averla scaraventata in una porcilaia. L’ultima tavola del libello raffigurava la donna soldato per terra, circondata dai sederi dei maiali che la ricoprivano di una montagna di letame.
Oscar trattenne a stento la collera e non proferì parola, ma saettò uno sguardo così furente da atterrire i suoi soldati. Le mani di lei si serrarono come una morsa sui fogli di carta, tanto che le nocche divennero bianche. Non le importava delle ingiurie a lei rivolte, così come non aveva dato peso al memoriale scandalistico di Jeanne de la Motte per la parte che la riguardava direttamente, ma era infuriata per l’oltraggio arrecato alla Regina e per le ripercussioni che tutto ciò avrebbe avuto sul prestigio della corona. Un’altra goccia di veleno era stata versata in un mare già nero di lordura.
Seguirono alcuni attimi di imbarazzato silenzio, rotti dalla domanda di un soldato:
– Comandante, cosa dobbiamo fare?
– Questo ritrovamento non è stato denunciato. Porteremo via con noi il tornio, i libelli e la carta e li custodiremo in caserma. Rimetteremo lo scaffale esattamente dove si trovava e vedremo quale sarà la reazione di chi verrà a sostituirci e di chi ha ordinato la sostituzione.
Era così furente che, in quel momento, avrebbe volentieri preso lei a calci tutti gli scaffali della stanza. Con gesto rapido e nervoso, sfilò di mano la torcia a uno dei soldati e rientrò nell’intercapedine. Dirigendo la fonte luminosa sul lato opposto della stanza rispetto a dove si trovava il tornio, vide una piccola scrivania che, prima, le era sfuggita. I cassetti si aprirono tutti tranne uno. Dopo avere sparato alla serratura del cassetto chiuso, lo aprì e ne estrasse un plico, sigillato con della ceralacca rossa, recante l’impronta dello stemma del Duca d’Orléans. Rotto il sigillo, si trovò davanti il contenuto del plico, consistente in uno dei libelli scandalistici, accompagnato da una lettera indirizzata all’ambasciatore inglese a Parigi e firmata dal Duca d’Orléans in persona. Evidentemente, il cugino del Re, nell’imminenza dell’attentato al Conte di Falkenstein, aveva fatto predisporre una serie speciale di libelli scandalistici, destinandone uno all’ambasciatore inglese, suo carissimo amico di vecchia data e consegnando la lettera d’accompagnamento ai suoi sgherri, affinché recapitassero il plico subito dopo la morte dell’Imperatore. Scongiurato il regicidio, grazie alla prodezza di Oscar e dei soldati da lei comandati, i libelli erano divenuti inutilizzabili, così come il dissacrante cadeau destinato all’ambasciatore, ma l’assassinio di Robert Brasseur e il fortuito ritrovamento dell’arsenale avevano impedito il tempestivo recupero della compromettente missiva da parte degli emissari del Duca.
– Bene – disse Oscar, sistemando il plico sotto il braccio – Questa giornata si è rivelata meno fastidiosa del previsto! Cominciate immediatamente a svuotare l’intercapedine e, poi, rimettete lo scaffale nel posto in cui lo avete trovato.
 
********
 
La mattina volgeva, ormai, al termine e il Dottor Lassonne sedeva alla scrivania del suo lussuoso studio medico parigino. Era stanco e desideroso di pranzare. Aveva già visitato quattro facoltosi e petulanti pazienti e altrettanti lo attendevano nel pomeriggio. In serata, poi, avrebbe dovuto rivedere, insieme ai suoi assistenti, gli appunti per una prossima pubblicazione. La luce del giorno, filtrata dalle tende di seta e dalle sopratende di velluto, gli offendeva gli occhi che egli teneva coperti con la mano, quasi a voler fermare un principio di cefalea. Fu in quel momento che il segretario gli annunciò la presenza, in sala d’aspetto, di André Grandier.
– Devo dirgli che non ci siete e di ripassare nel pomeriggio?
– Sì, per favore. Anzi, no, ditegli di entrare.
Quella richiesta di colloquio non gli era particolarmente gradita, per il momento della giornata in cui era fatta e per l’identità dell’ospite. Proprio per questo, reputò preferibile levarsi l’incomodo prima possibile, senza procrastinare ulteriormente il fastidio.
André Grandier lo aveva innervosito sin dalla giovinezza, per l’ostinazione che dimostrava, per la frequente disobbedienza alle prescrizioni di lui, per l’educazione da gentiluomo che ostentava e che poco si addiceva allo stato in cui versava e per l’insistenza quasi martellante con cui gli ingiungeva di prendersi cura di Madamigella Oscar ogni qualvolta una disavventura legata alla vita militare rendeva indispensabili i servigi di lui. Come se non sapesse da solo quali cure prestare e con quale solerzia e meticolosità applicarle! Ci voleva quel presuntuoso domestico per richiamarlo ai propri doveri….
Senza alzarsi dalla sedia e senza allontanare la mano dagli occhi, scrutando, di sottecchi, la sagoma dell’ospite che si avvicinava alla scrivania, con voce strascicata e condiscendente, gli disse:
– Prego, André, accomodati. Cosa posso fare per te?
– Buongiorno, Dottore. Vengo a palarVi del mio occhio sinistro.
– André, pensavo che il discorso fosse ormai concluso – tagliò corto l’altro, con bonaria impazienza – Non sei stato scrupoloso nel seguire le mie prescrizioni e, ora, il tuo occhio sinistro è definitivamente compromesso.
– Dottore, vorrei approfondire meglio la questione, se non Vi dispiace. Appena fui ferito, mi ingiungeste perentoriamente di non rimuovere le bende fino alla completa cicatrizzazione, pena il danneggiamento definitivo dell’occhio. Dopo che io mi sbendai e partecipai all’arresto del cavaliere nero, Voi mi annunciaste la perdita irrimediabile della vista, ma senza sottopormi a un esame accurato e limitandoVi a farmi oscillare una candela davanti al viso. E’ possibile che la cornea, la retina, il nervo ottico e tutto ciò che compone l’occhio siano intatti e che i miei disturbi dipendano, invece, da un ematoma non assorbito e rimuovibile chirurgicamente? In altre parole, vi sono margini per asserire che la mia condizione è reversibile?
– Vedo che hai consultato altri specialisti – sibilò l’Archiatra, dissimulando, a stento, il fastidio – Bene, se ti fidi di loro più che di me, non hai che da seguire le loro prescrizioni, si spera con maggiore solerzia di quella con cui hai accolto le mie.
– Dottore, a me non interessa fare confronti e stabilire chi ha ragione e chi ha torto – replicò educatamente André, evitando di precisare, per non far degenerare ulteriormente lo stato d’animo dell’interlocutore che già volgeva al nervosismo, che l’altro a cui si era rivolto nemmeno era uno specialista, ma un semplice medico di campagna, per giunta, straniero, giovane e non ancora laureato – Vorrei soltanto sapere se ci sono dei margini affinché io possa riprendere a sperare.
– Che ti devo dire André – replicò l’altro, nella cui mente, al fastidio per essere stato contraddetto, si stava rapidamente affiancando e, anzi, sostituendo il sospetto, sempre più corposo e destabilizzante, di essersi sbagliato per superficialità e frettolosità – In queste faccende, svolgono un ruolo fondamentale anche il trascorrere del tempo e la risposta individuale del paziente….     
– Confermate, quindi, che ci sono delle possibilità che io possa tornare a vedere?
– Non posso confermare né smentire – disse l’Archiatra, iniziando a maledire la scarsa sollecitudine da lui usata a un paziente poco illustre e la frettolosità con cui lo aveva visitato, figlia dell’eccessiva sicurezza con cui era solito confermare le sue previsioni e madre di una diagnosi di cui, ora, doveva riconoscere, difronte a un inferiore, la fallacità.
– Dottore, detesto essere insistente, ma potreste, per favore, visitarmi di nuovo? Vi pagherò quello che vorrete, anche un supplemento di onorario per l’ora scomoda.
– Ma cosa dici, André, non occorre alcun compenso, siamo fra noi – disse il medico con ostentata ed eccessiva bonomia.
Terminata la visita, la corrucciata espressione dell’Archiatra tradì l’umiliazione per l’errore in cui era incorso.
– Confermo la presenza dell’ematoma, André. Come intendi procedere?
– Devo ancora decidere, Dottore. Vi ringrazio di avermi ricevuto nonostante l’orario e Vi auguro una buona giornata.
Dette queste parole, André si accomiatò da lui.






Continua, in questo capitolo, il cross-over col romanzo “Le confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo. La descrizione fisica, caratteriale e dell’abbigliamento di Lucilio Vianello è tratta da quel romanzo, così come la frase: “Il diluvio c’è stato per nulla, se non ha sommerso queste rancide dottrine di tirannia ereditaria”. Mi sono anche ispirata al bisbetico Dottor House che col giovane Lucilio aveva in comune la totale assenza di modestia e di belle maniere.
   
 
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